Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9871 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9871 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20322/2021 R.G. proposto da
NOME COGNOME, COGNOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE , in persona del Rettore pro tempore , domiciliata ope legis in ROMA INDIRIZZO
Oggetto: Oggetto: Lettori lingua straniera -Collaboratori esperti linguistici -Trattamento economico e ricostruzione carriera -Disciplina applicabile
R.G.N. 20322/2021
Ud. 07/03/2024 CC
INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che
la rappresenta e difende
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
-intimato – avverso la sentenza di Corte d’appello Brescia n. 146/2020 depositata il 19/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 07/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 146/2020 del 19 gennaio 2020, la Corte d’appello di Brescia, decidendo in sede di rinvio ex art. 384 c.p.c., ha parzialmente riformato la sentenza n. 1230/2011 del Tribunale di Brescia, rideterminando il credito vantato dagli odierni ricorrenti -ed i correlati oneri contributivi -‘in misura corrispondente a quella già riconosciuta dall’università’ .
NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano convenuto l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e l’ RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, riferendo:
-di aver prestato servizio presso l’Ateneo, in qualità di lettori di lingua straniera, con contratti a termine rinnovati annualmente ai sensi dell’art. 28, d.P.R. n. 382/1980, a far tempo dall’anno accademico 1986/1987 e sino all’anno accademico 1992/1993;
-di essere stati successivamente assunti a tempo indeterminato in applicazione dell’art. 5 del D.L. n. 510/1994, come collaboratori ed esperti linguistici, con qualifica e mansioni che i ricorrenti affermavano essere inferiori a quelle assegnate dai
contratti di lettorato, o comunque acquisite nel corso del rapporto;
-di aver quindi ottenuto sentenza del Pretore di Brescia n. 2126 del 31 ottobre 1995, la quale aveva dichiarato la nullità dei termini di volta in volta apposti ai contratti e la sussistenza ab origine di un rapporto a tempo indeterminato con l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
Avevano quindi chiesto che fosse dichiarata la nullità dei contratti stipulati con la peggiore qualifica di collaboratore esperto linguistico, con condanna dell’RAGIONE_SOCIALE ad effettuare la ricostruzione della carriera lavorativa, al pagamento delle differenze retributive spettanti nonché al versamento dei contributi previdenziali su tali differenze.
Il giudizio così instaurato si sviluppava, in sintesi:
-nella sentenza n. 1230/2011 del 7 dicembre 2011, con la quale il Tribunale di Brescia accoglieva le domande dei ricorrenti, condannando l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE a corrispondere a NOME COGNOME la somma di € 140.764,04 ed a RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE la somma di € 142.811,52;
-nella sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 371/2013 depositata in data 11 luglio 2013, la quale, decidendo sull’impugnazione dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in riforma della sentenza di prime cure, dichiarava estinto il giudizio facendo applicazione dell’art. 26, comma 3, Legge n. 240/2010;
-nell’ordinanza di questa Corte n. 18825/2019 del 12 luglio 2019, la quale, decidendo sul ricorso proposto dagli odierni ricorrenti, cassava con rinvio la decisione della Corte bresciana per aver applicato l’art. 26, comma 3, ultimo periodo, Legge n. 240/2010 ad un’ipotesi nella quale la previsione non poteva operare.
4. Riassunto il giudizio innanzi alla Corte d’appello di Brescia, quest’ultima -disattese le eccezioni preliminari ed individuato l’ambito oggetto del giudizio di rinvio – ha ritenuto fondato il motivo di appello formulato dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE nei confronti della decisione di attribuire agli originari ricorrenti il trattamento retributivo del ricercatore confermato a tempo definito per l’intero periodo di lavoro.
Ricostruita nel complesso la vicenda normativa e giurisprudenziale relativa agli ex lettori di lingua straniera, la Corte territoriale, sulla scorta della previsione di cui all’art. 1, D.L. n. 2/2004 e della previsione di interpretazione autentica di cui a ll’art. 26, Legge n. 240/2010, ha concluso che ai ricorrenti:
-da un lato, doveva essere riconosciuta, per il periodo successivo al 10 novembre 1994, la retribuzione stabilita per i collaboratori ed esperti linguistici dalla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, oltre all’assegno ad personam pari alla differenza – computata secondo i criteri di cui al D.L. 2/2004 tra tale retribuzione e l’ultima retribuzione spettante al 31 ottobre 1994 (quest’ultima da corrispondente a quella del ricercatore confermato a tempo definito parametrata all’effet tivo impegno orario assolto);
-dall’altro lato, non potevano riconoscersi per il periodo successivo al 1° novembre 1994 gli automatismi retributivi correlati alla progressione economica.
La Corte territoriale – disattese le argomentazioni degli odierni ricorrenti ed escludendo che l’art. 26, Legge n. 240/2010 si esponesse a censura di incostituzionalità o di contrasto con i principi eurounitari -ha poi ritenuto corretti i conteggi predisposti dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, negando che la determinazione
del trattamento economico spettante per il periodo sino al 31 ottobre 1994 potesse avvenire sulla scorta del numero di ore che i ricorrenti assumevano di avere effettivamente prestato anziché sulla scorta del ‘monte ore’ definito dai contratti ex d.P.R. n. 382/1980.
La Corte, infatti, ha escluso la sussistenza di qualsiasi accertamento coperto dal giudicato in ordine al superamento da parte dei ricorrenti del ‘ monte ore ‘ di 400 ore annue, osservando che la sentenza n. 2136/1995 del Pretore di Brescia -che i ricorrenti invocavano in tal senso -non conteneva alcun accertamento in ordine al superamento di detto limite.
La Corte d’appello, infine, ha dichiarato inammissibile la richiesta subordinata condizionata formulata dai ricorrenti per il caso di accoglimento dell’appello, avente ad oggetto la domanda di applicazione dei parametri del professore associato a tempo definito o del ricercatore confermato a tempo pieno o a tempo definito, dichiarata assorbita dal giudice di prime cure.
La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto:
-sia che tale domanda era stata dichiarata dal giudice di prime cure non assorbita ma inammissibile, con pronuncia ormai irrevocabile;
-sia che la riproposizione di detta domanda avrebbe richiesto la formulazione di un appello incidentale, per contro non proposto;
-sia che i ricorrenti non avevano né allegato né dimostrato i fatti costitutivi del diritto, non avendo dedotto né provato la prevalenza dell’attività di insegnamento rispetto a quella propria della qualifica di appartenenza.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Brescia ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
È rimasta intimata RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria, evidenziando che:
-è pendente innanzi alla CGUE ricorso per procedura di infrazione nel quale la Commissione UE con ricorso del 10 agosto 2023 contro la Repubblica Italiana ha denunciato la violazione dell’art. 45 del TFUE in quanto la normativa volta alla valorizzazione del l’anzianità di servizio dei lettori, come applicata dagli Atenei (congelamento di classi e scatti, di cui al trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito, art.26 legge 240/2010), violerebbe l’art. 45 del TFUE; -nelle more, la Commissione CE ha comunque avviato procedura di infrazione in relazione all’assenza di meccanismi di valorizzazione dell’anzianità di servizio;
-a seguito dell’avvio di detta procedura comunitaria, il Governo italiano ha emanato il D.L. n. 48/2023 (conv. con L. n. 85/2023) che all’art.38 ha apportato ulteriori modifiche all’art. 11 L. n. 167/2017 già modificato con l’art. 1, comma 305, L. n. 234/2 021, prevedendo l’emanazione di un decreto interministeriale finalizzato a definire i criteri di ripartizione fra le RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE delle somme destinate ai lettori di madre lingua (art.11 legge 167/2017) per valorizzare la loro anzianità di servizio in ossequio alla sentenza comunitaria relativa alla causa C-119/04;
-successivamente è stato emanato il Decreto interministeriale n. 688/2023 che contempla un nuovo schema-tipo di contratto
integrativo il cui art. 4 contempla il riconoscimento di classi e scatti senza limitazione temporale che tuttavia non ha ancora trovato applicazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE.
Conseguentemente, chiedono in via subordinata di disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE ex art. 267 TFUE onde sottoporre alla Corte stessa la valutazione di compatibilità col diritto eurounitario dell’art. 26, comma 3, L. n. 240/2010.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la ‘violazione dell’art. 394 c.p.c. per essersi discostata la Corte d’appello dai principi di diritto e comunque dal contenuto ricavabile dall’ordinanza di codesta Corte 4.6.2019 dep. 12.7.2019, n. 18825/19 circa l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 26, comma 3, legge 240/2010, con violazione in ogni caso anche dell’art. 112 c.p.c., per aver omesso la Corte d’appello di pronunciarsi sulle specifiche deduzioni al riguardo contenute nel ricorso in riassunzione, che vengono in questa sede riproposte’ .
Secondo i ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe violato il giudicato derivante dall’ordinanza di questa Corte n. 18825/2019, in quanto, sebbene quest’ultima avesse escluso l’applicabilità dell’art. 26, comma 3, Legge n. 240/2010, cassando la decisione che aveva dichiarato estinto il giudizio, il giudice di rinvio avrebbe invece applicato proprio tale previsione, operando una scissione tra profili processuali e profili sostanziali che, secondo i ricorrenti, è invece erronea.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ed è, testualmente, rubricato:
‘Violazione dell’art. 45 TFUE (già art. 48 TCE), come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, nonché degli artt. 3, 36, 11, e 117 comma 1 Cost., anche alla stregua dell’art. 11 legge 167/2017, e dell’art. 6 CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo rispetto alla legittimità di norme interpretative con effetto retroattivo, qual è quella di cui all’art. 26, comma 3, legge 240/2010 applicata dalla Corte d’appello di Brescia, con conseguen te:
-violazione dell’obbligo di disapplicazione diretta dell’intero comma 3 dell’art. 26 legge 240/2010 per contrasto con i predetti principi di diritto europeo;
-in subordine: violazione dell’art. 267 Trattato Funzionamento Unione Europea per omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla questione interpretativa relativa alla portata del diritto dell’Unione, per rispondere al quesito se esso osti o meno ad una disciplina RAGIONE_SOCIALE come quella di cui all’art. 26 comma 3 L. 240/2010, la cui richiesta si reitera in questa sede’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che l’art. 26, comma 3, Legge n. 240/2010 non garantirebbe agli ex lettori una integrale ricostruzione della carriera secondo parametri non discriminatori, come indirettamente ammesso dallo stesso legislatore RAGIONE_SOCIALE dettando successivamente l’art. 11, Legge n. 167/2017 e con l’adozione dello schema tipo di contratto di RAGIONE_SOCIALE di cui al D.M. 16 agosto 2019, che riconosce agli ex lettori divenuti collaboratori esperti linguistici una retribuzione identica a quella di un ricercatore confermato a tempo definito, sebben solo per futuro.
I ricorrenti, quindi, deducono che la Corte di merito avrebbe dovuto disapplicare l’art. 26, comma 3, Legge n. 240/2010 per contrasto con i principi eurounitari o, comunque, avrebbe dovuto procedere a rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Union e europea.
In subordine sollecitano a questa Corte di procedere in tal senso o di sollevare questione di legittimità costituzionale della medesima previsione per contrasto con gli artt. 3, 36, 11 e 117 Cost.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 343, 345 e 346 c.p.c. nonché dell’art. 112 c.p.c.
I ricorrenti impugnano la declaratoria di inammissibilità della domanda subordinata -dichiarata assorbita dal giudice di prime cure -con la quale avevano chiesto l’applicazione dei parametri del professore associato a tempo definito o del ricercatore confermato a tempo pieno o a tempo definito.
