Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30344 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30344 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8151/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL), che le rappresenta e difende
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL), che la rappresenta e difende
-controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL)
-controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di FIRENZE n. 113/2022 depositata il 9/12/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/09/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il presente giudizio verte sulla valutazione dell ‘ attività di CTU svolta dal AVV_NOTAIO, nella causa civile NRG 361/2014 del Tribunale di Siena, ove la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (di seguito, per brevità: RAGIONE_SOCIALE) e la società RAGIONE_SOCIALE liquidazione (di seguito, per brevità: RAGIONE_SOCIALE), che possiede il 100% della RAGIONE_SOCIALE, avevano convenuto in giudizio il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE, premettendo che quest ‘ ultima società, quando era in bonis , aveva concesso in affitto alla NOME un complesso agricolo costituito essenzialmente da un vigneto destinato alla produzione di vino pregiato Chianti Classico e che poi la stessa RAGIONE_SOCIALE, nella sua qualità di affittante, benchè più volte sollecitata, non aveva dotato di adeguata recinzione il vigneto (peraltro molto esteso) e non aveva riparato le parti deteriorate delle recinzioni esistenti, causando così notevoli danni alla NOME, poiché il vigneto si era trovato in balia degli animali selvatici (cinghiali, daini e caprioli).
Il Tribunale di Siena provvide a nominare CTU il COGNOME, incaricandolo tra l ‘ altro di verificare e descrivere lo stato di manutenzione e coltivazione del vigneto.
In esecuzione del suo incarico, il CTU rilevò come il vigneto non fosse tenuto a regola d ‘ arte ed anzi sussistessero, a suo avviso, gravi omissioni di attività necessarie per una corretta coltivazione delle viti, con particolare riferimento all ‘ importantissima attività della potatura, sia a secco che verde.
A seguito di ciò, la Curatela, che aveva già esercitato il diritto di recesso dal contratto di affitto, chiese l ‘ immediato rilascio dei terreni e negò l ‘ indennizzo per la prematura cessazione del rapporto
contrattuale; il vigneto venne poi concesso in affitto, con procedura competitiva, alla RAGIONE_SOCIALE.
Le società RAGIONE_SOCIALE convennero quindi dinnanzi al Tribunale di Livorno il COGNOME, in quanto, a loro avviso, questi aveva espletato il proprio incarico di CTU in modo non corretto ed era incorso in errori ed omissioni con colpa grave. In tale giudizio intervenne volontariamente la RAGIONE_SOCIALE, avendo acquistato i diritti litigiosi sulla presente controversia.
Venne contestato al COGNOME di aver delineato un quadro della situazione difforme da quello reale relativamente alle condizioni dei terreni di proprietà della fallita società RAGIONE_SOCIALE e delle coltivazioni ivi condotte dall ‘ affittuaria RAGIONE_SOCIALE (interamente controllata da RAGIONE_SOCIALE). Assumevano inoltre le attrici che: (i) in conseguenza dell ‘ errata consulenza di cui sopra, la COGNOME si sarebbe vista revocare il contratto di affitto dal Curatore del fallimento RAGIONE_SOCIALE; (ii) all ‘ esito della procedura competitiva indetta ex art. 104 legge fallimentare, si sarebbe vista preferire come nuovo affittuario la RAGIONE_SOCIALE, sicchè avrebbe dovuto rilasciare i terreni; (iii) avrebbe dovuto rinunciare alla possibilità di insinuarsi al passivo fallimentare per la liquidazione dell ‘ indennità prevista dall ‘ art. 79 l.f.; (iv) avrebbe in definitiva subìto i danni di cui chiese il risarcimento.
Le attrici dedussero poi che la condotta del COGNOME avrebbe arrecato danni, di cui veniva chiesto il risarcimento, anche a RAGIONE_SOCIALE essendo andati persi gli investimenti intrapresi nell ‘ attività vinicola della RAGIONE_SOCIALE e avendo la perdita dell ‘ attività principale da parte di quest ‘ ultima abbattuto il valore della partecipazione sociale dell ‘ altra attrice.
Costituendosi in giudizio, il COGNOME contestò le domande avversarie e chiese l ‘ autorizzazione (concessa) a chiamare in garanzia la propria compagnia assicuratrice, RAGIONE_SOCIALE
Costituendosi in giudizio, RAGIONE_SOCIALE aderì alle difese articolate dal COGNOME mentre, con riguardo alla domanda di manleva, eccepì il massimale e gli scoperti di polizza.
Con sentenza n. 980/2017 il Tribunale di Livorno ritenne non provato da parte delle società attrici che il COGNOME avesse agito con colpa grave nell ‘ espletamento del suo incarico; ritenne che la documentazione prodotta e soprattutto l ‘ istruttoria orale circa l ‘ esame dei testi non avessero provato che il COGNOME avesse dato una rappresentazione della realtà fattuale diversa dal vero stato di fatto circa le colture ed il loro presunto abbandono. Rigettò pertanto integralmente le domande attoree, con condanna delle attrici al pagamento delle spese di lite in favore del COGNOME e di RAGIONE_SOCIALE
Avverso tale pronuncia la RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e la RAGIONE_SOCIALE proposero gravame dinanzi alla Corte d ‘ appello di Firenze.
Con sentenza n. 113/2022, depositata in data 22/01/2022, oggetto di ricorso, la Corte di Appello di Firenze ha rigettato l ‘ appello di RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, confermando integralmente la sentenza di primo grado.
Avverso la predetta sentenza la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e la RAGIONE_SOCIALE propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE resistono con separati controricorsi.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell ‘ art. 380bis 1 c.p.c.
Sia le ricorrenti che il controricorrente COGNOME hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, le ricorrenti denunciano, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., ‘ Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in
relazione all ‘ art. 360, n. 4 c.p.c. ‘ , per avere il giudice di appello deciso la causa ‘ con errori di percezione valutativa delle prove, e con errata ricognizione del contenuto oggettivo delle prove aventi ad oggetto fatti di discussione tra le parti ‘ . Le società ricorrenti denunciano che la decisione impugnata è stata adottata in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto il giudice avrebbe deciso sulla base di prove diverse per errori di percezione e avrebbe accertato i fatti in contrasto con le regole di valutazione dei mezzi istruttori e senza alcuna CTU.
1.1 In primo luogo, con riferimento ad un punto centrale e controverso della lite, richiamato dalla stessa Corte territoriale quale primo motivo di appello (v. pag. 8 della sentenza), e avente ad oggetto dichiarazioni del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO contestate dalle società ricorrenti (ovvero che le viti dei terreni in questione erano nella loro quasi totalità allevate a cordone speronato monolaterale), la Corte territoriale ha ritenuto che ‘ La sentenza di primo grado fa buon uso e interpretazione delle risultanze dell ‘ istruttoria, dalla quale è effettivamente emerso come l ‘ affermazione del CTU, secondo cui la quasi totalità delle viti sono allevate a cordone speronato monolaterale, sia corretta . ‘ (pag. 8 della sentenza).
1.2 In questo modo, l ‘ identica affermazione del CTU passava per affermazione corretta (v. sempre pag. 8 della sentenza), e tuttavia, a detta delle ricorrenti, la Corte territoriale sarebbe pervenuta a tale conclusione sulla base di una non corretta percezione delle risultanze istruttorie. Infatti, la stessa, a conferma di tale sua posizione, ha richiamato le deposizioni testimoniali del teste NOME COGNOME, del teste NOME COGNOME e del teste NOME COGNOME (p. 9 della sentenza). Tuttavia, osservano le ricorrenti, i testi avevano dichiarato cosa diversa, ed esattamente avevano affermato che: ‘ Al momento del nostro sub ingresso c ‘ erano due tipi di allevamento una parte circa il 60% era a cordone monolaterale speronato, mentre il 40% a viti binate ‘ (p. 9 della sentenza); dichiarazione analoga è dell ‘ altro teste NOME COGNOME: ‘ una parte è allevata a cordone speronato
monolaterale, sarà circa il 60%, il resto è allevato prevalentemente a cordone speronato binato, e una minima parte è allevato a cordone speronato bilaterale vero e proprio ‘ .
