Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11334 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 11334 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 33374-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Rettore pro tempore , elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente principale controricorrente incidentale –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIOCOGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 20/03/2024
CC
avverso la sentenza n. 603/2019 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 02/05/2019 R.G.N. 2328/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
con sentenza del 2 maggio 2019 la Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello di NOME COGNOME, già lettore di madrelingua, divenuta collaboratore esperto linguistico (CEL), avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva rigettato la domanda, nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, volta a ottenere il pagamento delle differenze retributive maturate dal 22.1.1994 con riferimento alla retribuzione di ricercatore confermato a tempo pieno ovvero di ricercatore confermato a tempo definito;
la Corte territoriale, ricostruito il quadro normativo, ha osservato che con sentenza del 28.2.2002 n. 8793, passata in giudicato, il Tribunale di Roma, aveva accolto la domanda di rideterminazione del trattamento retributivo, proposta dalla COGNOME ai sensi dell’art. 36 Cost., e aveva ritenuto congruo parametrare la retribuzione all’intero stipendio spettante al professore associato a tempo definito di prima nomina, seppure riducendola – per le differenti responsabilità – del 20%.
Ha precisato che, nei rapporti giuridici di durata, l’autorità del giudicato esplica la sua efficacia anche nel periodo successivo alla sua emanazione con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento.
Il giudice d’appello ha ritenuto che, in forza del precedente giudicato, la COGNOME fosse divenuta titolare di un trattamento economico individuale di miglior favore, salvaguardato dalla normativa succedutasi nel tempo, entro i limiti della norma di interpretazione autentica dell’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010.
Tenuto conto dei conteggi prodotti, la Corte distrettuale ha condannato quindi l’RAGIONE_SOCIALE, entro i limiti della prescrizione quinquennale, al pagamento della somma di €. 83.467,61 a titolo di differenza tra quanto previsto come trattamento economico per il professore associato a tempo definito di prima nomina, con decurtazione del 20% ai sensi della sentenza n. 8793/2002 del Tribunale di Roma, e quanto effettivamente erogato dall’RAGIONE_SOCIALE appellata.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’RAGIONE_SOCIALE sulla base di sei motivi, contrastati dalla COGNOME, la quale si oppone con ricorso incidentale condizionato sulla base di due censure.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
Considerato che:
con il primo motivo del ricorso principale si denuncia (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; la sentenza impugnata sarebbe nulla per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità del secondo motivo d’appello con cui la COGNOME aveva sollevato questioni (i.e., effetti de futuro della sentenza passata in cosa giudicata del Tribunale di Roma n. 8793 del 28.2.2002) che esorbitavano dal thema decidendum proposto con il ricorso di primo grado, il quale era incentrato solo sull’adeguamento della retribuzione rispetto alla quantità e qualità delle prestazioni di lavoro;
2. il motivo è inammissibile;
è jus receptum che il vizio di omessa pronuncia è configurabile esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, sicché non è ipotizzabile con riguardo al mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (vedi, per tutte: Cass. 12 gennaio 2016, n. 321) e non lo è neppure con riguardo a questioni rilevabili d’ufficio (quale, nella specie, inammissibilità dell’impugnazione o di singola censura in essa compresa) perché può riferirsi soltanto a un motivo di appello o una domanda o un’eccezione che solo la parte può proporre e che sia stata proposta o riproposta ritualmente (vedi: Cass. SU 11 gennaio 2008, n. 578; Cass. 6 giugno 2002, n. 8220).
Con il secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ. perché la sentenza impugnata si è pronunciata ultrapetita determinando un indebito allargamento della causa petendi (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.); in primo grado la ricorrente non aveva richiesto la retribuzione di professore associato a tempo definito decurtata del 20% (come da precedente giudicato) ma, lamentando ‘nuovamente’ l’insufficienza della retribuzione ex art. 36 Cost., aveva invocato il riconoscimento del trattamento di ricercatore confermato a tempo pieno o a tempo definito, sicché non aveva fatto valere gli effetti de futuro del pregresso giudicato; illegittima era dunque la statuizione dei giudici di secondo grado che modificava la causa petendi violando la corrispondenza tra chiesto e pronunciato;
il motivo, che denuncia l’error in procedendo nel quale la Corte distrettuale sarebbe incorsa, è formulato senza il rispetto degli oneri di specifica indicazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., perché non riporta, salvo che per le sole conclusioni, il contenuto del ricorso di primo grado
e d’appello, e non fornisce indicazioni sulla localizzazione degli atti defensionali predetti nel fascicolo processuale;
il requisito imposto dal richiamato art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. deve essere verificato anche in caso di denuncia di errores in procedendo , rispetto ai quali la Corte è giudice del «fatto processuale», perché l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012);
la parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di riportare nel ricorso, nelle parti essenziali, gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem , perché la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 20924/2019);
gli oneri sopra richiamati sono, altresì, funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione, sicché, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito della richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio nonché dei fascicoli di parte di entrambi i gradi del giudizio di merito, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione dell’esatta sede in cui il documento o l’atto sia rinvenibile (Cass. S.U. n. 25038/2013);
la recente decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 28 ottobre 2021, COGNOME ed altri contro Italia, ha escluso che l’orientamento sopra richiamato sia in sé lesivo del diritto di accesso alla giurisdizione superiore ed ha rilevato che la cosiddetta
autosufficienza del ricorso, se applicata senza cadere in eccessivo formalismo, serve a semplificare l’attività dell’organo giurisdizionale nazionale e ad assicurare nello stesso tempo la certezza del diritto nonché la corretta amministrazione della giustizia (punto 75) in quanto, consentendo alla Corte di Cassazione di comprendere il contenuto delle doglianze sulla base della sola lettura del ricorso, garantisce un utilizzo appropriato e più efficace delle risorse disponibili (punti 78, 104 e 105);
le Sezioni Unite di questa Corte, nel recepire detta sollecitazione, con la sentenza n. 8950 del 18 marzo 2022 hanno affermato che l’onere di «specifica indicazione» imposto dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. non si può «tradurre in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso», ma hanno anche ritenuto necessaria l’individuazione chiara del contenuto dell’atto;
nel caso di specie, al contrario, il ricorso è redatto, quanto al ricorso di primo grado e d’appello, in relazione alla quale va misurata la specificità dell’impugnazione, con modalità non dissimili da quelle in ragione delle quali la citata pronuncia COGNOME ed altri contro Italia ha escluso, nei punti da 103 a 105, che la dichiarazione di inammissibilità da parte della Corte di Cassazione avesse comportato violazione dell’art. 6 della Convenzione (si legge al punto 103: che, secondo la giurisprudenza interna non contestata su questo punto, i motivi di ricorso per cassazione che rinviano ad atti o a documenti del procedimento sul merito devono indicare sia le parti del testo in contestazione che l’interessato ritiene pertinenti, che i riferimenti ai documenti originali inseriti nei fascicoli depositati, allo scopo di permettere al giudice di legittimità di verificarne tempestivamente la portata e il contenuto salvaguardando le risorse disponibili).
11. Con il terzo motivo l’RAGIONE_SOCIALE lamenta l’erronea interpretazione del giudicato, costituito dalla sentenza del Tribunale di Roma, in funzione di giudice del gravame, n. 8793 del 28.2.2002 (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) nonché l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.); tale fatto decisivo sarebbe integrato dalla circostanza che la retribuzione da professore associato diminuita del 20%, di cui alla sentenza del Tribunale di Roma, cit., non integrerebbe in realtà, nel periodo 2008/2013, un «trattamento di miglior favore» ex d.l. n. 2/2004, conv. in legge n. 63/2004, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale;
12. la denuncia ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile, perché non si è qui in presenza di un omesso esame di un fatto storico ai sensi della richiamata disposizione (la Corte d’appello avendo comparato, si noti, i due trattamenti -i.e., quello di professore associato con decurtazione del 20% di cui al giudicato e quello effettivamente erogato dall’Ateneoe ha ritenuto che residuassero differenze retributive in favore della ricorrente), ma semmai di una asserita non corretta comparazione tra i due trattamenti, il che non integra un ‘fatto storico’ ma, piuttosto, un giudizio valutativo; per ‘fatto storico’ dovendo intendersi, infatti, come più volte affermato da questa Corte, un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015);
13. quanto, poi, al giudicato l’errore sarebbe caduto sul fatto che il Tribunale di Roma non avrebbe indicato il parametro applicato «come trattamento di maggior favore» ma in questi termini la censura è priva
di attinenza rispetto al decisum in quanto la Corte territoriale ha valorizzato, ex d.l. n. 2/2004, l’importo spettante in forza del giudicato, affermando sostanzialmente il divieto di ogni reformatio in peius , e non ha conferito allo stesso giudicato alcuna ultrattività ( sul punto si rinvia a quanto si dirà in prosieguo).
14. Con il quarto motivo, l’RAGIONE_SOCIALE lamenta (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) la violazione e/o falsa applicazione del giudicato esterno integrato dalla pronuncia del Tribunale di Roma n. 8793/2002 nonché dell’art. 2909 cod. civ., in riferimento anche all’art. 36 Cost., degli artt. 1230, 1321, 1372 cod. civ., dell’art. 1 del d.l. 2/2004, e, infine, dell’art. 26 della legge n. 240/2010; la Corte territoriale applicava erroneamente il principio di ultrattività del giudicato a periodo in cui la situazione normativa e fattuale era sostanzialmente mutata, sia per il venir meno per i CEL dell’obbligo di esclusiva sia per la compiuta regolamentazione, per costoro, degli aspetti economici e normativi scaturenti dalla disciplina collettiva;
15. il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata che non applica alcuna forma di ultrattività al giudicato; i giudici di secondo grado, lungi dall’affermarne l’ultrattività ne hanno ritenuto comunque l’incidenza sul piano effettuale ai sensi dell’art. 1 d.l. n. 2/2004, disposizione che fa (appunto) salvi i trattamenti più favorevoli.
A riguardo, possono in questa sede richiamarsi i principi affermati da Cass., Sez. L, n. 20765/2018 e dalla giurisprudenza successiva conforme.
Il giudicato, pur non dotato di ultrattività in presenza di una sopravvenienza normativa, rileva, ma indirettamente, se ha riconosciuto un criterio più favorevole rispetto a quello previsto dal
legislatore in ragione della clausola di salvaguardia dettata dall’art. 1 d.l. n. 2/2004;
invero, il legislatore, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia 26.6.2001, in causa C-212/99, è intervenuto a disciplinare la ricostruzione della carriera degli ex lettori divenuti collaboratori linguistici e con il d.l. n. 2/2004, oltre a prevedere che «con effetto dalla data di prima assunzione» dovesse essere assicurato il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito «tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore», ha «fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli»; con la successiva legge di interpretazione autentica ha, poi, chiarito che detto trattamento deve essere assicurato «sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici» e che «a decorrere da quest’ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato decreto legge n. 2 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva »;
nel caso di specie, pertanto, non ha errato la Corte territoriale nel tener conto, ai fini della quantificazione del trattamento retributivo spettante all’originaria ricorrente, del parametro indicato nella precedente sentenza passata in giudicato (80% della retribuzione del professore associato a tempo definito), ritenuto, appunto, di miglior favore;
non può essere condivisa l’interpretazione prospettata dall’RAGIONE_SOCIALE ricorrente, secondo la quale andava esclusa ogni ultrattività del giudicato a seguito della sopravvenienza di una nuova
normativa; quest’ultima, infatti, oltre a porre rimedio agli effetti, negativi per i lettori, che aveva prodotto la discrezionalità concessa alle RAGIONE_SOCIALE dall’art. 28 del d.P.R. n. 382/1980 nella quantificazione del trattamento retributivo (la norma, infatti, rimetteva al consiglio di amministrazione la determinazione del corrispettivo e richiamava il livello retributivo inziale del professore associato a tempo definito solo quale limite massimo non superabile), ha voluto escludere qualsiasi reformatio in peius nel passaggio fra il rapporto di lettorato e quello di collaborazione linguistica (in relazione al quale, in linea con la disciplina dell’impiego pubblico già all’epoca contrattualizzato, il legislatore ha riservato alla contrattazione collettiva la quantificazione del trattamento retributivo), salvaguardando il livello economico acquisito alla data di sottoscrizione del nuovo contratto;
a detti fini, pertanto, la retribuzione giudizialmente riconosciuta con sentenza passata in giudicato deve essere equiparata a quella concordata in sede contrattuale, che poteva essere di miglior favore rispetto al criterio indicato dal legislatore, atteso che l’art. 28 del richiamato d.P.R. indicava come parametro massimo di commisurazione il livello retributivo iniziale del professore associato a tempo definito (così: Cass., Sez. L, n. 13886 del 19 maggio 2023).
16. Con il quinto motivo l’RAGIONE_SOCIALE sostiene la violazione e/o falsa applicazione del d.l. n. 120 del 1995, conv., con modif. in legge n. 236 del 1995, nonché degli artt. 2077 e 2103 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.); la sentenza impugnata, ‘contraddicendo se stessa’, aveva fatto salvi i diritti quesiti (che sarebbero quelli relativi al giudicato della sentenza del Tribunale di Roma n. 8793/2002); in realtà, nel rapporto di lavoro non è vietato al legislatore e alle parti stipulanti contratti collettivi di modificare,
anche in peius la posizione di una delle parti, perché può parlarsi di diritto quesito solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore, come nel caso di corrispettivi di prestazioni già rese e non in presenza di situazioni future o in via di consolidamento;
il motivo è inammissibile perché non si confronta con il decisum , che non ha applicato il d.l. n. 120/1995 bensì la clausola di salvaguardia prevista dall’art. 1 d.l. n. 2/2004;
a riguardo, va sottolineato che le due disposizioni non sono sovrapponibili quanto alla estensione della salvaguardia medesima perché, come già detto, il d.l. del 2004 fa salvi i trattamenti di miglior favore (che tali devono ritenersi sia quelli contrattualmente riconosciuti sia quelli previsti ottenuti attraverso l’intervento giudiziale) mentre il d.l. del 1995 prevede (articolo 4, comma 3) che «L’assunzione avviene per selezione pubblica, le cui modalità sono disciplinate dalle università secondo i rispettivi ordinamenti. Le università, nel caso in cui si avvalgano della facoltà di stipulare i contratti di cui al comma 2, hanno l’obbligo di assumere prioritariamente i titolari dei contratti di cui all’art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, in servizio nell’anno accademico 1993-1994, nonché quelli cessati dal servizio per scadenza del termine dell’incarico, salvo che la mancata rinnovazione sia dipesa da inidoneità o da soppressione del posto. Il personale predetto, ove assunto ai sensi del presente comma, conserva i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti».
Peraltro, la diversità fra le due clausole di salvaguardia (previste, rispettivamente, dal d.l. n. 120 del 1995 e dal d.l. n. 2/2004) è stata già sottolineata da questa Corte (da ultimo: Cass., Sez. L, n. 16449/2022 e Cass., Sez. L., n. 13886/2023), anche richiamando i principi enunciati dalle stesse Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 21972/2017).
18. Con il sesto motivo l’RAGIONE_SOCIALE evidenzia la violazione e/o falsa applicazione della legge n. 63/2004, per come interpretata dall’art. 26, comma 3, legge n. 240/2010, nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che tale disciplina non fosse applicabile alla causa omettendo di dichiarare l’estinzione del giudizio o, comunque, di rigettare la domanda; anche qualora si fosse considerato il parametro stipendiale del professore associato all’80%, così come affermato dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 8793/2002, si sarebbe dovuto affermare che non esistevano differenze retributive in favore della COGNOME, tenuto conto che la stessa – come emergeva dalla prova testimoniale – non aveva lavorato per le asserite n. 1.624 ore annuali ma solo per le 400 ore previste nel contratto;
19. il motivo, in disparte i profili di inammissibilità – perché, anche nei suoi riferimenti all’esito del testimoniale, si sollecita in parte un riesame del merito della lite -, è infondato;
esso non tiene conto degli approdi della giurisprudenza di legittimità che ha affermato, a Sezioni Unite, (Cass. Sez. U, n. 19164 del 02/08/2017), in continuità con l’orientamento già espresso da Cass. nn. 10452/2016 e 19190/2016, che «in tema di controversie promosse dai collaboratori esperti linguistici già lettori di madre lingua straniera, l’art. 26, comma 3, ultimo periodo, della legge n. 240 del 2010 si interpreta nel senso che tale disposizione si applica esclusivamente ai processi nei quali rileva la disciplina sostanziale, quanto al trattamento economico ed ai parametri per il riconoscimento dei diritti maturati in virtù dei precedenti rapporti lavorativi, di cui allo stesso art. 26, nel rispetto del diritto di azione ex art. 24, comma 1, Cost.»;
questo perché la previsione dell’estinzione del processo si pone in stretta correlazione con la disciplina delle pretese sostanziali,
sicché non devono essere dichiarati estinti tutti i processi intentati dagli ex lettori nei confronti delle università, ma solo quelli nei quali rilevi il nuovo assetto dato dal legislatore alla materia, senza che ne derivi una vanificazione dei diritti azionati. È quindi imprescindibile che la pretesa fatta valere in giudizio sia esattamente coincidente con quanto stabilito dalla norma di interpretazione autentica in merito alla quantificazione del trattamento economico spettante agli ex lettori (Cass., Sez. L, n. 17306/2023). L’esegesi della disposizione, infatti, deve essere orientata alla salvaguardia del diritto di azione, garantito dalla Costituzione, sicché l’estinzione può operare solo «in ragione, del pieno riconoscimento a favore degli ex lettori di madrelingua straniera del bene della vita al quale i medesimi aspirano con la proposizione del contenzioso» (Corte cost. n. 38 del 2012);
nel caso di specie, al contrario, non si ravvisa detta integrale coincidenza, perché vi è contrasto fra le parti, oltre che sul parametro retributivo da adottare, su questioni involgenti gli effetti del giudicato e l’entità della prestazione effettuata che esulano, come tali, dalla previsione della legge di interpretazione autentica;
quanto, poi, alla riferita violazione della legge di interpretazione autentica, non è chiaro quale sia il senso della doglianza perché la disposizione è stata espressamente richiamata a pag. 7 della sentenza impugnata (nell’interpretazione datane da Cass. n. 20765/2018), e, ciò nondimeno, la Corte di merito ha ritenuto corretti i conteggi sviluppati dall’appellante e li ha fatti propri, in quanto non espressamente contestati ex adverso nel quantum (pag. 7 ultimo cpv. sentenza impugnata).
20. Stante il rigetto del ricorso principale, resta assorbito il ricorso incidentale condizionato, con cui la COGNOME deduce – primo motivo la violazione del d.l. n. 2/2004 e della legge n. 240/2010, per avere la Corte di merito omesso di valutare se spettasse un trattamento
parametrato a quello di ricercatore confermato a tempo definito, nonché – secondo mezzo – l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), per avere la Corte d’appello errato nella valutazione del numero di ore della prestazione di lavoro.
In conclusione, il ricorso principale dev’essere rigettato; mentre è assorbito quello incidentale condizionato.
La regolamentazione delle spese di legittimità è operata in ossequio alla regola della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale condizionato; condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €. 5.000,00 per compensi ed €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese gen. al 15% ed accessori di legge, con distrazione all’AVV_NOTAIO, antistataria.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione