Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15773 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15773 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6853/2021 proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO -DIPARTIMENTO PER LE LIBERTA’ CIVILI E L’IMMIGRAZIONE, UNITA’ DI COGNOME – in persona del Ministro p.t., elett.te domic. in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappres. e difeso;
-ricorrente –
-contro-
B.D.
;
-intimato- avverso il decreto del Tribunale di Roma, emesso in data 21.12.2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/04/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con decreto del 21.12.20 il Tribunale di Roma accoglieva il ricorso di cittadino afgano,avverso il provvedimento emesso il 7.11.19 con il quale il Ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione – Unità di Dublino- che aveva disposto il trasferimento dell’istante in Germania, accertando la competenza dello Stato Italiano a decidere sulla sua domanda di protezione internazionale. Q.V.
Al riguardo, il Tribunale rilevava che: il rispetto delle regole di riparto della competenza dei paesi europei doveva conciliarsi con il divieto di refoulement , ex art. 3 Cedu, e artt. 4 e 19 Carta diritti UE, imponendo ai paesi contraenti che dispongono il trasferimento di accertare che tale misura equivalga ad un non refoulement indiretto; l’orientamento consolidato della Corte EDU in materia si basava sul principio che tali trasferimenti non dovevano esporre le persone ad un rischio reale di subire una violazione dei diritti garantiti nella Convenzione (i diritti di non subire torture o pene e trattamenti disumani e degradanti nel paese membro o in un paese terzo nel quale sarà poi successivamente rinviata); la norma di cui all’art. 3 era l’unica della C onvenzione che non tollerava eccezioni o deroghe, come desumibile dall’art. 15 che contempla tale divieto anche in caso di guerra o di pericolo pubblico che interessi la nazione; tale principio è stato affermato anche dalla Corte di Giustizia UE in base al Regolamento di Dublino (che aveva indotto il legislatore dell’UE ad introdurre nel nuovo testo del medesimo Regolamento il suddetto art. 3) ed era stato sancito anche dalla Cassazione, anche in ordine all’art. 19, c.1 e 1.1., d.lgs. n. 286/98; il suddetto art. 4 era da interpretare anche nell’assenza di ragioni serie di ritenere che sussistano carenze sistemiche nello Stato membro competente per l’esame della domanda di asilo, il trasferimento di un
richiedente asilo può essere effettuato solo in condizioni in cui sia escluso che esso comporti un rischio reale e acclarato che l’interessato subisca trattamenti inumani o degradanti; nella specie, la Germania aveva intrapreso una politica molto restrittiva e severa nei confronti di migranti e richiedenti asilo, come desumibile dalle fonti citate, mentre altre fonti evidenziavano la grave situazione critica in cui versava l’Afg hanistan, con rischi per la popolazione civile di limitazioni e restrizioni dei diritti fondamentali; in definitiva, a fronte di una generalizzata e crescente situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, era accertata l’esistenza di un rischio serio per il ricorrente di essere sottoposto a trattamenti inumani per l’ipotesi di rimpatrio; pertanto, l’Italia era divenuta lo Stato membro competente.
Il Ministero dell’Interno – Dipartimento Unità di Dublino- ricorre in cassazione con unico motivo.
Non si è costituito l’intimato.
La Procura Generale, in data 15 marzo 2024, ha depositato istanza chiedendo di disporre la trattazione in pubblica udienza, considerato che sulle questioni oggetto del giudizio era intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia 30 novembre 2023 , resa all’esito di rinvii pregiudiziali.
A seguito di tale pronuncia, con ordinanza interlocutoria del 10.7.2024 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo.
Le Sezioni Unite, con sentenza n.1003/2025, nel proc.to n. R.G. 21256/2020, hanno accolto altro ricorso del Ministero dell’Interno in tema e cassato, con rinvio, il decreto impugnato del Tribunale di Roma, enunciando il seguente principio di diritto: « Nel procedimento di impugnazione delle decisioni di trasferimento dei richiedenti asilo ex art.27 del Regolamento UE n. 604 del 26.6.2013, nonch é ex art.3 del
d.lgs. 28.1.2008 n.25, e s.m.i. e ex art.3, lettera e-bis del d.l. 17.2.2017 n. 13, convertito con modifiche in legge 13.4.2017 n. 46, il giudice adito non pu ò esaminare se sussista un rischio, nello Stato membro richiesto, di una violazione del principio di non-refoulement al quale il richiedente protezione internazionale sarebbe esposto a seguito del suo trasferimento verso tale Stato membro, o in conseguenza di questo, sulla base di divergenze di opinioni in relazione all’interpretazione dei presupposti sostanziali della protezione internazionale, a meno che non constati l’esistenza, nello Stato membro richiesto, di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale ».
A seguito di tale pronuncia la causa è stata poi fissata all’adunanza camerale del 16/4/2025.
RITENUTO CHE
Con l’unico motivo il Ministero denuncia la violazione dell’art. 17 del regolamento (UE) 604/2013.
Il ricorrente si duole che: il Tribunale aveva ravvisato la violazione del principio del non refoulement , attraverso un’applicazione dell’art. 17 del tutto errata, perché non rivolta alla verifica del sistema di accoglienza in Germania, ma alla specifica situazione dei richiedenti; l’esercizio della clausola di discrezionalità pu ò avvenire soltanto prima che sia adottata una prima decisione di merito e solo per ragioni di ricongiungimento familiare o per ragioni umanitarie fondate su motivi familiari e culturali e non invece sul rischio di refoulement ; siano stati violati, di conseguenza, i limiti temporali e procedimentali di esercizio della clausola, in quanto l’accertamento dei requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale è stato gi à effettuato; il rischio di refoulement attiene a una fase successiva alla decisione di ripresa in carico; il mero rischio di refoulement indiretto fondato sulla
presunta violazione da parte di uno Stato membro di norme europee e regole convenzionali cui i paesi membri sono assoggettati non può costituire la base per la deroga ai principi unionali sulla determinazione dello Stato competente a valutare la domanda di protezione internazionale, essendo patrimonio comune del diritto dell’Unione Europea il rispetto del principio di non refoulement, così come i sistemi di revisione delle reiezioni delle domande di protezione internazionale e dei provvedimenti di rimpat rio ove lesivi dell’art. 3 Cedu; l ‘interpretazione della clausola da parte del giudice del merito finisce per negarne la natura discrezionale e per renderne obbligatoria l’applicazione, tradendone la sua natura indefettibilmente politica, per ogni rischio di refoulement indiretto.
Il ricorrente assume altresì che, comunque, il generale principio di non refoulement , sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, ratificata da tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, è sicuramente garantito e previsto dalle leggi interne di tutti i Paese europei tra i quali vige il mutual trust , e che solo in presenza di « gravi, palesi e comprovate carenze e violazioni » all’interno dello Stato membro competente, tali da configurare violazione di diritti fondamentali, si è ritenuto di applicare l’ar t.3.2, a nulla rilevando a tal fine la valutazione della situazione del Paese d’origine ; stante il rigetto da parte della Germania della domanda di protezione internazionale, egli correrebbe il concreto rischio, se trasferito in tale paese, di essere rimpatriato nel paese d’origine , con pericolo per la sua incolumità e libertà, alla luce della situazione socio-politica esistente in Afghanistan, quale accertata dal Tribunale di Roma sulla base di report aggiornati, , di « eccezionale gravità ».
L’esame del motivo di ricorso richiede l’illustrazione di due rilevanti novità sopravvenute in corso di giudizio.
La prima consiste nella concorrente rimessione alla Corte di Giustizia da parte dei Tribunali di Roma, Firenze, Milano della questione relativa all’incidenza sulla decisione di trasferimento assunta dall’Autorità Dublino e oggetto di pieno sindacato giurisdizionale da parte del giudice ordinario, del rischio effettivo di non refoulement indiretto derivante dal rigetto da parte dello Stato competente alla ripresa in carico della domanda di protezione internazionale, alla luce della politica, accertata mediante C.O.I. dei rimpatri coattivi in tale stato.
La questione è stata articolata dai giudici rimettenti sotto diversi profili. Il primo abbracciava la violazione dell’art. 3.2 del regolamento in relazione allo statuto dei diritti umani assoluti stabilito da Cedu e Carta dei diritti fondamentali dell’UE (d’ora in poi denominata carta).
E’ stato richiesto se il diritto ad un ricorso effettivo imponga di ritenere che gli artt. 4 e 19 della Carta offrano protezione anche contro il rischio di refoulement indiretto anche se lo Stato membro competente per la ripresa in carico (Stato membro richiesto) non abbia carenze sistemiche ai sensi dell’art. 3 comma 3 del Regolamento.
