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Tratta di esseri umani: dovere di indagine del giudice

Una donna nigeriana si è vista negare la protezione internazionale, ma la Cassazione ha ribaltato la decisione. Il tribunale di merito aveva ignorato chiari indicatori di tratta di esseri umani, come il matrimonio forzato e un viaggio migratorio sospetto, solo perché la donna non ne aveva parlato esplicitamente. La Corte Suprema ha sottolineato che i giudici hanno il dovere di indagare attivamente quando emergono tali segnali, proteggendo così le vittime vulnerabili.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Tratta di esseri umani: il dovere di indagine del giudice prevale sul silenzio della vittima

L’ordinanza della Corte di Cassazione in commento affronta un tema cruciale nella protezione internazionale: la tratta di esseri umani e il dovere del giudice di indagare anche quando la vittima non denuncia esplicitamente la propria condizione. Questa decisione rafforza un principio fondamentale: la vulnerabilità della vittima non può diventare un ostacolo all’accertamento della verità e al riconoscimento dei suoi diritti.

I Fatti del Caso

Una cittadina nigeriana, proveniente da una famiglia molto povera, raccontava una storia drammatica. Sposata forzatamente a quattordici anni, con due figli, era rimasta vedova. Successivamente, a seguito di un grave incidente stradale in cui era stata coinvolta come autista, aveva subito minacce dai familiari delle vittime. Per questo motivo, era fuggita dalla Nigeria, intraprendendo un pericoloso viaggio attraverso Niger e Libia per arrivare in Italia. Qui, dopo un periodo in un centro di accoglienza, si era trovata a vivere di elemosina. La sua domanda di protezione internazionale era stata respinta sia dalla Commissione Territoriale che, in un primo momento, dal Tribunale.

La Decisione dei Giudici di Merito

Il Tribunale aveva negato la protezione internazionale, ritenendo il racconto sull’incidente stradale generico e poco credibile. Tuttavia, aveva riconosciuto alla donna una protezione speciale, motivata dalla generale instabilità della sua regione di provenienza. Nella sua decisione, il Tribunale aveva completamente ignorato diversi elementi emersi dal racconto della donna che costituivano chiari indicatori di una possibile situazione di tratta, come il matrimonio forzato in giovane età, la povertà estrema, le modalità del viaggio e l’assenza di mezzi di sostentamento in Italia.

L’analisi della Cassazione sulla tratta di esseri umani

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della donna, annullando la decisione del Tribunale e rinviando il caso a un nuovo esame. La Suprema Corte ha censurato l’operato del giudice di merito per aver omesso una valutazione completa della storia della ricorrente. Secondo la Cassazione, il giudice non può limitarsi ad analizzare solo la parte del racconto che appare meno credibile, ma deve esaminare tutti gli elementi nel loro complesso.

Il Dovere di Indagine e la tratta di esseri umani

Il punto centrale della decisione è il richiamo al principio della cooperazione istruttoria. In materia di protezione internazionale, e in particolare quando emergono indicatori di tratta di esseri umani, il giudice ha l’obbligo di assumere un ruolo attivo nell’accertamento dei fatti. Non può fermarsi di fronte al silenzio o persino alla negazione della vittima, poiché la paura, la soggezione psicologica e la vergogna sono elementi caratteristici di questa condizione.

Le Motivazioni

La Corte ha sottolineato che il racconto di una possibile vittima di tratta deve essere valutato nella sua interezza. Elementi come la provenienza da un’area a rischio, la povertà, un matrimonio precoce e forzato, e le lacune nel racconto del viaggio non devono essere visti come segni di inattendibilità, ma possono essere essi stessi indicatori della tratta. Il giudice deve quindi attivarsi per acquisire informazioni aggiornate sul paese di origine e di transito e valutare la storia alla luce delle linee guida internazionali, come quelle dell’UNHCR, per l’identificazione delle vittime. L’omissione di questa indagine approfondita costituisce una violazione delle norme nazionali ed europee. Il fatto che la ricorrente non si fosse presentata all’audizione o avesse rifiutato un colloquio specialistico (il cosiddetto referral) non esonera il giudice dal suo dovere di valutazione, ma diventa un ulteriore elemento da considerare nel quadro complessivo, che potrebbe anche confermare uno stato di soggezione e paura.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma con forza che la tutela delle vittime di tratta è un obbligo inderogabile per lo Stato e per i suoi giudici. Il giudice della protezione internazionale deve essere un attento osservatore, capace di cogliere i segnali, anche deboli, di uno sfruttamento disumano. La decisione insegna che il processo non può essere una mera verifica formale del racconto, ma deve diventare uno strumento sostanziale di protezione, capace di andare oltre le apparenze e di far emergere una verità spesso nascosta dalla paura. La causa è stata quindi rinviata al Tribunale, che dovrà riesaminare il caso applicando correttamente questi principi.

Un giudice può ignorare i segnali di tratta di esseri umani se la vittima non ne parla esplicitamente?
No. La Corte di Cassazione stabilisce che il giudice ha un dovere di ‘cooperazione istruttoria’. Anche in assenza di un’esplicita denuncia, o persino di fronte a una negazione da parte della persona interessata, il giudice deve attivarsi per indagare e valutare tutti gli elementi che possano indicare una situazione di tratta.

Cosa deve fare un giudice quando sospetta che un richiedente asilo sia vittima di tratta?
Il giudice deve esaminare l’intero racconto del richiedente, non solo le parti che sembrano meno credibili. Deve valutare i fatti alla luce degli ‘indicatori di tratta’ (es. povertà, matrimonio forzato, percorso migratorio), utilizzando le linee guida internazionali (come quelle dell’UNHCR) e acquisendo informazioni aggiornate sul paese di origine e di transito per comprendere a fondo il contesto.

Il fatto che una persona rifiuti di collaborare o non si presenti in udienza impedisce al giudice di valutare la possibilità che sia vittima di tratta?
No, non lo impedisce. Anzi, la mancata comparizione o il rifiuto di sottoporsi a colloqui specialistici (referral) sono elementi che il giudice deve valutare. Questi comportamenti, invece di essere visti solo come un ostacolo, possono essere interpretati come ulteriori indizi di uno stato di paura e soggezione psicologica, tipico delle vittime di tratta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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