Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24784 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24784 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22271/2024 R.G. proposto da :
COMUNE DI SESSA COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrenti- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 664/2024 depositata in data 11/07/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Vallo della Lucania, con sentenza n. 743/2022, depositata il 19.10.2022, ha condannato il Comune di Sessa Cilento al pagamento in favore di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME eredi legittime di NOME COGNOME, della somma di € 47.113,34, oltre rivalutazione monetaria e interesse sulle somme rivalutate anno per anno dal 16.3.1998 fino alla sentenza, a titolo di risarcimento del danno per l’occupazione illegittima del loro fondo sito nel Comune di Sessa Cilento, denominato ‘San Mango’, dell’estensione complessiva di mq 21,89.
Per quanto ancora rileva, la Corte d’Appello di Salerno, con sentenza n. 596/2024, depositata in data 11.7.2024, ha rigettato l’appello proposto dal Comune.
Il giudice d’appello, previo rigetto dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva delle sorelle COGNOME ha confutato la prospettazione del Comune, che si doleva del quantum risarcitorio liquidato dal Tribunale, in ragione del fatto che quello occupato era un terreno agricolo incolto, rilevando che ‘ correttamente il CTU ed il Tribunale richiamante hanno determinato l’ammontare del dovuto sulla base del carattere agricolo semplice del fondo, essendo affermazione meramente apodittica il suo asserito carattere incolto’.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Sessa Cilento, affidandolo a due motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato la memoria ex art. 380bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., per travisamento delle risultanze processuali, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1°, nn. 4 e 5 c.p.c., per tra-
visamento ed erronea valutazione delle risultanze della CTU espletata nel primo grado.
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto che il CTU ed il Tribunale hanno determinato l’ammontare dell’indennizzo sulla base del carattere agricolo semplice del fondo, mentre, in realtà, il CTU ha ritenuto che ‘l ‘area oggetto di occupazione, benché ricadente in zona agricola, presenta una suscettività di trasformazione edificatoria elevata sia per la sua collocazione a ridosso del centro abitato che per l’esistenza di tutti i servizi essenziali di cui è dotata’. Trattasi di errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti ed è sindacabile ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4 c.p.c. e per violazione dell’art. 115 c.p.c.
La Corte d’Appello ha dunque travisato il contenuto della consulenza tecnica, non valutando correttamente il motivo di gravame sulla quantificazione del valore venale del terreno acquisito dal Comune, implicitamente rigettando la richiesta istruttoria formulata nell’atto di appello di invito del CTU a fornire chiarimenti.
Il motivo presenta concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità.
Va osservato che quello in cui è asseritamente incorso il giudice d’appello è un errore percettivo, come tale denunciabile solo con il ricorso per revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c.
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 5792/2024, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui ‘ il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha
costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale’.
In sostanza, le Sezioni Unite hanno affermato che l’errore percettivo può essere fatto valere, in linea di principio, solo con il rimedio della revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c., mentre è ammissibile il ricorso per cassazione, a norma dell’art. 360, comma 1°, n. 4 o 5 c.p.c. solo quando l’asserito travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, atteso che solo in questo caso il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare (perché, in tale eventualità, se il giudice accoglie la prospettazione, erronea, della parte nella lettura del dato probatorio, non si può più parlare di errore ‘percettivo’, ma solo ‘valutativo’, avendo il giudice provveduto alla ponderata valutazione delle posizioni espresse da entrambe le parti, accogliendone una).
Orbene, nel caso di specie, dalla stessa prospettazione del Comune ricorrente emerge che l’errore in cui è incorso il giudice d’appello non rifletteva in alcun modo la posizione delle signore COGNOME (ed era quindi percettivo, come tale impugnabile solo con il rimedio revocatorio e non con il ricorso per cassazione ex art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c.). Infatti, a pag. 13 del ricorso, lo stesso Comune ha evidenziato che le COGNOME, a pagg 3 e 4 dell’atto di citazione di primo grado, avevano rivendicato la natura edificatoria del loro terreno, sia sotto il profilo urbanistico, sia sotto il profilo geografico, e non avevano quindi sostenuto la natura agricola dello stesso, come invece erroneamente affermato dalla Corte.
Infine, il giudice d’appello ha confutato l’unica reale critica svolta dall’appellante al metodo seguito della sentenza di primo grado, avendo ritenuto che era meramente apodittica l’affermazione del
Comune in ordine al carattere incolto del terreno oggetto di occupazione.
Con il secondo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., per travisamento delle risultanze processuali, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 115 c.p.c., 2697 c.c. in riferimento all’art. 360 comma 1°, nn. 4 e 5 c.p.c.
Espone il Comune che le signore COGNOME non hanno fornito la prova rigorosa del loro diritto di proprietà sul bene oggetto di occupazione, con la conseguenza che il giudice d’appello, nel ritenere che la legittimazione attiva delle istanti risultasse documentalmente provata, anche perché riconosciuta dallo stesso Comune, era incorso in un travisamento della prova.
4. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che proprio la sentenza delle Sezioni Unite n. 2951/2016 -richiamata dal comune ricorrente -nell’occuparsi della questione della titolarità (attiva) del rapporto controverso, ha precisato, al punto 52, che ‘ la presa di posizione assunta dal convenuto con la comparsa di risposta, può avere rilievo, perché può servire a rendere superflua la prova dell’allegazione dell’attore in ordine alla titolarità del diritto. Ciò avviene nel caso in cui il convenuto riconosca il fatto posto dall’attore a fondamento della domanda oppure nel caso in cui articoli una difesa incompatibile con la negazione della sussistenza del fatto costitutivo ‘. Tale ragionamento è stato sviluppato nel successivo punto 54, in cui le Sezioni Unite hanno affermato che ‘… Può poi accadere, come si è anticipato, che la difesa sia articolata in modo incompatibile con la negazione della titolarità del diritto di proprietà: anche in questo caso la prova il cui onere è a carico dell’attore può dirsi raggiunta. Né sarebbe consentito in seguito al convenuto, tanto meno in appello, proporre una nuova esposizione dei fatti questa volta compatibile con la negazione del diritto…’.
Nel caso di specie, il giudice d’appello, nel far corretta applicazione del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, ha evidenziato che l’eccezione di carenza di legittimazione attiva ( rectius : titolarità attiva del rapporto controverso) ‘ peraltro non formulata in primo grado è palesemente infondata nella misura in cui rileva da un lato che nell’intero corso del giudizio l’appellante Comune aveva implicitamente riconosciuto la legittimazione delle parti attrici per aver tenuto ed assunto una difesa incompatibile con tale eccezione con ciò esonerandole dall’onere della prova relativa e dall’altro perché ex actis risulta che la domanda, diversamente da quanto assume l’appellante, era stata proposta originariamente da NOME COGNOME e dalle figlie appellate quali eredi del defunto NOME COGNOME NOME proprietario del fondo e indi dopo il suo decesso dalla COGNOME e dalle figlie anche quali eredi, rispetto alla cui qualifica nulla aveva eccepito la difesa convenuta’.
In sostanza, il Comune ricorrente, nell’intero corso del giudizio di primo grado, ha implicitamente riconosciuto la titolarità del rapporto controverso in capo alle De Feo, svolgendo difese incompatibili con la negazione del diritto di proprietà in capo alle attrici, salvo mutare – inammissibilmente, come evidenziato dalle Sezioni Unite la propria strategia in appello, iniziando così a contestare la ‘legittimazione attiva’ delle De Feo.
Va, inoltre, osservato che il Comune non si è neppure confrontato con la ratio decidendi , sul punto, del giudice d’appello, neppure contestando che nel giudizio di primo grado avesse svolto difese incompatibili con la negazione della titolarità del fondo in capo alle De Feo, limitandosi ad affermare che le odierne controricorrenti non avevano fornito la prova rigorosa del vantato dominio sul fondo. Non a caso, infine, il Comune ha riportato nel proprio ricorso solo estratti dell’atto di appello e non dei propri atti difensivi di primo grado, dai quali risultasse l’eventuale tempestiva contestazione della ‘legittimazione attiva’ delle De Feo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 10.7.2025