Più analiticamente, si è chiesto se il Paese membro dove è stata proposta la seconda domanda di protezione (Stato membro richiedente) possa valutare l’esistenza del rischio di refoulement indiretto verso un paese terzo ove il richiedente sarebbe esposto al concreto pericolo di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti ovvero ove lo Stato membro competente abbia diversamente valutato la nozione di « protezione all’interno del paese di origine ».
Sempre in relazione all’interpretazione dell’art. 3.2 del Regolamento è stato richiesto se il rigetto di domanda protezione internazionale a carattere definitivo, da parte dello Stato membro competente che effettua la ripresa in carico, possa essere ricondotto alla categoria delle
carenze sistemiche, ove il giudice adito della Stato membro richiedente ritenga concreto il rischio per il richiedente di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti.
Il secondo profilo toccava, invece, specificamente il tema dell’ambito di applicazione dell’art. 17 del regolamento.
I giudici rimettenti hanno richiesto se l’art. 17 debba essere interpretato nel senso che il giudice dello Stato membro, investito dell’impugnazione del provvedimento dell’Unità Dublino, possa affermare la propria competenza ove accerti che la reiezione definitiva della domanda di protezione internazionale, da parte dello Stato membro competente per la ripresa in carico, esponga il richiedente al rischio di violazione del principio di non refoulement indiretto derivante dal respingimento del richiedente verso il paese di origine nel quale sarebbe esposto al pericolo di morte o di trattamenti disumani e degradanti. Più precisamente, se il giudice dell’impugnazione del provvedimento di trasferimento, in sede di valutazione del rischio di non refoulement indiretto sia tenuto all’applicazione dell’art. 17 del regolamento e quali siano i criteri che il giudice, adito ex art. 27 del regolamento, debba o possa utilizzare per la verifica del rischio di non refoulement indiretto, ove tale rischio sia stato già escluso dal paese che ha esaminato la prima domanda di protezione internazionale.
La Corte di Giustizia, con la sentenza del 30 novembre 2023, ha fornito una risposta chiara ed univoca ai quesiti in oggetto, dopo aver esaminati quelli riguardanti la configurazione e il contenuto del rispetto degli obblighi informativi previsti dal regolamento.
In relazione all’art. 3.2, nella parte in cui si riferisce all’impossibilità di disporre il trasferimento verso un paese ove sussistano carenze sistemiche che implicano il rischio di essere esposti a trattamenti inumani e degradanti e al diritto ad un ricorso effettivo (art. 27), la
Corte ha, preliminarmente, evidenziato che ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri una serie di valori comuni su cui l’Unione si fonda come precisato nell’art. 2 TUE.
Esiste, di conseguenza, un sistema di fiducia reciproca tra gli Stati membri in ordine al fatto che gli ordinamenti giuridici dei singoli Stati sono in grado di garantire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta dagli artt. 1 e 4, riguardanti rispettivamente l’inviolabilità della dignità umana ed il divieto di essere esposti al rischio di tortura o pene o trattamenti inumani e degradanti e che il trattamento riservato ai richiedenti protezione internazionale sia conforme anche alla Convenzione relativa allo status dei rifugiati ed alla Cedu.
Da queste premesse si è affermato che, in assenza di fondati motivi di ritenere che sussistano carenze sistemiche nello Stato membro nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, il giudice dello Stato membro richiedente, adito del ricorso avverso una decisione di trasferimento, non può esaminare se sussista un rischio, nello Stato membro richiesto, di violazione del principio di non refoulement indiretto in caso di trasferimento. Divergenze di opinioni tra le autorità ed i giudici dello Stato membro richiedente e dello Stato membro richiesto in merito all’interpretazione dei presupposti sostanziali della protezione internazionale non dimostrano l’esistenza di carenze sistemiche.
Unica eccezione all’applicazione del predetto principio è stata individuata nella possibilità che l’esame del caso concreto evidenzi che il trasferimento di un richiedente asilo comporti un rischio reale e comprovato, dovuto alle condizioni particolari e soggettivi in cui versa (ad esempio di salute) di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti.