Con riferimento a due delle tre ragioni poste a base della decisione della Corte d’appello sul punto, i ricorrenti argomentano che:
-erroneamente la Corte territoriale avrebbe affermato che il giudice di prime cure aveva dichiarato, non assorbita bensì inammissibile detta domanda -conseguentemente ritenendo detta statuizione coperta dal giudicato per mancata proposizione di appello incidentale -‘mal interpretando però la stessa sentenza del Tribunale, alla luce di un mero dato nominalistico, privo di fondatezza logica e giuridica, quantomeno per quel che concerne la richiesta di applicazione del parametro del ricercatore confermato a tempo definito, accolta dal Tribunale medesimo (…) e su cui non avrebbe comunque potuto formarsi un giudicato, se davvero si fosse trattato di mera declaratoria di inammissibilità processuale’ ;
-altrettanto erroneamente la Corte d’appello avrebbe affermato che la riproposizione della domanda necessitava della formulazione di un appello incidentale, in tal modo violando gli artt. 343, 345 e 346 c.p.c., in quanto la declaratoria di
assorbimento effettivamente adottata dal giudice di prime cure comportava la sola necessità di riproporre la questione senza necessità di proporre appello incidentale.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.
Sempre con riferimento alla declaratoria di inammissibilità della domanda subordinata, il motivo -dichiaratamente connesso al motivo precedente -censura l’ulteriore affermazione, contenuta nella decisione impugnata, per cui gli odierni ricorrenti non avevano né allegato né dimostrato i fatti costitutivi del diritto, non avendo dedotto né provato la prevalenza dell’attività di insegnamento rispetto a quella propria della qualifica di appartenenza.
Argomentano i ricorrenti che la Corte d’appello si sarebbe basata per le sue affermazioni unicamente sugli accertamenti contenuti nella risalente sentenza del Pretore di Brescia n. 2135/2995, senza valutare, alla luce del lasso temporale trascorso, il progressivo incremento quantitativo e qualitativo dell’attività di insegnamento nel corso dei successivi anni, che peraltro i ricorrenti assumono di avere dedotto e supportato sul piano probatorio.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La tesi dei ricorrenti si sostanzia nell’affermare che, una volta esclusa l’applicabilità della speciale previsione processuale di cui all’art. 26, comma 3, ultimo periodo, Legge n. 240/2010 -come effettivamente questa Corte ha concluso con la propria ordinanza n. 18825/2019 -resterebbe automaticamente esclusa nella sua integralità anche l’interpretazione autentica che tale previsione detta in relazione all’art. 1, comma 1, D.L. n. 2/2004.
Ritiene, per contro, questa Corte che, al contrario, debba essere operata una distinzione tra i profili processuali ed i profili sostanziali della previsione in questione.
Infatti, se, da un lato , l’ipotesi di cui all’art. 26, comma 3, ultimo periodo, Legge n. 240/2010, può trovare applicazione -come da questa Corte affermato nella citata ordinanza n. 18825/2019, ma anche in numerosi altri precedenti (Cass. Sez. U – Sentenza n. 19164 del 02/08/2017; Cass. Sez. L – Sentenza n. 20924 del 05/08/2019) -nei soli giudizi aventi ad oggetto le pretese dei collaboratori ex lettori nei termini di cui al primo e al secondo comma dello stesso art. 26, ‘ essendo, dunque, imprescindibile un collegamento tra la previsione processuale di estinzione dei processi e la disposizione che disciplina le pretese sostanziali, non devono essere dichiarati estinti tutti i processi nei quali gli ex lettori avanzino domande nei confronti delle università ma solo quelli nei quali rilevi il nuovo assetto dato dal legislatore alla materia, senza che ne derivi una vanificazione dei diritti azionati ‘ (così l’ordinanza n. 18825/2019) , dall’altro lato si deve tuttavia ritenere che l ‘inapplicabilità della previsi one processuale -ipotesi di ‘transazione ex lege ‘ -di cui all’art. 26, comma 3, ultimo periodo, Legge n. 240/2010 (come puntualizzato nella stessa ordinanza n. 18825/2019) non valga ad escludere automaticamente l’applicazione, non tanto , e non solo, dello stesso art. 26, comma 3, ultimo periodo, Legge n. 240/2010, quanto, e soprattutto, di quell’art. 1, comma 1, D.L. n. 2/2004 , di cui la precedente previsione costituisce norma di interpretazione autentica, e la cui applicazione viene invocata anche nella presente sede dai ricorrenti (cfr. altresì Cass. Sez. L – Sentenza n. 20765 del 17/08/2018).
Infondato è, parimenti, il secondo motivo.
Il motivo, anzi, appare inammissibile nella parte in cui deduce come vizio della decisione impugnata il non aver disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE.
Come osservato da questa Corte in relazione al l’affine ipotesi di motivo di ricorso per cassazione diretto unicamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale di una norma (Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 14666 del 09/07/2020; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 9284 del 16/04/2018), non risulta configurabile un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte della Corte per non aver il medesimo accolto la sollecitazione a disporre rinvio pregiudiziale, in quanto è riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di disporre il rinvio pregiudiziale medesimo ben potendo lo stesso essere sempre sollecitato dall’interessato, oltre che operato d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché rilevante ai fini della decisione di questioni sostanziali o processuali ritualmente dedotte nel processo.
Al di là di tale profilo, e passando a valutare la sollecitazione formulata anche nella presente sede, va osservato che l’istanza di rinvio pregiudiziale non è comunque accoglibile.
Com’è noto, la CGUE ha più volte chiarito (vedi, per tutte: sentenza 6 ottobre 1982, C-283/81, Soc. Cilfit nonché sentenza 20 settembre 2011, COGNOME e Rezabeck c. Belgio , spec. par. 56) che l’art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che una giurisdizione le cui decisioni non sono impugnabili secondo l’ordinamento interno è tenuta, qualora una questione di diritto dell’Unione europea si ponga dinanzi ad essa, ad adempiere il suo obbligo di rinvio, salvo che non abbia constatato, alternativamente, che: a) la questione esegetica di diritto dell’Unione europea non è rilevante ai fini della decisione del caso concreto; b) la disposizione di diritto dell’Unione di cui è causa ha
già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte; c) la corretta applicazione del diritto europeo si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi.
Nella specie, la questione esegetica prospettata – relativa ai rapporti tra la normativa RAGIONE_SOCIALE riguardante il trattamento dei lettori e il diritto UE, sia pure per uno specifico aspetto – ha già formato oggetto di interpretazione da parte della CGUE (vedi sentenze 26 giugno 2001, C-212/99; 18 luglio 2006, C119/04 – Grande Sezione; 15 maggio 2008, C-276/07), i cui riflessi sulla disciplina RAGIONE_SOCIALE son già stati valutati da questa Corte.
La decisione impugnata, invero, si è conformata alla nutrita serie di precedenti di questa Corte (tra i quali Cass. Sez. U – Sentenza n. 21972 del 21/09/2017; Cass. Sez. L – Sentenza n. 20765 del 17/08/2018 e, più recentemente Cass. Sez. L, Ordinanza n. 13886 del 2023) -la cui motivazione deve intendersi qui richiamata ex art. 118 disp. att. c.p.c. -il contrasto dei cui principi con il diritto eurounitario è già stata reiteratamente esclusa.
Come osservato da ultimo da Cass. Sez. L, Ordinanza n. 13886 del 2023, infatti, ‘(…) non si ravvisa alcuna violazione dei principi fissati dalla Corte di Giustizia perché, come hanno chiarito le Sezioni Unite con la sentenza n. 21972/2017, la garanzia della conservazione dei diritti maturati nella precedente fase del rapporto va limitata «a tutti quegli istituti contrattuali che valorizzano l’anzianità di servizio e quindi, in sostanza, la classe di stipendio di riferimento, gli scatti biennali contrattualmente previsti, i parametri di calcolo del trattamento di fine rapporto (T.F.R.) e con riferimento ai profili concernenti la contribuzione previdenziale»; la nozione di diritto quesito accolta dalle Sezioni Unite coincide con quella indicata dalla Corte di Lussemburgo, che con la sentenza 26.6.2001, in causa C –
212/99, ha precisato che «se i lavoratori beneficiano in forza della legge n. 230 della ricostruzione della loro carriera per quanto riguarda aumenti salariali, anzianità e versamento da parte del datore di lavoro dei contributi previdenziali fin dalla data della loro prima assunzione, gli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, devono altresì beneficiare di una ricostruzione analoga con effetti a decorrere dalla data della loro prima assunzione» (punto 30); (…) d’altro canto gar antendo la ricostruzione della carriera nei termini che risultano dal combinato disposto del d.l. n. 2/2004 e della legge n. 240/2010 non è stato in alcun modo violato il principio di non discriminazione in ragione della nazionalità ed anzi, al contrario, il rispetto del divieto di reformatio in peius è stato garantito con le stesse modalità attraverso le quali è assicurato, tanto nell’impiego pubblico quanto in quello privato, in ogni ipotesi in cui si discuta di modificazioni oggettive e soggettive del rapporto che implichino la conservazione del trattamento economico acquisito ‘ .
Tali considerazioni valgono altresì ad escludere la sussistenza dei presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale, anch’essa sollecitata dai ricorrenti.
Il terzo e quarto motivo devono essere esaminati congiuntamente, essendo in stretta connessione, in quanto entrambi riferiti alla declaratoria di inammissibilità della domanda subordinata con la quale era stata chiesta l’applicazione dei parametri del professore associato a tempo definito o del ricercatore confermato a tempo pieno o a tempo definito.
I due motivi risultano inammissibili.
Essi vengono -correttamente -ad investire le tre rationes decidendi sulla cui scorta la decisione impugnata ha ritenuto la domanda inammissibile, e cioè: 1) l’essere stata la domanda in primo
grado dichiarata inammissibile e non dichiarata assorbita, come dedotto dagli (allora) appellanti; 2) l’assenza (in ogni caso) della necessaria impugnazione incidentale avverso detta statuizione; 3) l’assenza di adeguate allegazioni e di adeguate prove a supporto della domanda.
A questo punto, tuttavia, si deve rilevare che almeno due delle suddette rationes decidendi non risultano adeguatamente impugnate.
Nel censurare la ricostruzione del contenuto della decisione di prime cure operata dalla Corte d’appello (prima ratio ), il ricorso omette radicalmente di riprodurre anche solo nei suoi minimi passaggi essenziali la decisione di primo grado, in tal modo rendendo il motivo di ricorso non rispettoso del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 7499 del 15/03/2019), in disparte l’osservazione per cui , costituendo l’interpretazione del giudicato operata dal giudice del merito non un apprezzamento di fatto ma, una quaestio , la stessa è sindacabile, in sede di legittimità, non per il mero profilo del vizio di motivazione, ma nella più ampia ottica della violazione di legge e gli eventuali errori di interpretazione del giudicato rilevano quali errori di diritto (Cass. S.U. n. 24664/2007; Cass. n. 21200/2009; Cass. n. 24749/2014; Cass. n. 24952/2015; Cass. n. 5043/2017).
La radicale carenza del ricorso vale ad escludere che questa Corte possa esercitare il potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, atteso che tale potere presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura pur in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), dovendosi contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione
nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; ma cfr. anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021).
Inammissibile, poi, risulta la censura che investe la valutazione di inadeguatezza di allegazioni e prove espressa dalla Corte territoriale (terza ratio / quarto motivo di ricorso), atteso che la stessa si presenta di assoluta genericità e -ancora una volta -non rispetta l’art. 366 c.p.c., omettendo di allegare il contenuto del ricorso originario, dal quale si sarebbe dovuta ricavare l’adeguatezza in primo luogo -delle allegazioni.
Tanto basta per dare applicazione al principio per cui il mancato accoglimento del ricorso avverso anche solo una delle rationes decidendi comporta l’inammissibilità degli altri profili o motivi (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006), risultando quindi superfluo l’esame delle censure rivolte alla terza ratio decidendi .
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause
originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 7 marzo 2024.