Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14105 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14105 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 14166/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALEquale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, con sede in Verona, al INDIRIZZO in persona del procuratore speciale NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore del 24 ottobre 2024, da ll’ Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Ormelle (TV), alla INDIRIZZO, in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, con sede in Venezia, alla INDIRIZZO, in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante NOME COGNOME entrambe rappresentate e difese, giusta procure speciali allegate al controricorso , dall’Avv ocato NOME COGNOME presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata EMAILpecEMAILordineavvocatitrevisoEMAILit elettivamente domicilia.
RAGIONE_SOCIALE
-intimata –
avverso la sentenza, n. cron. 721/2024, della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA depositata in data 15/04/2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
15/05/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con atto ritualmente notificato, RAGIONE_SOCIALE e, per essa, RAGIONE_SOCIALE citò RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di Treviso al fine di far dichiarare inefficace, ex art. 2901 cod. civ., l’atto dell’8 agosto 2018, a rogito del notaio COGNOME COGNOME, rep. n. 713 e racc. n. 599, poi rettificato in data 14 settembre 2018, rep. n. 721 racc. n. 605, con cui RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto a RAGIONE_SOCIALE il ramo di azienda ivi compiutamente descritto. A fondamento di tale istanza dedusse: i ) di essere creditrice di RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE in concordato preventivo, per la somma di € 1.433.587,50, quale saldo passivo del conto anticipi su fatture n. NUMERO_DOCUMENTO e quale saldo passivo del mutuo chirografario RAGIONE_SOCIALE; ii ) che tutta l’esposizione della RAGIONE_SOCIALE era stata garantita da fideiussione omnibus del 4 dicembre 2015, poi confermata il 15 gennaio 2016, fino alla concorrenza di € 1.850.000,00: iii ) che, in forza del decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, n. 714/2019, il Tribunale di Pordenone aveva condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 1.433.587,50; iv ) che gli atti di cessione del ramo di azienda erano stati stipulati da NOME COGNOME, che, alla data della cessione, era anche socio della società da ultimo indicata, per la quota del 60%, mentre quella residua apparteneva al figlio NOME COGNOME; v ) che la cessione suddetta aveva determinato un grave pregiudizio per le ragioni creditorie ed era stata
compiuta, con la piena consapevolezza del Galli, in data successiva alla stipulazione della fideiussione.
1.1. Costituitesi entrambe le convenute, che chiesero il rigetto dell’avversa domanda, l’adito tribunale, con sentenza n. 1028/2023, l’accolse dichiarando l’inefficacia, ex art. 2901 cod. civ., nei confronti dell’attrice , del menzionato atto di cessione.
Pronunciando sul gravame promosso contro quella decisione da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, l’adita Corte di appello di Venezia, con sentenza del 15 aprile del 2024, n. 721, resa nel contradittorio con RAGIONE_SOCIALE e, per essa, RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria di RAGIONE_SOCIALE e nella contumacia di RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, lo accolse e, per l’effetto, respinse la domanda formulata dall’originaria attrice, ordinandone la cancellazione della corrispondente trascrizione al Conservatore dei Registri immobiliari territorialmente competente.
2.1. Quella corte, condividendo , per quanto di ragione, l’ivi formulato terzo motivo di gravame, osservò che: « La doglianza in parola muove dall’assunto di un valore dei beni residui complessivo di € 9.662.722,00 , indicandosi un valore di € 9.642.000 al macello di Ormelle e allo stabilimento di Reggio Emilia, e di ‘circa € 297.000,00’ per il terreno in Ormelle, dandosi atto dell’esistenza di un’ipoteca su tale terreno per un debito garantito di € 276.278,00 (9.662.722,00 + 297.000 – 276.278,00). E si sostiene che, a fronte di un credito ‘al massimo di € 1.850.000’, la valutazione del tribunale di mancata prova dell’effettivo valore dei beni residui avrebbe richiesto il previo ricorso a una c.t.u. per la stima di tali beni, laddove fossero state rilevate delle incongruenze nei dati forniti. L’appellante deduce che, in ogni caso, il primo giudice avrebbe errato nella ‘valutazione del materiale probatorio’ , in quanto non avrebbe tenuto conto che dalla relazione del commissario giudiziale risultava, all’e poca della scissione contestata, che l’ipoteca della Banca dell’Alto Adige s.p.a. (ora Volksbank) era relativa a un credito di € 1.339.673,00, concludendosi che se anche il tribunale avesse ritenuto il valore dei beni residui pari a € 6.206.504,00, nondime no, sarebbe dovuto pervenire alla conclusione della capienza del patrimonio residuo. In
particolare, la questione del valore dei beni residui in capo a RAGIONE_SOCIALE dopo la conclusione dell’atto impugnato (complesso immobiliare uso macello in Ormelle; stabilimento artigianale in Reggio Emilia frazione Gavassa; terreno in Ormelle) è stata oggetto di una approfondita valutazione da parte del tribunale, che -peraltro -non si sottrae alle critiche dell’appellante con specifico riguardo al valore dei beni in considerazione dell’effettiva entità dei gravami sugli stessi esistenti. Va , in proposito, preliminarmente evidenziato che il valore del compendio residuo allegato dall’appellante è rimasto sfornito di prova, non essendo sufficienti, a tal fine, le sole dichiarazioni rese da NOME COGNOME davanti al notaio Dott. NOME COGNOME in data 5.11.2018 (v. p. 4 doc. 13, allegato alla comparsa di costituzione e risposta, ove si legge: ‘Ai fini della messa a repertorio del presente atto, il comparente mi dichiara che il valore del patrimonio netto assegnato alla società beneficiaria è d i € 9.662.722,00’); né, per altro verso, tale carenza di prova può considerarsi sanata neppure dalla relazione, prodotta in questo grado dalla parte appellante, resa dal consulente tecnico del pubblico ministero prof. NOME COGNOME ed afferente al proc. pen. n. 2754/2023 r.g.n.r. (in cui NOME COGNOME è imputato), atteso che tale documento non contiene alcun riferimento a detto valore dichiarato dall’appellante. Tuttavia, anche assumendo, com’è doveroso, non già i valori semplicemente affermati dalla parte, ma quelli risultanti dalla relazione del commissario giudiziale del concordato preventivo in esito agli accertamenti tecnici svolti nella relativa procedura concorsuale, e -quindi -partendo dal valore dei beni residui, non posto in motivata discussione da a lcuno, di € 6.206.504,00 (v. relazione c.g. pag. 55 ove si richiama la perizia di stima compiuta nel giugno 2018 e, dunque, a pochi mesi dall’atto impugnato), va ritenuto che, al fine di detrarre le passività gravanti su tali beni, occorre considerare non già il valore per il quale era stata iscritta l’ipoteca a favore di Banca dell’Alto Adige s.p.a. (ora Volksbank), bensì il valore del relativo credito che, sempre secondo le risultanze della predetta relazione del c.g., ammontava ad € 1.339.673,00. Il dato è puntualmente indicato a pagina 55 della relazione dell’organo della procedura e non è stato fatto oggetto di alcuna pertinente e motivata
confutazione da parte dell’appellata. Una volta accertato che il credito a garanzia del quale era stata iscritta l’ipoteca sui beni in questione era pari a € 1.339.673,00 e che, quindi, di tale importo e non già della somma iscritta nella relativa ipoteca, come opinato dal tribunale -va decurtato il valore del complesso immobiliare (oltre che del debito verso Banca Popolare dell’Alto Adige di € 540.000, pure risultante dalla predetta relazione) il patrimonio residuo risulta ammontare a complessivi 4,3 milioni di euro (6.206.504 -1.339.673 -540.000= 4.326.831). Si tratta di una somma pari a ben più del doppio del debito di € 1.850.000,00 garantito da Fondi Rustici con la fideiussione in favore di Crédit Agricole. Risulta, dunque, in causa la dimostrazione di un valore del patrimonio residuo del debitore ad agostosettembre 2018, ossia al momento dell’atto impugnato con la revocatoria (Cass. 3538/2019), del tutto idoneo a far fronte alle ragioni creditorie di Crédit Agricole, con conseguente comprovata esc lusione dell’ eventus damni lamentato dalla parte appellata ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, affidandosi ad un motivo. Hanno resistito, con unico controricorso, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, mentre è rimasta solo intimata RAGIONE_SOCIALE
3.1. È stata formulata, da parte del consigliere delegato, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’ L’unico formulato motivo di ricorso, rubricato « Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. », lamenta che la corte distrettuale, nell’accoglimento del terzo motivo di gravame e conseguente riforma della sentenza di primo grado, aveva travisato la prova, avendo tratto dalla relazione del Commissario Giudiziale di RAGIONE_SOCIALE a sostegno della rite nuta insussistenza dell’ eventus damni , valori errati in ordine: i ) ai beni residui in capo a RAGIONE_SOCIALE a seguito
dell’atto dispositivo per cui è causa; ii ) all’importo del credito garantito da ipoteca di primo grado riconosciuto in privilegio a Volksbank sui beni di cui al punto precedente.
Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« L’unico formulato motivo si rivela inammissibile alla stregua del principio di diritto recentemente enunciato da Cass., SU, n. 5792 del 2024 (‘Il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale’ .) e delle argomentazioni tutte che lo sorreggono, cui qui può farsi rinvio ex art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ. ».
Il Collegio reputa affatto condivisibile tale conclusione, che, pertanto, ribadisce interamente, facendola propria, altresì evidenziando quanto segue.
3.1. La ricorrente, nella indicata qualità -come chiaramente dimostrano le argomentazioni della odierna censura -incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge, anche processuale, dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, come ripetutamente chiarito da questa Corte, un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 cod. proc. civ. può porsi solo allorché la parte ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3229 del 2025; Cass. nn. 25376, 19371, 17201, 11069 e 5375 del 2024; Cass. nn. 35782, 16303, 11299 e 28385 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 20867 del
2020, che ha pure precisato che « è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. »). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse ( cfr. Cass. n. 3229 del 2025; Cass. 24434 del 2016).
3.2. Va rimarcato, poi, che, nel comporre un contrasto interpretativo insorto nella giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 5792 del 2024, hanno sancito che « Il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale ».
Le Sezioni Unite, in particolare, hanno preso le mosse dal rilievo che il travisamento della prova -tematica la cui emersione, unitamente a quella della sua distinzione rispetto al travisamento del fatto, ha origini assai remote – è stato, con orientament o che la pronuncia definisce ‘ granitico ‘, considerato estraneo ai motivi spendibili con il ricorso per cassazione, salvo – si diceva prima della novella dell’articolo 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. del 2012 – il controllo motivazionale. Nel vigore del testo dell’art. 360 cod. proc. civ. ante novella del 2012, infatti, era fermo il principio secondo il quale, posto che se il travisamento è frutto di un errore di percezione, soccorre la
revocazione, se il travisamento è frutto di un errore di giudizio, esso rileva quale vizio motivazionale, il travisamento dei fatti non può ‘ costituire motivo di censura in sede di legittimità se non si risolve in omessa, deficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia ‘.
Le medesime Sezioni Unite, poi, hanno ritenuto non condivisibile la tesi proposta dall’ordinanza interlocutoria resa da Cass. n. 11111 del 2023 secondo la quale il cd. travisamento della prova andrebbe a collocarsi in uno spazio logico che non è né quell o dell’errore percettivo destinato ad essere intercettato dalla revocazione, né quello dell’errore valutativo sottratto al giudizio di legittimità -non potendo ricondursi il travisamento della prova ad un mero ‘ errore di percezione del contenuto oggettivo della prova ‘ giacché esso ricomprende in sé sia il momento dell’errore percettivo del dato probatorio, sia il momento dell’errore, collocato sul piano dell’inferenza logica, nell’identificazione del contenuto informativo desumibile dal dato probatorio. Si è evidenziato, inoltre, che ammettere la ricorribilità per cassazione del travisamento della prova determinerebbe un rovesciamento della scelta legislativa inscritta nella novella del n. 5 dell’articolo 360 cod. proc. civ., nella complessiva lettura datane da Cass., SU, n. 8053 del 2014. Le Sezioni Unite hanno osservato, infatti, che la finalità perseguita dal legislatore della novella del 2012 con la quale, nell’ambito del n. 5 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., si è sostituita la formula della ‘ omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio ‘ con quella dell” omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘ – come noto, era quello di contrastare l’assedio dei ricorsi alla Corte di cassazione. Il nuovo assetto derivante dalla novella del n. 5 dell’articolo 360, comma 1, cod. proc. civ. è stato poi esaminato ed organicamente ricomposto nella nota Cass., SU, n. 8053 del 2014, la quale ha chiarito che la riforma, da un lato, ha introdotto nell’ordinamento, nel n. 5 dell’articolo 360, comma 1, cod. proc. civ., un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; dall’altro, ha determinato il rifluire nel n. 4 dell’articolo 360, com ma 1, cod. proc. civ., per il tramite delle norme che impongono al giudice l’obbligo di motivazione, del vizio motivazionale nella quadruplice accezione della: ‘ mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico ‘; ‘ motivazione apparente ‘; ‘ contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ‘; ‘ motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ‘.
Orbene, le SU hanno rimarcato che, se si ammettesse la ricorribilità per cassazione in caso di travisamento della prova, il giudizio di cassazione obbiettivamente scivolerebbe verso un terzo grado destinato a svolgersi non sulla decisione impugnata, ma sul l’intero compendio delle ‘ carte ‘ processuali, sicché la latitudine del giudizio di legittimità neppure ripristinerebbe l’assetto ante riforma del 2012, ma lo espanderebbe assai di più, consentendo appunto l’ingresso a censure concernenti il menzionato vizio extratestuale.
Quanto alla preoccupazione di neutralizzare il rischio che, in assenza della ricorribilità per travisamento della prova, possa cristallizzarsi ‘ un’inemendabile forma di patente illegittimità della decisione ‘, manifestata dall’ordinanza n. 11111, le S.U., pur riconoscendole il massimo rilievo, ne hanno negato la configurabilità posto che il rischio dell’inemendabilità del travisamento della prova, nei termini prospettati, è già neutralizzato dall’ordinamento, posto che un travisamento della prova, nel suo ‘ contenuto oggettivo ‘, non denunciabile per revocazione, che occorrerebbe spendere nel giudizio di legittimità, non esiste: il travisamento della prova in senso proprio, come si è detto, è difatti un travisamento bifronte, al quale possono ricondursi sia il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività, sia il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio, considerato nella sua oggettività, possono per inferenza logica desumersi, con la conseguenza che, per un verso, il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività è per sua natura destinato ad essere controllato attraverso lo strumento della revocazione; per altro verso, il
momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio possono desumersi è, come è sempre stato, affare del giudice di merito, ed è per questo sottratto al giudizio di legittimità, a condizione, beninteso, non dissimilmente dal passato, che il giudice di merito si sia in proposito speso in una motivazione eccedente la soglia del ‘ minimo costituzionale ‘. In questo secondo caso non v’è il rischio del consolidarsi di ‘ un’inemendabile forma di patente illegittimità della decisione ‘, g iacché, una volta che il giudice di merito abbia fondato la propria decisione su un dato probatorio preso in considerazione nella sua oggettività, pena la rettifica dell’errore a mezzo della revocazione, ed abbia adottato la propria decisione sulla base di informazioni probatorie desunte dal dato probatorio, il tutto sostenuto da una motivazione rispettosa dell’esigenza costituzionale di motivazione, si è dinanzi ad una statuizione fondata su basi razionali idonee a renderla accettabile. Non residua allora nient’altro che l’eventualità che la Corte di cassazione sia di opinione diversa dal giudice di merito ‘intorno alla giustizia o alla perfetta legalità della decisione’, ma questa è un’eventualità che al diritto vigente non interessa.
Resta, peraltro, fermo che: i ) l’errore revocatorio ricorre soltanto in caso di svista del giudice nella consultazione degli atti del processo, svista che può avere ad oggetto fatti sostanziali e processuali quale l’avvenuto deposito di documenti; ii ) il fatto supposto esistente o inesistente, che non deve aver costituito un punto controverso sul quale il revocando provvedimento si è pronunciato, è il fatto probatorio; ove accada che l’errore percettivo sul fatto probatorio non possa essere intercettato mediante la revocazione, perché controverso ed oggetto di pronuncia, nulla osta a che esso costituisca motivo di ricorso ai sensi, a seconda dei casi, dei nn. 4 e 5 dell’articolo 360, comma 1, cod. proc. civ.
3.3. Fermo, allora, quanto precede, nella specie la corte territoriale, dopo aver rimarcato, innanzitutto, « che il valore del compendio residuo allegato dall’appellante è rimasto sfornito di prova, non essendo sufficienti, a tal fine, le sole dichiarazioni rese da NOME COGNOME davanti al notaio Dott. NOME COGNOME in data 5.11.2018 (v. p. 4 doc. 13, allegato alla comparsa di
costituzione e risposta, ove si legge: ‘Ai fini della messa a repertorio del presente atto il comparente mi dichiara che il valore del patrimonio netto assegnato alla società beneficiaria è di € 9.662.722,00’); né, per altro verso, tale carenza di prova può considerarsi sanata neppure dalla relazione, prodotta in questo grado dalla parte appellante, resa dal consulente tecnico del pubblico ministero prof. NOME COGNOME ed afferente al proc. pen. n. 2754/2023 r.g.n.r. (in cui NOME COGNOME è imputato), atteso che tale documento non contiene alcun riferimento a detto valore dichiarato dall’appellante », ha fondato, poi, la propria decisione su dati probatori costituiti dai valori risultanti dalla relazione del commissario giudiziale del concordato preventivo in esito agli accertamenti tecnici svolti nella relativa procedura concorsuale. La stessa, in particolare, non ha utilizzato quei valori in quanto ritenuti effettivi o ‘ non di parte ‘ , bensì, e ciò è chiaramente indicato in motivazione ( cfr . pag. 14 della sentenz a impugnata: « partendo dal valore dei beni residui, non posto in motivata discussione da alcuno, di € 6.206.504,00. V. relazione c.g. pag. 55 ove si richiama la perizia di stima compiuta nel giugno 2018 e, dunque, a pochi mesi dall’atto impugnato )», in quanto dati confermati da periti e non oggetto di specifica contestazione dalle parti.
La ricorrente, invece, lungi dal contestare alla corte lagunare di aver erroneamente tratto dalla relazione predetta dati inesistenti in forza di argomentazioni illogiche, ascrive a quel giudice di aver valorizzato alcuni dati a dispetto di altri, pur sempre contenuti nella medesima relazione: è chiaro, tuttavia, che si è al di fuori dal concetto di travisamento della prova come puntualizzato dalla menzionata decisione resa da Cass., SU, n. 5792 del 2024, altresì sottolineandosi che, in ogni caso, manca, nella prospettazione del motivo, qualsivoglia effettiva spiegazione circa l’assoluta certezza che l’asserito errore di percezione contestato alla corte suddetta avrebbe condotto quest’ultima ad una decisione contraria a quella assunta e favorevole alla odierna ricorrente.
3.4. In definitiva, la doglianza in esame, benché formulate con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., in realtà si rivela sostanzialmente volta ad ottenere un riesame di accertamenti fattuali
compiuti dalla corte di merito, così dimenticando, tuttavia, che: i ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423, 27328 e 35006 del 2024; Cass. n. 1166 e 8671 del 2025); ii ) come puntualizzato, in motivazione, da Cass. n. 7612 del 2022 e Cass. n. 8671 del 2025, « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente.
4.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
Vale rammentare, in proposito, che: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024).
Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’, pur nella sua sinteticità, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), la ricorrente suddetta va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 8.000 ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del
contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE e la condanna al pagamento, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna la medesima ricorrente, nella indicata qualità, al pagamento della somma di € 8.000,00 in favore della costituitasi controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile