Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10885 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10885 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
ORDINANZA
r.g., proposto sul ricorso iscritto al n. 10042/2024 da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to presso l’indirizzo PEC del difensore risultante dai registri di giustizia , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
COGNOME NOME e NOME , elett. dom.ti in INDIRIZZO Roma, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrenti -ricorrenti incidentali nonché
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore .
intimati avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 669/2024 pubblicata in data 05/03/2024, n.r.g. 1236/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 26/02/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
OGGETTO:
trasferimento di ramo d’azienda -dipendenti in precedenza addetti ad altro reparto -destinazione al ramo poi ceduto -valutazione riservata al giudice di merito
RILEVATO CHE
1.- COGNOME NOME e NOME (unitamente agli altri lavoratori indicati in epigrafe e rimasti intimati, per i quali la Corte territoriale ha dichiarato cessata la materia del contendere) erano state dipendenti di RAGIONE_SOCIALE fino al 30/04/2019, quando erano transitate alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE in virtù di cessione del ramo d’azienda denominato ‘network build & field services Italy’.
Assumevano che tale cessione era illegittima per insussistenza dei requisiti previsti dall’art. 2112 c.c. e comunque per essere state fittiziamente addette a quell’entità organizzativa proprio in vista del successivo trasferimento.
Pertanto adìvano il Tribunale di Roma per ottenere la declaratoria di nullità, ovvero l’annullamento, o di illegittimità della cessione di ramo d’azienda e quindi del rapporto di lavoro o comunque l’inopponibilità a loro della predetta cessione e l’accertamento della persistenza del medesimo rapporto alle dipendenze della cedente, con ogni conseguenza giuridica ed economica a decorrere dall’01/05/2019, con ordine alla cedente di ripristinare da tale data i loro rapporti di lavoro.
2.Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale, rigettata l’eccezione di decadenza, accoglieva la domanda.
3.- Assunte le prove testimoniali ammesse, con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dalla società.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
i rilievi dell’appellante circa la legittima costituzione, sia pure a ridosso della cessione ma comunque ad essa preesistente, di un ramo d’azienda dotato di autonomia funzionale sono fondati alla luce di quanto evidenziato in numerosi precedenti di questa Corte, che si richiamano ai sensi dell’art. 118 disp.att.c.p.c.;
infatti, gli elementi dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto e della sua preesistenza sono evincibili dalla relazione del dott. NOME COGNOME sia pure limitatamente ai fatti non specificamente contestati e a quelli confermati dalle deposizioni testimoniali;
e tuttavia il gravame va rigettato per altre assorbenti ragioni, in quanto dall’istruttoria espletata è emersa la fondatezza delle deduzioni delle lavoratrici di essere state entrambe reintegrate a seguito dell’annullamento del licenziamento collettivo ma di essere state trasferite e destinate a mansioni diverse da quelle originarie, tanto che con successiva sentenza del Tribunale di Roma, passata in giudicato, la società era stata condannata a riadibire entrambe le lavoratrici alle sedi presso cui lavoravano al momento del licenziamento e alle mansioni in quel momento svolte;
al cospetto dell’inottemperanza a tale ultima sentenza e della successiva adibizione al ramo poi ceduto deve osservarsi che il datore di lavoro può mutare la sede di lavoro e le mansioni, purché vi siano ragioni tecniche, organizzative o produttive ed invece sul punto la società è rimasta del tutto silente;
deve pertanto ritenersi del tutto fittizia la successiva assegnazione delle due lavoratrici all’organizzazione RAGIONE_SOCIALE facente parte del neo costituito ramo d’azienda ‘network build & field Italy’, dal momento che quell’assegnazione si rivela del tutto avulsa dalle loro rispettive provenienze e priva di giustificazione rispetto all’ordine giudiziale di cui si è detto;
ciò rivela la finalità di estromettere dalla società le due lavoratrici reintegrate, che, in quanto appartenenti a profili amministrativi e non tecnici, avrebbero potuto essere ricollocate nei ruoli di appartenenza, in assenza di ragioni impeditive neppure addotte dalla società;
infondato è il motivo di gravame relativo alla decadenza, in quanto volto all’applicazione analogica dell’art. 32, co. 3, lett. c), L. n. 183/2010 (che ha esteso il termine di 60 giorni all’impugnazione del trasferimento da un’unità produttiva ad un’altra) alla diversa ipotesi della destinazione ad altro settore della medesima unità produttiva, ciò che è impedito dalla natura eccezionale delle norme sulla decadenza;
in ogni caso l’eccezione di decadenza è infondata, in quanto l’impugnazione di quell’assegnazione è strumentale all’impugnazione della cessione del ramo d’azienda, quest’ultima intervenuta nel suo
termine di decadenza, sicché valgono i principi affermati dalla Corte di legittimità in tema di licenziamento, secondo cui se l’azienda avvia la procedura di riduzione del personale presso un’unità produttiva pochi giorni dopo il trasferimento presso di essa di un lavoratore che era stato reintegrato in via giudiziale, in precedenza adibito ad una diversa sede, il licenziamento è nullo per frode alla legge, restando irrilevante che il lavoratore non abbia impugnato il trasferimento nel termine di decadenza di cui all’art. 32 L. n. 183/2010, atteso che l’assegnazione alla nuova sede è solo una parte della complessa fattispecie fraudolenta, che si completa con il licenziamento, la cui tempestiva impugnazione esonera dunque il lavoratore dalla necessità di contestare anche la legittimità dell’atto emanato dal datore di lavoro nell’esercizio dello ius variandi (Cass. n. 29007/2020).
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5.- NOME e NOME hanno resistito con controricorso ed a loro volta hanno proposto ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo.
6.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso al ricorso incidentale condizionato.
7.- Gli altri lavoratori sono rimasti intimati.
8.- Le parti hanno depositato memoria.
9.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
RICORSO PRINCIPALE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2103, 2112 e 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte territoriale dichiarato illegittima l’assegnazione delle lavoratrici al ramo ceduto.
Il motivo è infondato.
Come riconosce la ricorrente (v. ricorso per cassazione, p. 11), le due lavoratrici avevano dedotto che, dopo la reintegrazione nella sede di Roma, erano rimaste inattive e poi erano state assegnate a mansioni non conformi alle precedenti. Dunque, contrariamente al suo assunto, era preciso onere
della ricorrente (ai sensi dell’art. 2697 c.c.) dimostrare la legittimità di quell’atto di esercizio dello ius variandi , ossia il fatto ‘positivo’ del carattere equivalente delle nuove mansioni rispetto a quelle di provenienza. Invece, come accertato dalla Corte territoriale, sul punto la società è rimasta addirittura silente, sicché la doglianza del ‘ mancato riferimento in sentenza alle risultanze probatorie emerse in corso di causa ‘ (v. ricorso per cassazione, p. 11, ult. cpv.), è inammissibile perché non pertinente rispetto alla ratio decidendi .
In ogni caso, ai fini della decisione d’appello è rimasta priva di rilievo la testimonianza del sig. NOME COGNOME invocata dalla ricorrente (v. ricorso per cassazione, p. 12), poiché il testimone si è limitato a dichiarare la coincidenza delle mansioni, svolte dai dipendenti ceduti, prima e dopo la cessione. Invece, nel caso in esame la Corte territoriale ha evidenziato che la questione era un’altra ed identificabile sotto due profili: a) le mansioni prima della cessione non erano equivalenti a quelle originarie di provenienza delle due lavoratrici e comunque non erano rispettose del principio di tutela della professionalità di cui a ll’art. 2103 c.c., sicché la loro assegnazione a quel ramo aziendale era illegittima; b) tale operazione datoriale faceva parte di un più ampio e complesso procedimento fraudolento, culminato e terminato con la cessione di quel ramo d’azienda e, quindi, dei rapporti di lavoro delle due dipendenti, delle quali la cedente si era in tal modo liberata.
Le ulteriori censure sono inammissibili, perché volte a sollecitare a questa Corte un diverso apprezzamento delle deposizioni testimoniali, interdetto in sede di legittimità in quanto riservato al giudice di merito.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2103 c.c., 32, co. 3, lett. c), L. n. 183/2010 per avere la Corte territoriale rigettato il motivo di gravame contenente l’eccezione di decadenza sollevata in primo grado e rigettata dal Tribunale.
Il motivo è infondato.
E’ sufficiente da un lato richiamare la natura eccezionale delle norme sulla decadenza, come tali insuscettibili di applicazione analogica (art. 14 disp.prel.c.c.); dall’altro osservare che la Corte territoriale ha evidenziato che quell’entità organizzativa alla quale le due lavoratrici erano state
destinate, al momento della loro assegnazione non costituiva ancora un ramo d’azienda autonomo, bensì mera articolazione di un più ampio settore della società. Dunque effettivamente quella vicenda non poteva essere giuridicamente qualificata in termini di ‘trasferimento’ nel senso tecnico -giuridico imposto dall’art. 2103 c.c., donde l’inapplicabilità della disciplina relativa al termine di decadenza introdotto dal legislatore del 2010 per l’impugnazione del ‘trasferimento’ in senso tecnico -giuridico.
Per il resto il motivo è inammissibile, perché non contiene alcuna censura all’ulteriore, autonoma, ratio decidendi articolata dai giudici d’appello, secondo cui comunque non era necessaria l’impugnazione (tempestiva) del trasferimento, poiché mera vicenda intermedia di una più ampia e complessa fattispecie fraudolenta e, come tale, da considerare giuridicamente nulla in senso complessivo (richiamando al riguardo Cass. n. 29007/2020).
Va infatti ribadito che quando la sentenza impugnata con ricorso per cassazione sia fondata su diverse rationes decidendi , ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata (Cass. n. 13880/2020), o comunque per carenza di interesse. Infatti, anche laddove fosse accolto il motivo di ricorso, comunque la sentenza impugnata non potrebbe essere cassata, in quanto autonomamente e sufficientemente sostenuta dall’altra ratio decidendi non censurata.
RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO
3.- Il ricorso incidentale condizionato resta assorbito dal rigetto di quello principale.
4.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale condizionato; condanna la ricorrente principale a rimborsare alle controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in