Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11716 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11716 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
Oggetto
Insegnanti tecnico pratici della scuola secondaria superiore con funzioni di insegnanti di sostegno Trattamento retributivo
R.G.N.12789/2021
COGNOME
Rep.
Ud.19/02/2025
CC
sul ricorso 12789-2021 proposto da:
COGNOME COGNOME NOME COGNOME FOTI COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA
– intimato – avverso la sentenza n. 695/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 05/11/2020 R.G.N. 1417/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L a Corte d’Appello di Milano ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe, tutti docenti di sostegno a tempo indeterminato inquadrati nel ruolo degli insegnanti tecnico pratici, i quali avevano convenuto in giudizio il Ministero dell’Istruzione chiedendo, in via principale, di essere «inquadrati nel profilo dei docenti di sostegno delle scuole superiori di secondo grado (c.d. ex VII livello)», con conseguente diritto a percepire il trattamento economico corrispondente, a decorrere dalla data di immissione in ruolo (avvenuta per alcuni nell’anno scolastico 2016/2017 e per altri nell’anno scolastico 2017/2018), ed in via subordinata la condanna al pagamento delle sole differenze retributive per avere svolto, a partire dalla data di instaurazione del rapporto a tempo indeterminato, le medesime attività degli insegnanti di sostegno in possesso del titolo di specializzazione e della laurea. 2. I l Tribunale aveva ritenuto ostativa all’accoglimento della domanda principale la disciplina dettata dall’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 e, quanto alla domanda subordinata, aveva richiamato il principio secondo cui è consentito alla contrattazione collettiva prevedere, anche a parità di mansioni, trattamenti differenziati che tengano conto del titolo di studio, della diversità di percorsi formativi, delle specifiche esperienze e carriere professionali.
La Corte territoriale ha condiviso le conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di prime cure e, dopo aver escluso la giuridica possibilità di attribuire agli appellanti un
inquadramento diverso da quello previsto al momento della assunzione, ha aggiunto che l’attuale sistema di classificazione del personale ha determinato il definitivo superamento di quello fondato sulle qualifiche funzionali e che, quanto all’asserita disparità di trattamento con i docenti di sostegno laureati, era assorbente rispetto ad ogni altra considerazione, la mancata prova della «identità di attività professionale e/o di apporto lavorativo e/o di modalità esecutive dell’insegnamento», che non poteva ritenersi pacifica e incontestata, stante la contumacia in primo grado del resistente, il quale, costituendosi nel giudizio di appello, aveva concluso per il rigetto della domanda, ritenuta infondata e non provata.
4. Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria, ai quali il Ministero dell’Istruzione e del Merito non ha opposto difese, rimanendo intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I n premessa i ricorrenti eccepiscono l’illegittimità costituzionale dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come modificato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost. nonché con l’art. 6 della CEDU . Sostengono che la previsione del solo vizio di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» lede il diritto di difesa, perché impedisce alla parte di denunciare l’illogicità, l’insufficienza e la con traddittorietà della motivazione e contrasta anche con il diritto al giusto processo, sancito dalla Convenzione Europea.
1.1. Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 36 Cost., nonché degli artt. 52 e 35 del d.lgs. n. 165/2001 e addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente richiamato il principio secondo cui nell’impiego pubblico contrattualizzato lo svolgimento di mansioni superiori non può comportare la definitiva acquisizione della qualifica, perché lo stesso art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 richiama l’inquadramento acquisito per effetto di sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive, evenienze queste ultime ricorrenti nella fattispecie in quanto i ricorrenti hanno tutti conseguito il titolo di specializzazione e sono stati immessi in ruolo per essere utilizzati in attività di sostegno.
A ggiungono che l’insegnante di sostegno è un docente specialista che si distingue dagli altri insegnanti curriculari poiché fornito di formazione specifica e, pertanto, priva di fondamento è l’attribuzione di un diverso trattamento retributivo legato al possesso o meno della laurea.
Deducono che la distinzione tra docenti diplomati e docenti laureati è giustificata in ragione della diversità delle materie di insegnamento agli stessi rispettivamente attribuite e, pertanto, risulta discriminatoria e lesiva dei principi costituzionali sanciti dagli artt. 3 e 36 Cost. se si ha riguardo al sostegno, che si svolge sempre con le medesime modalità e prescinde dalla classe di concorso per la quale il docente è abilitato.
1.2. La seconda critica denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. perché erroneamente il giudice d’appello ha ritenuto non provata l’ asserita identità delle mansioni, che non era stata contestata dal Ministero il quale aveva fatto leva unicamente sul sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e sul mancato possesso del titolo di studio. Nello sviluppo argomentativo della censura
i ricorrenti richiamano l’art. 13 della legge n. 104/1992 e insistono nel sostenere di essere transitati definitivamente nel ruolo degli insegnanti di sostegno, dopo avere conseguito il necessario diploma di specializzazione. Richiamano, poi, giurisprudenza di merito per sostenere che anche nell’impiego pubblico il trattamento retributivo deve essere corrispondente alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e ribadiscono che non è giustificata la diversità di trattamento fra docenti impegnati tutti nella attività di sostegno.
1.3. Con il terzo motivo, testualmente rubricato «omessa valutazione su un fatto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c. n. 5 in relazione all’art. 15 della legge 128/13, comma 3 bis (ex decreto istruzione 104)», i ricorrenti sostengono che con la normativa indicata in rubrica è stato consentito ai docenti muniti del titolo di specializzazione di svolgere l’attività di sostegno in tutti gli ordini di scuola superiore, senza che assuma alcun rilievo l’area disciplinar e di appartenenza. Addebitano, pertanto, alla Corte territoriale di non avere esaminato una questione rilevante e decisiva ai fini di causa, perché lo stesso legislatore ha eliminato ogni differenziazione fra insegnanti di sostegno.
I tre motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, non possono trovare accoglimento in quanto il dispositivo di rigetto delle domande proposte è conforme al principio di diritto già enunciato da Cass. n. 33237/2021, sicché il Collegio può limitarsi, ex art. 384 comma 4 cod. proc. civ., a correggere la motivazione della sentenza impugnata.
La citata pronuncia, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., in premessa ha evidenziato che l’insegnamento su posto di sostegno presuppone sempre la
titolarità di una classe di concorso o di altro insegnamento, che determina l’inquadramento rilevante anche ai fini della quantificazione del trattamento economico, atteso che il legislatore ha richiesto per l’insegnamento in parola sia l’abilitazione (distinta per ciascun grado di scuola secondaria e per ciascun ambito e classe di concorso) sia il titolo di specializzazione aggiuntivo.
Ha precisato, poi, che:
nell’impiego pubblico contrattualizzato la materia degli inquadramenti del personale è devoluta alla piena autonomia delle parti sociali, che hanno facoltà di prevedere anche trattamenti differenziati in determinate situazioni, afferenti alla peculiarità del rapporto e non censurabili attraverso l’invocazione dell’art. 45 del d.lgs. n. 165/2001 ;
nella fattispecie la diversità che sussiste tra gli insegnanti tecnico pratici ed i docenti in possesso di diploma di laurea quanto al titolo di studio ed al percorso di accesso all’insegnamento, è idonea a giustificare il trattamento differenziale di natura giuridica e retributiva;
la previsione di un’unica area della funzione docente, prevista dalla contrattazione collettiva a partire dall’art. 1 del c.c.n.l. del 4 agosto 1995, non implica, come già affermato da Cass. n. 30875/2017, la totale equiparazione «delle competenze e delle responsabilità all’interno di tale professione» e, pertanto, «la configurazione professionale del docente, ferma restando l’unicità della funzione, può essere articolata attraverso la definizione, al suo interno, di figure di sistema ovvero di particolari profili di specializzazione, relativi agli aspetti scientifici, didattici, pedagogici, organizzativi, gestionali e di ricerca»;
d) infatti, la contrattazione collettiva succedutasi nel tempo, quanto al trattamento retributivo, ha continuato a differenziare la posizione dei docenti in relazione ai diversi ordini e gradi di insegnamento (distinguendo i docenti della scuola elementare e materna, i docenti diplomati della scuola secondaria, i docenti della scuola media, i docenti della scuola secondaria superiore) e ciò esclude la configurabilità di un profilo professionale unico, perché la diversità di retribuzione, pur a fronte dell’inquadramento nell’indistinta area docente, si fonda sull’esistenza del richiamato differenziale di professionalità dei docenti collocati nelle diverse articolazioni;
e) la stessa disciplina dettata dal T.U. n. 297 del 1994, tuttora vigente ed efficace, differenzia i ruoli del personale docente e detta le regole per il passaggio dall’uno all’altro ruolo, subordinato al possesso, oltre che del titolo di studio anche dell’abilitazione richiesta per lo specifico insegnamento, il che conferma l’esistenza di una diversa professionalità che, pur nell’unicità della funzione docente, è connessa al ruolo di appartenenza;
f) con particolare riferimento agli insegnanti tecnico pratici la differente professionalità è specificamente contemplata in plurime disposizioni normative (si vedano, ad esempio, la L. n. 107 del 2015, che, all’art. 1, comma 59, prevede che: “Le istituzioni scolastiche possono individuare, nell’ambito dell’organico dell’autonomia, docenti cui affidare il coordinamento delle attività di cui al comma 57. Ai docenti può essere affiancato un insegnante tecnico-pratico” oppure il D.P.R. n. 19 del 2016, che prevede classi di concorso distinte per insegnanti tecnico pratici ed insegnanti c.d. teorici);
g) la specifica normativa dettata per gli insegnanti di sostegno, ricostruita ed analizzata da Cass. n. 16175/2019, non fa venir
meno, quanto all’inquadramento, le distinzioni correlate ai diversi ordini e gradi di istruzione nei quali il docente può essere impiegato e ciò è reso evidente dalla previsione, contenuta nell’art. 127, comma 2, del citato d.lgs. n. 297/1994 secondo cui dopo cinque anni di appartenenza al ruolo dei docenti di sostegno, gli insegnanti possono chiedere il trasferimento al ruolo comune, nel limite dei posti disponibili e vacanti delle dotazioni organiche;
il trattamento retributivo dell’insegnante di sostegno resta, quindi, legato al ruolo di appartenenza perché, altrimenti, si determinerebbe una violazione delle norme disciplinanti l’accesso alle varie classi di concorso.
2.1. Il ricorso e la memoria depositata ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ. non prospettano argomenti idonei a sollecitare una rimeditazione del principio già enunciato, condiviso dal Collegio ed al quale va data continuità. In particolare l’argomento dirimente per escludere l’invocata equiparazione ai docenti laureati della scuola secondaria è quello fondato sulla riserva alla contrattazione collettiva della materia dell’inquadramento e del trattamento retributivo e la contrattazione, anche successiva alle m odifiche normative intervenute a disciplinare l’accesso ai concorsi e le modalità di conseguimento del titolo abilitante, ha lasciato immutata la distinzione, nell’ambito dell’area docente, fra « i docenti della scuola dell’infanzia; i docenti della scuola primaria; i docenti della scuola secondaria di 1° grado; gli insegnanti tecnico-pratici e i docenti della scuola secondaria di 2° grado; il personale educativo dei convitti e degli educandati femminili » ( art. 25 del CCNL 19 aprile 2018) e l’attribuzione del trattamento retributivo a seconda dell’appartenenza alle categorie dei docenti della scuola dell’infanzia e della scuola elementare, docenti diplomati degli istituti secondari di secondo
grado, docenti di scuola media, docenti laureati degli istituti secondari di secondo grado ( si rimanda alle tabelle allegate al CCNL 19 aprile 2018 ed al CCNL 18 gennaio 2024).
In via conclusiva le argomentazioni sopra esposte hanno carattere dirimente e comportano il rigetto dell’originaria domanda, con conseguente irrilevanza della questione di illegittimità costituzionale sollevata in relazione a ll’attuale formulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
L’infondatezza del ricorso rende non necessaria la rinnovazione della notifica dell’atto introduttivo, nulla perché erroneamente indirizzata all’Avvocatura Distrettuale anziché a quella Generale dello Stato. E’ consolidato, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza del ricorso «esonera la S.C. dal disporre la rinnovazione della notificazione dello stesso nulla, poiché effettuata presso l’Avvocatura distrettuale anziché presso l’Avvocatura generale dello Stato, in applicazione del principio della ragionevole durata del processo che impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare e impedire i comportamenti che ostacolino una sollecita definizione del giudizio, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività » ( Cass. n. 7196/2025 con richiami a precedenti conformi).
Non occorre statuire sulle spese del giudizio di legittimità, in assenza di attività difensiva svolta dal Ministero, rimasto intimato.
Si deve dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ed ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali
previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione