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Trasformazione part-time: quando diventa full-time?

Un lavoratore di una società di handling aeroportuale, assunto con contratto part-time, si è visto riconoscere la trasformazione del rapporto in full-time. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4354/2024, ha confermato che lo svolgimento costante e continuativo di un orario di lavoro pari a quello a tempo pieno determina la trasformazione del contratto per fatti concludenti, a prescindere da un accordo scritto. La Corte ha stabilito che il comportamento delle parti prevale sulla forma contrattuale iniziale. È stato invece respinto il ricorso del lavoratore che contestava la decorrenza del superiore inquadramento, ritenendo legittime le clausole del CCNL che prevedono periodi di attestazione per la progressione di carriera.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Trasformazione part-time in full-time: quando il lavoro extra diventa la regola

La trasformazione part-time di un contratto di lavoro in uno a tempo pieno rappresenta una questione di grande rilevanza pratica. Molti lavoratori si trovano a svolgere sistematicamente un numero di ore superiore a quelle previste, ma quando questo comportamento modifica la natura stessa del rapporto? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4354 del 19 febbraio 2024, è tornata su questo tema, consolidando un principio fondamentale: la realtà effettiva della prestazione lavorativa prevale sulla forma contrattuale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti del caso: da lavoratore part-time a full-time di fatto

Il caso riguarda un dipendente di una società di servizi aeroportuali, assunto con un contratto a tempo parziale. Tuttavia, come emerso dalle buste paga, il lavoratore aveva prestato la sua attività per quasi tutta la durata del rapporto con un orario mensile (165,83 ore) ben superiore a quello contrattuale (86,50 ore) e, di fatto, corrispondente a quello di un lavoratore a tempo pieno.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano riconosciuto il suo diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a full-time, oltre al diritto a un superiore inquadramento per le mansioni svolte. La società datrice di lavoro ha quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che il semplice superamento dell’orario non fosse sufficiente a modificare il contratto e che la volontà delle parti dovesse essere manifestata per iscritto.

La questione giuridica e la trasformazione part-time

Il quesito legale al centro della controversia era se un rapporto di lavoro, nato come part-time, potesse trasformarsi in un rapporto a tempo pieno sulla base di comportamenti concludenti, cioè attraverso una prassi consolidata, anche in assenza di un accordo scritto.

L’azienda sosteneva che tale trasformazione richiedesse un consenso scritto e che la costante richiesta di ore supplementari fosse giustificata da esigenze organizzative tipiche del settore, come previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL). Il lavoratore, dal canto suo, sosteneva che la prestazione lavorativa resa costantemente secondo l’orario normale fosse la prova della novazione del rapporto.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando le decisioni dei giudici di merito e offrendo importanti chiarimenti.

Il principio dell’effettività della prestazione

Il cuore della motivazione risiede nel cosiddetto “criterio dell’effettività”. Secondo la Suprema Corte, nel rapporto di lavoro, ciò che risulta decisivo non è il negozio costitutivo iniziale (il contratto scritto), ma il rapporto nella sua concreta attuazione. Se la prestazione lavorativa si è svolta di fatto e costantemente secondo le modalità tipiche del tempo pieno, il trattamento giuridico ed economico del lavoratore deve adeguarsi a questa realtà.

La volontà desunta dai “fatti concludenti”

La Corte ha ribadito un orientamento giurisprudenziale consolidato: la trasformazione part-time in un contratto a tempo pieno può avvenire “per fatti concludenti”. Non è necessario un requisito formale scritto. La continua e sistematica prestazione di un orario di lavoro pari o superiore a quello a tempo pieno è considerata una manifestazione tacita, ma inequivocabile, della volontà di entrambe le parti di modificare stabilmente l’orario di lavoro concordato in origine.

La Corte ha precisato che un conto è il ricorso a lavoro supplementare per specifiche e temporanee esigenze aziendali, altro è l’utilizzo costante e strutturale del lavoratore per un orario da tempo pieno. Quest’ultima circostanza snatura il contratto part-time e ne determina la trasformazione.

Il rigetto del ricorso incidentale sull’inquadramento

La Cassazione ha anche respinto il ricorso del lavoratore, il quale contestava la decisione della Corte d’Appello di posticipare la data di decorrenza del suo superiore inquadramento. I giudici hanno ritenuto legittima la clausola del CCNL che prevedeva un periodo di “attestazione” di 18 mesi per il passaggio al livello superiore, considerandola una valida modalità di progressione professionale che premia l’esperienza e la fedeltà aziendale, non in contrasto con l’art. 2103 del codice civile.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio di tutela fondamentale per i lavoratori: la sostanza prevale sulla forma. Un datore di lavoro non può assumere un dipendente con un contratto part-time per poi, di fatto, impiegare sistematicamente la sua prestazione a tempo pieno senza subirne le conseguenze legali. La trasformazione part-time del contratto diventa un esito inevitabile quando la prassi lavorativa si discosta in modo stabile e continuativo da quanto pattuito per iscritto. Questa decisione serve da monito per le aziende, che devono gestire il lavoro supplementare in modo corretto e occasionale, e non come uno strumento per mascherare un effettivo rapporto di lavoro a tempo pieno.

Svolgere costantemente un orario di lavoro superiore a quello part-time trasforma automaticamente il contratto in full-time?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che la prestazione lavorativa resa in modo continuativo per un orario pari o superiore a quello previsto per il tempo pieno determina la trasformazione del rapporto di lavoro per “fatti concludenti”, anche in assenza di un nuovo accordo scritto.

Un accordo di conciliazione che ribadisce la natura part-time del rapporto impedisce una futura richiesta di trasformazione in full-time?
Non necessariamente. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che l’efficacia del verbale di conciliazione fosse limitata nel tempo e non potesse impedire al lavoratore di rivendicare i diritti derivanti dalle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa successive a tale accordo.

Le previsioni di un contratto collettivo che stabiliscono un periodo di “attestazione” per passare a un livello superiore sono legittime?
Sì. La Corte ha stabilito che tali clausole contrattuali sono valide perché rappresentano un meccanismo di progressione professionale basato sull’esperienza maturata e sulla fedeltà aziendale, e non si pongono in contrasto con le norme imperative di legge come l’articolo 2103 del codice civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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