1.3 A detta delle ricorrenti, da tali dichiarazioni non poteva desumersi, come ha fatto la Corte territoriale, che la ‘ quasi totalità delle viti sono allevate a cordone speronato monolaterale ‘ , poiché i testi avevano dichiarato che ciò era vero solo al 60%, e non nella quasi totalità. Per giungere a tale conclusione, la Corte di merito ha asserito altresì che ‘ in realtà le testimonianze ben chiariscono come in realtà le viti siano quasi tutte a cordone monolaterale ‘ .
1.4 Dopo di che, a detta delle ricorrenti, la sentenza non ha precisato ove abbia ricavato tali ulteriori elementi di convincimento.
1.5 Secondo le ricorrenti, dalle deposizioni dei testi (riprodotte nel verbale in fascicoletto, all. 1), non risulterebbe che questi spieghino tali aspetti tecnici, che al contrario la Corte territoriale avrebbe dato per esistenti. Pertanto, premesso che andare oltre il tenore letterale della dichiarazione dei testi comporta un giudizio tecnico che doveva essere, se del caso, rimesso a CTU, mentre nessun CTU venne mai nominato dalla Corte territoriale, le dichiarazione dei testi, che dividevano i terreni in 60% da una parte, e 40% da altra parte, non avrebbero potuto fornire al giudice la percezione che la quasi totalità delle viti avesse tratto e caratteristiche comuni, e che quindi quanto riferito nella relazione tecnica del COGNOME corrispondesse alla realtà.
1.6 Ancora, la Corte territoriale ha respinto il secondo motivo di appello, relativo a ulteriori tre fatti di responsabilità del consulente e precisamente: a) il COGNOME aveva dichiarato che tutti i terreni erano recintati; b) il COGNOME aveva effettuato il sopralluogo in un solo giorno a fronte di 51 ettari di terra da esaminare; c) il COGNOME aveva accertato una non corretta esecuzione delle potature e una non corretta o sufficiente concimazione.
1.7 Quanto alle recinzioni, la Corte territoriale ha ammesso che l ‘ affermazione del COGNOME, secondo la quale ‘ tutti i terreni sono
recitati ‘ , non corrispondesse a verità (v. pag. 12 della sentenza: « Ancorché l ‘ affermazione iniziale ‘ tutti i terreni sono recintati ‘ , singolarmente considerata, possa far prefigurare una realtà non del tutto conforme ‘ (così a p. 12, primo §, della sentenza).
1.8 A detta delle ricorrenti, la Corte ha escluso egualmente dichiarazioni non corrispondenti allo stato effettivo dei luoghi, asserendo che il AVV_NOTAIO COGNOME « nel prosieguo dell ‘ elaborato precisa che una vera e propria recinzione a maglie è presente solo nelle zone limitrofe ai boschi, mentre nelle altre zone vi sono pali di ferro e/o legno su cui sono infissi con appositi morsetti » (così da p. 11, ultimo §, a p. 12, 2° §, della sentenza).
1.9 A detta delle ricorrenti la Corte territoriale non ha indicato da dove abbia ricavato tali affermazioni, e quindi come fosse giunta a tali conclusioni, poiché nessun passo della relazione del COGNOME in tal senso venne riportato, e niente che riguardasse detta relazione venne esattamente richiamato. Dal che, di nuovo, la Corte territoriale sarebbe pervenuta a conclusioni e a percezione di fatti che non trovavano corrispondenza negli atti e nella sentenza, mentre resta vero che il COGNOME (v. pag. 3 della sua relazione e pag. 12 della sentenza impugnata) aveva affermato che tutti gli apprezzamenti di terreno erano recintati. Agli atti, poi, esisteva una serie di elementi in senso contrario che la Corte territoriale non ha preso minimamente in considerazione.
1.10 Per quanto riguarda poi la circostanza che il sopralluogo del COGNOME si fosse ridotto in una visita di un giorno (24 febbraio 2014), ovvero in un tempo del tutto insufficiente per controllare lo stato di ben 51 ettari di vigne, essa è espressamente ammessa dalla Corte territoriale (v. pag. 12 della sentenza), e tuttavia anche questa sarebbe stata considerata ‘ mero indizio ‘ (pag. 12 della sentenza), e non sarebbe stato attribuito a questo fatto alcuna rilevanza probatoria, quando al contrario da esso non poteva non ricavarsi che il COGNOME, in una sola giornata, non poteva aver controllato 51
ettari di terra, e non poteva quindi esprimersi sulle molte questioni controverse se non in modo del tutto superficiale e approssimativo.
1.11 Infine, per quanto concerne la potatura verde e la concimazione, ritenute dal COGNOME mancanti o insufficienti, in contrasto con la ricostruzione delle società ricorrenti in questa sede, queste ultime sostengono che l ‘ affermazione della Corte territoriale, secondo cui ‘ va rilevato come le conclusioni del CTU stessi siano motivate sulla base di valutazioni tecnico-scientifiche da cui il Giudice di prime cure non aveva ragione di discostarsi ‘ , è un argomento motivazionale che si rivolge nei confronti di un CTU, ovvero di un tecnico, terzo rispetto alla lite. Nel caso di specie, invece la relazione da considerare non era quella di un tecnico terzo, bensì quella proprio della parte convenuta, ovvero del COGNOME, il quale era stato citato quale convenuto per asserite sue responsabilità. Pertanto, la Corte territoriale non poteva escludere le denunciate responsabilità sulla base di osservazioni dello stesso convenuto.
Trattandosi di valutazioni tecnico-scientifiche, come la stessa Corte territoriale ammette, esse, ad avviso delle ricorrenti, andavano verificate con una CTU all ‘ interno di quel giudizio; al contrario una consulenza tecnica in quel giudizio di responsabilità del COGNOME non venne mai disposta. In sostanza, deducono le ricorrenti, la Corte territoriale ha percepito la correttezza dell ‘ operato tecnico scientifico del COGNOME sulla base di quanto lo stesso aveva riferito, senza disporre alcun accertamento tecnico nel giudizio di responsabilità da parte di altro tecnico terzo. L ‘ equivoco costituisce errore percettivo sanzionabile ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Il primo motivo è complessivamente inammissibile. Quanto alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., vanno
richiamati i principi condivisi dal Collegio e affermati da Cass., sez. Un., sent. 30/09/2020, n. 20867, secondo cui: ‘ In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della
decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall ‘ art. 116 c.p.c. ‘ . Con la richiamata decisione le Sezioni Unite di questa Corte hanno pure affermato che ‘la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione ‘ .
Alla luce di tali principi e della formulazione del motivo in parola, risulta evidente la inammissibilità di tale mezzo in relazione alle censure ex artt. 115 e 116 c.p.c.
2.1 Quanto al dedotto ‘ travisamento della prova ‘ , a dirimere il conflitto insorto nella giurisprudenza di questa Corte sulla questione se possa dedursi in sede di legittimità, per il tramite del numero 4 dell ‘ articolo 360 c.p.c., la violazione dell ‘ articolo 115 c.p.c. determinata per essere il giudice del merito incorso nel c.d. ‘ travisamento della prova ‘ , le Sezioni Unite, sulle ordinanze interlocutorie 27/04/2023, n. 11111 di questa sezione, nonché 29/03/2023, n. 8895 della Sezione lavoro e n. 15593 del 2023 della Sezione Tributaria, ad esito
di una perspicua rivisitazione della materia, con sentenza Cass., Sez. Un., 5/03/2024, n. 5792 hanno enunciato il seguente principio di diritto: « Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell ‘ informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell ‘ impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall ‘ articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell ‘ articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale » (così al punto 10.17 della motivazione).
2.2 Con la pronuncia questione, le Sezioni Unite hanno aderito all ‘ orientamento ‘ rigoroso ‘ (in particolare, dell ‘ ordinanza interlocutoria Cass., n. 8895/2023) secondo il quale, tra errore percettivo (revocatorio) ed errore valutativo (o di giudizio) tertium non datur : in sostanza, secondo le Sezioni Unite, è possibile denunziare in sede di legittimità (ai sensi dell ‘ art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale) l ‘ errore in cui sia incorso il giudice di merito quando, trattandosi di ‘ fatto probatorio ‘ controverso tra le parti, abbia supposto un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l ‘ inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. Per ‘ fatto probatorio ‘ si intende non già il fatto storico che per mezzo dell ‘ istruzione probatoria deve accertarsi, bensì l ‘ oggetto della percezione del giudice (il documento, la foto, la dichiarazione, l ‘ indizio etc.). Quando, invece, il giudice sia incorso in una svista sul ‘ fatto probatorio ‘ in sé, ed esso non era controverso tra le parti, la sentenza è impugnabile, in concorso dei presupposti richiesti, con revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c. ‘ Sicché, l ‘ affermazione secondo cui, se l ‘ errore è frutto di un ‘ omessa percezione del fatto, essa è
censurabile ex articolo 360, n. 5, c.p.c., se si riferisca a fatti sostanziali, ovvero ex articolo 360, n. 4, c.p.c., ove si tratti di omesso esame di fatti processuali (v. in tali termini le già richiamate Cass., 26 maggio 2021, n. 14610; Cass. 21 luglio 2010, n. 17110), va estesa al caso in cui il giudice di merito abbia supposto un non-fatto, un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l ‘ inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, con la finale precisazione che che un simile errore, che si è detto essere commissivo, è pur sempre omissivo dall ‘ angolo visuale del risultato che determina nel giudizio. Pare residuare soltanto l ‘ ipotesi che l ‘ errore revocatorio sia commesso dal giudice di primo grado, il soccombente lo denunci con l ‘ appello ed il giudice d ‘ appello rigetti l ‘ impugnazione: anche in questo caso, a fronte della supposizione di un non-fatto, l ‘ applicazione della regola appena riassunta non è esclusa dall ‘ operatività dell ‘ articolo 360, quarto comma, c.p.c., che richiede pur sempre un ‘ effettiva cognizione in fatto, che nella specie, per le ragioni testé evidenziate, manca ‘ (così al punto 10.15 della motivazione).
2.3 Alla stregua di tale autorevole pronunciamento, il motivo in esame è inammissibile, in quanto fa difetto, come si ricava dall ‘ esposizione che precede, qualsiasi errore valutativo dei giudici di merito, ed in particolare della Corte territoriale, non avendo né il Tribunale né la Corte territoriale supposto un non-fatto (e cioè un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa), oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita.
2.4In realtà il motivo tende, in sostanza, ad una rivalutazione del merito non consentita in questa sede.
Con il secondo motivo, le ricorrenti denunciano, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10 e 14 c.p.c. e l ‘ art. 5 DM 55/2014 in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c. ‘ , per avere il giudice liquidato i compensi forensi prendendo a riferimento uno scaglione di valore non corrispondente alla domanda e all ‘ effettivo disputatum oggetto del giudizio. Precisano le ricorrenti
che la sentenza viene altresì impugnata con riferimento alla liquidazione delle spese e compensi forensi per quasi euro 100.000,00 per il solo giudizio di primo grado, rilevando di aver osservato che per giungere a questi importi il Tribunale di Livorno ha considerato il valore della causa compreso tra euro 4 milioni ed euro 8 milioni. Rappresentano che, in appello, il valore della causa è stato contestato, ma la Corte di Appello ha respinto l ‘ impugnazione asserendo che: ‘ Va però evidenziato come in realtà nelle conclusioni di primo grado siano state confermate tutte le voci, anche i 3.900.000,00 per cui non pare corretta l ‘ affermazione degli appellanti secondo cui tale voce non avrebbe più costituito oggetto della causa (disputatum) al momento della decisione ‘ (così a p. 13, ultimo §, della sentenza).
A detta delle ricorrenti, la decisione della Corte territoriale non può essere condivisa, in quanto si basa su un fatto non corrispondente al vero, ovvero che il disputatum della lite di primo grado superasse il valore di 4 milioni di euro. Ed infatti, queste erano le conclusioni in primo grado (vedile in atto di citazione e in comparsa conclusionale richiamate, pag. 2) delle odierne ricorrenti: ‘ Condannarlo (il dr. NOME COGNOME) al risarcimento del danno patrimoniale di cui all ‘ art. 2043 c.c., danno meglio descritto in premessa e da calcolarsi prudentemente in una somma non inferiore ad € 645.607,45 ‘ . Dunque, questa era la somma richiesta a titolo di risarcimento del danno. Le conclusioni così proseguivano: ‘ Si chiede altresì, nell ‘ ipotesi in cui venga accertata la legittimità del recesso operato dalla Curatela (nell ‘ ambito del giudizio attualmente pendente dinanzi al Tribunale di Siena) e qualora sia precluso alla RAGIONE_SOCIALE il deposito della propria istanza di ammissione al passivo a causa dell ‘ intervenuta chiusura del fallimento, che il AVV_NOTAIO. NOME COGNOME venga condannato al pagamento dell ‘ indennità spettante alla società attrice a norme dell ‘ art. 79 l. fall. nella misura che viene prudenzialmente quantificata in € 3.910.457,45 ‘ .
Dunque, questa ulteriore domanda, per quasi 4 milioni di euro, aveva due condizioni e due subordinazioni: (i) che il Tribunale di Siena accertasse la legittimità del recesso operato dalla curatela fallimentare; e (b) che fosse precluso alla società la domanda di ammissione allo stato passivo. La domanda di quasi 4 milioni di euro era chiaramente subordinata ‘ nell ‘ipotesi in cui venga… ‘ , e tutto ciò però non è mai avvenuto, né mai è stato oggetto del giudizio dinanzi al Tribunale di Livorno, come si ricava dalla lettura della sentenza di primo grado.
Pertanto, il disputatum relativo al giudizio, aveva ad oggetto la sola prima domanda, che si conteneva nella somma di euro 645.607,45. La domanda subordinata e condizionata non sarebbe stata mai né discussa dalle parti, né giudicata dal giudice, e non avrebbe costituito mai, pertanto, materia del contendere, né oggetto del contenzioso. Pertanto, la liquidazione posta in essere dal Tribunale, e confermata dalla Corte territoriale, nonostante la specifica impugnazione delle ricorrenti, risulterebbe adottata, secondo queste ultime, in violazione dei criteri del codice di rito e di quelli fissati per la liquidazione delle spese dal DM 55/2014, nonché del criterio del disputatum già fissato dalla Sezioni Unite con la sentenza Cass., sez. un., 11/09/2007, n. 19014 e più recentemente ribadito da Cass., 21/01/2021, n. 1123.
Il motivo è infondato. Come risulta dal ricorso (cfr. p. 12), in sede di precisazione delle conclusioni dinnanzi al Tribunale le odierne ricorrenti hanno così concluso: ‘ Condannarlo (il dr. NOME COGNOME) al risarcimento del danno patrimoniale di cui all ‘ art. 2043 c.c…danno meglio descritto in premessa e da calcolarsi prudentemente in una somma non inferiore ad € 645.607,45 ‘ . Poi le conclusioni proseguivano: ‘ Si chiede altresì, nell ‘ ipotesi in cui venga accertata la legittimità del recesso operato dalla Curatela (nell ‘ ambito del giudizio attualmente pendente dinanzi al Tribunale di Siena) e qualora sia precluso alla RAGIONE_SOCIALE il deposito della propria istanza di ammissione al passivo a causa dell ‘ intervenuta chiusura
del fallimento, che il AVV_NOTAIO. NOME COGNOME venga condannato al pagamento dell ‘ indennità spettante alla società attrice a norme dell ‘ art. 79 l. fall. nella misura che viene prudenzialmente quantificata in € 3.910.457,45 ‘ .
4.1 Ebbene, la Corte, ha così motivato sul punto: ‘ Va però evidenziato come in realtà nelle conclusioni di primo grado siano state confermate tutte le voci, anche i 3.900.000,00 euro, per cui non pare corretta l ‘ affermazione degli appellanti secondo cui tale voce non avrebbe più costituito oggetto della causa (disputatum) al momento della decisione. Il rigetto della domanda sotto il profilo dell ‘ an debeatur e la conseguente mancata liquidazione di alcun importo impedisce poi di commisurare il compenso a quanto effettivamente riconosciuto e pertanto il quantum della domanda, come determinata in atto di citazione e confermato in sede di precisazione delle conclusioni, rimane l ‘ RAGIONE_SOCIALE criterio per la determinazione dello scaglione di valore ai fini che qui interessano (ex multis Cass. Civ. 10984/21) ‘ (così da p. 13, ultimo §, a p. 14, 1° §, della sentenza).
4.2 Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità ‘ Ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato, in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato, nell ‘ opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall ‘ interpretazione sistematica delle disposizioni in tema di tariffe per prestazioni giudiziali, sulla base del criterio del disputatum, ossia di quanto richiesto nell ‘ atto introduttivo del giudizio ovvero nell ‘ atto di impugnazione parziale della sentenza (così, di recente, Cass., sez. III, ord. 5/07/2024, n. 18465. Conformi Cass., sez. III, sent. 23/11/2017, n. 27871).
4.3 Questa Corte ha affermato che ai sensi dell ‘ art. 10 c.p.c., richiamato dall ‘ art. 5 d.m. n. 140 del 2012 ‘ ratione temporis ‘ applicabile, le domande proposte, in via gradata tra loro, verso la stessa parte non si sommano ai fini della determinazione del valore della causa, con riguardo alla liquidazione delle spese in favore della parte vittoriosa,
dovendo esser utilizzato a tal fine l ‘ ammontare richiesto nella domanda di valore maggiore. (così Cass., sez. II, sent. 25/09/2018, n. 22711;in senso conforme Cass., sez. III, sent. 16/07/2003, n. 11150, secondo cui ‘ La liquidazione degli onorari agli avvocati, in ipotesi di cumulo oggettivo ex art. 104 cod. proc. civ., che presuppone la proposizione delle domande in un RAGIONE_SOCIALE processo nei confronti del medesimo convenuto o anche di una pluralità di convenuti unitariamente considerata in quanto titolare, nell ‘ insieme, dello stesso rapporto dedotto in giudizio, deve essere effettuata previa somma del valore delle domande proposte, mentre in caso di domande fra loro subordinate o proposte in via alternativa si deve aver riguardo alla domanda di maggior valore ‘ ).
Nel caso all’esame le dom ande proposte non sono, invece, state proposte in via gradata ‘autoescludente’ tra loro né sono state proposte in via alternativa, sicché, proprio argomentando a contrario sulla base dell’orientamento giurisprudenziale appena richiamato, la decisione della Corte di merito risulta del tutto corretta.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte delle società ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 15.000,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali 15% e accessori di legge, in favore di NOME COGNOME e in complessivi euro 12.000,00, oltre agli esborsi,
liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali 15% e accessori di legge, in favore di RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell ‘ art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13/09/2024.