Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9619 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9619 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 5257/2019 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
Provincia di Frosinone, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Roma n. 4106/2018 pubblicata il 16 novembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME ha adito con ricorso il Tribunale di Frosinone, esponendo di essere stata avviata al lavoro quale LSU in virtù di delibera del 4 novembre 1996, con qualifica e mansioni di operaio generico di terzo livello, ma di avere svolto, dal 4 gennaio 1997, lavoro subordinato alle dipendenze della Provincia di Frosinone.
La ricorrente ha chiesto di accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di fatto tra le parti, con condanna dell’Ente al pagamento delle differenze retributive e contributive.
Il Tribunale di Frosinone, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 224/2015, ha accolto il ricorso.
La Provincia di Frosinone ha proposto appello che la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 4106/2018, ha accolto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi.
La Provincia di Frosinone si è difesa con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo e il secondo motivo che, per ragioni di connessione, possono essere trattati congiuntamente, la ricorrente lamenta la nullità e/o inesistenza della motivazione e la violazione degli art. 111 Cost. e 132 c.p.c. perché la premessa e la motivazione della sentenza impugnata sarebbero ‘ scollegate ‘ dai fatti di causa.
Sostiene che la corte territoriale avrebbe deciso la causa utilizzando, tramite la tecnica del copia/incolla, la motivazione di altro precedente, concernente un LSU addetto alla manutenzione stradale che aveva chiesto di essere inquadrato nella categoria A del CCNL enti locali.
Al contrario, ella avrebbe svolto mansioni di impiegata di livello B3 prima presso l’istituto tecnico industriale di Isola de Liri, poi presso l’Ufficio Tributi TOSAP/COSAP e, infine, presso la Segreteria della Fondazione COGNOME di Arpino.
In realtà, il caso descritto dalla Corte d’appello di Roma sarebbe stato definito dalla medesima Corte in altro giudizio con sentenza n. 3265/2017, in effetti richiamata in motivazione ex art. 118 disp. att. c.p.c.
La sentenza, quindi, sarebbe stata basata su circostanze verificatesi in altro procedimento.
Le censure sono inammissibili.
La sentenza di merito può essere motivata mediante rinvio ad altro precedente dello stesso ufficio in quanto il riferimento ai ‘precedenti conformi’ contenuto nell’art. 118 disp. att. c.p.c. non deve intendersi limitato ai precedenti di legittimità, ma si estende anche a quelli di merito, ricercandosi per tale via il beneficio di schemi decisionali già compiuti per casi identici o per la risoluzione di identiche questioni, nell’ambito di un più ampio disegno di riduzione dei tempi del processo civile; in tal caso, la motivazione del precedente costituisce parte integrante della decisione, sicché la parte che intenda impugnarla ha l’onere di compiere una precisa analisi anche delle argomentazioni che vi sono inserite mediante l’operazione inclusiva del preced ente, alla stregua dei requisiti di specificità propri di ciascun modello di gravame, previo esame preliminare della sovrapponibilità del caso richiamato alla fattispecie in discussione (Cass., Sez. 3, n. 29017 del 20 ottobre 2021).
Nella specie, nel contestare il vizio motivazionale, la ricorrente si è limitata a fare riferimento a presunti errori materiali nella redazione della sentenza impugnata, ma nulla ha detto quanto alle argomentazioni giuridiche del precedente richiamato, che pure sono parte della motivazione de qua la quale, quindi, al massimo può essere considerata insufficiente, ma non inesistente, apparente o, comunque, ‘scollegata’ dai fatti di causa.
2) Con il terzo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. perché la sentenza impugnata non avrebbe esaminato la circostanza, fondamentale e incontestata, consistente nello svolgimento di mansioni di impiegata amministrativa presso gli uffici dell’ente appellante quanto meno a decorrere dal novembre 1998, data in cui sarebbe stata adibita all’ufficio tributi TOSAP/COSAP.
La fondatezza della censura si ricaverebbe dall’esame dell’atto di appello della P.A. che, a pagina 9, avrebbe ammesso detta collocazione della dipendente, dall’allegato 4 al ricorso introduttivo di 1° grado delibera 394/2003, a pagina 12, dall’allegato 6 al medesimo ricorso delibera 25/2015, a pagina 1, dalla
disposizione di servizio del 13 marzo 2007 e dalle deposizioni dei testi COGNOME ed COGNOME
La decisività della citata circostanza emergerebbe dal fatto che il giudice di appello avrebbe motivato la sua decisione sul presupposto che la medesima ricorrente avesse svolto le mansioni di operaia generica addetta alla manutenzione stradale e che tali mansioni corrispondessero a quelle indicate nel progetto originario.
La Corte d’appello di Roma, inoltre, non avrebbe tenuto conto dei progetti LSU da lei depositati su ordine dello stesso giudice.
Il motivo è accolto nei termini che seguono.
La decisione contestata ha omesso di valutare la circostanza, regolarmente allegata e, in effetti, sostanzialmente ammessa nel ricorso in appello della P.A., che la ricorrente svolgeva attività impiegatizia presso la Provincia di Frosinone, avendo ritenuto, erroneamente, che avesse esercitato le mansioni di operaia addetta alla manutenzione del manto stradale.
Si tratta di una non valutazione, che attiene a una circostanza che è stata oggetto di causa (le mansioni svolte dalla ricorrente) e che, quindi, non è contestabile con il rimedio della revocazione, ma, appunto, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., ossia per omesso esame di fatto sostanziale.
Al riguardo, argomenti a favore della posizione delle ricorrente possono trarsi dalla recente giurisprudenza secondo la quale il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trov a il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c .p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass., SU, n. 5792 del 5 marzo 2024).
Nella specie, il giudice ha supposto l’esistenza di una circostanza (l’espletamento di mansioni di addetta alla manutenzione stradale) che, con
evidenza, non trova riscontro nelle allegazioni di causa e la cui verità è, dunque, incontrastabilmente esclusa, atteso che il fatto posto a sostegno della decisione, quantunque il giudice abbia deciso, non esiste nei termini in cui egli lo ha recepito; al contrario, il fatto esistente (l’attività impiegatizia) non è stato neppure considerato nella sua oggettività, ma ogni valutazione sul punto è stata omessa. L’ammissibilità, in questa circostanza, di un ricorso per cassazione si fonda sull’affermazione secondo cui, se l’errore è frutto di un’ omessa percezione del fatto, essa è censurabile ex articolo 360, n. 5, c.p.c., se si riferisca a fatti sostanziali, ovvero ex articolo 360, n. 4, c.p.c., ove si tratti di omesso esame di fatti processuali (in tali termini Cass., n. 14610 del 26 maggio 2021; Cass., n. 17110 del 21 luglio 2010). Tale assunto va esteso al caso in cui il giudice di merito abbia supposto un non-fatto, un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l’ inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, con la finale precisazione che un simile errore, che si è detto essere commissivo, è pur sempre omissivo dall’angolo visuale del risultato che determina nel giudizio.
L’accoglimento di questa parte della doglianza rende non necessario l’ulteriore esame della stessa.
Con il quarto motivo si deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto si addebita alla sentenza impugnata di non avere esaminato la documentazione prodotta in ordine al progetto di ‘recupero e manutenzione del patrimonio artistico, edilizio e vario provinciale, tutela ambientale e servizi alle scuole’, in relazione al quale la ricorrente era stata avviata al lavoro .
Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte d’appello di Roma erroneamente affermato che sarebbe stato onere della ricorrente produrre il progetto LSU; in particolare, la ricorrente sostiene che, provato l’assogget tamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore, incombe a quest’ultimo dimostrare che la prestazione sia stata validamente resa sulla base di un titolo diverso.
Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2126 c.c. perché avrebbe dovuto trovare applicazione la norma indicata in
rubrica una volta dimostrato che il rapporto di fatto si era svolto per oltre tredici anni nelle forme della subordinazione e che la ricorrente era stata utilizzata per fronteggiare esigenze di carattere ordinario.
Infine, con il settimo mezzo, si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 116 c.p.c., perché sarebbe mancata ogni statuizione sulla domanda subordinata formulata ai sensi dell’art. 2041 c.c.
Le censure non devono essere esaminate alla luce dell’accoglimento del terzo motivo di ricorso.
Il ricorso è accolto quanto al terzo motivo, nei termini di cui in motivazione, inammissibili il primo e il secondo, assorbite le restanti censure.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in