Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31806 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31806 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23520/2022 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– ricorrente principale – contro
della Fonte di Fauno n. 25
– controricorrente principale – nonché sul ricorso successivo riunito e privo di autonoma iscrizione proposto da
– ricorrente incidentale –
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende
– controricorrenti incidentali della Corte d’Appello di avverso la sentenza n. 1375/2022 Roma, depositata il 4.4.2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La ricorrente principale e gli attuali controricorrenti incidentali -tutti dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE Roma 1, in servizio presso l’ospedale INDIRIZZO , che fino al 31.12.2014 era costituito in autonoma azienda ospedaliera -chiesero e ottennero dal Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, decreto ingiuntivo per il pagamento delle spettanze maturate negli anni 2014, 2015 e 2016 quali componenti dell’ equipe incaricata di eseguire le attività trasfusionali in favore delle aziende sanitarie private convenzionate con l’azienda pubblica per la fornitura di tale servizio.
L ‘opposizione al decreto ingiuntivo proposta dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE venne respinta dal Tribunale, con sentenza che, prontamente impugnata, fu parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Roma, che accolse l’opposizione all’ingiunzione
limitatamente alla posizione di NOME COGNOME confermando la decisione di primo grado per tutti gli altri lavoratori.
Contro la sentenza della Corte territoriale NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, contro il quale l ‘Azienda sanitaria si è difesa con controricorso.
Anche l ‘ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, nei confronti degli altri lavoratori, i quali si sono a loro volta difesi con controricorso.
Il ricorso dell’RAGIONE_SOCIALE è stato riunito al precedente della lavoratrice, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., a valere quindi quale ricorso incidentale.
Tutte le parti hanno depositato memoria illustrativa dei rispettivi ricorsi e controricorsi nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. «violazione e/o falsa applicazione dell ‘art. 2103 e 2112 c.c. , nonché dell’art. 15 -quinquies del d.lgs. n. 502/1992».
La ricorrente rivendica il diritto a mantenere, anche quale dipendente del l’RAGIONE_SOCIALE Roma 1, il medesimo trattamento economico a suo tempo goduto presso la soppressa Azienda Ospedaliera San Filippo Neri con riguardo alla sua partecipazione alle attività trasfusionali eseguite in favore delle aziende private. In particolare, rivendica il diritto alla quota di sua spettanza sul 20% esposto nelle fatture emesse nei confronti delle aziende private che l’Azienda Ospedaliera
ripartiva tra tutti i componenti dell’ equipe impegnata in quel servizio.
Il motivo censura la sentenza impugnata laddove questa ha ritenuto che, con l’incorporazione dell’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri nell’A .S.L. Roma E, prima (dal 1°.1.2015), e nell’A.S.L. Roma 1, poi (dal 1°.1.2016), in forza dell’art. 2112 c.c., sarebbe divenuto applicabile anche ai rapporti di lavoro con gli ex dipendenti dell’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri il diverso regime applicato ai dipendenti delle aziende sanitarie incorporanti.
Il secondo motivo del ricorso principale denuncia, sempre in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2103 e 2112 c.c., nonché dell’art. 15 -quinquies del d.lgs. n. 502/1992, avuto precipuo riguardo al decreto del Ministro della Sanità del 1°.9.1995, alla legge regionale del Lazio n. 48/1995 ed ai provvedimenti regionali D.G.R. 376/2001 e 342/2008 con riferimento all’art. 34 CCNL Comparto Sanità 7.4.1999 in tema di lavoro straordinario ed all’art. 10 del CCNL Comparto Sanità 31.7.2009 in tema di compensi incentivanti».
La ricorrente desume dalle disposizioni che si assumono violate e da altre indica te nell’illustrazione del ricorso la fonte del proprio diritto al pagamento dei «compensi incentivanti», così come azionati con il ricorso per decreto ingiuntivo, rilevando che non si tratta di compenso per lavoro straordinario, né di attività libero professionale svolta intra moenia .
