Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30347 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30347 Anno 2024
Presidente: CONDELLO NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20251/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (EMAIL), rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (EMAIL), COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale allegata al
ricorso.
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), rappresentato e difeso dall’avvocato
COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale in calce al controricorso.
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE.
–
intimata – avverso la sentenza della Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE n. 1332/2020 depositata il 16/04/2020 e notificata il 19 maggio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/09/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso affidato a tre motivi, il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE impugna per cassazione la sentenza della Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE del 16 aprile 2020, che ne rigettava il gravame incidentale avverso la decisione di primo grado e, in parziale accoglimento dell’a ppello principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, lo condannava al pagamento, in favore della medesima appellante principale, della somma di euro 102.116,34, oltre interessi al tasso previsto dal d.lgs. n. 231/2002 dal 15 aprile 2008.
Per quanto ancora rileva in questa sede, va rilevato che: a) il 7 maggio 2008 e il successivo 23 settembre, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE emetteva due decreti ingiuntivi in favore della RAGIONE_SOCIALE (di seguito anche solo DCS) con i quali ingiungeva al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di pagare, rispettivamente, la somma di euro 5.522,21, oltre accessori, e la somma di euro 556.101,69, oltre accessori; a.1) la prima somma era a titolo di corrispettivo per le prestazioni rese dall’ingiungente in esecuzione del contratto inter partes del 2 dicembre 2003 di affidamento del servizio di locazione e permuta di apparecchiature informatiche e di relativa assistenza, nonché fornitura di materiali di consumo; a.2) la seconda somma riguardava: per euro 185.200,99 (con fatture emesse dal
29.9.2006 al 31.3.2008) il contratto inter partes del 13 dicembre 2005 per il servizio di manutenzione delle apparecchiature informatiche di proprietà comunale; per euro 349.307,67 (con fatture emesse dal 31.10.2007 al 30.1.2008) i canoni di locazione di apparecchiature informatiche relative al contratto inter partes del 28 dicembre 2004; per euro 21.593,03 (con fatture n. 4 del 3 di 7 31.1.2008 e n. 84 del 29.2.2008) la fornitura di materiali di consumo; b) il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE si opponeva ad entrambi i decreti ingiuntivi, dei quali chiedeva la revoca, altresì spiegando domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto o per la relativa risoluzione giudiziale o, comunque, per la riduzione del prezzo; c) il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con ordinanza ex art. 186bis cod. proc. civ. del 17 dicembre 2008, ordinava al RAGIONE_SOCIALE di pagare alla DVS la somma non contestata di euro 362.306,78 e, quindi, riuniti i due giudizi di opposizione, con ulteriore ordinanza ex art. 186bis cod. proc. civ. del 24 aprile 2009, ordinava al RAGIONE_SOCIALE di pagare alla stessa DCS la somma non contestata di euro 146.156,28, altresì disponendo c.t.u. per la determinazione del valore delle licenze d’uso ‘in proprietà’ del RAGIONE_SOCIALE; d) interveniva, quindi, nel processo la RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria, con contratto del 7 agosto 2006, dei crediti presenti e futuri della RAGIONE_SOCIALE nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE derivanti dai contratti del 2 dicembre 2003 e 28 dicembre 2004 (con esclusione delle fatture per fornitura di prodotti di consumo), assumendo di aver notificato la cessione al RAGIONE_SOCIALE e di essere, quindi, creditrice dell’importo di euro 1.119.904,76 (di cui alle fatture nn. 91, 92, 95, 96, 99, 100, 105 e 106 del 2006 e nn. 2, 8, 10, 15, 19, 22, 28, 30, 34 e 38 del 2007), chiedendo, pertanto, la condanna del RAGIONE_SOCIALE medesimo al pagamento di detto importo, oltre accessori, e la condanna della RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle somme eventualmente ricevute dall’ente debitore e al risarcimento dei danni.
2.1. Con sentenza del 13 dicembre 2012, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE confermava le ordinanze di pagamento emesse il 17 dicembre 2008 e il
24 aprile 2009, revocava per il resto il decreto ingiuntivo e rigettava le domande proposte dalla RAGIONE_SOCIALE
2.2. Avverso tale sentenza proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che fosse accertata l’accettazione della cessione in suo favore dei crediti nascenti dal contratto di noleggio e locazione intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, con condanna di quest’ultimo al pagamento della somma di euro 349.307,67, oltre accessori, nonché condanna della RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle somme eventualmente incassate dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in relazione ai crediti ceduti e al risarcimento del danno.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE proponeva a sua volta appello incidentale, con cui insisteva per la risoluzione del contratto del 2 dicembre 2003, modificato e integrato con contratto del 28 dicembre 2004, per la mancata fornitura di licenze per personal computer o per la riduzione del prezzo, nonché chiedeva accertarsi che ‘il valore delle suddette licenze non fornite è di euro 1.334.633, 66 oltre Iva, al 20% dell’epoca, per un totale di euro 1.601.156,39, e che tale importo va dunque, in ogni caso, decurtato dal prez zo complessivo dovuto per i suddetti contratti’, istando, infine, per la condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 120.000,00 ‘per mancato pagamento della metà del prezzo di permuta del materiale informatico’.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, resistendo e chiedendo il rigetto di entrambi gli appelli.
2.3. Con sentenza n. 1332 del 16 aprile 2020, qui impugnata, la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE rigettava integralmente l’appello incidentale del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, mentre, in parziale accoglimento dell’appello di RAGIONE_SOCIALE, lo condannava al pagamento, in favore della medesima, della somma di euro 102.116,34, oltre interessi al tasso previsto dal d.lgs. 231/2002, con decorrenza dal 15 aprile 2008.
Resiste al ricorso per cassazione proposto dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Resta intimata la RAGIONE_SOCIALE
Veniva fissata adunanza camerale, prima della quale entrambe le
parti depositavano rispettive memorie illustrative.
Con ordinanza interlocutoria del 10 ottobre 2023 il Collegio rilevava ‘che le censure proposte con i primi due motivi di ricorso postulano la previa soluzione della questione di diritto relativa alla deducibilità con ricorso per cassazione della doglian za di c.d. ‘travisamento della prova’. La decisione su tale questione è stata rimessa alle Sezioni Unite civili di questa Corte con tre distinte ordinanze interlocutorie: n. 8896 del 2023 della Sezione Lavoro, n. 11111 del 2023 della Terza Sezione e n. 15593 del 2023 della Sezione tributaria. Si rende, quindi, necessario attendere la decisione delle Sezioni Unite sull’anzidetta questione di diritto’.
Pertanto, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo.
Il ricorso è stato nuovamente avviato alla adunanza camerale.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Parte ricorrente e parte resistente hanno nuovamente depositato rispettive memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con i primi due motivi, articolati congiuntamente, il RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ., ‘travisamento di un’informazione probatoria decisiva per il giudizio, che ha investito una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti’, nonché ‘violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. in riferimento all’art. 115 cod. proc. civ.’.
Lamenta che la corte territoriale ha ricostruito ed accertato i rapporti di dare ed avere tra le parti sul rilievo per cui ‘il valore delle licenze non fornite, accertato dalla c.t.u., fosse ‘importo da presumersi comprensivo di Iva, in mancanza di indicaz ioni contrarie nella relazione del c.t.u.’», mentre tale relazione, a p. 35, aveva evidenziato ‘una risultanza processuale di segno completamente opposto’, ossia che ‘il valore di mercato delle varie tipologie e quantità di prodotti non forniti’ ammontava ad euro 1.334.633,66, con la specificazione che ‘tutti gli importi sopra riportati sono da intendersi IVA esclusi’.
Tale circostanza -argomenta ancora l’ente ricorrente sarebbe
decisiva, in quanto se la corte territoriale avesse detratto dal credito complessivo della cessione non già il solo importo di euro 1.334.633,66, ma quello comprensivo di IVA al 20%, pari ad euro 1.601.560,39, non sarebbe residuato alcun debito del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
1.1. Entrambi i motivi sono inammissibili.
1.2. Con la sentenza 5 marzo 2024, n. 5792 le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno posto il seguente principio di diritto: ‹‹Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p .c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso de i presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale››.
Orbene, premesso che secondo l’arresto delle Sezioni Unite il travisamento della prova trova il suo istituzionale rimedio nella revocazione per errore di fatto (in punto di doverosa distinzione tra errore di fatto ed errore di diritto, v. Cass., Sez. Un., 23306/2016; sulla natura dell’errore revocatorio quale errore di fatto, meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti del giudizio, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o – meno che mai – di indagini o procedimenti ermeneutici: v. Cass., Sez. Un., 10/08/2000, n. 561; Cass., 1/03/ 2005, n. 4295; Cass., 18 settembre 2008, n. 23856; Cass. Sez. Un., 7/03/2016, n. 4413; Cass., Sez. Un., 30/10/2008, n. 26022; Cass., 12/12/2012, n. 22868; Cass., 09/12/2013, n. 27451), ovvero il vizio può essere fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi del n. 4 o del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., nel caso di specie le censure svolte dal ricorrente sono inammissibili, per la ragioni
che si vanno qui di seguito ad illustrare.
Nei motivi in scrutinio, il ricorrente censura il passaggio motivazionale con cui l’impugnata sentenza ha affermato che ‘il valore delle licenze non fornite, accertato dalla c.t.u., fosse un ‘importo da presumersi comprensivo di Iva, in mancanza di indicazioni contrarie nella relazione del c.t.u.’ e d aggiunge espressamente: ‘Tale è pacificamente il valore delle licenze non fornite che risulta dalla relazione del c.t.u., ed infatti è stato recepito dal primo giudice e da tutte le parti nella fase di appello: ma si tratta di un valore che era espressamente indicato con Iva esclusa e non già compresa’ (così p. 17 del ricorso).
Tuttavia, a fronte della motivazione resa dalla qui impugnata sentenza della corte territoriale, che in alcun modo menziona la questione, il RAGIONE_SOCIALE ricorrente non riporta il passaggio della sentenza di primo grado in cui, a suo dire, il valore delle licenze sarebbe stato accertato con Iva esclusa e neppure specifica se, dove e quando, la questione dell’Iva sia stata trattata nell’ambito dei proposti motivi di appello; il tutto in patente violazione dell’ art. 366, n. 6, cod. proc. civ.
Il riferimento alla p. 7 della sentenza di primo grado, che avrebbe recepito il valore delle licenze non fornite è del tutto assertivo e generico, e non lascia intendere se tale valore fosse stato considerato con o senza Iva; peraltro, nel caso in cui la sentenza di primo grado lo avesse considerato Iva esclusa, non è dato comprendere -perché il ricorrente non lo specifica- se, dove e quando la questione sia stata oggetto di motivo di gravame e comunque oggetto di discussione tra le parti avanti al giudice di appello.
Risulta, peraltro, dalla lettura della motivazione dell’impugnata sentenza che la corte napoletana ha autonomamente ricostruito ‘il conteggio del dare e avere tra il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, sulla base dell’incontestato credito di Euro 1.381.941,54 (come da nota dirigenziale già citata, conforme nell’importo all’insieme delle fatture di cui la RAGIONE_SOCIALE ha inteso avvalersi) e della riduzione di euro 1.334.633,66 del prezzo del noleggio (importo da presumersi comprensivo di IVA; in
mancanza di indicazioni contrarie nella relazione del c.t.u., non oggetto di impugnazione)’ (v. p. 15 dell’impugnata sentenza).
Alla stregua di tali considerazioni, è del tutto evidente l’inammissibilità delle censure qui formulate, con cui la parte ricorrente prospetta quale travisamento delle prove una differente complessiva considerazione delle obiettive risultanze di queste e sollecita, nella sostanza, una rivalutazione del merito della controversia, non consentita in questa sede, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti ad un nuovo apprezzamento del compendio istruttorio nel suo insieme (Cass., sez. 2, 23/04/2024, n. 10927); né, d’altro canto, le doglianze svolte rispondono ai paradigmi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867).
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 6, comma quinto, del d.P.R. n. 633/1972, come modificato dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 313/1997, dell’art. 26 del d.P.R. n. 633/1972 alla luce della circolare 120E/2009, in relazione all’art. 1224 cod. civ., dell’art. 1260 e segg. cod. civ. e della legge n. 51/1991, per aver la Corte territoriale erroneamente riconosciuto gli interessi, al tasso previsto dal d.lgs. n. 231/2002, sulla sorte capitale comprensiva dell’Iva e non già al netto dell’imposta, che, poiché ancora non versata all’erario -«in quanto ‘differita’ sino all’effettivo pagamento della controprestazione – non può essere fonte di obbligazione di interesse da ritardato pagamento».
Lamenta che nel caso di specie la corte territoriale, incorrendo nella violazione della suindicata normativa, non ha considerato che l’Iva era differita, per cui, essendo oggetto della cessione del credito solo l’imponibile, gli interessi avrebbero dovuto e ssere riconosciuti solo su di essa.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. Va ribadito, invero, il principio secondo cui, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti
trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., sez. 6 – 5, n. 32804 del 13/12/2019; Cass., sez. 2, 24/01/2019, n. 2038; Cass., sez. 6-1, 13/06/2018, n. 15430).
Nel caso di specie, tale onere non risulta assolto dall’odierno ricorrente, che omette del tutto di precisare se dove e quando, nel precedente grado di merito, avesse prospettato che l’Iva non fosse ad esigibilità immediata, con le relative conseguenze in termini di debenza degli interessi di mora.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione