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Trasferimento personale ATA: no anzianità piena

Un’ex dipendente di un ente locale, trasferita allo Stato come personale ATA, ha richiesto il pieno riconoscimento dell’anzianità di servizio pregressa. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che la normativa europea sul trasferimento d’azienda protegge il lavoratore da una diminuzione dello stipendio al momento del passaggio, ma non conferisce il diritto al riconoscimento integrale della vecchia anzianità per la futura progressione di carriera e di stipendio. L’obiettivo della tutela nel trasferimento personale ATA è conservare il trattamento economico goduto, non migliorarlo o equipararlo a quello dei dipendenti già in servizio presso il nuovo datore.

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Trasferimento personale ATA: la Cassazione chiarisce i limiti al riconoscimento dell’anzianità

Il tema del trasferimento personale ATA dagli enti locali allo Stato è da anni al centro di un complesso dibattito giuridico. La questione cruciale riguarda il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata prima del passaggio e i suoi effetti sulla retribuzione. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, offre un’analisi definitiva, tracciando i confini della tutela garantita ai lavoratori coinvolti, in linea con i principi del diritto europeo.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Pieno Riconoscimento

Una lavoratrice, parte del personale Amministrativo, Tecnico e Ausiliario (ATA) transitato dai ruoli di un ente locale a quelli del Ministero dell’Istruzione, si era rivolta al Tribunale per ottenere il riconoscimento integrale della sua anzianità di servizio maturata presso l’ente di provenienza. La sua richiesta mirava a ottenere un inquadramento retributivo superiore e il pagamento delle relative differenze. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le sue pretese, spingendola a proporre ricorso per cassazione.

La questione del trasferimento personale ATA e la Tutela Europea

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione della Direttiva europea 77/187/CEE, relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda. La lavoratrice sosteneva che il mancato riconoscimento pieno della sua anzianità costituisse una violazione di tale direttiva, oltre che di norme costituzionali e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). In particolare, la sua tesi era che il confronto per valutare un eventuale peggioramento dovesse avvenire non solo con la sua precedente retribuzione, ma anche con quella dei colleghi già in servizio presso il Ministero.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la correttezza delle decisioni dei giudici di merito e consolidando un orientamento giurisprudenziale ormai stabile.

le motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su un’attenta analisi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (in particolare, la celebre sentenza Scattolon, C-108/10). I giudici hanno chiarito che lo scopo primario della direttiva europea non è garantire ai lavoratori trasferiti il miglior trattamento possibile o un’automatica parificazione con i dipendenti del nuovo datore di lavoro. L’obiettivo, invece, è molto più specifico: impedire che i lavoratori subiscano un peggioramento retributivo sostanziale per il solo fatto del trasferimento.

Questo significa che il confronto deve essere fatto tra la posizione economica del lavoratore immediatamente prima del trasferimento e quella immediatamente dopo. La legge tutela la conservazione del livello retributivo già acquisito. Non obbliga, tuttavia, il nuovo datore di lavoro (il Ministero) a riconoscere l’intera anzianità pregressa ai fini degli scatti di anzianità e della progressione di carriera previsti dal nuovo contratto collettivo. Pretendere un tale riconoscimento, che comporterebbe un aumento di stipendio, andrebbe oltre la finalità di protezione della norma, trasformandola in uno strumento per ottenere un miglioramento delle condizioni lavorative, scopo non previsto dalla direttiva.

La Corte ha inoltre respinto le censure relative alla presunta violazione della Costituzione e della CEDU, richiamando precedenti decisioni della Corte Costituzionale che hanno ritenuto legittime le disposizioni normative italiane in materia, giustificandole sulla base di “motivi imperativi di interesse generale” come il bilanciamento della spesa pubblica.

le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel trasferimento personale ATA, la tutela del lavoratore si concretizza nella garanzia di non subire una decurtazione economica. Il diritto europeo e nazionale assicurano la conservazione del trattamento economico globale goduto presso l’ente di provenienza. Non viene invece sancito un diritto al pieno e automatico riconoscimento dell’anzianità pregressa per tutti gli effetti giuridici ed economici futuri. La richiesta di un lavoratore di ottenere un aumento retributivo basato su tale riconoscimento è, pertanto, destinata a essere respinta, poiché eccede l’ambito di tutela previsto dalla normativa.

Nel trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato, l’anzianità di servizio pregressa deve essere integralmente riconosciuta ai fini della progressione economica?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la tutela prevista dalla normativa europea (Direttiva 77/187/CEE) ha lo scopo di impedire un peggioramento retributivo al momento del trasferimento, non di garantire il pieno riconoscimento dell’anzianità maturata presso l’ente precedente ai fini della progressione economica futura secondo le regole del nuovo datore di lavoro.

Cosa significa che la tutela contro il peggioramento retributivo deve essere “globale”?
Significa che il confronto tra la retribuzione prima e dopo il trasferimento deve essere effettuato considerando le condizioni economiche complessive e non limitandosi a singoli istituti retributivi. L’obiettivo è verificare che il lavoratore non subisca una perdita economica sostanziale nel suo complesso, come chiarito dalla Corte di Giustizia.

Il lavoratore trasferito può pretendere lo stesso trattamento economico dei dipendenti già in servizio presso il nuovo datore di lavoro (il Ministero)?
No. La Corte ha chiarito che il confronto per verificare l’eventuale peggioramento va fatto con la posizione del lavoratore stesso immediatamente prima del trasferimento, non con quella di altri lavoratori già dipendenti del cessionario (il Ministero). La direttiva non mira a eliminare disparità di trattamento tra lavoratori trasferiti e lavoratori già in organico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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