Il terzo motivo denuncia: «vizio di cui a ll’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame di un fatto storico consistente nel fatto che l’unica contrattazione collettiva
aziendale intervenuta al momento della fusione per incorporazione era quella culminata con accordo sindacale ratificato il 2.12.2009, fatto che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti ed era decisivo per il giudizio».
Il motivo, sul ribadito presupposto che un regime del trattamento economico deteriore presso le aziende incorporanti potrebbe essere giustificato solo dalle previsioni di un diverso contratto collettivo, contesta alla Corte territoriale di non avere esaminato il fatto che una siffatta previsione non è contemplata nel contratto collettivo aziendale stipulato nel 2009 presso l’RAGIONE_SOCIALE
I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della stretta connessione tra di loro, sono infondati.
4.1. Occorre premettere che il credito azionato dalla ricorrente principale riguarda compensi asseritamente maturati esclusivamente negli anni 2015 e 2016 e che ella non è coinvolta nel discorso sul giudicato esterno e interno che ha determinato il diverso esito del giudizio per gli altri lavoratori e di cui si dovrà trattare in seguito, esaminando il ricorso incidentale.
4.2. La Corte d’Appello di Roma, per decidere la causa tra la ricorrente e l’RAGIONE_SOCIALE Roma 1, ha innanzitutto preso atto che le delibere adottate da tale Azienda, a differenza di quelle a suo tempo adottate dall’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri , non prevedevano la distribuzione automatica del 20% aggiuntivo fatturato sul l’attività trasfusion ale resa alle aziende private tra tutti i dipendenti coinvolti, bensì la remunerazione dei dipendenti per tale attività solo se resa al di fuori del normale orario di servizio, come lavoro straordinario o prestazioni libero professionali intra moenia . La Corte ha quindi ritenuto -facendo
riferimento all’art. 2112 c.c. che il nuovo datore di lavoro non fosse tenuto ad applicare ai lavoratori trasferiti per effetto dell’incorporazione dell’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri il medesimo trattamento economico già da loro goduto presso il precedente datore di lavoro, potendo estendere anche nei loro confronti il regime di trattamento economico applicato ai propri dipendenti.
4.3. La critica nei confronti di tale impostazione si incentra sul rilievo che il nuovo datore di lavoro non può disconoscere al lavoratore trasferito il trattamento economico cui egli aveva diritto presso il precedente datore di lavoro. Più precisamente, si afferma che il diverso regime di trattamento economico -anche deteriore -potrebbe essere esteso ai lavoratori trasferiti, ai sensi dell’art. 2112 c.c., ma solo in esecuzione di un diverso contratto collettivo, non certo di deliberazioni unilaterali del nuovo datore di lavoro. A ciò si aggiunge che presso l’Azienda Sanitaria Locale Roma E, nella quale fu incorporata l’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri e che poi confluì a sua volta nell’A.S.L. Roma 1, non fu mai stipulato un contratto collettivo aziendale che prevedesse la ripartizione tra i lavoratori del 20% aggiuntivo fatturato alle aziende private solo a titolo di remunerazione di lavoro straordinario o di attività libero professionale intra moenia .
4.4. Il ragionamento della ricorrente è astrattamente corretto, ma in concreto difetta di un elemento necessario per attribuirgli fondamento.
La Corte d’Appello h a basato la sua decisione su un confronto tra le delibere adottate dalle diverse aziende -e, quindi, svolto sul piano omogeneo dei diversi regolamenti interni -stabilendo che l’A.SRAGIONE_SOCIALE Roma 1 non poteva essere
vincolata al rispetto delle delibere a suo tempo adottate dalla cessata Azienda Ospedaliera San Filippo Neri.
Giustamente la ricorrente evidenzia la necessità di spostare il confronto sul più appropriato livello della «normativa primaria e secondaria» e dei contratti collettivi di lavoro, uniche fonti abilitate a definire il trattamento economico nel pubblico impiego (artt. 24 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001). Ma questo deve valere anche e innanzitutto per il trattamento economico goduto presso l’A zienda Ospedaliera San Filippo Neri, trattandosi di individuare una fonte legale o contrattuale del credito azionato dalla ricorrente con il ricorso per decreto ingiuntivo.
4.5. Ebbene, la ricorrente non indica la fonte del proprio vantato diritto in un contratto collettivo nazionale di lavoro. Le uniche disposizioni di CCNL citate nella rubrica del secondo motivo sono una norma in tema di lavoro straordinario (art. 34 CCNL Comparto Sanità 7.4.1999, citato a contrario , solo per sostenerne l’inapplicabilità al caso in esame) e un’altra in tema di compensi incentivanti (art. 10 del CCNL Comparto Sanità 31.7.2009, di cui però non si spiega la pertinenza rispetto al caso in esame, posto che ivi si tratta di progetti innovativi, di destinazione di risorse derivanti da risparmi di spesa sul costo del personale e di verifica del raggiungimento degli obiettivi; non della destinazione del fatturato sulla fornitura del servizio trasfusionale alle aziende private convenzionate).
Nemmeno viene indicato un contratto collettivo aziendale di lavoro stipulato dall’A zienda Ospedaliera San Filippo Neri che prevedesse la ripartizione automatica del 20% fatturato alle aziende private tra tutti i lavoratori impegnati nell’attività di trasfusione. Ciò fermo restando che un contratto collettivo aziendale potrebbe disporre retribuzioni aggiuntive soltanto nei
limiti in cui ciò sia previsto e consentito dalla contrattazione collettiva nazionale (Cass. nn. 24807/2023; 21316/2022).
Per quanto riguarda le fonti legislative, a parte l’ art. 15 -quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, menzionato per escluderne la pertinenza nel caso di specie (in quanto disciplina l’attività libero professionale intra moenia dei dirigenti medici), la ricorrente cita la legge n. 107 del 1990 (peraltro pressoché integralmente abrogata dalla legge n. 219 del 2005) e la legge della Regione Lazio n. 48 del 1995. Queste disposizioni contengono però norme volte a disciplinare l’organizzazione del servizio trasfusionale, non il rapporto di lavoro con i dipendenti delle aziende sanitarie che svolgono quel servizio.
L’art. 2103 c.c. è indicato in rubrica senza che se ne spieghi l’utilità a sostegno della domanda , in una causa che non riguarda l’esercizio di mansioni inappropriate al livello di inquadramento dei lavoratori. Quanto all’art. 2112 c.c., esso delinea i presupposti per il mantenimento dei diritti già acquisiti presso il precedente datore di lavoro, sicché non può costituire esso stesso la fonte di quei diritti.
Viene poi invocato il decreto del Ministero della Sanità 1°.9.1995 (contenente la «disciplina dei rapporti tra le strutture pubbliche provviste di servizi trasfusionali e quelle pubbliche e private, accreditate e non accreditate, dotate di frigoemoteche»), al quale è allegato uno «Schema-tipo di convenzione per il servizio di medicina trasfusionale», il cui art. 12, rubricato «rapporti economici», dispone: «L ‘ azienda sanitaria fatturerà mensilmente alla casa di cura: … f ) contributo alle spese di funzionamento generale della struttura trasfusionale produttiva della prestazione e della consulenza tecnico-scientifica fornita, pari al 20% del fatturato complessivo».
È dunque questa la disposizione -di rango sublegislativo e non contrattuale -che prevede la fatturazione di un contributo, pari al 20% dell’importo complessivo delle altre voci esposte in fattura, destinato però a remunerare, non direttamente i lavoratori coinvolti nel servizio, bensì le «spese di funzionamento generale della struttura trasfusionale produttiva della prestazione e della consulenza tecnicoscientifica fornita».
Tale destinazione del 20% a copertura delle spese di «funzionamento generale della struttura» richiederebbe una successiva contrattazione collettiva che stabilisse la misura e le modalità dell ‘ attribuzione di quanto incassato ai dipendenti interessati, i quali di quella struttura sono parte essenziale, ma non esclusiva.
In mancanza di tale previsione contrattuale, la ricorrente indica la fonte del suo diritto soggettivo nelle delibere della Giunta regionale del Lazio n. 376 del 2001 e n. 345 del 2008. L’art. 15 di quest’ultima (che ha aggiornato la precedente) stabilisce, in effetti, tra l’altro, che «Per le attività trasfusionali svolte nei confronti delle case di cura private ai sensi dell’art 1, comma 1, del Decreto del Ministro della Sanità 10.9.1995 compete una quota del 20% del fatturato complessivo derivante dalla convenzione in favore de l personale dell’ equipe del centro stesso». In altri termini, il 20% del fatturato -che secondo il Decreto ministeriale citato ristora le spese di «funzionamento generale della struttura» e, quindi, appartiene all’Azienda -viene attribuito invece alla « equipe del centro», cioè direttamente ai lavoratori.
Sennonché, tale delibera regionale non può rappresentare la fonte normativa del credito vantato dalla ricorrente, per una duplice ragione.
Innanzitutto, come già rilevato sopra, il trattamento economico dei pubblici impiegati deve essere quello previsto dai contratti collettivi e non può essere incrementato in forza di un atto amministrativo (artt. 24 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001).
In secondo luogo, la delibera regionale n. 345 del 2008 (al pari di quella precedente del 2001) non è volta a disciplinare i compensi incentivanti, cioè il tipo di retribuzione aggiuntiva vantata dalla ricorrente, bensì contiene le «linee guida per l’esercizio della libera professione intramuraria della Regione Lazio», ovverosia la disciplina proprio di quel tipo di attività che, secondo la ricorrente, non dovrebbe avere niente a che fare con la remunerazione da lei pretesa. Si tratta inoltre di disposizioni applicabili solo ai dirigenti , come precisato all’art. 2 della delibera.
4.6. In definitiva è evidente la contraddizione in cui cade la tesi sostenuta dalla ricorrente principale: in mancanza di una norma della contrattazione collettiva che le riconosca il diritto fatto valere a titolo di compenso incentivante, invoca una disposizione che, oltre a non avere rango adeguato nel sistema delle fonti del diritto del pubblico impiego privatizzato, è diretta a disciplinare l’attività libero professionale intramuraria dei dirigenti e non la retribuzione del lavoro dei dipendenti a vario titolo coinvolti nella fornitura all’esterno del servizio emostrasfusionale nell’adempimento del normale debito orario lavorativo.
Nel consegue che risulta corretto il dispositivo della sentenza impugnata (accoglimento dell’opposizione e revoca del decreto ingiuntivo), quantunque la motivazione sia carente per essersi limitata a considerare e confrontare i diversi regolamenti interni delle aziende, senza affrontare il tema essenziale della
fonte contrattuale del credito fatto valere (art. 384, comma 4, c.p.c.).
5. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, l’RAGIONE_SOCIALE censura la sentenza laddove ha invece confermato il rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo con riguardo a tutti gli altri lavoratori. Il motivo è così rubricato: «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2112 e 2909 c.c., nonché degli artt. 324 e 329 c.p.c., rilevante ai sensi del l’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’Appello errato nel ritenere coperta da giudicato (interno ed esterno) la domanda».
L’NOME da sanitaria assume che erroneamente venne ravvisata l’esistenza di un giudicato interno idoneo a precludere contestazioni sulla pretesa azionata in causa. Infatti, la pronuncia da cui scaturirebbe quel giudicato era stata emessa nei confronti di un soggetto diverso, ovverosia l’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri e per un periodo diverso da quello di causa, elementi tutti che avrebbero dovuto impedire il riconoscimento dell’esistenza di un giudicato idoneo a dispiegare effetti in questo giudizio.
5.1. Il ricorso è infondato.
La Corte territoriale non ha ritenuto in modo diretto l’esistenza di un giudicato esterno preclusivo rispetto a quanto da decidere nella presente causa. Essa ha invece affermato che il Tribunale aveva deciso sulla base di una doppia ratio decidendi , di cui una basata sull’esistenza, per ragioni sostanziali, del diritto rivendicato dai lavoratori e l’altra basata sul fatto che, comunque, a fondare la pretesa stava il giudicato esterno riveniente da un diverso processo.
Su tale premessa -e pur avendo la Corte d’Appello manifestato di non condividere le ragioni sviluppate dal Tribunale sui profili puramente sostanziali, tant’è che ha accolto
l’appello nei confronti di NOME COGNOME la sentenza qui impugnata ha «tuttavia» rilevato che era stata impugnata la ratio decidendi , parimenti sviluppata dal Tribunale, riguardante il giudicato, che era in sé idonea a sorreggere la decisione favorevole ai lavoratori.
La Corte di merito, pertanto, non ha neppure esaminato, per ragioni processuali, la fondatezza o meno di quanto addotto dal Tribunale per riconoscere gli effetti di quel giudicato esterno e ciò coerentemente con la propria premessa, non potendo in quella sede di gravame occuparsi di un aspetto non coinvolto dai motivi di appello.
A fronte di ciò, è sterile l’insistenza dell’ A.SRAGIONE_SOCIALE Roma 1 sull’inesistenza dell’originario giudicato esterno valorizzato dal Tribunale o sull’inidoneità di esso ad influire sui diritti azionati in questa causa o, ancora meno, sull’infondatezza della pretesa di far valere presso la A.RAGIONE_SOCIALE Roma 1 quanto deliberato presso l’Azienda Sanitaria San Filippo Neri. Infatti, per poter riesaminare tali temi in questa causa, si dovrebbe inficiare la pronuncia di appello che, senza esaminare l’esistenza o la portata di quel giudicato esterno, ha semplicemente rilevato che l’a ffermazione di una sua esistenza e di una sua decisività da parte del Tribunale, non essendo stata impugnata con l’appello, era ormai incontrovertibile.
Per contrastare tale affermazione non è utile insistere sull’esistenza o sugli effetti di quel giudicato esterno, perché non è quello il punto, mentre sul profilo decisivo, ovverosia sull’essersi censurata con l’appello la ratio decidendi del Tribunale che ha ritenuto l’esistenza di quel giudicato esterno, nulla è detto nel ricorso per cassazione.
Quindi il motivo di ricorso incidentale, che si incentra sul giudicato, non può trovare accoglimento, perché appunto con
esso si argomenta rispetto all’esistenza ed efficacia del giudicato esterno, il che non consente di superare l’esistenza invece di un giudicato interno (su quel giudicato esterno), per effetto della mancata impugnazione in appello, che è quanto risulta decisivo.
Per completezza si osserva che quanto affermato dalla Corte territoriale è conforme alla giurisprudenza costante di questa Suprema Corte secondo cui, nonostante la maggiore ampiezza dell’effetto devolutivo, anche nel rapporto tra pronuncia di primo grado e giudizio di appello la mancata impugnazione di una tra più rationes decidendi sviluppate nella prima sentenza consolida la ratio non gravata, che resta idonea a stabilizzare la decisione di merito ed a rendere inammissibile l’appello (v. Cass. nn. 7790/2023; 18310/2007; 7809/2001; 7675/1995).
Tale conclusione è del resto ulteriormente giustificata dal rilievo testuale che il principio di specificità dell’appello ha ricevuto negli artt. 343 e 434 c.p.c., in forza delle modifiche apportate dal d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni in legge n. 134 del 2012 e poi ora ulteriormente dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Il diverso esito del processo nei due gradi di merito giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra la ricorrente principale e l’RAGIONE_SOCIALE. Nel rapporto, invece, tra quest’ultima e i controricorrenti incidentali le spese legali del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono -a carico sia della ricorrente principale che della ricorrente incidentale -i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso principale;
rigetta il ricorso incidentale;
compensa le spese del giudizio di legittimità nel rapporto tra ricorrente principale e RAGIONE_SOCIALE;
condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore solidale dei controricorrenti incidentali, liquidate in € 9.000, per compensi, oltre alle spese generali al 15%, € 200 per esborsi e accessori ;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di entrambe le ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della