Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4354 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 4354 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
SENTENZA
sul ricorso 24514-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME NOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 2102/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/01/2020 R.G.N. 528/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
Rep.
Ud. 10/01/2024
PU
udito l’AVV_NOTAIO per delega dell’AVV_NOTAIO.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza in atti, in parziale riforma della sentenza impugnata da RAGIONE_SOCIALE, ha dichiarato che il rapporto di lavoro intercorrente con NOME COGNOME doveva trasformarsi da part time a full time con decorrenza dal 1 novembre 2015; accertava inoltre lo svolgimento di mansioni riconducibili al VI livello a far tempo dal 1/6/2016 e dichiarava il diritto di COGNOME all’inquadramento al V livello del CCNL personale di terra a far tempo dall’1/12/2017, con la conseguente condanna al pagamento delle relative differenze retributive, oltre accessori e confermava nel resto la sentenza impugnata.
A fondamento della pronuncia la Corte d’appello rilevava, in relazione alla trasformazione del rapporto a tempo pieno, che, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, emergeva dalle buste-paga in atti che COGNOME avesse lavorato per quasi tutto il rapporto di lavoro con un orario di lavoro ben superiore (165,83 ore mensili) a quello contrattualmente previsto (86,50 ore mensili) e pressoché corrispondente a quello previsto per il tempo pieno. Pertanto in applicazione del principio più volte affermato dalla giurisprudenza, il rapporto a tempo parziale si era trasformato in rapporto a tempo pieno per fatti concludenti, in relazione alla prestazione lavorativa resa costantemente secondo l’orario normale o addirittura con orari superiori. La sentenza doveva essere però riformata nella parte in cui non aveva dato atto del verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale in data 28 ottobre 2015 con consequenziale riconoscimento del diritto ad essere qualificato come lavoratore full time anziché part-time dal 1/11/2015.
Inoltre, quanto al diritto all’inquadramento superiore, la Corte d’appello ha rilevato che il giudice di prime cure, alla luce delle testimonianze assunte, ha correttamente riconosciuto il diritto del COGNOME di essere inquadrato nel V livello del CCNL trasporto aereo, sezione Handler, considerata l’attività prevalente svolta dal COGNOME quale autista di mezzo complesso (pullman di 25 posti).
Quanto alla decorrenza del diritto all’inquadramento superiore la Corte ha affermato che si dovesse tener conto del contratto collettivo secondo cui l’OPR (Operatore Polivalente Rampa) poteva essere inquadrato nel quinto livello solo dopo i 18 mesi di attestazione e pertanto il diritto doveva essere dichiarato a far tempo dall’1/12/2017 decorsi il periodo di 18 mesi.
Contro la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi a cui ha resistito COGNOME NOME con controricorso contenente ricorso incidentale con un motivo.
Il PG ha depositato conclusioni scritte ed ha concluso per il rigetto dei ricorsi. La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione, in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c., dell’articolo 1326 c.c. relativamente all’esistenza di fatti concludenti ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’articolo 360 numero 5 c.p.c. e relativi all’orario di lavoro del signor COGNOME.
Con tale motivo si censura, anzitutto, la tesi secondo cui l’espletamento di un orario di lavoro maggiore di quello stabilito nel contratto a tempo parziale sia di per sé in grado di determinare la trasformazione del rapporto a tempo pieno, dato che né la legge né il CCNL prevedono tale esito; la trasformazione del rapporto necessiterebbe, invece, del
consenso scritto di entrambe le parti non desumibile per facta concludentia. Inoltre la Corte di merito non avrebbe tenuto in considerazione il verbale di conciliazione del 28 ottobre 2015, con cui le parti avrebbero ribadito la volontà di intrattenere un rapporto di lavoro part time.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2.- La Corte di appello, anzitutto, non ha affermato che è sufficiente il superamento dell’orario di lavoro per la trasformazione del contratto da part time a full time, avendo sostenuto, piuttosto, che il lavoratore non avesse mai lavorato part time avendo ‘ lavorato per quasi tutto il rapporto di lavoro con un orario di lavoro ben superiore (165,83 ore mensili) a quello contrattualmente previsto (86,50 ore mensili) pressoché corrispondente a quello previsto per il tempo pieno’ .
Tale accertamento di fatto, che non è oggetto di contestazione, ed è stato effettuato pure dal primo giudice, appare idoneo a sorreggere la conclusione assunta in modo del tutto conforme all’orientamento giurisprudenziale consolidato di questa Corte, per superare il quale il ricorso non fornisce idonee argomentazioni, ed a cui il Collegio intende dare continuità ed ulteriormente consolidare.
1.3.- Sin da Cass. n. 8904 del 1996 è stato infatti chiarito da questa Corte che ‘una volta accertato che, nonostante la stipulazione di un contratto di lavoro part-time, le concrete modalità di svolgimento del rapporto sono state quelle tipiche del tempo pieno, la determinazione delle spettanze del lavoratore in relazione ai vari istituti retributivi non può che risultare conforme a questa realtà’, atteso che la trasformazione da un contratto part-time ad un ordinario rapporto di lavoro a tempo pieno non è assoggettata a vincoli formali e procedimentali, avendo ‘il leg islatore reso palese, da un lato, l’indubbio favore verso il lavoro a tempo pieno, e, dall’altro, il rilievo determinante da riconoscere al
criterio dell’effettività come fonte dell’individuazione del trattamento dovuto al lavoratore’; sicché, nel rapporto di lavoro, ove sia accertato che la prestazione si è effettivamente svolta secondo determinate modalità, opera il ‘principio di corrispondenza del trattamento del lavoratore all’effettiva consistenza del proprio impegno’, allorquando si tratti ‘di riconoscere i diritti del prestatore di lavoro per la propria attività, in quanto ciò che risulta decisivo non è il negozio costitutivo del rapporto, ma il rapporto nella concreta attuazione dalla quale sorgono siffatti diritti’ (nella specie, la sentenza richiamata ha ritenuto coerente che i giudici del merito si fossero avvalsi delle prove dedotte dal lavoratore per provare le reali modalità di esecuzione della prestazione, pur senza negare validità formale alla stipulazione di un contratto di lavoro part-time, che, sebbene stipulato in conformità alle prescrizioni di legge, non ebbe poi concreta attuazione, così da non poter costituire fonte della disciplina del rapporto, in applicazione del suesposto criterio di effettività).
Sulla scorta di tali assunti si è sviluppata una consolidata giurisprudenza la quale ha sempre ammesso che, “in base alla continua prestazione di un orario di lavoro pari a quello previsto per il lavoro a tempo pieno, un rapporto di lavoro nato come a tempo parziale possa trasformarsi in un rapporto di lavoro a tempo pieno, nonostante la difforme, iniziale, manifestazione di volontà delle parti, non occorrendo alcun requisito formale per la trasformazione di un rapporto a tempo parziale in rapporto di lavoro a tempo pieno” (cfr. Cass. n. 5520 del 2004; v. pure: Cass. n. 3228 del 2008, Cass. n. 6226 del 2009); si è altresì precisato che “risulta del tutto inutile ogni discussione in ordine alla possibilità di riscontrare o meno una volontà novativa della parti, una volta che sia stata dimostrata la costante effettuazione di un orario di lavoro prossimo a quello
stabilito per il lavoro a tempo pieno e del pari inconferente il richiamo alla disciplina codicistica in tema di conversione del contratto nullo” (cfr. Cass. n. 25891 del 2008; conf. Cass. n. 17774 del 2011).
Ancora di recente, quindi, è stato ribadito come la continuativa prestazione di un orario corrispondente a quello previsto per il lavoro a tempo pieno possa determinare che la trasformazione da un originario part-time ad un full-time si sia verificata ‘per fatti concludenti’ (Cass. n. 8658 del 2019; Cass. n. 20209 del 2019; v. anche, nel vigore del d. lgs. n. 61 del 2000, Cass. n. 31342 del 2018).
Naturalmente, poiché si tratta di indagare una comune volontà negoziale, sebbene realizzata attraverso la forma di comportamenti concludenti, il relativo accertamento è demandato al giudice del fatto (Cass. n. 3228 del 2008; Cass. n. 6226 del 2009, la quale precisa anche che il mero superamento del tetto delle ore previste per il tempo parziale non determina automaticamente la trasformazione); detto accertamento può essere sindacato innanzi a questa Corte nei ristretti limiti in cui può esserlo ogni accertamento di fatto (tra molte, v. Cass. n. 29781 del 2017).
1.4.L’orientamento di cui sopra risulta confermato dalla sentenza n. 20209 del 25/07/2019 con la quale è stato ribadito che l’osservanza di un orario lavorativo pari a quello previsto per il tempo pieno è idonea a comportare, nonostante la difforme iniziale volontà delle parti, l’automatica trasformazione del rapporto part-time in altro a tempo pieno, non occorrendo, a tal fine, l’osservanza di alcun requisito formale. ‘ Ed infatti la regola dettata dal 2° comma del citato art.1230 c.c. in tema di novazione oggettiva è quella secondo cui l’animus novandi , dunque lo specifico intento negoziale dei contraenti, deve risultare in modo non equivoco, non precludendosi quindi la possibilità di desumerne la presenza attraverso fatti concludenti; nel
caso di specie poi si è in presenza di un contratto di lavoro che, sin dall’inizio, risulta essersi strutturato con un orario elastico, non rispettoso di quello part time indicato nel contratto di assunzione, che ha comportato di fatto l’osservanza di un orario lavorativo pari a quello previsto per il tempo pieno, condotta che era idonea a comportare, nonostante la difforme iniziale volontà delle parti, l’automatica trasformazione del rapporto part-time in altro a tempo pieno, non occorrendo, a tal fine, l’osservanza di alcun requisito formale ‘
Inoltre la stessa pronuncia ha pure chiarito che allo scopo non potesse farsi riferimento alle sentenze nn. 25006/2016 e 26109/2014 che avevano richiesto la forma scritta per la rinnovata manifestazione di volontà ‘ in quanto in tali casi la Corte ha affrontato il diverso problema della variazione del contratto da tempo pieno a part time o anche della variazione di orario nell’ambito di un contratto già a part time, mentre nel caso in esame la corte d’appello ha rilevato la nullità della clausola per l’estrema elasticità della stessa , che di fatto appunto rendeva l’orario giornaliero condizionato alla scelta del solo datore di lavoro ‘.
1.5.- La medesima sentenza n. 31342/2018 di questa Corte, che viene citata nella pronuncia impugnata e ripresa anche dalla difesa ricorrente, ha affermato che ‘” Il rapporto a tempo parziale si trasforma in rapporto a tempo pieno per fatti concludenti, in relazione alla prestazione lavorativa resa, costantemente, secondo l’orario normale, o addirittura con orario superiore. Il comportamento negoziale concludente, nel senso di modificare stabilmente l’orario di lavoro, è conseguente all’accertamento che la prestazione eccedente quella inizialmente concordata – resa in modo continuativo secondo modalità orarie proprie del lavoro a tempo pieno, o addirittura con il superamento dell’orario normale – non risponda ad alcuna specifica esigenza di
organizzazione del servizio, idonea a giustificare, secondo le previsioni della contrattazione collettiva, l’assegnazione di ore ulteriori rispetto a quelle negozialmente pattuite… La libertà del lavoratore di rifiutare la prestazione oltre l’orario dei part-time è ininfluente, posto che, come rilevato dalla Corte di merito, l’effettuazione, in concreto, delle prestazioni richieste, con la continuità risultante dalle buste paga, ha evidenziato l’accettazione della nuova regolamentazione, con ogni conseguente effetto obbligatorio, risultandone una modifica non accessoria dei contenuti del sinallagma negoziale ” (Cass. n. 21160/10 e Cass. n. 11905/11).
La stessa sentenza n. 31342/2018, dopo aver ricordato tale consolidato principio, esaminando il secondo motivo, a proposito delle esigenze aziendali di flessibilità, ha aggiunto: ‘ Che con il secondo motivo la società denuncia una insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla violazione degli artt. 1 e 3 del d.lgs. n. 612000 per aver ritenuto che il lavoro supplementare continuativamente svolto dalle dipendenti rappresenterebbe la volontà di attuare, da parte di ambo le parti, un rapporto di lavoro a tempo pieno, senza considerare che la contrattazione collettiva ed il contratto integrativo aziendale 9.12.04 della RAGIONE_SOCIALE erano informati alla massima flessibilità nello svolgimento del lavoro supplementare, sino alla concorrenza dell’orario di lavoro a tempo pieno (come del resto prevede la lettera e) dell’art. 1 del d.lgs n. 612000).
Che anche tale motivo è in parte inammissibile denunciando un vizio motivazionale non più esistente a seguito del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., per il resto è infondato in quanto confonde la sicura flessibilità prevista, anche negozialmente, per il ricorso al lavoro supplementare, con l’accertato costante e continuativo svolgimento di un orario di lavoro pari al tempo pieno, e talvolta anche in supero di
esso, come accertato in sede di merito. A questo punto le esigenze aziendali, non connotate da particolare specificità, invocate dalla ricorrente assumono scarso rilievo .’
In sostanza, in base a tale ultima affermazione si evince che, anche per la sentenza n. 31342/2018, un conto è la prestazione di un orario supplementare, che in presenza di esigenze aziendali nei limiti stabiliti dal CCNL esclude la possibilità di desumere un comportamento concludente; altro differente conto è l’accertato costante e continuativo svolgimento di un orario di lavoro pari al tempo pieno.
1.6. Sulla scorta di tali premesse, va quindi ribadito che il costante svolgimento di orario di lavoro a tempo pieno comporta la trasformazione del contratto a tempo pieno; laddove le esigenze del lavoro supplementare possono essere soddisfatte nei termini e nei limiti previsti dal CCNL.
Ora, nel caso di specie, l’esistenza d ei presupposti di cui si discute non è stata dedotta neppure con chiarezza nella causa, non essendo stato specificato quali essi fossero. La ricorrente si è limitata a richiamare, in astratto, l’articolo H4 del CCNL il quale prevede genericamente la possibilità di introduzione di molteplici regimi di orario come condizione essenziale per avere maggiori opportunità di raggiungere gli obiettivi di flessibilità connessi alla peculiarità dei servizi di attività aeroportuale; nonché l’articolo 28 del CCNL il quale prevede il ricorso al lavoro supplementare in quanto derivante da specifiche esigenze tecniche operative, nonché di flessibilità organizzativa, che caratterizzano il sistema delle gestioni aeroportuali e dell’assistenza a terra e che sono necessarie per garantire la continuità del servizio.
Inoltre, nella fattispecie, non solo i medesimi presupposti giustificativi del lavoro supplementare non sono stati individuati in concreto; ma neppure possono rilevare nei termini generici che risultano dedotti nel giudizio alla luce della disciplina richiamata che è inidonea a sorreggere la tesi
sostenuta dalla ricorrente circa la riconducibilità dell’orario svolto in concreto ad esigenze aziendali disciplinate dalle previsioni dell’orario supplementare , nei termini considerati dalle parti collettive.
D’altra parte , se si dovesse dare rilievo al costante e generale ricorso al lavoro supplementare per la costante presenza di esigenze aziendali non si farebbe altro che convalidare la tesi dell’esistenza nei fatti della necessità di ricorrere ad un rapporto di lavoro a tempo pieno.
1.7.Per quanto riguarda invece l’omessa valutazione dei fatti decisivi addotti dalla società ricorrente, comprovanti la chiara volontà di conferma del contratto part-time ed inoltre le esigenze di servizio che hanno determinato il superamento dell’orario e la tipicità di tali esigenze proprie del settore dell’handling, va osservato che la ricorrente deduce il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modific he introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
Va inoltre richiamato in proposito il consolidato principio secondo cui il giudice del merito non è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze processuali prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli abbia indicato gli elementi posti a fondamento della statuizione adottata; in tal senso, la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito il quale non è tenuto a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie – sempreché la o le risultanza/e non considerata/e
partitamente non sia/siano tale/i da condurre ad una diversa decisione – dovendo solo fornire un’adeguata motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti (Cass. n. 16467/2017; Cass. n. 12751/2001; Cass. n. 5045/1999) e, nel vigore del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., una motivazione che sia rispettosa del cd. ‘minimo costituzionale’ (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014. 1.8.Quanto alla valenza da attribuire al verbale di conciliazione ai fini dell’individuazione dell’intento negoziale delle parti, occorre rilevare che l’interpretazione del verbale di conciliazione sostenuta dalla ricorrente risulta assertiva e del tutto incompatibile con quella resa dai giudici di merito per i quali l’efficacia del verbale era limitata fino al 1 novembre 2015, senza dunque che potesse attribuirsi allo stesso atto una valenza impeditiva in ordine alla possibilità di rivendicare per il futuro i diritti connessi alla maggiore prestazione imposta dal datore di lavoro.
Va poi aggiunto in proposito che, mentre non risulta sia stata dedotta la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, anche l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006), la cui censura non può certo risolversi nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000).
2.- Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi del giudizio oggetto di discussione tra le parti relativi alle mansioni disimpegnate dal signor COGNOME; in particolare la Corte d’appello di Milano, nonostante la specifica censura sollevata da RAGIONE_SOCIALE in merito alla mancata valutazione
di fatti decisivi specificamente individuati e discussi tra le parti (prevalenza delle mansioni di guida del bus, predisposizione dei turni di servizio, mancato coordinamento di altri lavoratori) ne ha omesso qualsiasi valutazione così riconoscendo il diritto del signor COGNOME al superiore inquadramento nel quinto livello del CCNL a far tempo dal 1 dicembre in ragione del preteso svolgimento delle mansioni di OPR a far data dal 1 giugno 2016, violando e falsamente applicando l’art.2103 c.c. laddove solo in caso di prevalenza delle mansioni svolte sussumibili nel superiore inquadramento è possibile il relativo riconoscimento.
Anche a tale proposito vale la già indicata preclusione per la ricorrenza di una ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022)
3.- Con il terzo motivo si deduce, in via condizionata in caso di accoglimento del primo motivo di ricorso e di rigetto del secondo, la violazione o falsa applicazione in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c. dell’art H2 del CCNL trasporto aereo, parte specifica sezione RAGIONE_SOCIALE, in merito alla mancata applicazione del coefficiente di calcolo relativo ai rapporti di lavoro part-time ai fini della determinazione dei periodi di attestazione per il conseguimento del superiore inquadramento.
Il terzo motivo va dichiarato assorbito , essendo stato dedotto condizionatamente all’accoglimento del primo motivo di ricorso.
4.- Con l’unico motivo di ricorso incidentale si denuncia la violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c. dell’art.H2 – Inquadramento del CCNL per il personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali- Sezione RAGIONE_SOCIALE” in relazione all’articolo 2103 c.c., per avere la Corte d’appello affermato che
l’inquadramento nel periodo superiore dovesse tener conto del contratto collettivo di riferimento che prevede che l’OPR venga inquadrato nel quinto livello solo dopo un periodo di attestazione; laddove al contrario i tempi di attestazione non possono servire ad allungare i tempi contenuti nell’articolo 2103 c.c. secondo cui ‘ ogni patto contrario è nullo’; potendo al più costituire un parallelo binario di crescita professionale basato sullo svolgimento delle medesime mansioni inferiori per un prolungato periodo di tempo, e trovando dunque ratio nella progressione verticale premiante la fedeltà e l’esperienza conseguita; ma non è ammissibile fare il contrario, ossia prendere mansioni che figurano in un livello superiore e pretendere di imporre i lunghi tempi di attestazione previsti per le figure più semplici che compaiono nei livelli inferiori e non hanno avuto alcun incremento differenziale di professionalità.
Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
E’ inammissibile per difetto di autosufficienza perché non descrive ‘ le posizioni di lavoro cui la successiva numerazione si riferisce’, pur essendo la descrizione necessaria per decifrare i riferimenti dei periodi di attestazione.
E’ privo di fondamento perché, come pure rilevato dal PG, non si confronta con la ratio decidendi della sentenza che si fonda sulla lettura della disposizione contrattuale specificata dalle note 9 e 11 che collocano la figura OPR sui due livelli VI e V e per i quali quindi è previsto il periodo di attestazione per il passaggio alla qualifica superiore nella logica evocata dallo stesso ricorrente che mira a riconoscere la fedeltà aziendale ed a premiare la crescita professionale.
6.- Pertanto, sulla scorta delle premesse devono essere rigettati sia il ricorso principale sia il ricorso incidentale.
Le spese processuali devono essere compensate per l’esito della causa; segue il raddoppio del contributo unificato a
carico di entrambi i ricorrenti ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Compensa le spese processuali. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma all’udienza del 10 gennaio 2024.