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Trasferimento ramo d’azienda: quando è illegittimo?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20083/2024, ha dichiarato illegittimo un trasferimento di ramo d’azienda poiché l’entità trasferita non possedeva i requisiti di preesistenza e autonomia funzionale. Il caso riguardava un gruppo di lavoratori trasferiti da una società editoriale a una di servizi, ma la Corte ha rilevato che si trattava di una mera esternalizzazione di personale, in quanto il ‘ramo’ era un aggregato eterogeneo di dipendenti senza un’organizzazione unificante, un know-how comune o beni significativi. La decisione ribadisce che un ramo d’azienda non può essere creato ‘ad hoc’ al solo scopo del trasferimento.

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Trasferimento di Ramo d’Azienda: la Cassazione Fissa i Paletti di Legittimità

Il trasferimento di ramo d’azienda è un’operazione societaria comune, ma nasconde insidie che possono portare alla sua nullità. Con la recente ordinanza n. 20083 del 22 luglio 2024, la Corte di Cassazione è tornata a ribadire i criteri invalicabili per la legittimità di tali operazioni, sottolineando che un’entità aziendale non può essere creata ‘ad hoc’ al solo scopo di esternalizzare personale. Analizziamo insieme la decisione e le sue importanti implicazioni.

I Fatti del Caso

Un lavoratore, dipendente di una nota società editoriale, impugnava il proprio trasferimento presso una nuova società di servizi. L’operazione era avvenuta nell’ambito di una scissione parziale che aveva coinvolto un totale di trentatré dipendenti. Il lavoratore sosteneva che l’operazione fosse illegittima, in quanto il gruppo di persone e beni trasferiti non costituiva un vero e proprio ramo d’azienda, ma rappresentava unicamente un modo per la società cedente di liberarsi di una parte del personale. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello gli davano ragione, dichiarando la nullità del trasferimento e ordinando la reintegra del lavoratore presso la società originaria.

La Decisione sul Trasferimento di Ramo d’Azienda

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalle due società, confermando in toto la decisione dei giudici di merito. Il verdetto finale ha stabilito che l’operazione in questione non configurava un legittimo trasferimento di ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., bensì una mera cessione di personale non consentita dalla legge.

Le Motivazioni: i Requisiti Essenziali

La Corte ha basato la sua decisione su una rigorosa analisi dei requisiti che definiscono un ramo d’azienda, chiarendo perché nel caso di specie questi non fossero presenti.

Preesistenza e Autonomia Funzionale: Pilastri Inderogabili

Il punto centrale della sentenza è il requisito della preesistenza. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: perché si possa parlare di ramo d’azienda, è necessario che l’entità trasferita esista come articolazione funzionalmente autonoma prima della cessione. Non è possibile ‘costruire’ un ramo assemblando personale e beni al solo fine di trasferirlo. L’autonomia funzionale implica che il ramo deve essere in grado di operare come un’entità economica a sé stante, capace di fornire un bene o un servizio sul mercato.

L’Assenza di Organizzazione e Know-How Comune

Nel caso specifico, la Corte ha evidenziato che il gruppo dei trentadue lavoratori trasferiti mancava di qualsiasi elemento organizzativo unificante. Provenivano da settori aziendali disparati, non possedevano un know-how comune e specifico, e non erano coordinati da figure dirigenziali o quadri intermedi prima della cessione. L’inserimento di un dirigente solo dopo il passaggio alla nuova società è stato giudicato irrilevante. Inoltre, i beni materiali trasferiti erano di valore esiguo, e i beni immateriali si limitavano a un software non ancora installato, elementi insufficienti a configurare un’entità produttiva organizzata.

Il Divieto di Mera Esternalizzazione di Personale

Di conseguenza, l’operazione è stata qualificata come una semplice esternalizzazione di ‘spezzoni’ di servizi, funzionalmente slegati tra loro e privi di autonoma organizzazione. La normativa sul trasferimento di ramo d’azienda, che tutela i lavoratori garantendo la continuità del rapporto, non può essere utilizzata come strumento per espellere in modo incontrollato frazioni di personale non coordinate tra loro. La volontà dell’imprenditore non è sufficiente a creare un ramo d’azienda; è necessaria una realtà oggettiva e preesistente.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Aziende e Lavoratori

Questa ordinanza della Cassazione rafforza le tutele per i lavoratori e serve da monito per le aziende. Un’operazione di cessione di ramo d’azienda deve fondarsi su solide basi organizzative e funzionali, preesistenti alla cessione stessa. Le aziende che intendono procedere con tali operazioni devono essere in grado di dimostrare che l’oggetto del trasferimento è un’entità economica coerente, autonoma e già operativa. Per i lavoratori, questa sentenza conferma che la legge offre una protezione robusta contro operazioni fittizie, il cui unico scopo è la gestione del personale al di fuori delle garanzie previste dalla legge.

Quando un trasferimento di ramo d’azienda è considerato illegittimo?
Un trasferimento di ramo d’azienda è illegittimo quando l’entità trasferita non possiede i requisiti della preesistenza e dell’autonomia funzionale. In altre parole, il ‘ramo’ non deve essere stato creato artificialmente solo per la cessione, ma deve già esistere come un’articolazione organizzata e capace di funzionare autonomamente all’interno dell’azienda cedente.

È sufficiente raggruppare un insieme di dipendenti per creare un ‘ramo d’azienda’ da trasferire?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che un semplice insieme di dipendenti, anche se destinati a una funzione comune, non costituisce un ramo d’azienda se manca un’organizzazione che li unifichi, un know-how specifico e condiviso, e un’autonomia funzionale preesistente. Il trasferimento di un mero gruppo di lavoratori è considerato un’illegittima esternalizzazione di personale.

Cosa succede al rapporto di lavoro se il trasferimento di ramo d’azienda viene dichiarato nullo?
Se il trasferimento viene dichiarato nullo, il rapporto di lavoro del dipendente si considera come mai interrotto con l’originario datore di lavoro (la società cedente). Di conseguenza, il lavoratore ha diritto a essere reintegrato nel suo posto di lavoro e a vedersi ricostituita la sua posizione retributiva e contributiva, come se il trasferimento non fosse mai avvenuto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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