Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5088 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5088 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29009/2021 R.G. proposto da
NOME COGNOME , domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Suprema Corte di C assazione e all’indirizzo pec EMAIL, rappresentat o e difeso dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Suprema Corte di C assazione e all’indirizzo pec EMAIL, rappresenta e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
Oggetto:
RAGIONE_SOCIALE trasformazione cessione azienda
AC – 20/02/2024
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, seconda sezione civile, n. 2049/2021 del 1° luglio 2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20 febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, già titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, ha proposto ricorso in cassazione, affidato a un motivo, avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che ha confermato la sentenza con cui il locale Tribunale aveva respinto l’ opposizione al decreto ingiuntivo per euro 297.398,43, ottenuto dalla società ottenuto dalla RAGIONE_SOCIALE (in prosieguo, breviter , ‘la società’), per forniture di beni e di servizi.
La società ha resistito con controricorso.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che a fondamento dell’opposi zi one l’COGNOME ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva, quale titolare della ditta individuale, atteso che la relativa azienda era stata conferita, unitamente a ogni relativo rapporto obbligatorio attivo e passivo, nella società a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con atto di trasformazione per notar COGNOME di Prato in data 22 febbraio 2016, di talché era applicabile la presunzione di liberazione dei soci ilRAGIONE_SOCIALEmente responsabili della società preesistente, per mancata opposizione da parte dei creditori, nel termine previsto dall’art. 2500 -quinquies , secondo comma, cod. civ; b) che, tuttavia, l ‘invocata disciplina della trasformazione non era applicabile ai fini del decidere atteso che l’art. 2500 -quinquies cod. civ., che tale ipotesi disciplina, non ha nulla a che vedere con l’ipotesi di cessione di azienda, disciplinata dall’art. 2560 cod. civ., che
prescinde del tutto dalla forma societaria che ha assunto l’ impresa titolare del complesso organizzato di beni oggetto di cessione; c) che, pertanto, nella specie l’COGNOME invocava infondatamente la presunzione di liberazione del socio ilRAGIONE_SOCIALEmente di cui all’art . 2500quinquies , secondo comma, cod. civ., poiché il negozio traslativo che aveva dato vita alla RAGIONE_SOCIALE andava qualificato come cessione di azienda ai sensi dell’art. 2560 cod. civ., con la conseguenza che dei debiti iscritti nelle scritture contabili risponde anche l’alienante , salva espressa liberazione da parte del creditore, nella specie pacificamente non verificatasi.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso lamenta: «Violazione dell’art . 2500 quinquies c.c. ed errata sussunzione della fattispecie controversa sotto il regime dell’art. 2560 c.c. in relazione all’art. 360, I comma n. 3) c.p.c.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per avere omesso di considerare che l’ ordinamento, segnatamente con gli articoli 2500septies e 2500octies cod. civ., contenente espressamente la trasformazione di una ditta individuale in comunione di azienda, rende pertanto ammissibile anche la trasformazione di una ditta individuale in una società di capitali, ivi compresa la RAGIONE_SOCIALE; con la conseguenza che alla fattispecie troverebbe applicazione la presunzione di cui al capoverso dall’art . 2500quinquies , con l’effetto di ritenere l’COGNOME liberato dai debiti della ditta individuale per effetto della mancata opposizione da parte della controricorrente all ‘ effettuata trasformazione.
Il motivo è infondato.
Va data continuità alla giurisprudenza di questa Corte laddove ha affermato che il conferimento dell’azienda individuale in una società, tanto di persone (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19454 del 28/09/2004),
quanto di capitali (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21229 del 29/09/2006; Sez. 2, Ordinanza n. 24101 del 26/09/2019) determina, ai sensi degli artt. 2558 e ss. cod. civ., un fenomeno traslativo in virtù del quale l’alienante acquista la posizione di socio della società ma, salvo che non risulti il consenso dei creditori, non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta.
Tanto accade perché l’impresa individuale non è una forma di esercizio collettivo di impresa, tra quelle previste dal Titolo V del Libro Quinto del codice civile, ma è un’ipotesi di esercizio , per l’appunto, individuale, nel quale la persona fisica è contemporaneamente anche l’imprenditore definito all’art. 2082 cod. civ. In tale forma basilare di esercizio dell’impresa, dunque , non vi alcuno spazio, nemmeno embrionale, per ipotizzare un ‘ autonomia patrimoniale che possa distinguere il patrimonio della persona fisica da quello dell’ imprenditore individuale che gestisce l’ impresa. E di tanto vi è prova proprio nella disciplina delle operazioni straordinarie di cui al Capo X del Titolo V del Quinto libro del codice civile. Contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, la circostanza che non sia prevista alcuna possibilità per l’impresa individuale di trasformarsi in una società (né di persone né, tantomeno, di capitali) ma, come ammette il motivo in esame, in sola comunione di azienda (giusta il tenore degli articoli contenuti nel citato Capo X) è la prova che il legislatore ha inteso chiaramente lasciare il fenomeno dell’ esercizio individuale dell’impresa in un alveo del tutto distinto da quello riservato alle possibili trasformazioni delle forme societarie o associative (associazioni, fondazioni, consorzi, società consortili, società cooperative) di esercizio dell’impresa.
E tanto si giustifica perché altro è disciplinare la trasformazione di un ente, individuale o collettivo, ma dotato di autonomo riconoscimento
come tale dall’ ordinamento, in un altro ente consentito, altro è conferire beni organizzati dall’ imprenditore individuale per l’ esercizio dell’ impresa, ma sempre e comunque di sua proprietà individuale, in un soggetto giuridico distinto.
Tale ipotesi, come hanno ben chiarito i precedenti di questa Corte sopra richiamati cui per brevità si fa rinvio, configura un fenomeno sciplina della cessione di azienda.
che va qualificato nell’alveo della di E ciò perché ove sia un imprenditore individuale a cedere i beni aziendali oggetto della propria attività di impresa, si è in presenza non già di una trasformazione di società o di enti collettivi, bensì di mera cessione del complesso aziendale, oggetto di organizzazione imprenditoriale ai sensi dell’art . 2555 cod. civ.
E ciò trova letterale conferma nell’art. 2498 cod. civ. che, introducendo la disciplina della trasformazione (che il ricorrente pretende di applicare alla fattispecie ), individua l’oggetto del fenomeno giuridico disciplinato nell ”ente’.
Tanto dimostra, vieppiù, che la trasformazione presuppone l’esistenza di un’ entificazione della forma di esercizio dell’ impresa, da escludere decisamente nell’ ipotesi di impresa individuale, la cui disciplina non prevede alcuna distinzione , neppur minima, tra l’imprenditore individuale e l’impresa da lui esercitata.
Dunque, la previsione dell’art. 2500 -quinquies cod. civ., che il ricorrente pretenderebbe di applicare al caso di specie, non è affatto applicabile, atteso che essa fa riferimento all’ ipotesi disciplinata dal precedente art. 2500ter cod. civ., che tuttavia prevede la trasformazione di una società di persone in una società di capitali, tanto che ivi si fa riferimento al consenso della maggioranza dei soci; di talché, allorquando il successivo art. 2500quinquies disciplina le ipotesi di liberazione dei soci ilRAGIONE_SOCIALEmente responsabili, con ogni
evidenza riprende l’ ipotesi di trasformazione eterogena di società, ma giammai può intendersi riferibile anche all’ ipotesi che la cedente l’azienda sia una ditta individuale.
Tale ultima ipotesi trova, quindi, naturale collocazione nella previsione della cessione di azienda; e ciò anche nell’eventualità che tale cessione sia, come nella specie è accaduto, finalizzata alla costituzione del patrimonio di una società di capitali: il fenomeno cui si dà vita non è una trasformazione da ditta individuale in società, come detto, non previsto da ll’ ordinamento, bensì un conferimento di beni al momento della costituzione della neonata società di capitali.
Con la conseguenza che la disciplina della liberazione del cedente dai debiti sociali resta ancorata all’ espresso consenso da parte del creditore, ai sensi dell’art . 2560, primo comma, cod. civ. che, come nella specie hanno concordemente accertato in fatto i giudici di merito, non vi è mai stato, con la conseguenza che del debito aziendale deve rispondere anche l’ alienante l’azienda, insieme all’acquirente.
La soccombenza regola le spese di fase, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna NOME COGNOME a rifondere alla RAGIONE_SOCIALE le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
A i sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 febbraio