LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Trattenute sindacali: il rifiuto del datore è illegittimo

La Corte di Cassazione ha confermato che il rifiuto di un’azienda di effettuare le trattenute sindacali richieste da un lavoratore costituisce condotta antisindacale. La richiesta del lavoratore è stata qualificata come una cessione di credito a favore del sindacato. L’azienda, per legittimare il proprio rifiuto, avrebbe dovuto dimostrare un aggravamento insostenibile della propria posizione, cosa che non ha fatto. La Corte ha stabilito che, anche dopo il referendum del 1995 che ha abrogato l’obbligo di trattenuta, i lavoratori possono liberamente disporre del proprio credito retributivo tramite la cessione, e il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro lede sia i diritti individuali del lavoratore sia quelli del sindacato.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Trattenute sindacali: il datore di lavoro non può rifiutarle

Il tema delle trattenute sindacali in busta paga è da tempo al centro di dibattiti legali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il datore di lavoro non può, di norma, rifiutarsi di operare la trattenuta della quota associativa sindacale richiesta dal dipendente. Un rifiuto ingiustificato, infatti, non solo costituisce un inadempimento contrattuale, ma integra una vera e propria condotta antisindacale. Analizziamo la decisione per comprendere le ragioni giuridiche e le implicazioni pratiche.

I fatti del caso

Una nota azienda del settore automobilistico si era opposta alla richiesta di un proprio dipendente di versare, tramite trattenuta sulla retribuzione, i contributi a favore di un’organizzazione sindacale. Il sindacato, ritenendo lesi i propri diritti e quelli del lavoratore, aveva avviato un procedimento per condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.

La decisione nei gradi di merito

Sia il Tribunale in prima istanza che la Corte di Appello avevano dato ragione all’organizzazione sindacale. I giudici hanno stabilito che la condotta dell’azienda era illegittima. Hanno qualificato la richiesta del lavoratore non come una semplice delega, ma come una cessione di credito: il dipendente, creditore della propria retribuzione, cede una parte di questo credito (la quota sindacale) al sindacato. L’azienda, in qualità di debitore, è tenuta a versare tale quota direttamente al nuovo creditore, ovvero l’organizzazione sindacale. L’azienda ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, un aggravamento della propria posizione a causa degli oneri amministrativi derivanti dalla gestione della trattenuta.

L’analisi della Cassazione sulle trattenute sindacali

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando le decisioni precedenti e consolidando un orientamento giurisprudenziale ormai stabile.

La trattenuta come cessione del credito

Il punto centrale della decisione è la qualificazione giuridica della richiesta del lavoratore. La Corte ha confermato che si tratta di una cessione del credito, uno strumento previsto dall’art. 1260 c.c. che, di regola, non richiede il consenso del debitore (il datore di lavoro). Il lavoratore esercita la propria autonomia privata per disporre di una parte del proprio credito retributivo.

L’onere della prova a carico del datore

La Cassazione ha chiarito che, se il datore di lavoro sostiene che la cessione del credito comporti un onere aggiuntivo insostenibile per la propria organizzazione aziendale, ha l’onere di provarlo concretamente. Non è sufficiente una mera allegazione. Nel caso di specie, l’azienda non ha fornito alcuna prova di tale aggravamento, limitandosi a dedurlo. Pertanto, il suo rifiuto è stato considerato ingiustificato.

L’irrilevanza del referendum del 1995

Un altro aspetto cruciale riguarda l’impatto del referendum del 1995, che abrogò il secondo comma dell’art. 26 dello Statuto dei Lavoratori, eliminando l’obbligo per il datore di lavoro di effettuare le trattenute. La Corte, richiamando una storica sentenza delle Sezioni Unite (n. 28269/2005), ha ribadito che l’abrogazione ha fatto venir meno l’obbligo legale, ma non ha introdotto un divieto. I lavoratori rimangono liberi di utilizzare lo strumento della cessione del credito per finanziare il sindacato a cui scelgono di aderire.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla tutela di diritti di rilevanza costituzionale. Il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro pregiudica sia il diritto individuale del lavoratore di scegliere liberamente a quale sindacato aderire (e come finanziarlo), sia il diritto del sindacato stesso di acquisire i mezzi necessari per svolgere la propria attività. Tale comportamento, andando a ostacolare concretamente l’attività sindacale, si configura come condotta antisindacale, reprimibile ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio di diritto del lavoro. Il datore di lavoro non può opporre un rifiuto pretestuoso alla richiesta di trattenute sindacali. Tale richiesta, inquadrata come cessione di credito, è un legittimo esercizio dell’autonomia privata del lavoratore. Solo la prova rigorosa di un onere organizzativo insostenibile può giustificare un diniego, ma in assenza di tale prova, il rifiuto è illegittimo e sanzionabile come condotta antisindacale. La decisione rafforza la libertà sindacale, garantendo alle organizzazioni e ai loro iscritti uno strumento essenziale di autofinanziamento.

Un datore di lavoro può rifiutarsi di effettuare le trattenute sindacali sulla busta paga di un dipendente?
No, di norma non può. Il rifiuto è considerato ingiustificato se l’azienda non prova che l’operazione comporta un onere aggiuntivo concreto e insostenibile per la propria organizzazione. Un rifiuto immotivato può configurare condotta antisindacale.

L’abrogazione tramite referendum dell’obbligo di trattenuta sindacale impedisce ai lavoratori di richiederla?
No. Il referendum del 1995 ha rimosso l’obbligo legale per il datore di lavoro, ma non ha introdotto un divieto. I lavoratori possono ancora, nell’esercizio della loro autonomia privata, chiedere la trattenuta attraverso lo strumento della cessione del credito al sindacato.

Come viene qualificata giuridicamente la richiesta del lavoratore di versare la quota sindacale tramite trattenuta in busta paga?
La Corte di Cassazione la qualifica come una cessione del credito (art. 1260 c.c.). Il lavoratore, che è creditore dello stipendio, cede una parte del suo credito (la quota associativa) al sindacato, che diventa il nuovo creditore per quella specifica somma. Il datore di lavoro è tenuto a pagare tale quota direttamente al sindacato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati