Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13492 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13492 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13610/2019 R.G. proposto da NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALEo d ell’ AVV_NOTAIO, rappresentata e dife sa dall’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l ‘Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l’avvocatura centrale dell’Istit uto, rappresentato dagli AVV_NOTAIO Lelio
NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME , NOME COGNOME ed NOME COGNOME
– resistente – avverso la sentenza n. 1058/2018 de lla Corte d’Appello di Lecce, depositata il 24.10.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.3.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME -dopo un periodo di lavoro presso l’RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE come lettrice di lingua straniera tra il 1983 e il 1988 -venne assunta, nel 2001, con un primo contratto a termine come collaboratrice esperta linguistica (C.E.L.), poi reiterato da altri contratti di durata annuale, senza soluzione di continuità.
Nel 2009 si rivolse al Tribunale di Lecce, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere l’accertamento dell’unicità del rapporto di lavoro subordinato fin dall’origine, con condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive avendo a parametro il trattamento economico spettante al ricercatore confermato a tempo definito (migliore rispetto a quello a lei riconosciuto nel corso RAGIONE_SOCIALE anni), al versamento all’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE. dei relativi contributi previdenziali e al risarcimento del danno da abusiva reiterazione dei contratti a termine.
Il Tribunale di Lecce accolse in parte le domande della lavoratrice, accertando il rapporto di lavoro subordinato unico a decorrere dal maggio 2001 e il diritto al trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito, in proporzione alle ore effettivamente lavorate, e condannando l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive, nel limite di quanto ancora dovuto per effetto dell’eccepita prescrizione
quinquennale, nonché al risarcimento del danno liquidato in misura pari a 8 mensilità dell’ultima retribuzione .
La sentenza di primo grado venne gravata da entrambe le parti principali del processo e la Corte d ‘ Appello di Lecce, in parziale accoglimento dell’impugnazione dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE , negò alla lavoratrice il diritto al pagamento di differenze retributive parametrate al trattamento economico riservato ai ricercatori confermati a tempo definito, rigettando conseguentemente anche la domanda di condanna dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE al pagamento di contributi aggiuntivi all’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE L’impugnazione della lavoratrice venne, invece, integralmente respinta.
Contro tale decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in dodici motivi.
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso contenente un motivo di ricorso incidentale.
L’INPS ha depositato un mero atto di costituzione, senza svolgere difese.
La ricorrente ha depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data della camera di consiglio fissata ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c. Ha anche presentato istanza per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, che è stata respinta dalla Prima Presidente con decreto 1°.3.2024.
RAGIONI RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Il primo motivo denuncia «nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 342 e 434 c.p.c. in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
La ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia respinto l’eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE per la mancanza di una compiuta censura alla motivazione della sentenza di primo grado.
1.1. Il motivo è infondato, perché l’atto d’appello di cui il ricorso per cassazione riproduce testualmente il contenuto -era chiaramente volto a contestare il riconoscimento del diritto della lavoratrice a un trattamento economico diverso da quello previsto contrattualmente. La domanda accolta in primo grado era fondata sul l’implicito presupposto dell’applicabilità anche ai C.E.L. assunti dopo il 1995 di una disposizione di legge che l’appellante riteneva invece dettata soltanto per rimediare alla particolare situazione in cui si trovavano i lavoratori originariamente assunti come lettori di madre lingua straniera (in base al l’art. 28 del d.P.R.382 del 1980 ).
Ai fini dell’ammissibilità dell’appello non si vede quali altre ragioni dell’impugnazione l’RAGIONE_SOCIALE avrebbe avuto l’onere di specificare , se non quella di negare l’applicabilità della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e della legge ritenute dal primo giudice integratrici e derogatrici del regolamento contrattuale del rapporto di lavoro.
Non rimane che ribadire, ancora una volta, il seguente, consolidato principio di diritto: « Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l ‘ impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto
alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado » (Cass. S.U. n. 27199/2017).
Con il secondo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è denunciata la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 3 e 36 Cost., delle sentenze della Corte di Giustizia UE 26 giugno 2001 in causa C – 212/1999 e 18 luglio 2006 in causa C-119/2004, in relazione all ‘ art. 4 della legge n. 236 del 1995, all ‘ art. 51 del CCNL 1996 comparto RAGIONE_SOCIALE e all ‘ art. 1 della legge n. 63 del 2004.
La ricorrente sostiene che la categoria RAGIONE_SOCIALE ex lettori assunti ex art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980 è transitata in quella dei collaboratori ed esperti linguistici introdotta dalla legge n. 236 del 1995 e che all ‘ interno di tale nuova categoria non esiste alcuna distinzione tra collaboratoriex lettori e collaboratori assunti dopo l’entrata in vigore del nuovo regime, venendo così a mancare di base giuridica la diversità di disciplina individuata nella sentenza impugnata; aggiunge che, essendo incontestate la identità di mansioni tra i collaboratoriex lettori e i collaboratori di prima nomina e la parità della loro retribuzione fino al momento dell’entrata in vigore della legge n. 63 del 2004 ( rectius : del decreto legge n. 2 del 2004, convertito in legge n. 63 del 2004), il parametro di riferimento imposto dalla Corte di Giustizia, ossia quello tratto dalla retribuzione dei ricercatori a tempo definito, doveva essere esteso anche ai collaboratori di nuova assunzione.
Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 3 e 36 Cost., dell’art. 22 del CCNL 2003, in relazione alla violazione della legge n. 236 del 1995, del CCNL del 1996, nonché dell ‘art. 1 della legge n. 63 del 2004 ( rectius : come sopra) e dell ‘ art. 2099 c.c., con asserita violazione del principio
di non discriminazione sancito dai trattati U.E. e dall’art. 11 7 Cost.
La ricorrente sostiene che la contrattazione collettiva, inquadrando i C.E.L. nell ‘ area tecnico-amministrativa, avrebbe svalutato la valenza didattica delle loro mansioni e fissato una retribuzione non adeguata alla loro professionalità; deduce che non a caso il contratto decentrato di ateneo dell ‘ anno 2009 aveva riconosciuto l’equiparazione retributiva della categoria a quella del ricercatore confermato a tempo definito, equiparazione che andava estesa anche al periodo pregresso.
Con la quarta critica è dedotto l ‘ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio -ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. -in relazione alla violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 3 e 36 Cost., dell ‘ art. 2099 c.c. e del divieto di discriminazione sancito dal diritto Europeo.
La ricorrente addebita, nella sostanza, alla Corte territoriale di non avere considerato: l’assoluta identità della posizione dei C.E.L. di nuova assunzione rispetto a quella RAGIONE_SOCIALE ex lettori; il successivo riconoscimento da parte della stessa contrattazione collettiva della equiparazione tra C.E.L. e ricercatori confermati a tempo definito (art. 22 CCNL 2003 e contratto di Ateneo 2009); la natura pubblica del datore di lavoro, con i sottesi doveri di trasparenza ed imparzialità (art. 45 d.lgs. n. 165 del 2001).
Il quinto motivo è proposto, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 3 e 36 Cost., dell ‘ art. 2099 c.c., in relazione al richiamo alla contrattazione collettiva nazionale ed alla contrattazione decentrata dell ‘ anno 2009, del principio di parità di trattamento, del divieto di discriminazione.
Viene censurata la statuizione del giudice dell ‘ appello di adeguatezza della retribuzione in quanto stabilita nella contrattazione collettiva, e la ricorrente osserva che l’art. 51 de l CCNL 1996, al quale i successivi contratti nazionali hanno fatto rinvio, era stato ritenuto non conforme al principio di non discriminazione dalla Corte di Giustizia, con la sentenza dell ‘ anno 2006 nel proc. C-119/2004, ritenendosi non rilevante il fatto che quel giudizio riguardasse la posizione RAGIONE_SOCIALE ex lettori.
La sesta censura torna a denunciare, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l ‘ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in questo caso rappresentato: dalla unicità ed illegittimità della contrattazione collettiva; dall’esistenza del nuovo CCNL dell ‘ anno 2003 e del contratto di Ateneo dell ‘ anno 2009; dal mancato riconoscimento ai C.E.L. fino a tutto l ‘ anno 2008 di progressioni economiche legate alla anzianità di servizio. In sostanza, si deduce nuovamente il carattere discriminatorio del CCNL 1996 e si evidenzia che solo con l ‘ art. 22 CCNL 2003 e con il contratto di ateneo del 2009 era stata stabilita una retribuzione adeguata, senza tuttavia sanare il periodo pregresso.
Con il settimo motivo, formulato ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c., è lamentata la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 116 c.p.c., comma 1, sull ‘ assunto che la Corte d ‘ Appello avrebbe erroneamente applicato l ‘ art. 36 Cost., considerando come equa la retribuzione riconosciuta dalla disciplina collettiva sino all ‘ anno 2009.
L’ottava censura è formulata, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione del l’art. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione alla violazione della legge n. 236 del 1995.
Richiamata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui al rapporto di lavoro dei C.E.L. è applicabile il divieto di conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, la ricorrente assume che da tale orientamento deriverebbe la applicazione ai C.E.L. del principio di parità di trattamento contrattuale ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001, ex art. 45, dal quale discende la doverosità dell’equiparazione retributiva dei C.E.L. di nuova assunzione a quelli provenienti da un precedente rapporto di impiego come lettori.
Il nono motivo denuncia l ‘ omesso esame del fatto, decisivo per il giudizio, rappresentato dall’appartenenza dei RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE. alla categoria del pubblico impiego, sempre al fine dell’applicazione del principio di parità del trattamento retributivo.
La decima censura è proposta, ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 2099 e 2103 c.c., RAGIONE_SOCIALE artt. 2 e 5 della legge n. 230 del 1962 e dell’art. 6 del d.lgs. n. 368 del 2001, in relazione anche all’a rt. 3 Cost., nonché violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 7 e 39 del Trattato CEE, RAGIONE_SOCIALE artt. 2, 3 e 7 del Regolamento CEE 1612/68.
La ricorrente rileva di avere domandato l’adeguamento retributivo anche in ragione dell’anzianità di servizio, non riconosciuta sino al gennaio 2009, e assume che, negando ai C.E.L. il riconoscimento retributivo della anzianità di servizio, applicato invece a tutti i lavoratori nazionali, la Corte territoriale sarebbe incorsa nelle denunciate violazioni delle norme di diritto interno e comunitario, operando una discriminazione per cittadinanza (rispetto ai lavoratori di nazionalità italiana) nonché per ragioni di età (visto che soltanto ai RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE. più giovani, assunti dopo l ‘ anno 1995, era stato negato il riconoscimento economico).
L’illustrazione del motivo si conclude con la rinnovata richiesta che sia sottoposta alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale volta a sindacare la compatibilità della normativa interna con il diritto unionale.
L’undicesimo motivo denuncia la violazione dell’art. 2948 c.c., anch’esso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ed è condizionato all’accoglimento dei restanti motivi, essendo volto a contestare la prescrizione breve quinquennale del diritto al pagamento delle differenze retributive, che erano state riconosciute con questo limite dal Tribunale, e che sono state invece del tutto negate dalla Corte d’Appello.
Infine il dodicesimo motivo ( erroneamente anch’esso indicato come undicesimo nel ricorso), denuncia la violazione dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010.
Anche questo motivo deve intendersi condizionato all’accoglimento dei precedenti, perché la ricorrente si duole che l’indennità risarcitoria del danno da illegittima reiterazione dei contratti a termine (che in se stessa non è in discussione, non avendo proposto appello sul punto l’RAGIONE_SOCIALE) sia stata liquidata dal Tribunale in misura pari a un otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto , ma senza considerare l’incidenza sull’importo di tale ultima retribuzione delle invocate differenze retributive.
Detto in precedenza del primo motivo, anche i motivi dal secondo al decimo sono infondati.
Essi sono pressoché esattamente corrispondenti a quelli decisi, con riferimento ad identica causa relativa ad altra collaboratrice esperta linguistica, con la recente ordinanza 13574/2023, alla quale qui si intende dare continuità.
13.1. Deve essere innanzitutto dichiarata l ‘ inammissibilità dei motivi articolati con riferimento al vizio di cui all’art. 360 ,
comma 1, n. 5, c.p.c. (quarto, sesto e nono), posto che le doglianze, al di là della formulazione della rubrica, attengono a questioni di diritto o alla violazione di contratti collettivi di lavoro di carattere nazionale e non all ‘ omesso esame di fatti storici ritualmente individuati (in senso conforme, v. Cass. n. 18523/2022, anch’ess a pronunciata in un caso sostanzialmente sovrapponibile a quello qui oggetto di causa).
Tali censure, nella parte in cui denunciano il mancato esame della contrattazione di Ateneo del 2009, difettano di specificità, in quanto non riproducono il contenuto delle norme della contrattazione integrativa rilevanti, né illustrano le ragioni della loro decisività rispetto alla complessiva ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata sulla diversità di carriera RAGIONE_SOCIALE ex -lettori rispetto ai C.E.L. e sulla idoneità della contrattazione nazionale a costituire garanzia di retribuzione adeguata ex art. 36 Cost.
13.2. I motivi secondo, terzo, quinto, settimo, ottavo e decimo sono infondati, per le ragioni che la citata Cass. n. 13574/2023 ha a sua volta mutuato da Cass. n. 18523/2022, in continuità con un orientamento già espresso in altri precedenti (Cass. nn. 18346/2020; 12877/2020; 8617/2020 e ulteriore giurisprudenza ivi citata).
Dal quadro normativo e giurisprudenziale ricostruito nella motivazione di Cass. n. 16464/2022, alla quale si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c., emerge con evidenza che sia le pronunce della Corte di Giustizia, sia gli interventi normativi che alle stesse hanno fatto seguito, hanno riguardato unicamente la categoria RAGIONE_SOCIALE ex lettori, assunti ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980, divenuti collaboratori linguistici ai sensi del decreto legge n. 120 del 1995, convertito dalla legge n. 236 del
1995, e della decretazione d’urgenza non convertita, della quale lo stesso decreto legge aveva conservato gli effetti.
Ha osservato, in particolare, Cass. n. 12877/2020, in continuità con l’orientamento già espresso da Cass. n n. 6341/2019 e 28502/2019, che ai collaboratori esperti linguistici assunti ai sensi del richiamato decreto legge n. 120 del 1995 è riservato il trattamento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva di comparto e non già quello dettato dalla diversa disciplina di cui al decreto legge n. 2 del 2004, convertito con modificazioni dalla legge n. 63 del 2004, applicabile solo ai collaboratori linguistici ex lettori di madrelingua straniera, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del d.P.R. n. 382 del 1980.
Il principio di diritto, che trova riscontro anche nella motivazione dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 38/2012, è stato affermato valorizzando, da un lato, il tenore letterale della norma e del successivo intervento di interpretazione autentica, dall’altro la ratio della stessa, finalizzata a dettare un criterio oggettivo per la ricostruzione della carriera RAGIONE_SOCIALE ex lettori, divenuti collaboratori linguistici, che rispondesse alle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia con la sentenza 26 giugno 2001, in causa C -212/99, che aveva censurato lo Stato italiano per non «aver assicurato il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali».
Si tratta, quindi, di una finalità chiaramente non ravvisabile per i collaboratori esperti linguistici assunti ab origine sulla base della normativa dettata dal richiamato decreto legge n. 120 del 1995, con il quale il legislatore, pur qualificando il contratto di diritto privato, in linea con il processo di
contrattualizzazione dell’impiego pubblico già all’epoca in atto, ha abilitato la contrattazione collettiva a fissare il trattamento retributivo dei collaboratori, non equiparabili ai docenti universitari, perché chiamati a soddisfare «esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche» (art. 4 decreto legge n. 120 del 1995) e, quindi, a svolgere una funzione che, pur rientrando nella didattica intesa in senso lato, è caratterizzata dall’essere strumentale e di supporto, rispetto all ‘ insegnamento, connotato da specifiche competenze sia didattiche che scientifiche (Cass. nn. 5909/2005; 18709/2019).
La disciplina dettata presuppone, dunque, una transizione dal rapporto di lettorato a quello di collaborazione linguistica, diversamente disciplinati pur nella sostanziale continuità delle figure professionali coinvolte, e non può venire in rilievo nei casi in cui il collaboratore non abbia mai stipulato un contratto ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980.
Gli argomenti sviluppati nel ricorso e nella memoria difensiva non sono idonei ad indurre una rimeditazione dell’orientamento già espresso, perché infondatamente assumono, da un lato, l’asserito carattere discriminatorio della disciplina dettata per i collaboratori esperti linguistici e, dall’altro, l’inadeguatezza della retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva, per non avere tenuto conto di quella, di diverso e maggiore ammontare, goduta dai ricercatori universitari a tempo definito.
Quanto al primo aspetto, va ribadito che il legislatore con il decreto legge n. 120 del 1995, pur qualificando il rapporto di natura privatistica, ha rinviato alla contrattazione collettiva che, in ragione della natura pubblica del datore di lavoro, è quella di comparto, disciplinata, all’epoca, dall’art. 45 del d.lgs. n. 29 del 1993 e, successivamente, dagli artt. 40 e seguenti del d.lgs. n.
165 del 2001, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo. Il rinvio alla contrattazione collettiva non realizza alcuna discriminazione in ragione della nazionalità e, al contrario, è pienamente in linea con i principi che, all’esito della privatizzazione dei rapporti di impiego pubblico, ispirano la disciplina del l’impiego contrattualizzato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, principi che la Corte Costituzionale ha più volte richiamato e valorizzato.
La recente Corte Cost. n. 253/2022 ha ribadito che « L ‘ attribuzione alla contrattazione collettiva della disciplina della retribuzione nel rapporto di lavoro pubblico costituisce indubbiamente principio ispiratore e conformativo della riforma del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, avviata dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell ‘ organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell ‘ articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e sistematizzata con il d.lgs. n. 165 del 2001. L ‘ esercizio di tale funzione regolatoria da parte dell ‘ autonomia collettiva, nel contrastare fenomeni sperequativi tra i diversi settori della pubblica amministrazione, è funzionale sia ad un incisivo controllo delle dinamiche del costo del lavoro pubblico, sia ad una più efficiente e tendenzialmente unitaria gestione del personale nei vari settori … ». In ragione del ruolo centrale che la contrattazione collettiva assume ne ll’impiego pubblico privatizzato questa Corte da tempo ha affermato che il principio di parità di trattamento vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva, ma non costituisce parametro per giudicare le eventuali differenziazioni operate in quella sede, dato che il legislatore ha lasciato piena autonomia alle parti sociali di
prevedere trattamenti differenziati in funzione dei diversi percorsi formativi, delle specifiche esperienze maturate e delle diverse carriere professionali (Cass. nn. 2718/2020; 6553/2019; 19043/2017; 1037/2014; 10105/2013; 4971/2012).
La previsione di un trattamento differenziato per i collaboratori esperti linguistici di nuova assunzione rispetto a quelli che in precedenza avevano ricoperto la qualifica di lettori non contrasta, dunque, né con il diritto interno né con quello eurounitario, perché tutte le pronunce della Corte di Giustizia intervenute sulla disciplina dettata per i lettori di lingua straniera hanno riguardato il passaggio dal rapporto di lettorato a quello di collaborazione linguistica e sono state rese sulla premessa di un trattamento differenziato rispetto a quello riservato ai lavoratori di nazionalità italiana, condizione questa che, per quanto evidenziato nel punto che precede, non ricorre nella fattispecie.
Alle considerazioni che precedono, già assorbenti, si deve, poi aggiungere che infondatamente la ricorrente assume che, in ragione della qualità della prestazione resa, la retribuzione dei collaboratori esperti linguistici dovrebbe essere equiparata a quella dei ricercatori universitari. Anche sul punto questa Corte (si rimanda fra le tante a Cass. n. 18709/2019) si è già espressa evidenziando che sia l’art. 28 del d.P.R. n. 282 del 1980, sia l’art. 4 del decreto legge n. 120 del 1995, nel prevedere, rispet tivamente, l’assunzione di lettori di madre lingua straniera «in relazione ad effettive esigenze di esercitazione RAGIONE_SOCIALE studenti» e di C.E.L., per soddisfare «esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche» evidenziano una so stanziale diversità dell’attività propria dei lettori e dei collaboratori rispetto a quella dei docenti, perché la
prima, pur rientrando nella didattica intesa in senso lato, è caratterizzata dall’essere funzione strumentale e di supporto, rispetto all’insegnamento universitario connotato da specifiche competenze didattiche e scientifiche.
La sostanziale diversità delle prestazioni a confronto non consente l’invocata parificazione e detta conclusione non è smentita, bensì è confermata, dal decreto legge n. 2 del 2004, che alla retribuzione del ricercatore confermato a tempo definito ha fatto riferimento solo in via parametrica e prevedendo un divisore orario (500 ore) diverso e superiore rispetto a quello previsto per la categoria dei ricercatori confermati a tempo definito (200 ore).
Va, poi, ribadito che quel parametro è stato indicato dal legislatore italiano e ritenuto congruo dalla Corte di Giustizia (sentenza 18 luglio 2006, in causa C- 119/04, punti 36 e 37) all’esclusivo fine di individuare « un criterio oggettivo, che permette di far fronte alle difficoltà inerenti ad una valutazione caso per caso della carriera di tutti gli ex lettori » (Corte UE, cit. punto 36), in un contesto in cui, a seguito dell’abrogazione dell’art. 28 d.P.R. n. 382 del 1980 e della disciplina dettata per i collaboratori esperti linguistici dal decreto legge n. 120 del 1995, si era passati da un sistema nel quale il trattamento retributivo era rimesso ai singoli Atenei, ai quali era imposto solo un limite massimo non superabile (commi 4 e 5 del richiamato art. 28), ad una nuova disciplina che, in linea con quella dell’impiego pubblico privatizzato , ha riservato alla contrattazione collettiva la determinazione della retribuzione spettante per l’esercizio delle funzioni strumentali e di supporto rispetto all’attività didattica . U n’analoga esigenza si è posta per i cosiddetti «lettori di scambio» divenuti CRAGIONE_RAGIONE_SOCIALEE.L., dei quali le Sezioni Unite di questa Corte si sono occupate con la sentenza
n. 21972/2017; pronuncia che non può essere invocata nella fattispecie, sia perché le Sezioni Unite sull’applicazione del parametro fissato dal decreto legge n. 2 del 2004, utilizzato dalla Corte territoriale, si sono limitate a prendere atto della non contestazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE (punto 24 di pag. 25), sia in quanto in quel caso l’estensione analogica poteva essere giustificata dall’eguale passaggio fra due d iversi regimi e dalla necessità di ottemperare alle indicazioni date dalla Corte UE con la sentenza 15 maggio 2008, in causa C-276/07 (secondo cui « l’art. 39, n. 2, CE osta a che, nell’ambito della sostituzione di un contratto di lavoro a tempo determinato come lettore di scambio con un contratto di lavoro a tempo indeterminato come collaboratore linguistico, una persona che si trovi nella situazione della ricorrente nella causa principale si veda negare il riconoscimento dei diritti acquisiti sin dalla data della sua prima assunzione, con conseguenze per quanto riguarda la retribuzione, il cal colo dell’anzianità e il versamento dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro, laddove un lavoratore nazionale in una situazione analoga avrebbe beneficiato di un siffatto riconoscimento »).
13.3. Il rigetto dei precedenti motivi rende inammissibili l’undicesimo e il dodicesimo motivo, che presuppongono il riconoscimento del diritto al pagamento di differenze retributive (dovendosi discutere del termine di prescrizione di quel diritto e della sua incidenza sulla liquidazione dell’in dennità risarcitoria per l’abusiva reiterazione dei contratti di lavoro a termine).
14. Da ultimo, non si ravvisa una novità significativa nella procedura di infrazione avviata nei confronti dell’Italia dalla Commissione UE cui fa riferimento la ricorrente nella memoria illustrativa (C519/23), perché anch’essa riguarda la vicenda
RAGIONE_SOCIALE ex lettori, divenuti RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, sicché nulla aggiunge a tutto quanto sopra esposto e considerato.
Con il che si conclude la motivazione sul rigetto del ricorso principale, senza alcuna necessità di differire la decisione in attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia, di sollevare ulteriori questioni pregiudiziali e di disporre la trattazione in udienza pubblica ( sull’istanza di assegnazione alle Sezioni Unite si è già pronunciata la Prima Presidente con il citato decreto 1°.3.2024).
15. L’unico motivo di ricorso incidentale denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
Si censura la sentenza impugnata laddove ha respinto il motivo di appello proposto dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE contro la condanna al pagamento -sull’importo liquidato a titolo di indennizzo risarcitorio per l’abusiva reiterazione di contratti di lavoro a termine, che nell’ an e nel quantum in linea capitale non è in discussione -del cumulo di interessi legali e rivalutazione monetaria.
15.1. Il motivo è fondato.
La Corte d’Appello ha ritenuto non applicabile il divieto di cumulo di interessi di cui alla disposizione di legge che si assume violata in considerazione della natura privatistica del rapporto di lavoro dei CRAGIONE_RAGIONE_SOCIALEL. e, quindi, implicitamente con riferimento alla incostituzionalità dell’art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994, dichiarata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 459/200, « limitatamente alle parole ‘e privati’ ».
Sennonché, questa Corte ha già avuto modo di affermare -e in questa sede intende ribadire -che « la pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale n. 459 del 2000, per la
quale il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi non opera per i crediti retributivi dei dipendenti privati, ancorché maturati dopo il 31 dicembre 1994, non può trovare applicazione per i dipendenti privati di enti pubblici non economici (nella specie, lettori di lingua dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE), per i quali ricorrono, ancorché i rapporti di lavoro risultino privatizzati, le ‘ragioni di contenimento della spesa pubblica’ che sono alla base della disciplina differenziata secondo la ratio decidendi prospettata dal Giudice delle leggi » (Cass. nn. 20765/2018; 535/2013; 14705/2011).
Una volta valorizzata, ai fini dell ‘ individuazione della normativa applicabile, la natura pubblica del datore di lavoro e ritenuto operante il divieto di cumulo, deve trovare applicazione il d.m. n. 352/1998 con il quale è stato adottato il «regolamento recante i criteri e le modalità per la corresponsione RAGIONE_SOCIALE interessi legali e della rivalutazione monetaria per ritardato pagamento RAGIONE_SOCIALE emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale a favore dei dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza delle amministrazioni pubbliche di cui all ‘ articolo 1, comma 2, del d. legislativo 3 febbraio 1993, n. 29». Il comma 2 dell ‘ art. 3 del richiamato d.m. prevede che «gli interessi legali o la rivalutazione monetaria sono calcolati sulle somme dovute, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali».
Si deve aggiungere che il richiamato principio non può essere derogato in relazione alle somme riconosciute ex art. 32 della legge n. 183 del 2010 (v. Cass. n. 15272/2017) o liquidate ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 (v. Cass. n. 21192/2018), perché non è condivisibile il diverso orientamento a suo tempo espresso da Cass. n. 18608/2009. Infatti, tale orientamento, ormai superato dalle pronunce più recenti sopra
citate, si fonda, da un lato, su un’interpretazione estensiva dell’art. 429 c.p.c. e, dall’altro, su un’esegesi strettamente ancorata al tenore letterale della disposizione quanto all’art. 22 , comma 36, della legge n. 724 del 1994; e non considera la ratio del divieto di cumulo, valorizzata invece dalla Corte Costituzionale, alla luce della quale si deve ritenere che il legislatore abbia utilizzato l’ampia dizione «emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale» per ricomprendere tutti i crediti ai quali, in difetto della previsione derogatoria, sarebbe stata applicabile la norma speciale prevista dal richiamato art. 429 c.p.c. (Cass. n. 12877/2020).
16. In c onseguenza dell’accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata sul solo punto oggetto di censura e -non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto -la causa va decisa nel merito, modificando il capo di condanna con riferimento agli accessori dovuti sulla somma capitale, fermo il resto.
17. Le spese di lite relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, nel rapporto tra la ricorrente principale e l’ RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, mentre nulla occorre provvedere nei confronti dell’ RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, che non ha svolto difese.
18. Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 sussiste nei soli confronti della ricorrente principale.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, decidendo nel merito sul punto cassato della sentenza, limita gli
accessori dovuti sulla somma liquidata a titolo di indennità risarcitoria alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria;
conferma la decisione sulle spese di lite relative ai due gradi di merito così come adottata dalla Corte d’Appello di Lecce e condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore della controricorrente e ricorrente incidentale, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 3 .000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge;
ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del l’ art. 13, comma 1 -bis , del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7.3.2024.