Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18539 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18539 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
NOME COGNOME
Presidente –
Oggetto
NOME COGNOME
Consigliere –
R.G.N. 16995/2024
NOME COGNOME
Consigliere Rel. –
NOME COGNOME
Consigliere –
COGNOME
NOME COGNOME
Consigliere –
CC – 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16995/2024 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE Spartano e COGNOME, rappresentata e difesa dal Prof. Avv. NOME COGNOME domiciliata digitalmente ex lege ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 357/2024, depositata il 9 maggio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2025
dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
la RAGIONE_SOCIALE di Spartano e COGNOME intimò, nel gennaio del 2023, alla RAGIONE_SOCIALE, sfratto per morosità in relazione ad immobile ad essa concesso in locazione, nel 2017, per uso commerciale, e di fatto adibito a discoteca, contestualmente citandolo per la convalida davanti al Tribunale di Modena;
dedusse che la conduttrice si era resa morosa nel pagamento di cinque mensilità del canone, per complessivi Euro 6.571,53;
nell’opposizione dell’intimata il procedimento transitò alla fase a cognizione piena , all’esito della quale l’adito Tribunale pronunciò sentenza (n. 1252 del 2023) con la quale, dato atto che nelle more del procedimento di mediazione l’assegno emesso dalla resistente era stato incassato ed aveva purgato la morosità, dichiarò nondimeno risolta la locazione per inadempimento della conduttrice, sul duplice rilievo che: a) vertendosi in ipotesi di locazione ad uso non abitativo, il pagamento dei canoni arretrati effettuato dopo la notifica dell’intimazione di sfratto per morosità ha sì effetto ostativo alla pronuncia di convalida dell’intimato sfratto, ma non preclude nel susseguente giudizio di merito , agli effetti dell’ultimo comma dell’art. 1453 c.c., la declaratoria di risoluzione; b) le cinque mensilità non pagate non risalgono al periodo pandemico, e in particolare al periodo di fermo dell’attività di discoteca (febbraio 2020 – febbraio 2022), ma attengono ai mesi successivi a Settembre 2022, fino a Gennaio 2023, da ciò desumendosi l’ « autonomia della morosità dall’epoca dell’incidenza negativa dei provvedimenti amministrativi sull’attività imprenditoriale esercitata »;
con sentenza n. 357/2024, resa pubblica il 9 maggio 2024, la Corte d’appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado, rigettando, sulla base di un diverso percorso motivazionale, il gravame interposto dalla RAGIONE_SOCIALE che, con il primo motivo, aveva
lamentato l’omessa pronuncia , da parte del primo giudice, sulla propria domanda riconvenzionale di rinegoziazione del canone nella misura del 50% per il periodo di chiusura forzata dell’attività , che, ove operata e correttamente computata, avrebbe fatto emergere un proprio maggiore controcredito, tale da escludere la morosità;
ha, infatti, rilevato che il Tribunale effettivamente aveva omesso di prendere in esame la domanda riconvenzionale della conduttrice e che, tuttavia, dai documenti prodotti emergeva comunque, pur calcolata la pretesa riduzione del canone nel periodo indicato, la morosità posta dalla locatrice a fondamento della domanda di risoluzione;
al riguardo, in particolare, la Corte felsinea ha negato attendibilità al conteggio prodotto nel giudizio di primo grado da essa odierna ricorrente (in allegato alla memoria integrativa, sub doc. n. 8), ponendo esso a base un non veritiero debito di partenza, alla data del 9 maggio 2019, di soli Euro 140,00 (invece che quello di Euro 13.420,00 secondo la scrittura meccanografica originale al documento ovvero di Euro 14.640,00 secondo le aggiunte a penna ivi apposte), e comprendendo nei conteggi anche il pagamento per bonifico di Euro 3.660,00 in data 4 gennaio 2023, che è successivo all’agosto 2022, « epoca della intimata morosità », ed ha invece riconosciuto maggiore attendibilità ai conteggi forniti dalla locatrice ( sub doc. n. 12, prodotto dalla S&M in primo grado in allegato alla memoria integrativa e in sé -dice « per incidens » la Corte -« non contestato »), contenente un estratto conto integrale dall’inizio della locazione (2017) a tutto il mese di marzo 2023, quindi, ben oltre l’epoca dello sfratto per morosità, dove sono riportati sia gli importi dovuti per canoni, sia quelli per i pagamenti avvenuti;
tale conteggio -ha rimarcato la Corte d’appello ha fatto « applicazione della vantata riduzione del 50% per i mesi di chiusura dovuti alla pandemia, come del resto sin da subito allegato dalla
locatrice » e, pur scontata tale riduzione, evidenzia un credito congruente a quello intimato all’epoca dell’intimazione dello sfratto ;
per la cassazione di tale sentenza ricorre la RAGIONE_SOCIALE sulla base di un solo motivo, cui resiste l’intimata, depositando controricorso;
è stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero;
la controricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
con l ‘unico motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE denuncia « omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ. »;
deduce che la sentenza impugnata è viziata da travisamento di prova, per quanto in sentenza ritenuto emergente dal documento n. 8 (sopra menzionato);
sostiene infatti che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, da tale documento si evince come le parti, « a seguito di accordi e pagamenti, abbiano annullato il dovuto alla data del 9 maggio 2019, mediante una chiara e inequivocabile barra su tutti i conteggi precedenti, e, contestualmente, il signor COGNOME abbia sottoscritto nella parte destra del foglio, le seguenti parole ‘RIMANENZA Euro 140,00 ‘;
rileva in tal senso che la chiara ed evidente barra che si estende su tutti i conteggi del documento, confermerebbe l’inequivocabile definizione degli impegni che le parti avevano inteso alla data di maggio 2019;
posto poi che « lo stesso foglio è stato … utilizzato dalle parti come documento contabile per i successivi pagamenti in contanti
quietanzati dal Signor COGNOME legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, lamenta che, da tali successivi pagamenti, la Corte bolognese abbi a espunto inspiegabilmente l’ultimo bonifico del 4 gennaio 2023, per Euro 3.660,00, nonostante detto pagamento fosse avvenuto precedentemente alla notifica dello sfratto per morosità e fosse dunque rilevante -afferma -al fine di verificare se, al momento dell’intimazione di sfratto per morosità sussistesse o meno una mora debendi ;
lamenta, inoltre, che erroneamente la Corte territoriale abbia attribuito attendibilità al conteggio prodotto da controparte in allegato alla propria memoria integrativa del primo grado di giudizio sub n. 12, ritenendolo non contestato dalla difesa della conduttrice, e ciò anche nella parte in cui prevede nei mesi di chiusura forzata lo sconto di Euro 610,00, trattandosi di assunto contrastato da « dati processuali inconfutabili oltre che dai numeri stessi ivi riportati » e, in particolare, con la fattura n. 17/2022 che attesta l’avvenuto pagamento di somma ben maggiore rispetto a quella risultante da quel conteggio;
il motivo è inammissibile;
il vizio di travisamento della prova è in ricorso evocato in termini ben diversi da quelli che, nel nostro ordinamento, identificano un tale vizio e ne consentono la censura nel giudizio di cassazione;
un tale vizio può, infatti, configurarsi quando l’errore ricada sul momento della « percezione » del contenuto oggettivo della prova ( demonstratum ) e non riguardi, invece, la « valutazione » della prova stessa, ossia l’opera di estrazione dalla fonte o dal mezzo di prova del l’informazione probatoria che da quel contenuto oggettivo il giudice ritiene di dover trarre: non tocca il livello della valutazione, ma si arresta alla fase antecedente dell’errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio ;
è errore sul significante, non sul significato della prova; sulla espressione rappresentativa, non su ciò che quella espressione, se
correttamente percepita, consente di ritenere rappresentato; errore percettivo, dunque, che tale rimane sebbene, ove esistente, idoneo anche a tradursi nell’utilizzo di un elemento di prova inesistente (o incontestabilmente diverso da quella reale) e dunque sull’affermazione (o negazione) di un fatto invece inesistente (o esistente);
manifestandosi anche le prove in enunciati linguistici, il travisamento concerne il misconoscimento dei dati linguistici, e dunque il livello percettivo che precede la valutazione; q uest’ultima interviene in una fase successiva, quando, delimitato il campo semantico, si aprono le diverse opzioni valutative;
proprio nella consapevolezza di tale distinzione questa Corte ascrive a travisamento della prova solo la postulazione in sentenza di informazioni probatorie che possano considerarsi obiettivamente e inequivocabilmente contraddette dal dato formale-percettivo delle fonti o dei mezzi di prova considerati o che, addirittura, risultino inesistenti e dunque sostanzialmente «inventate» dal giudice;
i l criterio da utilizzare per l’individuazione di un siffatto errore è, dunque, quello stesso dettato dall’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. per la definizione di errore di fatto percettivo (deve, cioè, trattarsi di una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile ex actis o, come è stato detto, del travisamento di un « dato probatorio non equivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi ed alternativi » ed inoltre « decisivo »), distinguendosi da questo solo perché inerente ad un fatto controverso e dibattuto in giudizio;
hanno in tal senso stabilito le Sezioni Unite di questa Corte (sent. 05/03/2024, n. 5792, evocata anche dalla ricorrente) che « il travisamento del contenuto oggettivo della prova ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, e trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione
per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale »;
nella specie, la ricostruzione dei pagamenti operati nel corso del rapporto e del saldo a debito della conduttrice non può dirsi frutto di una erronea percezione del contenuto oggettivo e testuale del documento in questione;
l’assunto secondo cui, nel ritenere che da quel documento dovesse trarsi un saldo alla data del maggio 2019 diverso da quello postulato dalla parte, la Corte abbia travisato il significato da attribuirsi al segno grafico (una barra trasversale) in tesi indicativo del concordato annullamento del conteggio sottostante, non è idoneo a evidenziare un errore di percezione nei sensi sopradetti;
il segno in questione, non costituendo espressione linguistica, non è soggetto a univoci codici di decifrazione linguistico-lessicale né può dirsi che, se esattamente percepito, avrebbe condotto ad una diversa enucleazione del dato informativo che dal documento è stato tratto: non si comprende perché quel segno grafico (la barra trasversale) dovrebbe, inequivocabilmente e per i limiti oggettivi del suo valore espressivo, attestare che il saldo al mese di maggio 2019 sia quello preteso di Euro 140,00 e non invece quello di Euro 14.640, anche considerato che sia l’un o che l’altr o importo sono indicazioni aggiunte a penna a destra del testo a stampa sul quale è sovrapposta la barra in questione;
è evidente, dunque, che l’assunzione dell’uno o dell’altro dato costituisce in ogni caso frutto di una valutazione del contenuto del documento, opinabile quanto si vuole ma certamente non censurabile
come errore di percezione;
in ogni caso l’errore, quand’anche potesse dirsi sussistente, dovrebbe dirsi privo di decisività;
la Corte d’appello , infatti, non ha tratto il proprio convincimento da un dato ricavato da quel documento, avendolo piuttosto ritenuto inattendibile e, su tale piano, recessivo rispetto al conteggio invece proposto dalla locatrice : giudizio di fatto, quest’ultimo, riservato al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (v. ex permultis , Cass. Sez. U. del 30/09/2020, n. 20867; Cass. 23/10/2018, n. 26769; 04/07/2017, n. 16467; 23/05/2014, n. 11511; 13/06/2014, n. 13485; 15/07/2009, n. 16499);
è invece proprio questa la cifra che connota l’argomentazione censoria nel suo complesso: il motivo si appalesa invero diretto a sollecitare una inammissibile rivalutazione delle risultanze probatorie e della loro maggiore o minore attendibilità, in tal modo ponendosi del tutto al di fuori della logica della deduzione del vizio di omesso esame ex art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.;
occorre al riguardo rammentare che, ai sensi di tale disposizione, quale risultante dalla modifica introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e che, in tale nuova prospettiva, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione
dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053; Id. 22/09/2014, n. 19881);
il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.100 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza