Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5608 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5608 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
Oggetto
Responsabilità civile Diffamazione a mezzo stampa
generale
─
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26856/2022 R.G. proposto da COGNOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: c.EMAIL), con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME, rappresentate e difese dagli Avv.ti NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL) ed NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL, con domicilio eletto presso il loro studio sito in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, n. 1461/2022, depositata in data 7 aprile 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
in accoglimento dell’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di risarcimento nei loro confronti proposta da NOME COGNOME per i danni da diffamazione a mezzo stampa subiti a seguito della pubblicazione di un articolo sul quotidiano “La Repubblica” il 29 giugno 2012, che riteneva lesivo della sua reputazione personale e politica;
secondo la Corte partenopea la pubblicazione era da ritenersi scriminata dal legittimo esercizio del diritto di cronaca politica, avendo essa accertato, all’esito della escussione della teste NOME COGNOME la verità del fatto riportato nell’articolo, ovvero che il COGNOME si era intromesso sulla scelta dei nuovi assunti al Napoli Teatro Festival, e ciò nella pure ritenuta sussistenza degli ulteriori requisiti della pertinenza e della continenza;
la teste, infatti, ─ si legge in sentenza ─ « qualificatasi come dipendente della ‘Fondazione Campana Festival’ all’epoca dei fatti di causa, dopo aver precisato che erano a lei demandati i colloqui per le nuove assunzioni della fondazione, e di aver direttamente appreso da una delle candidate all’ass unzione di essere stata l ì mandata dal dott. COGNOME all’epoca candidato alle comunali, ha dichiarato che dopo il dissenso all’assunzione, motivato dall’assenza di requisiti, rappresentato al direttore del personale della fondazione, aveva
ricevuto dal COGNOME una telefonata conclusasi con toni tutt’altro che civili » ed « ha infine dichiarato: ‘ Con riguardo al capitolo 9, si è vero, ho dato un’intervista a NOME COGNOME e l’intervista è rispondente a quello che ho dichiarato ‘ » : dichiarazione, quest’ultima, ritenuta dai giudici a quibus « dirimente sull’accertamento della verità del fatto », dal momento che -essi chiosano ─ « la COGNOME, autrice dell’articolo, altro non aveva fatto che recepire e riportare sul quotidiano la notizia appresa direttamente dalla dott.ssa COGNOME che nella specifica funzione di addetta ai colloqui per le assunzioni alla Fondazione, ha confermato che il COGNOME, estraneo alla Fondazione, si intrometteva sulla scelta dei nuovi assunti »;
avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a un solo motivo, cui resistono, con unico controricorso, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima quale cessionaria della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) del ramo di azienda relativo, inter alia , alle attività connesse al quotidiano La Repubblica;
RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata;
l a trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. il ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memorie;
considerato che:
con l’unico motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., sostenendo che la decisione impugnata è stata assunta travisando la prova o, comunque, è viziata da un grave errore di percezione;
secondo il COGNOME infatti, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, la testimone non ha mai dichiarato che egli aveva esercitato pressioni per le assunzioni al Napoli Teatro Festival (né nel verbale
d’udienza del 20/10/2021, né nell’intervista del 7/7/2011, cui fa riferimento l’articolo del 29 giugno 2012), ma al contrario, aveva affermato di essere stata da lui contattata solo per lamentarsi delle voci che circolavano su presunte ingerenze nelle assunzioni, senza mai fare riferimento a pressioni per l’assunzione di specifiche persone;
la censura è inammissibile;
il vizio di travisamento della prova è con essa dedotto, infatti, in termini ben diversi da quelli che, nel nostro ordinamento, identificano un tale vizio e ne consentono la censura;
secondo pacifica acquisizione, infatti, un tale vizio può configurarsi quando l’errore ricada sul momento della « percezione » del contenuto oggettivo della prova ( demonstratum ) e non riguardi, invece, la « valutazione » della prova stessa, ossia l’informazione probatoria che da quel contenuto oggettivo il giudice ritiene di dover trarre; non tocca il livello della valutazione, ma si arresta alla fase antecedente dell’errata percezione di quanto riportato dall’atto istru ttorio;
è errore sul significante, non sul significato della prova; errore che si traduce nell’utilizzo di un elemento di prova inesistente (o incontestabilmente diverso da quella reale) e, dunque, sull’affermazione (o negazione) di un fatto invece inesistente (o esistente);
manifestandosi anche le prove in enunciati linguistici, il travisamento concerne il misconoscimento dei dati linguistici, e dunque il livello percettivo che precede la valutazione: q uest’ultima interviene in una fase successiva, quando, delimitato il campo semantico, si aprono le diverse opzioni valutative;
proprio nella consapevolezza di tale distinzione questa Corte ascrive a travisamento della prova solo la postulazione in sentenza di informazioni probatorie che possano considerarsi obiettivamente e inequivocabilmente contraddette dal dato formale-percettivo delle fonti o dei mezzi di prova considerati o che, addirittura, risultino inesistenti
e dunque sostanzialmente « inventate » dal giudice;
i l criterio da utilizzare per l’individuazione di un siffatto errore è, dunque, quello stesso dettato dall’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. per la definizione di errore di fatto percettivo (deve, cioè, trattarsi di una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile ex actis o, come è stato detto, del travisamento di un « dato probatorio non equivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi ed alternativi » ed inoltre « decisivo »), distinguendosi da questo solo perché inerente ad un fatto controverso e dibattuto in giudizio;
hanno in tal senso stabilito le Sezioni Unite di questa Corte (sent. 5/03/2024, n. 5792) che « il travisamento del contenuto oggettivo della prova ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio »;
n ella specie, come detto ─ al di là della riconduzione del vizio dedotto ad un error in procedendo invece che ad un vizio di omesso esame ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (qualificazione preferita dal citato arresto delle Sezioni Unite, ma la cui mancata individuazione in ricorso non osta allo scrutinio della Corte per il potere/dovere ad essa attribuito di diversamente qualificare la censura: Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931) ─ un siffatto vizio è inammissibilmente evocato in ricorso;
ed invero, non si trae affatto dalla sentenza che il convincimento censurat o relativo dalla verità del fatto oggetto dell’articolo lesivo sia il frutto dell’attribuzione alla deposizione resa dalla teste di un contenuto univocamente contraddetto nella sua portata meramente oggettiva ed esteriore di dato linguistico (significante) da quanto effettivamente verbalizzato;
l’affermazione che la Corte d’appello ha ritenuto « dirimente » ai fini dell’esposto convincimento circa la veridicità della notizia è una sola: « con riguardo al capitolo 9, si è vero, ho dato un’intervista a NOME COGNOME
NOME e l’intervista è rispondente a quello che ho dichiarato »;
che tale affermazione corrisponda a quanto effettivamente verbalizzato come dichiarato dalla teste non è nemmeno contestato dal ricorrente, che si diffonde piuttosto sul fatto che da quella intervista -il cui contenuto la teste ha affermato essere stato correttamente riportato nell’articolo ─ non era dato desumere che egli avesse esercitato pressioni per l’assunzione di chicchessia al Napoli Teatro Festival;
in tal modo, però, quel che si contesta è la valutazione della prova non la percezione del suo contenuto esteriore e testuale, con il che la censura decampa dai limiti propri del vizio denunciato per collocarsi sul piano della mera valutazione di merito, il cui sindacato non è ammesso in questa sede se non nei ristretti limiti del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;
né con l’ulteriore riferimento ad un « errore di percezione », prospettato come alternativo al vizio di travisamento di prova (« o, comunque ») può ritenersi ammissibilmente individuato un error in procedendo nel giudizio sulle prove, per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.;
è al riguardo appena il caso di rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte: « In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita
dall’art. 116 c.p.c. » (Cass. Sez. U. n. 20867 del 30/09/2020);
la memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis.1 , primo comma, cod. proc. civ., non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio delle stesse;
il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore dei controricorrenti, liquidate come da dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza