Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26607 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 26607 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17902-2022 proposto da:
Oggetto
Rapporto di lavoro privato -risarcimento danni causati dal lavoratorecompensazione impropria -limiti derivanti dalla contrattazione collettiva
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 08/07/2025
CC
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME;
– intimato – avverso la sentenza n. 281/2021 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 05/01/2022 R.G.N. 171/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/07/2025 dal AVV_NOTAIO.
Fatti di causa
Il Tribunale di Bergamo, per quanto qui ancora rileva, respingeva il ricorso proposto da NOME COGNOME diretto, tra l’altro, all’accertamento dell’illegittimità della sanzione disciplinare e delle trattenute sulla retribuzione operate dalla datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE e alla condanna della stessa alla restituzione della totale somma di € 3.288,52.
La vicenda era collegata al danneggiamento da parte del lavoratore (con rapporto di lavoro a termine dal 15.4 al 14.7.2019, mansioni di magazziniere, inquadramento come operaio V livello CCNL RAGIONE_SOCIALE) di muletto utilizzato per le operazioni di carico e scarico della merce; la datrice di lavoro aveva indicato nella contestazione disciplinare (rimprovero scritto) di avere sostenuto un esborso per la riparazione del mezzo e applicato due trattenute (la prima di € 1.352, la seconda di € 1.498) in busta paga a titolo di risarcimento del danno, corrispondenti all’importo di cui sopra (€ 2.850 e accessori).
La Corte d’Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava la società al pagamento in favore del lavoratore della somma di € 1.352, oltre accessori, giudicando contraria alla normativa collettiva l’applicazione della corrispondente prima trattenuta, operata prima della comunicazione (tentata) della sanzione disciplinare alla sua base, ferma la legittimità della seconda trattenuta.
Per la cassazione della sentenza d’appello la società ricorre con quattro motivi; controparte non si è costituita nel presente giudizio; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970 e del contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile (art. 32 CCNL Autotrasporto merci e logistica); sostiene erronea lettura e interpretazione del CCNL da parte della Corte distrettuale, anche in virtù dell’accordo di rinnovo del 3.12.2017, il quale prevede ulteriori disposizioni in ordine alla possibilità di operare una compensazione per il tramite di trattenuta da parte del datore di lavoro, prevedendo il diritto al risarcimento del danno a prescindere dalla colpa grave o dolo, sino a un ammontare di € 3.500; pertanto, la Corte distrettuale avrebbe errato nel considerare illegittimi i termini e modi utilizzati dal datore di lavoro in ordine alla corretta procedura disciplinare.
2. Con il secondo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 1218, 1362, 1363, 1453 c.c. in relazione alle norme del contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile (art. 32 CCNL Autotrasporto merci e logistica) per omessa pronuncia sulla domanda di riduzione o compensazione del risarcimento liquidato al lavoratore e sulla domanda riconvenzionale, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; sostiene che, una volta riconosciuta la sussistenza della responsabilità del lavoratore in ordine al danneggiamento del muletto e stabilita l’illegittimità solo della prima trattenuta effettuata dal datore di lavoro (sulla mensilità di giugno 2019), la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi in ordine alla domanda riconvenzionale e subordinata nel primo grado di giudizio e riproposta in via incidentale in appello, in
ordine all’accertamento della responsabilità del lavoratore per i danni provocati e per il risarcimento del danno.
I suddetti primi due motivi, da trattare congiuntamente per connessione, non sono meritevoli di accoglimento.
Essi non si confrontano adeguatamente con l’articolata motivazione della sentenza impugnata, che, chiaramente, non ha posto in dubbio la responsabilità del lavoratore per il danno causato (specificando che ‘ non è più in contestazione la sussistenza della responsabilità dell’appellante in ordine al danneggiamento del muletto in difetto di uno specifico motivo di appello sul punto ‘), né la possibilità per il datore di lavoro di operare una compensazione per il tramite di trattenuta.
Piuttosto, la Corte di Brescia si è soffermata sull’interpretazione delle pertinenti disposizioni del CCNL applicato al rapporto, secondo due snodi motivazionali, che resistono, anche per mancata compiuta e adeguata critica degli stessi, ai motivi di ricorso per cassazione.
Segnatamente, la sentenza impugnata ha evidenziato (p. 9) che ‘ l’irrogazione della sanzione disciplinare da parte del datore di lavoro si sostanzia in una manifestazione unilaterale della determinazione datoriale di esercizio del potere disciplinare che, in quanto destinata a incidere sulla posizione del lavoratore, è produttiva di effetti se comunicata all’interessato. In altre parole, in tanto un provvedimento disciplinare è adottato dal datore di lavoro in quanto viene anche comunicato al lavoratore, il quale ha facoltà di accettarlo o di contestarlo e impugnarlo. Sotto questo aspetto, dunque, non può essere seguito il ragionamento del giudice che ha distinto la mera ‘adozione’ della sanzione disciplinare dalla ‘comunicazione’ della stessa, non essendo co nfigurabile alcun provvedimento sul piano disciplinare se la volontà datoriale di
esercizio del potere disciplinare non viene esternata mediante la comunicazione all’interessato del provvedimento ‘; e che (p. 18) ‘ poiché la volontà delle parti sociali espressa nella disposizione del CCNL applicato nel rapporto di lavoro ha previsto, quale unica possibilità per il datore di lavoro di far valere il risarcimento del danno derivante da un comportamento inadempiente del lavoratore, la preventiva irrogazione della sanzione disciplinare in funzione di garanzia del lavoratore subordinato e posto che, nel caso specifico e per quanto sopra espresso, il datore di lavoro non ha rispettato tale previsione procedendo direttamente a incamerare a titolo risarcitorio la somma di € 1.352,00 ancor prima di adottare la sanzione del rimprovero scritto, ne deriva il rigetto della domanda risarcitoria subordinata, da ritenersi preclusa all’appellata nel caso concreto ‘.
Pertanto, non si tratta di questione di responsabilità del lavoratore e di omessa pronuncia sul punto, essendo l ‘affermazione di responsabilità, al contrario , passata in giudicato. Si tratta, invece, di lettura della norma contrattuale collettiva in rapporto ai principi generali in materia di procedimento disciplinare. In relazione al comportamento datoriale, come accertato in fatto, di attivazione della trattenuta prima di comunicare la contestazione disciplinare, e ritenuto dalla Corte di Brescia illegittimo, parte ricorrente non spiega dove e perché tale ragionamento sarebbe errato in rapporto alla norma contrattuale collettiva applicata.
Con il terzo motivo, parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto processuale (artt. 112, 418, 436 e 436-bis c.p.c.) per omessa fissazione di una nuova udienza di discussione e per conseguente omessa pronuncia a seguito di interposizione di appello incidentale riproponente la
domanda riconvenzionale del primo grado, con relativa istanza ex artt. 418 e 436 c.p.c., con conseguente nullità del procedimento e così anche della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
9. Il motivo è infondato.
10. Non è previsto dall’art. 436 c.p.c. il differimento dell’udienza in caso di proposizione di appello incidentale (a differenza del caso di proposizione di domanda riconvenzionale in primo grado, ai sensi dell’art. 418 c.p.c., norma peraltro non richiamata d all’art. 436 cit.).
11. Piuttosto, nelle controversie soggette al rito del lavoro, la proposizione dell’appello incidentale (alla stessa stregua, peraltro, di quello principale) si perfeziona, ai sensi dell’art. 436 c.p.c., con il deposito, nel termine previsto dalla legge, del ricorso nella cancelleria del giudice ad quem , che impedisce ogni decadenza; qualora sia osservata la tempestività nel deposito dell’appello incidentale, ma la parte non abbia provveduto alla rituale notificazione della memoria che lo contiene almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata per la discussione, per averla omessa o per essere stata la stessa invalidamente eseguita, il giudice di appello deve concedere all’appellante incidentale nuovo termine per la notificazione, sempre che la controparte presente all’udienza non vi rinunci, accettando il contraddittorio o limitandosi a chiedere un congruo rinvio, trattandosi comunque di termine fissato a garanzia del diritto di difesa dell’appellante principale (Cass. n. 11888/2007, n. 2075/2025; v. anche Cass. n. 21881/2020). Nel caso in esame, non constano né problemi di notifica, né richieste di rinvio da parte dell’appellante principale .
12. Con il quarto motivo, la società ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per
erronea interpretazione delle norme sulla condanna alle spese e per omessa motivazione sulla ripartizione delle spese legali (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), errore di liquidazione delle spese di lite, omessa motivazione adeguata in ordine alla ripartizione delle spese legali tra le parti.
13. Il motivo è infondato.
Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia il provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti minimi e massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613/2017, n. 26912/2020, n. 21632/2023).
Nella controversia in esame, la ragione della parziale compensazione è stata congruamente ancorata alla parziale riforma della sentenza di primo grado. Né risulta violazione dei minimi o massimi tabellari.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata costituzione di controparte in questa sede.
Al rigetto del ricorso consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, e dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale dell’8 luglio 2025.
La Presidente dr.ssa NOME COGNOME