Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11573 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11573 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 2236/2019 R.G.) proposto da:
COGNOME avv. NOME COGNOME nato a Jesi (AN) il 24 agosto 1966 ed ivi domiciliato, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE , iscritto all’albo di Ancona, difensore di sé stesso ex art. 86 c.p.c. in quanto abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori ed elettivamente domiciliato presso il proprio indirizzo p.e.c. iscritto nel REGINDE (indirizzo p.e.c.: ‘ EMAIL);
-ricorrente –
contro
CONDOMINIO DI INDIRIZZO sito in Jesi (AN), alla INDIRIZZO (Codice
RAGIONE_SOCIALE n. INDIRIZZO e INDIRIZZO , in persona dell’amministratore pro tempore Fiscale: CODICE_FISCALE;
-intimato –
avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona pronunciata nel procedimento n. 6447/2017 R.G., pubblicata il 28 maggio 2018;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 19 settembre 2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
n. 2236/2019 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 19 settembre 2024
Oggetto: Contratto di patrocinio forense -Liquidazione compensi di avvocato -Opposizione a decreto ingiuntivo.
FATTI DI CAUSA
1.- Il Condominio di INDIRIZZO in Jesi (AN) conveniva in giudizio l’avv. NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Ancona per sentir revocare il decreto ingiuntivo n. 1472/2017, con il quale era stato intimato all’opponente di pagare al professionista la somma di €. 9.849,06 (euro novemilaottocentoquarantanove/06), oltre interessi e spese di procedura, per le spettanze relative all’attività giudiziale svolta in suo favore nella causa civile n. 7129/2005 R.G. del Tribunale di Ancona, Sezione distaccata di Jesi (AN), avente ad oggetto l’impugnazione di una delibera condominiale promossa dal condomino sig. COGNOME NOME.
Con il decreto ingiuntivo opposto il Tribunale aveva liquidato il compenso spettante al legale nella stessa misura liquidata nella sentenza n. 435/2011, emanata a definizione della causa presupposta, così come richiesto dall’avv. COGNOME in riduzione risp etto alla notula di maggiore importo allegata agli atti di causa e pur ritenuta congrua dal Consiglio dell’Ordine.
In via preliminare, il condominio eccepiva l’intervenuta prescrizione del credito per decorso del termine triennale di cui all’art. 2956 c.c., essendosi l’attività dell’avv. COGNOME conclusasi il 15 novembre 2011 e non risultando validi atti interruttivi prima della missiva spedita con raccomandata del 19 dicembre 2014.
In via subordinata, nel merito, l’opponente evidenziava che la liquidazione delle spese, contenuta nella sentenza pronunciata a definizione del giudizio presupposto, spiegava i suoi effetti esclusivamente tra le parti del procedimento e non poteva essere utilizzata ai fini della determinazione del compenso spettante al professionista per l’opera svolta a favore di una delle due parti in causa.
Ciò premesso, il Condominio di INDIRIZZO in Jesi (AN) deduceva che la controversia in cui l’avv. COGNOME aveva prestato la propria opera in suo favore verteva in materia di impugnazione di deliberazione assembleare e, come desumibile dalla motivazione, non necessitava, né aveva necessitato, di attività istruttoria diversa dalla produzione documentale; inoltre, posto che la richiesta di compenso era stata formulata dal difensore a dicembre dell’anno 2014, allorché era già entrato in vigore il nuovo d.m. 10 marzo 2014, n. 55, in assenza di preventivo
accettato o di contratto, per la determinazione del relativo compenso doveva farsi riferimento all’art. 6 di detto d.m. e allo scaglione minimo delle cause di valore indeterminabile, compreso tra €. 26.000,01 (euro ventiseimila/01) ed €. 52.000,00 (euro ci nquantaduemila/00), avvalendosi, stante la non complessità delle questioni dedotte in giudizio, del minimo e precisamente: €. 810,00 (euro ottocentodieci/00), per la fase di studio, €. 573,50 (euro cinquecentosettantatre/50), per la fase introduttiva, €. 5 16,00 (euro cinquecentosedici/00), per la fase istruttoria e/o di trattazione ed €. 1.383,50 (euro milletrecentottantatre/50), per la fase decisionale; il tutto per €. 3.283,00 (euro tremiladuecentottantatre/00) oltre al rimborso forfettario e agli altri accessori di legge.
Sosteneva, poi, l’opponente, che qualsiasi importo fosse stato riconosciuto dal Tribunale, nessuna somma avrebbe dovuto essere interamente versata al professionista, avendo diritto il condominio a compensare il proprio eventuale debito con il risarcimento che gli spettava per non essere stato informato dal professionista circa l’evidente opportunità di interporre appello avverso il capo della sentenza inerente la compensazione parziale delle spese di lite.
Il Condominio evidenziava infatti che, nella causa presupposta, il Tribunale aveva ritenuto di compensare le spese in misura paritaria tenuto conto che la non chiarissima verbalizzazione assembleare poteva aver contribuito ad indurre in errore l’attore con riferimento ad una delle doglianze poste a sostegno dell’impugnazione spiegata avverso la deliberazione. Sosteneva, all’uopo, che poiché il condomino COGNOME Angelo (che aveva spiegato opposizione alla deliberazione assembleare) aveva formulato quattro motivi di impugnazione, uno solo dei quali poteva essere stato provocato dalla non chiarissima verbalizzazione predetta, sussistevano certamente più che fondati motivi finalizzati ad ottenere una più favorevole ripartizione di spese, prevedente al massimo la compensazione delle spese nella misura di un quarto e non della metà.
Esponeva, ancora, che ulteriore profilo di responsabilità sussisteva per non avere l’avv. NOME COGNOME adeguatamente informato il Condominio della formazione del titolo esecutivo sulla base del quale effettuare il recupero delle spese a carico del soccombente: infatti, con tali carenze informative,
il professionista aveva privato il Condominio della possibilità di ottenere una condanna migliorativa in danno di COGNOME NOME e lo aveva esposto ad un maggiore debito per il pagamento del proprio compenso per l’intera e gravosa misura stabilita dal Tribunale.
Da ultimo, il Condominio di INDIRIZZO eccepiva la non debenza degli interessi di mora, ma eventualmente solo di quelli legali a partire dal deposito del ricorso (come richiesto) fino al saldo, affermando non potersi applicare al rapporto tra Condominio e professionista la normativa di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, per difetto della qualità di imprenditore in capo al Condominio stesso.
Il Condominio, pertanto, concludeva chiedendo che il Tribunale accertasse l’intervenuta prescrizione del diritto del professionista opposto revocando il decreto ingiuntivo. In via subordinata, chiedeva dichiararsi dovuto all’avv. COGNOME l’importo di €. 3 .283,00 (euro tremiladuecentottantatre/00), oltre spese generali e accessori; chiedeva, inoltre, accertarsi la responsabilità professionale dell’opposto riducendone il compenso in misura pari al 25% e dichiarando non dovuti gli interessi di cui al d.lgs. n. 231 del 2002.
L’avv. NOME COGNOME costituendosi in giudizio, eccepiva la inammissibilità dell’opposizione, perché tardiva; nel merito, contestava la fondatezza dell’opposizione sotto tutti i profili, chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo e la condanna del Condominio al risarcimento dei danni per lite temeraria.
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Ancona, disposto il mutamento del rito, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava il Condominio opponente al pagamento, in favore dell’odierno ricorrente COGNOME avv. NOME, della somma di €. 3.283,00 (euro tremiladuecentottantatre/00), oltre agli interessi legali dalla domanda e spese di lite.
A sostegno dell’adottata pronuncia, il tribunale rilevava, per quanto di interesse in questa sede: a) che la controversia, avendo ad oggetto i compensi spettanti all’avv. COGNOME soggiaceva alla disciplina di cui all’art. 14 d.lgs. n. 150 del 2011 e andava, pertanto, trattata con il rito sommario di cognizione e decisa con ordinanza; b) che l’opposizione al decreto ingiuntivo, notificato in data 21 luglio 2017, era stata proposta, anziché
con ricorso, con atto di citazione notificato il 29 settembre 2017 e depositato, per l’iscrizione a ruolo, il 5 ottobre 2017; c) che l’errore, come chiarito dal supremo organo di nomofilachia, era irrilevante, giacché, in virtù dell’art. 4 d.lgs. n. 150 del 2011, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono in base al rito seguito prima del mutamento; d ) che l’eccezione di prescrizione presuntiva di cui all’art. 2956, comma 1, lett. b), c.c., sollevata dall’opponente doveva intendersi come non formulata, stante la contestazione da parte del Condominio del quantum debeatur ; e ) che, infatti, la prescrizione presuntiva, ai sensi dell’art. 2959 c.c., si fondava non sull’inerzia del creditore e sul decorso del tempo come accade per la prescrizione ordinaria – ma sulla presunzione che, in considerazione della natura dell’obbligazione e degli usi, il pagamento sia avvenuto nel termine previsto; f ) che, conseguentemente, l’eccezione di prescrizione doveva essere rigettata qualora il debitore ammettesse di non avere pagato, dovendo considerarsi sintomatica del mancato pagamento e, dunque, contrastante con i presupposti della relativa presunzione, la circostanza che l’obbligato abbia contestato di dovere pagare, in tutto o in parte, il debito o che soggetto obbligato sia un terzo, trattandosi di circostanze incompatibili con la prescrizione presuntiva che presuppone l’avvenuto pagamento e il riconoscimento dell’obbligazione; g ) che, nella specie, era incontestato tra le parti e documentalmente provato che l’avv. COGNOME aveva patrocinato il Condominio di INDIRIZZO in Jesi (AN) nel giudizio civile avente ad oggetto l’impugnazione da parte del condomino COGNOME di una deliberazione assembleare; h ) che dalla documentazione prodotta risultava che il mandato conferito all’avv. COGNOME era cessato in data successiva al 20 marzo 2012, data in cui egli aveva provveduto a notificare al COGNOME la sentenza conclusiva del giudizio, munita di formula esecuti va e l’atto di precetto, al fine di promuovere l’esecuzione forzata della sentenza medesima; i ) che, peraltro, l’avv. COGNOME non aveva documentato l’intera attività svolta in giudizio, avendo prodotto esclusivamente la comparsa di risposta e la sentenza conclusiva del giudizio medesimo, omettendo di fornire gli elementi necessari ad una compiuta liquidazione delle spese processuali; j) che il Condominio opponente aveva riconosciuto la spettanza all’avv. COGNOME del compenso di €. 3.283,00 (euro tremiladuecentottantatre/00), oltre al rimborso spese
generali e accessori di legge; k) che non potevano essere riconosciuti gli interessi moratori previsti dal d.lgs. n. 231 del 2002, in quanto il rapporto di prestazione d’opera professionale intercorso tra il Condominio ed il professionista non era riconducibile al concetto di transazione commerciale di cui all’art. 2 del predetto decreto legislativo; l) che non sussisteva alcuna responsabilità professionale dell’avv. COGNOME sia in ragione del fatto che la scelta di compensare totalmente o parzialmente le spese processuali (nel sistema anteriore all’entrata in vigore della l. 18 giugno 2009, n. 69) era riservata al prudente apprezzamento del giudice sulla base di un adeguato supporto motivazionale – nella specie non mancato , sia perché l’avv. COGNOME aveva documentato di aver posto in essere gli atti preliminari e propedeutici all’esecuzione forzata della sentenza, con la notificazione del titolo e del precetto e che a tali atti non era seguita l’esecuzione forzata, avendo il COGNOME raggiunto un accordo transattivo con il Condominio.
2.Avverso tale ordinanza, l’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
3.- È rimasto intimato il Condominio di INDIRIZZO, in Jesi (AN).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità del procedimento per violazione degli artt. 641, comma 1, 645 e 647 c.p.c.
Sostiene, al riguardo, che l’opposizione a decreto ingiuntivo veniva instaurata con il rito ordinario e cioè con atto di citazione, anziché con ricorso come previsto ex art. 14 d.lgs. n. 150 del 2011. Inoltre, sebbene tale atto fosse stato notificato nel t ermine di legge, l’opponente si era costituito in giudizio oltre la scadenza del quarantesimo giorno, in violazione della disposizione perentoria di cui all’art. 641, comma 1, c. p. c. In altri termini, il decreto ingiuntivo era stato notificato al condominio opponente in data 21 luglio 2017, sicché il termine di quaranta giorni per proporre opposizione scadeva in data 30 settembre 2017; trattandosi però di un sabato, lo stesso termine era da considerarsi prorogato ad ogni effetto al lunedì successivo e, quindi, fino alla data del 2 ottobre 2017. Il Condominio di INDIRIZZO in Jesi (AN) aveva proposto opposizione notificando atto di citazione in data 29 settembre 2017, ma
aveva poi provveduto alla costituzione in giudizio solo in data 4 ottobre 2017 e quindi in data successiva alla scadenza del termine di opposizione spirato il 2 ottobre 2017. Ne doveva conseguire -secondo la prospettazione del ricorrente -l’inammissibilità dell’opposizione, per violazione del termine perentorio di cui all’art. 641, comma 1, c.p.c., atteso che, trattandosi di procedimento che doveva essere introdotto non già con citazione, ma con ricorso, era alla data di deposito in Cancelleria dell’atto introduttivo e non alla notificazione di quest’ultimo – che occorreva guardare per verificare la tempestività dell’opposizione.
Né, del resto e sempre secondo la prospettazione del ricorrente, poteva reputarsi pertinente la giurisprudenza di legittimità richiamata giudice di merito a sostegno della validità dell’opposizione, poiché l’orientamento delle Sezioni Unite confermerebbe c he l’opposizione andava proposta con ricorso ex art. 14 d.lgs. n. 150 del 2011, cosicché il deposito dell’atto introduttivo doveva essere eseguito prima della scadenza del termine di opposizione.
2.- La censura è infondata.
In primo luogo, ai sensi dell’art. 4, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2011, nella versione vigente ratione temporis , l’ordinanza di mutamento del rito -nell’ambito delle controversie soggette ai riti disciplinati dal suddetto decreto legislativo è pronunciata dal giudice, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti. Inoltre, ai sensi dell ‘art. 4, comma 5, di tale d.lgs. n. 150 del 2011 – il cui testo è rimasto immutato anche all’esito della novella di cui al d.lgs. n. 149 del 2022 -, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento, restando così ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Sicché, nei procedimenti disciplinati dal d.lgs. n. 150 del 2011, tra cui rientra quello di specie (regolato dall’art. 14 vigente ratione temporis , trattandosi di controversia in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato), per i quali la domanda va proposta nelle forme del ricorso e che, al contrario, siano introdotti con citazione, il giudizio è correttamente instaurato ove qu est’ultima sia notificata tempestivamente, producendo gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente
prescelto dalla parte (cfr., all’uopo, Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 8045 del 21 febbraio 2023, Rv. 667501-01, secondo cui « In tema di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato, qualora il giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo, regolato dall’art. 14 d.lgs. n. 150 del 2011, sia stato introdotto con citazione anziché con ricorso, è con riferimento alla notificazione della citazione che deve essere valutato il rispetto del termine decadenziale di cui all’art. 641, comma 1, c.p.c.. »). Tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronunzia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, ex art. 4, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2011, la quale opera solo pro futuro , ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non di quella che avrebbe dovuto assumere, avendo riguardo alla data di notificazione della citazione, quando la legge prescrive il ricorso, o, viceversa, alla data di deposito del ricorso, quando la legge prescrive l’atto di citazione (Cass. civ., Sez. U., Sentenza n. 758 del 12 gennaio 2022, Rv. 663582-01).
Pertanto, una volta rilevata la tempestività della notificazione della citazione ai fini dell’instaurazione del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale giammai avrebbe potuto dichiarare l’inammissibilità dell’opposizione medesima, avendo riguardo, all’esito del disposto mutamento del rito, alla data di deposito della citazione in cancelleria ai fini dell’iscrizione della causa a ruolo. Trattandosi, infatti, di procedimento speciale regolato dalla normativa sulla semplificazione dei riti civili, gli effetti processuali della domanda si sono prodotti secondo le norme del rito seguito prima del mutamento (ossia secondo le norme del rito ordinario di cognizione), rispetto al quale alcuna decadenza era maturata.
Regola, questa, applicabile, nell’ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, solo allorché una controversia sia promossa in forme diverse da quelle previste dai modelli regolati dal medesimo d.lgs. n. 150 del 2011, poiché esclusivamente in siffatti casi l’atto produce gli effetti del ricorso, in virtù del principio di conversione, qualora la notificazione della domanda introduttiva dell’opposizione, avente erroneamente la forma della
citazione, sia avvenuta entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c. (Cass. civ., Sez. U., Sentenza n. 927 del 13 gennaio 2022, Rv. 663586-03).
3.Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c., la violazione degli art. 132, comma 2, n. 4), 115, comma 1, e 116, c.p.c.
Sostiene che il Tribunale non avrebbe valutato in alcun modo la documentazione prodotta né avrebbe dato conto delle motivazioni per cui l’ha ritenuta irrilevante. Inoltre, avrebbe trascurato il principio di non contestazione e addossato all’odierno ricorre nte un onere probatorio insussistente, in violazione anche dell’art. 2697 c.c..
Si afferma, infatti, nell’ordinanza impugnata che l’avv. COGNOME non avrebbe dato alcuna prova delle prestazioni svolte mentre, in realtà, i documenti allegati al ricorso per decreto ingiuntivo e alla comparsa di risposta – tutti nuovamente depositati dopo il mutamento di rito, proverebbero lo svolgimento della difesa in tutte le fasi giudiziali esattamente indicate nella notula. Le voci di detta notula, poi, non avrebbero formato oggetto di specifica contestazione: il cliente si sarebbe limitato a eccepire l’inapplicabilità del d.m. n. 127 del 2004, pretendendo di applicare senza alcuna ragione e giustificazione i parametri minimi di cui al d.m. n. 55 del 2014, che riguarda soltanto le prestazioni non ancora cessate alla data della sua entrata in vigore.
L’ordinanza impugnata sarebbe pertanto affetta da nullità, poiché non ha motivato in merito ai documenti acquisiti e non avrebbe valutato le prove offerte dalle parti, ritenendo immotivatamente che delle prestazioni professionali per cui è causa non sia stata fornita dimostrazione.
In altre parole, secondo la prospettazione sviluppata nel ricorso, il giudice di merito non si sarebbe avveduto del deposito di tutto il fascicolo di causa, effettuato dall’avv. NOME COGNOME
Tale documentazione, di cui non si fa cenno nell’ordinanza impugnata, dimostrerebbe che l’attività professionale è stata mediamente impegnativa ed è consistita nella redazione di ben 7 atti processuali (dalla comparsa di risposta, alle memorie ex artt. 180, 183 e 184 c.p.c., fino alla conclusionale e alla memoria di replica) nello studio della causa, durata ben 6 anni, e nella partecipazione a 8 udienze effettive, delle quali una di sospensiva ed una assunzione testimoniale.
Il Tribunale avrebbe, inoltre, travisato gli atti e violato anche l’art. 115, comma 1, c.p.c., ritenendo non provati i fatti non specificamente contestati dal condominio e ponendo a carico del professionista l’onere di dimostrare prestazioni documentate.
In particolare, l ‘assunto del giudice di merito, secondo cui « l’Avv. COGNOME non ha documentato l’intera attività svolta in giudizio, infatti, ha prodotto esclusivamente la comparsa di costituzione e risposta e la sentenza conclusiva del giudizio medesimo, omettendo di fornire gli elementi necessari ad una compiuta liquidazione delle spese processuali » sarebbe contraddetto dalle risultanze del fascicolo processuale e, specificamente, dal documento contrassegnato dal numero ‘ 02 ‘ , cioè dal fascicolo di parte di primo grado dell’ avv. COGNOME che contiene a sua volta il documento contrassegnato dal numero ‘ 6) ‘ , ovvero il fascicolo monitorio contenente gli atti della causa a cui si riferiscono i compensi in oggetto (documenti contrassegnati dai numeri da ‘ 1) ‘ a ‘ 12) ‘ , tutti incontestati).
Il fascicolo, inoltre, conterrebbe tutti gli atti della causa presupposta, iscritta al n. 7129/2005 R.G. del Tribunale di Ancona, Sezione distaccata di Jesi (AN), e in particolare: comparsa di risposta, memoria ex art. 180 c.p.c., memoria ex art. 183 c.p.c., memorie ex art. 184 c.p.c., comparsa conclusionale, replica, sentenza n. 435/2011, oltre ai verbali di causa attestanti la partecipazione a otto udienze, tra le quali una di sospensiva ed una di assunzione di prova testimoniale.
Il Tribunale, inoltre, avrebbe preso atto che il Condominio non mai contestato l’attività allegata e documentata dall’ avv. COGNOME
Tale circostanza troverebbe conferma ne l tenore dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo in cui il Condominio non avrebbe mai negato lo svolgimento delle attività professionali per le quali l’odierno ricorrente aveva chiesto di essere compensato come da tariffa, essendosi limitato a dedurre, genericamente, l’insussistenza di attività in contrasto con le risultanze degli atti e dei verbali di causa prodotti dal professionista.
Il condominio, dunque, non avrebbe censurato le singole voci di compenso, ma i criteri di liquidazione contenuti nella nota spesa vidimata dall’ordine ritenendo applicabile il d.m. n. 55 del 2014 e riconoscendo la debenza del minor importo di € . 3.283,00 (euro tremiladuecentottantatre/00), poiché la richiesta di compenso era stata
formulata per la prima volta dal difensore nel mese di dicembre dell’anno 2014 e cioè dopo l’entrata in vigore del predetto regolamento, senza considerare il fatto che l’attività era cessata già nel 2011.
Inoltre, il Condominio avrebbe invocato i parametri minimi, senza considerare che l’attività svolta non era stata affatto minimale, tanto per quantità (n. 7 atti difensivi e 8 udienze effettive, di cui una per la discussione della sospensiva una di assunzione testimoniale) quanto per qualità (l’esito della causa è stato positivo per il Condominio).
4.- Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione dell’art. 1284, comma 4, c.c.
Tale censura, premesso che, alla stregua della disposizione normativa da ultimo menzionata, entrata in vigore a far tempo dalla data dell’11 dicembre 2014, « Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. » e che la domanda monitoria è stata proposta in epoca successiva a tale data, si appunta sul mancato riconoscimento degli interessi nella misura prevista dal d.lgs. n. 231 del 2002.
5.- Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4), 91 e 653, comma 3, c.p.c., nonché del d.m. n. 55 del 2014.
In particolare, con tale censura si sostiene che l’ordinanza impugnata, nella parte relativa alla liquidazione delle spese di lite, avrebbe violato in maniera immotivata i parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014, omettendo altresì di statuire sulle spese e compensi relativi alla fase monitoria, nonostante l’accoglimento solo parziale dell’opposizione al decreto ingiuntivo.
6.- Con il quinto (e ultimo) motivo, il ricorrente sostiene la temerarietà dell’opposizione a decreto ingiuntivo spiegata dal Condominio di INDIRIZZO, in Jesi (AN), evidenziando che la fondatezza dei pregressi motivi di impugnazione comporterà la soccombenza totale di quest’ultimo, con conseguente necessità di statuire sul punto , cosicché la decisione potrà, a detta dello stesso ricorrente, « essere assunta dalla Suprema Corte, senza rinvio ».
7.- La censura di cui al secondo motivo è fondata, nei sensi che di seguito vengono precisati.
Questa Corte regolatrice, infatti, ha già avuto modo di precisare che il travisamento della prova si distingue dal travisamento del fatto, in quanto implica (non una valutazione del fatto, ma) una constatazione o un accertamento che una data informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale. In particolare, in epoca recente si è anche osservato che, mentre l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito nell’apprezzamento dell’idoneità dimostrativa della fonte di prova non è mai sindacabile in sede di legittimità, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., l’errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti (cfr., all’uopo, Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 37382 del 21 dicembre 2022, Rv. 666679-01, 666679-02, 666679-03, 666679-04, 666670-05, 666670-06, 666670-07).
Ciò in quanto il principio di cui all’art. 115 c.p.c., nell ‘ imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti (oltre ai fatti non specificamente contestati), rende censurabile non soltanto la sentenza nella quale il giudice ha posto a fondamento della sua decisione prove disposte di sua iniziativa (al di fuori dei poteri ufficiosi che gli sono riconosciuti) ma rende altresì censurabile, in sede di legittimità, la sentenza nella quale il giudice di merito abbia utilizzato informazioni probatorie che non esistevano nel processo e che tuttavia comunque sostengono illegittimamente la decisione che ha definito il giudizio di merito.
Come chiarito, infatti, da Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 37382 del 21 dicembre 2022 (Rv. 666679-01, 666679-02, 666679-03, 666679-04, 666670-05, 666670-06, 666670-07), « la prova è la traccia che un fatto lascia nella memoria degli uomini ovvero nella materialità del mondo fisico e della cui percezione il giudice si avvale per l’accertamento di quel fatto: in altri termini, è prova un qualsiasi dato dimostrativo e conoscitivo di fatti, che sia idoneo a fondare, anche da sé solo, il convincimento del
giudice nel momento della decisione. In quanto tale, il termine prova è suscettibile di essere utilizzato in una pluralità di accezioni, ben note alla dottrina processualpenalistica: tema di prova è il fatto che si intende provare (l’ipotesi che si deve verificare); fonte di prova è la persona (parte, teste, ecc.), la cosa o il documento o un qualsiasi fenomeno idoneo a produrre una conoscenza rilevante per il processo; elemento di prova è il dato acquisito dalla fonte di prova, senza il contraddittorio tra le parti, al di fuori del processo; mezzo di prova è lo strumento mediante il quale, nel contraddittorio tra le parti, si utilizza la fonte di prova per affermare o negare in sede processuale l’esistenza del fatto; infine, risultato della prova è l’esito del percorso argomentativo compiuto dal giudice nel valutare le prove acquisite.
Orbene, per quanto qui rileva, il giudice di merito, attraverso l’osservazione e la valutazione, trae dall’elemento di prova e/o dal mezzo di prova informazioni che, in misura più o meno diretta, porrà a fondamento della conferma, positiva o negativa, circa la sussistenza (o insussistenza) del fatto decisivo in contestazione. Il giudice di merito, quindi, nell’esprimere in sentenza il risultato della prova, è chiamato a selezionare da ogni elemento o mezzo di prova, ritualmente assunto, uno specifico contenuto informativo che, alla luce delle informazioni desunte dagli altri elementi e mezzi disponibili, utilizzerà nel comporre il ragionamento probatorio, in cui si articola la decisione. Orbene, è indubbio che l’attività di selezione di un dato informativo tra tutti i dati informativi astrattamente desumibili da un elemento o da un mezzo di prova, in quanto espressione del prudente apprezzamento del giudice di merito, è attività riconducibile in via esclusiva al sindacato del giudice di merito ed è estranea al sindacato della Corte di legittimità, con la conseguenza che non è denunciabile come vizio della decisione di merito. Parimenti indubbio è che la parte interessata non può più, una volta esaurito il corso dei giudizi di merito, ridiscutere in sede di legittimità le modalità attraverso le quali il giudice di merito ha valutato, dopo averlo selezionato, il materiale probatorio ai fini della ricostruzione dei fatti di causa.
Tuttavia, in sede di legittimità, la parte interessata – oltre a poter denunciare l’omesso esame (da parte del giudice di merito) di specifici fatti (di ordine principale o secondario e comunque di carattere decisivo),
che siano stati oggetto di contraddittorio processuale -può denunciare l’inesistenza di una informazione probatoria, che, proprio perché inesistente, illegittimamente è stata posta a fondamento della decisione di merito. La verifica di tale inesistenza (la verifica, cioè, dell’inesistenza di una qualsivoglia, reale connessione giuridicamente significativa del singolo dato probatorio, ritenuto in concreto decisivo, con l’elemento o con il mezzo di prova dal quale il giudice ha inteso ricavarlo) si risolve in una operazione di raffronto tra l’elemento o il mezzo di prova utilizzato e il dato probatorio da esso desunto e, pur risentendo in ogni singolo caso della natura della prova in concreto acquisita (se libera o legale, dichiarativa o documentale, ecc.), non può rimanere estraneo al giudizio di legittimità. Il punto è che l’errore di percezione della prova esclude in radice, sul piano processuale, la stessa “esistenza” di un giudizio (tanto è vero che deve essere rilevato, qualora non abbia costituito “punto controverso”, dallo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza: cfr. art. 398 primo comma c.p.c.), mentre l’errore di valutazione della prova dà luogo ad un giudizio errato, che deve essere denunciato al giudice dell’impugnazione (sempre che la relativa disciplina lo consenta). ».
Pertanto, ha osservato la Corte, « i dati informativi riferibili a fonti mai dedotte in giudizio dalle parti (un testimone che non è mai stato dedotto o, pur essendolo stato, non è stato mai sentito; un documento che non è mai stato richiamato o che, pur essendo stato richiamato, non è mai stato prodotto, ecc.), ovvero i dati informativi che si riferiscono a fonti appartenenti al processo (uno specifico documento, in concreto ritualmente depositato; un determinato testimone, in concreto regolarmente escusso, ecc.), ma che si sostanziano nell’elaborazione di contenuti informativi che non si lasciano in alcun modo ricondurre, neppure in via indiretta o mediata, alla fonte alla quale il giudice di merito ha viceversa inteso riferirle, non possono essere legittimamente posti a fondamento di una decisione di merito. Se ciò avviene, va riconosciuta alla parte interessata, una volta esaurito il corso dei giudizi di merito, la possibilità di farne denuncia a questa Corte. Diversamente opinando, in sede di legittimità, del tutto paradossalmente, sarebbe non censurabile la sentenza del giudice di merito che abbia utilizzato informazioni probatorie che non esistono nel processo: una simile decisione, infatti, sfuggirebbe
all’ambito di applicabilità sia dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (trattandosi di fatti il cui esame non fu omesso) che dell’art. 395 n. 4 c.p.c. (trattandosi di fatti su cui il giudice di merito si è espressamente pronunciato).
Resta inteso che la violazione di legge, consistita nell’avvenuta illegittima decisione della causa sulla base di prove inesistenti (art. 115 c.p.c.), è deducibile sempre che la parte interessata abbia assolto ad un duplice onere: quello di prospettare, sul piano argomentativo, l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti al giudizio i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; nonché quello di specificare in che modo la sottrazione al giudizio di detti contenuti informativi (illegittimamente utilizzati dal giudice) si converta in un percorso argomentativo destinato a condurre ad una decisione a sé necessariamente favorevole. Il che si traduce nella più volte ribadita necessità che l’errore commesso dal giudice di merito nella percezione della prova sia stato decisivo, cioè un errore in assenza del quale la decisione del giudice di merito sarebbe stata diversa, non già in termini di mera probabilità, ma in termini di assoluta certezza. ».
Orbene, nel caso di specie, il ricorrente ha correttamente denunciato la nullità della sentenza impugnata anche per violazione dell’art. 115 c.p.c. , nella parte in cui il tribunale ha erroneamente percepito la documentazione prodotta in giudizio; e, altrettanto correttamente, ha sostenuto che detto passaggio motivazionale tradisce l’errore di percezione sul contenuto oggettivo delle prove documentali nel quale è incorso il giudice del merito.
Ne consegue che, nel caso sotteso all’odierno ricorso, il Tribunale di Ancona è incorso in un errore di percezione laddove ha affermato ( nell’ultimo periodo di p ag. 5 dell’ordinanza impugnata ): « Tanto chiarito, va peraltro rilevato che l’avv. COGNOME non ha documentato l’intera attività svolta in giudizio, infatti, ha prodotto esclusivamente la comparsa di costituzione e risposta e la sentenza conclusiva del giudizio medesimo, omettendo di fornire gli elementi necessari ad una compiuta liquidazione delle spese processuali. ». Occorre ribadire che l’errore in cui è incorso il tribunale nel fraintendere l’oggettivo contenuto delle prove documentali (non avvedendosi di tutta la documentazione prodotta già in fase di procedimento monitorio, ed ulteriore rispetto alla comparsa di risposta e
alla sentenza definitoria della causa presupposta) – che è stato oggetto di discussione in sede di merito e che, dunque, non è censurabile come errore revocatorio – non integra un errore di valutazione delle prove (in quanto non cade sul ‘ demonstrandum ‘ ), ma si risolve in un errore di percezione del loro contenuto oggettivo (in quanto cade sul ‘ demonstratum ‘ ). Detto errore – in termini di elaborazione di contenuti informativi non riconducibili in alcun modo, neppure in via indiretta o mediata, ai documenti prodotti – è stato correttamente censurato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., avendo dato luogo ad un ‘ error in procedendo ‘ , concretando la violazione dell’art. 115 c.p.c., che impone al giudice del merito di porre a fondamento della decisione le prove – e dunque non solo gli elementi e/o i mezzi di prova, ma i risultati della prova, intesi nella loro obiettività – che siano stati ritualmente e in concreto acquisiti e discussi.
8.- Per le ragioni che precedono, accolto nei termini sopra indicati il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbiti i restanti (in quanto logicamente subordinati rispetto al secondo), l’ordinanza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure accolte e la causa deve essere rinviata al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, affinché proceda a nuovo esame della vicenda, alla luce dei principi di diritto sopra enucleati.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo, assorbiti i restanti; cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione