Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22229 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22229 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 28948-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , già RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
Oggetto
Art. 28 St.lav.
R.G.N.28948/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 19/06/2024
CC
avverso la sentenza n. 61/2019 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 04/07/2019 R.G.N. 102/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/06/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione di primo grado che, nell’ambito di un procedimento ex art. 28 St. lav., aveva respinto l’opposizione di RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto con cui il giudice della fase sommaria aveva dichiarato, in favore della organizzazione sindacale RAGIONE_SOCIALE, la condotta antisindacale della società in relazione al mancato versamento delle quote associative sindacali a mezzo di trattenute sulla retribuzione;
la Corte territoriale, in estrema sintesi, ha condiviso con il primo giudice la sussistenza di indici rilevanti ai fini del riconoscimento della legittimazione ad agire con lo strumento dell’art. 28 l. n. 300 del 1970 il RAGIONE_SOCIALE istante;
in adesione, poi, agli orientamenti della Corte di legittimità, ha qualificato lo schema realizzato nella fattispecie come ‘cessione di credito della quota di retribuzione pari ai contributi sindacali dovuti ai sensi dell’art. 1260 c.c., in funzione di pag amento, cioè in funzione dell’adempimento dell’obbligazione sorta in capo al lavoratore con il negozio di adesione all’organizzazione sindacale’;
ha escluso che la società datrice avesse provato ‘l’aggravamento della posizione del debitore ceduto’, avendola unicamente dedotta;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società soccombente con quattro motivi; ha resistito l’intimata organizzazione sindacale con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
1. i motivi di ricorso possono essere sintetizzati come di seguito; 1.1. con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 28 St. lav., dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’eccepito difetto del RAGIONE_SOCIALE istante a promuovere procedimenti ex art. 28 l. n. 300 del 1970, criticando la sentenza della i mpugnata ‘nella parte in cui, in modo apodittico e senza alcuna motivazione, ha riconosciuto la legittimazione ad agire, ai sensi dell’art. 28 St. lav. al RAGIONE_SOCIALE agente RAGIONE_SOCIALE‘, facendo derivare la decisione ‘non da un approfondito esame delle risultan ze istruttorie e della documentazione prodotta da USB’; 1.2. col secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., 1367 c.c., in riferimento all’art. 39, 1° comma, Cost., con conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 1260 ss. c.c., impugnando la sentenza resa dalla Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE nella parte in cui si qualifica, come cessione del credito, la richiesta che un lavoratore iscritto a RAGIONE_SOCIALE aveva rivolto alla società, di versare all’organizzazione sindacale le quote associative distraendole dalla retribuzione dovuta per un importo di 13 euro al mese, per 13 mensilità all’anno, per tre anni;
1.3. il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 1260, comma 1, c.c.,
in riferimento agli artt. 1 e 5 T.U. n. 180/1950, dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, in riferimento agli artt. 52, 1 e 5 del medesimo testo unico;
1.4. il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. degli artt. 1260, comma 1, c.c., in riferimento agli artt. 1196 e 1175 c.c., nonché violazione dell’art. 132 c.p.c.; si deduce che la società, quale argomentazione gradata, fin dalla fase sommaria ex art. 28 St. Lav., aveva osservato che, secondo i principi cardine del nostro ordinamento, non può ritenersi che il debitore di una obbligazione pecuniaria sorta unitaria, qual è il corrispettivo retributivo mensile, sia tenuto a sopportare i costi scaturenti dalla cessione parziale di detta obbligazione, che comporta uno sdoppiamento degli atti di adempimento; per tale motivo la società chiedeva che, qualora fosse stata tenuta, per effetto della decisione giudiziale, a dar corso al versamento della quota associativa al RAGIONE_SOCIALE, venisse dichiarato il diritto a trattenere un importo corrispondente al costo teorico, da determinare secondo gli accertamenti istruttori ritenuti necessari o, in subordine, secondo equità, connesso agli incombenti amministrativi reiterati (con cadenza mensile), funzionali alla contabilizzazione e al versamento della quota di credito ceduta; si eccepisce che la Corte molisana ‘aveva il dovere di statuire in punto, determinandone il quantum in via equitativa’;
il ricorso non può trovare accoglimento per le ragioni già espresse da questa Corte (cfr. Cass. n. 24877 del 2019) avuto riguardo a ricorso per cassazione proposto nei confronti della medesima organizzazione sindacale con censure sostanzialmente sovrapponi bili a quelle all’attenzione di questo Collegio;
3.1. quanto al primo motivo è opportuno ribadire che l’accertamento di fatto relativo al carattere nazionale di un’organizzazione sindacale ai fini dell’art. 28 S.d.L. è demandato al giudice di merito (v. Cass. n. 5231 del 2017; Cass. n. 6206 del 2012; Cass. n. 15262 del 2002); trattandosi di un accertamento di fatto compiuto in modo conforme in entrambi i gradi di merito, ogni RAGIONE_SOCIALE sul punto è precluso in questa sede di legittimità (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022); il passaggio motivazionale specifico in cui la sentenza impugnata conferma la valutazione del primo giudice ‘sulla base degli atti di causa’ esclude che la sentenza impugnata offra sul punto una motivazione solo “apparente”, tale da determinare la nullità della sentenza, anche perché la valutazione dei materiali probatori compete al giudice del merito e il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può essere dedotto, con riferimento all’art. 2697 cod. civ., unicamente in caso di erronea applicazione delle regole che presiedono al riparto dell’onere della prova fra le parti e non per censurare – come con il motivo in esame – gli esiti della valutazione delle risultanze istruttorie; 3.2. il secondo, il terzo e il quarto motivo, da valutarsi congiuntamente per connessione, sono infondati;
la sentenza impugnata è conforme al principio inaugurato da Cass. SS.UU. n. 28269 del 2005, con cui si è stabilito: “Il referendum del 1995, abrogativo del secondo comma dell’art. 26 dello Statuto dei lavoratori, e il susseguente D.P.R. n. 313 del 1995 non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo soltanto venuto meno il relativo obbligo. Pertanto, ben possono i lavoratori, nell’esercizio della
propria autonomia privata ed attraverso lo strumento della cessione del credito in favore del RAGIONE_SOCIALE – cessione che non richiede, in via generale, il consenso del debitore -, richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al RAGIONE_SOCIALE stesso; qualora il datore di lavoro affermi che la cessione comporti in concreto, a suo carico, un nuovo onere aggiuntivo insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale e perciò inammissibile ex artt. 1374 e 1375 cod. civ., deve provarne l’esistenza. L’eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validità e l’efficacia del contratto di cessione del credito, ma può giustificare l’inadempimento del debitore ceduto, finché il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione in modo da realizzare un equo contemperamento degli interessi. Il rifiuto del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, qualora sia ingiustificato, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta antisindacale, in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il RAGIONE_SOCIALE al quale aderire, sia il diritto del RAGIONE_SOCIALE stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività” (conf., tra molte, Cass. n. 13250 del 2006; Cass. n. 16186 del 2006; Cass. n. 16383 del 2006; Cass. n. 19275 del 2008; Cass. n. 21368 del 2008);
inoltre, con specifico riguardo al terzo mezzo di gravame, va ribadito: “In tema di riscossione di quote associative sindacali dei dipendenti pubblici e privati a mezzo di trattenuta ad opera del datore di lavoro, l’art. 52 del D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, come modificato dall’art. 13 bis del d.l. 14 marzo 2005 n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005 n. 80, nel disciplinare tutte le cessioni di credito da parte dei lavoratori dipendenti,
non prevede limitazioni al novero dei cessionari, in ciò differenziandosi da quanto stabilito dall’art. 5 del medesimo D.P.R., per le sole ipotesi di cessioni collegate all’erogazione di prestiti. Ne consegue che è legittima la suddetta trattenuta del datore di lavoro, attuativa della cessione del credito in favore delle associazioni sindacali, atteso, altresì, che una differente interpretazione sarebbe incoerente con la finalità legislativa antiusura posta a garanzia del lavoratore che, altrimenti, subirebbe un’irragionevole restrizione della sua autonomia e libertà sindacale” (Cass. n. 2314 del 2012; Cass. n. 20723 del 2013; Cass. n. 18548 del 2015);
2.3. rispetto a tali princìpi coerentemente applicati al caso di specie, il secondo motivo propone una diversa valutazione di un documento (la comunicazione del lavoratore iscritto al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e indirizzata all’azienda), inammissibile in questa sede, mentre il quarto motivo, nella sostanza, lamenta una omessa pronuncia della Corte territoriale che, oltre a dover essere prospettata nelle forme previste dal n. 4 dell’art. 360 c.p.c., avrebbe dovuto essere supportata dalla specifica indicazione del contenuto degli atti processuali attraverso i quali la domanda era stata introdotta nel giudizio, oltre che sorretta dalla illustrazione delle ragioni per le quali la stessa fosse da considerarsi ammissibile nell’ambito del procedimento speciale di repressione della condotta antisindacale;
conclusivamente il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con condanna della società alle spese secondo il criterio della soccombenza, liquidate come da dispositivo, con attribuzione agli avvocati COGNOME e COGNOME che si sono dichiarati antistatari;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n.
228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 19 giugno