Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11065 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11065 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12259/2023 proposto da:
Avv. NOME COGNOME in proprio e anche quale difensore di NOME COGNOME rappresentato e difeso d all’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente
–
-controll’avv.to NOME
NOME COGNOME rappresentato e difeso da Longobucco, per procura in calce al ricorso;
-controricorrente-
-nonché-
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv.to NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
-ricorrente incidentale-
-contro-
Avv. NOME COGNOME in proprio e anche quale difensore di NOME COGNOME;
-intimato- avverso la sentenza n. 1737/2022 emessa dalla Corte di Appello di Bari, pubblicata il 30.11.2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/03/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto di citazione del 27/02/2019, NOME COGNOME conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Bari, Sezione Specializzata Imprese, NOME COGNOME domandando l’accertamento della violazione della normativa in materia di diritto d’autore (L. n. 633/4 1 e succ. mod., c.d. LDA), perpetrata dal Conte in suo danno.
In particolare, l’attore assumeva che: il Conte aveva pubblicato dodici fotografie tratte dall’archivio del Disanto, senza alcuna autorizzazione e senza citare in didascalia la corretta fonte archivistica, ma attribuendone il merito a sé o ad altri; in ragione di ciò, dopo aver chiesto ammettersi una c.t.u., aveva chiesto la condanna del convenuto alla errata corrige, con rettifica delle fonti e corretta attribuzione della paternità, e al risarcimento, in suo favore , dei ‘danni patrimoniali e non patrimoniali, per le reiterate violazioni di legge per la mancata citazione della fonte archivistica’, per un ammontare ‘pari ad €. 20,000,00 o a quell’altra somma maggiore o minore che risulterà di giustizia e, comunque, da contenersi nel limite per valore dei €. 26.000,00’, nonché per i danni derivanti dall’utilizzo improprio e non autorizzato di tutto il materiale fotografico di proprietà esclusiva e/o possesso esclusivo di NOME COGNOME
Con sentenza n. 796/2021, pubblicata in data 25/02/2021, il Tribunale rigettava le domande proposte da parte attrice, osservando che: solo per due delle numerose fotografie indicate in atti l’atto re era in possesso di due soli negativi, rilevando che secondo il disposto del l’art. 89 L.cit. la cessione del negativo o di analogo mezzo di riproduzione della fotografia comprende, salvo patto contrario, la cessione dei diritti previsti nell’articolo precedente ; l’attore , che pacificamente non aveva scattato le fotografie di cui possedeva i negativi, non aveva provato che gli erano stati ceduti dal l’avente diritto; per quanto riguardava invece le altre fotografie, nessun diritto di utilizzazione esclusiva poteva vantare l’attore , atteso che esse non riportavano né il nome del fotografo, né la data dell’anno di produzione delle fotografie, in assenza dei quali la loro riproduzione non era considerata abusiva e non erano dovuti i compensi indicati negli artt. 91 e 98 (art.90 L. cit.); era inammissibile l’ulteriore domanda concernente la lamentata lesione dei pretesi diritti inerenti alla titolarità di un archivio storico , trattandosi di domanda nuova, proposta solo con la comparsa conclusionale.
In data 30/11/2022, la Corte d’Appello di Bari , con sentenza definitiva n. 1737/2022, accoglieva per quanto di ragione l’appello proposto dal Disanto e per l’effetto, in parziale riforma della sentenz a impugnata, liquidava le spese processuali relative al giudizio di primo grado, in favore del convenuto, in €. 2.905,00 (euro duemilanovecentocinque,00), oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale della prestazione, C.N.P.A.F. ed I.V.A. come per legge; rigettava nel resto l’appello e per l’effetto confermava, per quanto non diversamente disposto con la stessa, la decisione impugnata; compensava per ¼ le spese del presente grado di giudizio e condannava l’appellante alla rifusione, in favore dell’appellato, dei residui ¾, liquidando il tutto in €. 3.777,00 (euro
tremilasettecentosettanta-sette,00), tutti per compenso, e determinando il dovuto in €. 2.832,75 (euro due -milaottocentotrentadue,00), oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale della prestazione, C.N.P.A.F. ed I.V.A. come pe r legge, con distrazione in favore dell’Avv. NOME COGNOME difensore dichiaratosi anticipatario.
Al riguardo, la Corte territoriale osservava che: l’ appellante, nel primo grado di giudizio, aveva lamentato l’abusiva pubblicazione da parte d el convenuto, di alcune fotografie d’epoca facenti parte dell’archivio del quale l’ attor e era titolare (c.d. ‘archivio p rivato NOME COGNOME -Cerignola’), in quanto effettuato senza citare l’esatta fonte archivistica alla quale appartenevano i diritti; p ertanto l’asserzione del Tribunale secondo cui era inammissibile la ‘lamentata lesione di pretesi diritti inerenti alla titolarità di un archivio storico’, ‘trattandosi di domanda nuova proposta solo con la comparsa conclusionale’ , non poteva essere condivisa; il motivo di impugnativa era comunque infondato in quanto non ricorrevano i requisiti di legge di cui agli artt. 10 ss. dlgs. n. 42/2004, dovendo escludersi che il corpus fotografico del c.d. archivio privato NOME COGNOME e/o le singole fotografie (con i relativi negativi) conservati nella fototeca di detto archivio potessero essere qualificati e tutelati quali beni culturali; invero, le fotografie- se aventi carattere di rarità e pregio – sono definibili beni culturali se appartenenti ai soggetti pubblici indicati al primo comma del citato art. 10, o se dichiarate di interesse culturale con apposito atto amministrativo, requisiti insussistenti nella fattispecie; né sussistevano i presupposti contemplati dalla l. n. 633/1941, sia perché l’archivio fotografico non era qualificabile come opera dell’ingegno di carattere creativo (trattandosi di fotografie d’epoca della città di Cerignola), sia perché le singole fotografie non presentavano valore artistico e connotati di
creatività, avendo ad oggetto riproduzioni di fatti accaduti nella suddetta città agli inizi del XX secolo prive però dell’originalità necessaria per renderla prevalente sull’aspetto tecnico utilizzato per la realizzazione delle stesse fotografie; non sussisteva neppure il diritto d’utilizzazione esclusiva delle fotografie in questione per il decorso del periodo ventennale dalla relativa produzione, ex art. 92, 1° c., l. n. 633/41; non era necessaria, ai fini della decisione, la richiesta c.t.u., perché sup erflua; era invece da accogliere l’ultimo motivo d’appello concernen te l’importo delle spese giudiziali liquidate per il primo grado, in quanto oggettivamente eccessive e non commisurate all’attività svolta, per cui esse erano da liquidare nella misura minima prevista; le spese del grado d’appell o erano da compensare per un quarto, tenuto conto dell’accoglimento dell’impugnativa per una minima parte, rimanendo ferma la complessiva situazione di soccombente del Disanto, e condannando quest’ultimo al pagamen to dei residui tre quarti a favore del Piazzolla.
L’avv. NOME COGNOME in proprio, e per conto di NOME COGNOME ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza, con due motivi, illustrati da memoria. Il controricorrente resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo del ricorso principale denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 345, comma 1, 91 e 92 c.p.c., artt. 2 e 4 del d.m. n. 55/2014, art. 36 Cost., per aver la Corte territoriale illegittimamente respinto l’ecc ezione di domanda nuova, ritenendo che l’asserzione del Tribunale , secondo cui era inammissibile la ‘ lamentata lesione di pretesi diritti inerenti alla titolarità di archivio storico ‘,
‘ trattandosi di domanda nuova proposta solo con la comparsa conclusionale ‘, non poteva essere condivisa .
Al riguardo, il ricorrente lamenta che tale eccezione, se accolta, avrebbe influito sulla decisione relativa alle spese di giudizio di primo grado, dato che la statuizione sulle spese d’appello sviliva arbitrariamente l’esercizio d el potere discrezionale del giudice di indicare un importo contenuto tra i valori minimi e massimi, considerando che il Tribunale non si era discostato dalla ‘forcella’ tariffaria, avendo liquidato il co mpenso in € 8.000,00, in misura inferiore al valore massimo (€ 9.023,00), ten endo evidentemente conto non solo della totale reiezione delle domande, ma della loro pretestuosità, dell’oggettiva prolissità degli scritti e del censurato tentativo di introdurre una domanda nuova con la comparsa conclusionale.
Il secondo motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., 2 e 4 D.M. n.55/2014, 36 Cost., in relazione all’art. 360, c.1, n.3 c.p.c., per aver la Corte di appello errato nel disporre la parziale compensazione delle spese del secondo grado di giudizio, per di più svilendone illegittimamente l’entità. Al riguardo, i l ricorrente lamenta che, non solo la Corte territoriale è incorsa nell’errore valutativo denunciato nel precedente motivo, ma ha compensato parzialmente le spese pur avendo comunque ritenuto infondate le domande del COGNOME, che è dunque risultato totalmente soccombente in entrambi i gradi di giudizio.
L’unico motivo del ricorso incidentale denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2575 c.c. e artt. 1 e 2, n. 7, della legge n. 633/1941.
Al riguardo, il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello h a errato nell’applicare i criteri relativi alla tutela non già delle singole fotografie,
bensì dell’intero archivio fotografico, quest’ultimo inteso come opera creativa a sé stante (comprensiva di fotografie, tre ritratti e negativi, con la precisazione che i negativi contestati sono quattro e non due come ritenuto erroneamente dai giudici di merito), valutando le dodici fotografie contestate in maniera avulsa dal contesto dal quale le stesse erano state tratte.
Il ricorrente si duole, pertanto, che la Corte di merito non abbia considerato il valore creativo dell’opera complessiva (contenente fotografie, ritratti e negativi, parti letterarie, didascalie), avendo mente all’idea che l’opera medesima intendeva veicolare, in tal modo applicando in maniera scorretta la normativa codicistica e speciale in tema di protezione del diritto autoriale, qualificando le singole fotografie come ‘semplici riproduzioni’ .
Quanto al ricorso principale, il primo motivo è inammissibile.
Anzitutto, non è censurabile la statuizione con la quale la Corte d’appello ha ritenuto che la domanda relativa alla tutela dell’archivio fotografico non fosse inammissibile- come affermato dal Tribunale- ma infondata, trattandosi di mera istanza di riesame della valutazione in questione- con un generico richiamo alle argomentazioni adoperate dal Tribunale- neppure sorretta da puntuali ragioni.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
La Corte di merito non soltanto ha puntualmente motivato la riduzione delle spese di primo grado (che è apparsa oggettivamente ‘ eccessiva e comunque non commisurata all’attività svolta ‘, ma ha parzialmente accolto l’appello, così vertendosi al di fuori di un caso di soccombenza totale, il che, a ragione, ha giustificato la parziale compensazione delle spese nella misura di ¼, alla stregua dell’anzidetto parziale accoglimento dell’appello.
Tale pronuncia è del tutto conforme al consolidato orientamento di questa Corte, a tenore della quale, in caso di accoglimento parziale della domanda articolata in più capi il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poiché tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa (Cass., n. 13212/2023; SU, n. 32061/2022).
Quanto, infine, alla denuncia di violazione del D.M. n. 55 del 2014, per essere state le spese del giudizio di primo grado riliquidate dalla Corte d’Appello applicando i parametri con lo scaglione medio per la sola fase di studio ed introduttiva e i parametri minimi per la fase istruttoria e decisionale, anche sotto tale aspetto il motivo è inammissibile. Invero, per criterio tipico della liquidazione delle spese, dove è prevista una ‘forcella’ tra minimi e massimi con possibilità per il giudice di diminuir e o aumentare ulteriormente il compenso per specifici motivi, tra i valori minimi e i massimi, il giudice esercita un potere discrezionale, insindacabile in sede di legittimità, occorrendo che egli motivi solo la diminuzione o l’aumento ulteriore, essendo in tal caso necessario assicurare il controllo sulle ragioni dello scostamento dalla forcella (Cass. civ., sent. del 10 maggio 2019, n. 12537).
Orbene, la Corte di merito ha puntualmente e correttamente motivato la riduzione ai parametri minimi per la fase istruttoria, rilevando che: ‘atteso che il convenuto non aveva proposto mezzi di prova e neppure depositato memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c ., sicché l’attività
esercitata nell’interesse del convenuto in relazione alla fase de qua si era limitata, a ben vedere, al semplice esame delle richieste istruttorie avanzate dall’attore’ (pag. 18 della sentenza di appello) e per la fase decisionale, atteso che il convenuto si era limitato a precisare le conclusioni, senza successivamente depositare la comparsa conclusionale e/o la memoria di replica; ‘la causa non presentava profili di particolare importanza e difficoltà né implicava la trattazione di complesse questioni giu ridiche e di fatto’.
Il motivo del ricorso incidentale è inammissibile. Il Tribunale aveva respinto la domanda di risarcimento dei danni del Disanto, per illegittima pubblicazione ed utilizzo improprio ed arbitrario di fotografie tratte dal suo archivio, senza consenso, osservando che: anzitutto, l’attore era pacificamente in po ssesso solo di due negativi, per i quali non aveva provato la cessione dei diritti a suo favore; per le altre foto non erano indicati il nome del fotografo e l’anno di produzione.
L’appellante aveva lamentato che il Tribunale avesse erroneamente interpretato la domanda che aveva ad oggetto la tutela non delle singole fotografie, ma dell’archivio storico fotografico di cui erano parte.
La doglianza non coglie la ratio della motivazione della Corte d’appello riguardo all’accertamento dell’insussistenza della valenza artistica dell’archivio del ricorrente e delle singole fotografie che lo componevano.
Invero, il giudice d’appello ha accertato che non era stata fornita prova dei presupposti contemplati dagli artt. 10 ss del d.lgs. n. 4272004, dell’originalità e del valore artistico e creativo delle suddette fotografie , venendo in rilievo una collezione fotografica (a tale fine, le stampigliature apposte sulle singole foto non sono state considerate
prova di un autentico archivio, trattandosi di timbri comuni utilizzabili da chiunque), ed ha del pari esclusa la tutela di cui alla l. n. 633/1941. Ora, la critica vertente sulla autonoma tutelabilità dell’archivio, quale corpus unitario distinto dalle singole fotografie, non si confronta con la ratio decidendi , invocando genericamente l’omesso riconoscimento del valore artistico dell’asserito archivio e del carattere creativo delle singole fotografie, senza prospettare argomenti che possano confutare le ragioni a sostegno della sentenza impugnata.
Ne consegue che il motivo è diretto comunque a sollecitare una diversa valutazione dei fatti, come tale inammissibile in questa sede.
Data la reciproca soccombenza, le spese del giudizio sono da compensare interamente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e il ricorso incidentale, compensando le spese del giudizio tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di entrambe le parti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 28 marzo 2025.