In relazione all’ambito di applicazione dell’art. 17 la Corte ha stabilito i seguenti principi: il giudice dell’impugnazione della decisione di trasferimento non può annullare il provvedimento dell’Autorità Dublino solo perché non condivide la valutazione dello Stato membro richiesto in relazione al rischio di non refoulement indiretto; la clausola discrezionale di cui all’art. 17 del regolamento ha natura facoltativa nel senso che lascia allo Stato membro di procedere all’esame di una domanda di protezione internazionale per se tale esame non spetta ad esso in virtù dei criteri Dublino e l’esercizio di questa facoltà non è legato a condizioni particolari e può essere fondato su ragioni di carattere politico, umanitario, pragmatico; è il singolo Stato membro a determinare le circostanze in relazione alle quali intende fare uso della facoltà, conferita dalla clausola discrezionale; l’art. 17, in combinato disposto con l’art. 27 del regolamento (diritto ad un ricorso effettivo) e con gli artt. 4,19, e 47 della Carta (divieto di refoulement per rischio tortura, trattamenti inumani e degradanti; diritto ad un ricorso effettivo) non può essere interpretato nel senso che il giudice dell’impugnazione della decisione di trasferimento non può dichiarare il proprio Stato membro competente solo perché non condivide la valutazione dello Stato membro di ripresa in carico in relazione al rischio di refoulement dell’interessato; il giudice dell’impugnazione della decisione di trasferimento non può esaminare il rischio di violazione del principio di non refoulement da parte dello Stato membro di ripresa in carico quando non sussistano carenze sistemiche nel sistema d’asilo o accoglienza, mentre, in caso di accertamento di carenze sistemiche nello Stato membro richiesto, la competenza dello Stato membro richiedente s i fonda sulla violazione dell’art. 3.2. del regolamento e non coinvolge l’applicazione dell’art. 17.
In conclusione , l’art. 17 deve essere interpretato nel senso che esso non impone al giudice dello Stato membro richiedente di dichiarare tale Stato membro competente qualora non condivida la valutazione dello Stato membro richiesto quanto al rischio di refoulemen t dell’interessato. In assenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nello Stato membro richiesto in occasione del trasferimento o in conseguenza di esso, il giudice dello Stato membro richiedente non può neppure obbligare quest’ultimo Stato membro a esaminare esso stesso una domanda di protezione internazionale sul fondamento dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III per il motivo che esiste, secondo tale giudice, un rischio di violazione del principio di non-refoulement nello Stato membro richiesto.
Questa Corte aveva disposto il rinvio a nuovo ruolo di tutti i ricorsi, in prevalenza proposti nel 2021/2022, avverso decisioni di trasferimento del 2019/2020 e, conseguentemente a domande di protezione internazionali risalenti a quegli anni.
All’esito della decisione della Corte di Giustizia ha provveduto a fissare tali ricorsi.
Per tutti quelli che coinvolgevano l’ambito di applicazione dell’art. 17 del regolamento, ha ritenuto con tre ordinanze interlocutorie di interrogare le S.U. sui seguenti quesiti: ferma la non sindacabilità, da parte del giudice dello Stato membro richiedente, del rischio di refoulement indiretto nel paese membro richiesto, per la intangibilità del sistema di fiducia reciproca nel rispetto comune dei diritti umani ex art. 3 Cedu e art. 4 Carta, la Corte di Cassazione si è interrogata (rimettendo la decisone alle Sezioni Unite) se esista e quale sia lo spazio di applicazione della clausola discrezionale di cui all’art. 17 del regolamento in relazione alla sussistenza ed al rilievo dei requisiti della
protezione nazionale, da accertarsi anche officiosamente, sulle base delle allegazioni fornite ed acquisite, e se il cittadino straniero, in sede di decisione sul trasferimento verso il paese di ripresa in carico, possa far valere circostanze incidenti sul diritto alla protezione nazionale, contenute o desumibili dalla domanda di protezione internazionale proposta nel paese membro richiedente o anche sopravvenute; quale sia la risposta da darsi all’interrogativo se il sistema costituzionale e convenzionale sul quale poggia il riconoscimento del diritto alla protezione nazionale possa essere qualificato come una modalità di esercizio della clausola discrezionale di cui all’art. 17 del regolamento così da ritenere che la decisione di trasferimento, in presenza di circostanze che avrebbero condotto al riconoscimento del diritto alla protezione nazionale, possa integrare un rifiuto tacito dell’esercizio della clausola stessa, sindacabile da parte del giudice dell’impugnazione del trasferimento (Cass. , nn. 23724 e 36996 del 2022);
Le Sezioni Unite, nelle ordinanze nn. 935, 1003 e 1005 del 2025, hanno ritenuto fondato l’analogo unico motivo di ricorso proposto dal Ministero, alla luce delle puntuali e inequivocabili indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza del 30.11.2023 n.228, come osservava anche il Procuratore Generale.
Le Sezioni unite hanno osservato che « il dictum della Corte europea è inequivoco nel negare ai giudici degli Stati membri il potere di sindacare l’esercizio della clausola discrezionale di cui all’art.17 del Regolamento Dublino III da parte dell’Autorità competente del loro Stato allo scopo di tutelare il richiedente asilo dal rischio di refoulement indiretto, in assenza di carenze sistemiche della procedura di asilo e delle condizioni di accoglienza nel Paese altrimenti ordinariamente
competente, sul presupposto di una diversa valutazione dei rischi connessi al rimpatrio nel Paese di provenienza ».
E le Sezioni Unite (richiamati i principi affermati anche già nelle ordinanze n.23724 e 23727 del 28.10.2020) hanno affermato, in particolare, che: il diritto dell’Unione poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, cos ì come precisato all’articolo 2 TUE, e tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell’Unione che li attua nonché nel fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti dalla Carta, segnatamente agli articoli 1 e 4 di quest’ultima, che sanciscono uno dei valori fondamentali dell’Unione e dei suoi Stati membri, ossia la dignit à umana che include segnatamente il divieto di trattamenti inumani o degradanti (§ 130); il principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri riveste un’importanza fondamentale nel diritto dell’Unione e impone a ciascuno di tali Stati di ritenere che, tranne in circostanze eccezionali, tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, pi ù in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo (§ 131); nell’ambito di un sistema europeo comune di asilo si deve presumere che il trattamento riservato ai richiedenti protezione internazionale in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, nonché della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libert à fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (§ 132); il giudice investito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento,
se dispone di elementi prodotti dall’interessato per dimostrare l’esistenza di un tale rischio, è tenuto a valutare, « sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati », e alla luce del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate o che colpiscono determinati gruppi di persone (§ 133.135, 136); – « in assenza di fondati motivi di ritenere che sussistano carenze sistemiche nello Stato membro competente per l’esame della domanda di asilo, tale disposizione pu ò essere invocata qualora non sia escluso che, in una fattispecie concreta, il trasferimento di un richiedente asilo nel quadro del Regolamento Dublino III comporti un rischio reale e comprovato che tale richiedente sar à , in tal modo, sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, ai sensi di detto articolo (§ 138) »; -la differenza di valutazione da parte dello Stato membro richiedente, da un lato, e dello Stato membro competente, dall’altro, del livello di protezione di cui pu ò beneficiare il richiedente nel suo paese di origine è , in linea di principio, irrilevante ai fini del controllo della validit à della decisione di trasferimento e va escluso che il giudice che esamina la decisione di trasferimento effettui una valutazione nel merito del rischio di refoulement in caso di rinvio, dovendo ritenere acquisito il fatto che l’autorit à competente in materia di asilo dello Stato membro competente valuter à e determiner à correttamente il rischio di refoulement , nel rispetto dell’articolo 19 della Carta, e che il cittadino di paese terzo disporr à , conformemente alle prescrizioni derivanti dall’articolo 47 della Carta, di mezzi d’impugnazione effettivi per contestare, se del caso, la decisione di detta autorit à al riguardo (§ 140 e 141).
Nel merito dei ricorsi per cassazione in esame, le Sezioni Unite (Cass. n. 935) hanno rilevato che « il Tribunale di Roma, senza accertare
alcuna forma di carenza sistemica nel sistema di esame delle domande e di accoglienza austriaco, si è avvalso della clausola di discrezionalit à , per formulare proprio quella valutazione che il diritto europeo, come chiarito dalla sentenza «Ministero dell ‘Interno» della Corte di Giustizia del 30.11.2023, non consente: ossia delibare un rischio di respingimento indiretto in un Paese di origine (il Pakistan) sulla base di una differente valutazione del livello di protezione di cui pu ò beneficiare col à il richiedente, ignorando la regola della fiducia reciproca e la soggezione di tutti i Paesi membri al principio di non respingimento».
Di conseguenza, il ricorso del Ministero è stato accolto, con cassazione dell’ordinanza impugnata con rinvio. E si è affermato il seguente principio di diritto: « Nel procedimento di impugnazione delle decisioni di trasferimento dei richiedenti asilo, ex art. 27 del Regolamento UE n. 604 del 2013, nonché ex art. 3 del d.lgs. n. 25 del 2008 ed ex art. 3, lett. e-bis), del d.l. n. 13 del 2017, conv. con modif. dalla l. n. 46 del 2017, il giudice adito non può esaminare se sussista un rischio, nello Stato membro richiesto, di una violazione del principio di nonrefoulement al quale il richiedente protezione internazionale sarebbe esposto a seguito del suo trasferimento (o in conseguenza di questo) verso tale Stato membro sulla base di divergenze relative all’interpretazione dei presupposti sostanziali della protezione internazionale, a meno che non constati l’esistenza, nello Stato membro richiesto, di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale ».
Sulle questioni inerenti alla protezione complementare nazionale, oggetto delle ordinanze interlocutorie della Prima civile, le Sezioni Unite, pur rilevando che, nella specie, non risultava che il richiedente, allorché avesse impugnato il provvedimento di trasferimento, si fosse
opposto al trasferimento, invocando il diritto alla protezione complementare di diritto nazionale, quale causa ostativa al trasferimento, sindacabile sotto il profilo dell’esercizio della clausola discrezionale, e tantomeno che avesse formulato allegazioni in fatto a tal proposito, si sono interrogate sul tema se, nel giudizio di rinvio, il giudice dell’impugnazione del trasferimento si debba porre ex officio la questione della « vulnerabilit à giuridicamente qualificata, cui si esporrebbe il richiedente in caso di rimpatrio coattivo verso il paese terzo », vagliandola all’interno delle ipotesi tutelate dal nostro sistema di protezione nazionale, e hanno risposto negativamente, precisando, tuttavia, anche quali sono i limiti del sindacato consentito al giudice ordinario sull’esercizio da parte degli Stati membri della clausola di discrezionalit à dell’art.17 del regolamento Dublino III, con particolare riferimento alla possibilit à di esaminare la sola sussistenza delle condizioni e dei presupposti del trasferimento o anche la sussistenza di ragioni che giustificherebbero il riconoscimento della protezione nazionale.
Le Sezioni Unite hanno rilevato che, nelle ordinanze interlocutorie, si prospettava che « il complesso sistema di protezione nazionale interno, fondato sulla necessit à di portare a compimento l’attuazione del diritto d’asilo costituzionale, nell’insufficienza a tal fine del sistema di protezione internazionale euro-unitario, potrebbe imporre allo Stato italiano, attraverso la competente autorit à designata, di attivare l’esercizio della clausola discrezionale, nei casi in cui l’interessato abbia rappresentato significative circostanze a sostegno del proprio diritto soggettivo ad ottenere siffatto titolo di protezione e in cui il diritto europeo non offrirebbe corrispondente tutela da parte del giudice dello Stato membro di trasferimento » sulla base di una valutazione specifica del caso concreto. Il che potrebbe essere stato prospettato sia
all’Autorit à Dublino, sia nel ricorso o comunque nell’ambito del procedimento volto a impugnare il provvedimento di trasferimento, ipotesi nella quale l’Amministrazione, parte del procedimento, è stata pur sempre posta nel contraddittorio in condizione di esercitare la clausola, sia pur solo nel contesto del procedimento giurisdizionale.
Le Sezioni unite hanno affermato che: a) « nonostante il collegamento funzionale che intercorre fra il procedimento di impugnazione del provvedimento di trasferimento e il pi ù generale procedimento diretto ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale, nell’ambito del primo, di car attere preliminare e diretto alla determinazione della competenza, sussiste l’esigenza di una autonoma allegazione da parte del richiedente delle specifiche ragioni dell’impugnazione del provvedimento di trasferime nto, in conformit à al generale principio dispositivo »; b) « il richiedente ha l’onere di allegare in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto circa l’individualizzazione del rischio, atteso che l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul v ersante dell’allegazione, pur con le peculiarità della materia, ma esclusivamente su quello della prova »; c) in sede di impugnazione della decisione di trasferimento, come chiarito dalla Corte di Giustizia, con la sentenza del 7.6.2016, causa C-63/15, Ghezelbash, il ricorso previsto dall’art.27 deve essere « effettivo », deve vertere sia sulle questioni di diritto sia sulle questioni di fatto e non soffre alcun limite contenutistico circa gli argomenti che il richiedente asilo pu ò dedurre nel contesto del suo ricorso, cosicché possono avere ingresso anche censure volte a dedurre violazioni dei suoi diritti diverse dal rischio di trattamenti inumani e degradanti che conseguano alle carenze sistemiche previste dall’articolo 3.2 del regolamento; d) l’art. 17, pur se squisitamente discrezionale, pu ò essere utilizzato per consentire di
non applicare automaticamente il Regolamento in tutti i casi in cui il Paese competente non sia affetto da gravi carenze sistemiche nel suo sistema di asilo e pur tuttavia il trasferimento verso tale Stato non garantisca una piena tutela dei diritti del richiedente protezione internazionale, sia pure solo in ragione della condizione personale di vulnerabilit à del richiedente (CGUE 23.1.2019, C-661/17 e 16.2.2017, C-578/16), ovvero nel caso in cui il Paese si trovi in una situazione « problematica », ancorché non strutturalmente carente, sotto il profilo delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo o delle procedure di accesso alla protezione internazionale, principi ribaditi dalla Corte UE nella sentenza del 16.2.2023, causa C-745/21, L.G., nella citata pronuncia del 30.11.2023, sulle cause riunite C-228/21, C-254/21, C297/21, C-315/21, C-328/21, nonché nella recente sentenza della Seconda Sezione della Corte di Giustizia (18.4.2024, causa C- 359/22, AHY); e) « poich é uno Stato membro non pu ò essere considerato obbligato a far uso della clausola discrezionale, il richiedente protezione internazionale non dispone di alcun diritto garantito dal diritto dell’Unione a che uno Stato membro faccia uso di tale clausola e l’art. 47 della Carta non osta a che uno Stato membro esegua una decisione di trasferimento prima di aver statuito su una domanda proposta ai sensi dell’art. 17, par. 1, o su un ricorso avverso la risposta fornita a una domanda siffatta », essendo prerogativa del diritto nazionale concedere la possibilit à di impugnare la decisione di non avvalersi della clausola discrezionale per tutta la durata del ricorso avverso la decisione di trasferimento, mentre il diritto europeo « si limita a vietare ai giudici degli Stati membri di servirsi del sindacato sulla clausola per eludere il mutual trust e di sovrapporre una propria delibazione sul rischio di respingimento indiretto a quella devoluta allo Stato membro competente », ad eccezione dell’ipotesi (sentenza Jawo 19.3.2019) in
cui il trasferimento verso il Paese competente, pur non affetto da gravi carenze sistemiche nel suo sistema di asilo, « non garantisca una piena tutela dei diritti del richiedente protezione internazionale, o in ragione della condizione personale di vulnerabilit à del richiedente o nel caso in cui il Paese si trovi in una situazione «problematica», ancorché non strutturalmente carente, sotto il profilo delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo o delle procedure di accesso alla protezione internazionale »; f) il ricorrente potrebbe avere prospettato all’Autorità Dublino di avere motivi ostativi al trasferimento, collegati al proprio diritto ad ottenere la protezione complementare di diritto nazionale, « ipotesi in cui appare agevole ravvisare un diniego implicito all’attivazione della clausola discrezionale », oppure potrebbe avere prospettato tali circostanze « solo nel ricorso o comunque nell’ambito del procedimento volto a impugnare il provvedimento di trasferimento, ipotesi nella quale l’Amministrazione, parte del procedimento, è stata pur sempre posta nel contraddittorio in condizione di esercitare la clausola, sia pur solo nel contesto del procedimento giurisdizionale »; g) il diritto dell’Unione consente dunque al richiedente di impugnare il disposto trasferimento per le pi ù svariate ragioni, tra le quali potrebbe annoverarsi anche la dedotta violazione del proprio diritto al riconoscimento della protezione complementare di diritto nazionale; h) ma tale ragione di opposizione non può essere scruti nata d’ufficio dal giudice del procedimento di impugnazione del trasferimento « per il solo fatto che nel nostro ordinamento le autorit à amministrative e giurisdizionali chiamate ad esaminare una domanda di protezione internazionale debbono valutare residualmente la riconoscibilit à di un titolo di protezione complementare sulla base delle allegazioni del richiedente », stante la « natura eccezionale della deroga », posta dall’art.17, sia perché la mancanza di un tale onere di allegazione
« condurrebbe inevitabilmente il nostro sistema in linea di collisione frontale con il diritto dell’Unione, imponendo sempre e comunque di derogare agli ordinari criteri di competenza e non dar mai corso ai trasferimenti, in flagrante contrasto con la stessa natura eccezionale della deroga rappresentata dalla clausola discrezionale », sia perché il giudice « nel silenzio della parte non disporrebbe di alcun elemento fattuale sulla cui base esprimere la valutazione circa la probabile spettanza della protezione complementare »; i) anche se possono ricorrere (e le Sezioni Unite non lo hanno escluso) ipotesi, marginali, in cui « il diritto d’asilo costituzionale riconosciuto dall’art.10, comma 3, della Costituzione, nelle sue varie declinazioni attuative in termini di protezione complementare (peraltro varie volte modificate nel tempo, da ultimo nel 2018, poi nel 2020 e ancora nel 2023) garantisca un surplus, o, se si preferisce, un extra-margine di tutela rispetto a quella offerta dal diritto dell’Unione Europea e qu indi dagli ordinamenti di tutti gli Stati membri », in quanto il diritto europeo non offrirebbe una tutela da parte del giudice dello Stato membro di trasferimento corrispondente a quella garantita dalla protezione complementare italiana, il giudice non può prescindere dall’esame di un caso concreto e dal necessario raffronto con riferimento alla specifica situazione prospettata e allegata dal richiedente che ha impugnato il trasferimento tra il diverso – e in ipotesi maggiore – livello di protezione offerto dal sistema italiano e quello standard europeo.
Quindi le Sezioni Unite, in ordine ai limiti del sindacato del giudice nazionale in punto di impugnazione della decisione di trasferimento, con particolare riferimento alla possibilit à di esaminare la sola sussistenza delle condizioni e dei presupposti del trasferimento o anche la sussistenza di ragioni che giustificherebbero il riconoscimento della protezione nazionale, pur avendo escluso che il giudice possa « d’ufficio
scrutinare il diritto del richiedente asilo al riconoscimento della protezione complementare di diritto nazional e», essendovi uno specifico onere di allegazione dell’interessato – che può impugnare il disposto trasferimento « per le più svariate ragioni, tra le quali potrebbe annoverarsi anche la dedotta violazione del proprio diritto al riconoscimento della protezione complementare di diritto nazionale » -, non hanno, in astratto, escluso la ricorrenza di ipotesi, seppure marginali, in cui « il diritto d’asil o costituzionale di asilo riconosciuto dall’art.10, comma 3, della Costituzione, nelle sue varie declinazioni attuative in termini di protezione complementare (peraltro varie volte modificate nel tempo, da ultimo nel 2018, poi nel 2020 e ancora nel 2023) garantisca un surplus, o, se si preferisce, un extra-margine di tutela rispetto a quella offerta dal diritto dell’Unione Europea e quindi dagli ordinamenti di tutti gli Stati membri », perché il diritto europeo non offrirebbe una tutela da parte del giudice dello Stato membro di trasferimento corrispondente a quella garantita dalla protezione complementare italiana.
Il giudice non può, in ogni caso, al riguardo, prescindere dall’esame di un caso concreto e dal necessario raffronto con riferimento alla specifica situazione prospettata e allegata dal richiedente che ha impugnato il trasferimento tra il diverso – e in ipotesi maggiore – livello di protezione offerto dal sistema italiano e quello standard europeo.
Le Sezioni unite, infine, in merito agli elementi deducibili dal ricorrente in sede d’impugnazione della decisione di trasferimento, con particolare riguardo agli elementi sopravvenuti a tale decisione, richiamano la giurisprudenza della CGUE, per la quale il giudice dell’impugnazione del trasferimento deve poter tenere conto di circostanze determinanti sopravvenute alla decisione di trasferimento, salvo che la normativa nazionale preveda un mezzo di ricorso specifico, implicante un esame
ex nunc della situazione dell’interessato, esperibile a seguito del verificarsi di siffatte circostanze.
Tanto premesso, la censura è fondata.
Nella specie, si evince dal provvedimento impugnato che il Tribunale, in assenza di accertate carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale in Germania, ha direttamente esaminato e ritenuto sussistente il rischio, nello Stato membro richiesto , «di una violazione del principio di non-refoulement al quale il richiedente protezione internazionale sarebbe esposto a seguito del suo trasferimento (o in conseguenza di questo) verso tale Stato membro sulla base di divergenze relative all’interpretazione dei presupposti sostanziali della protezione internazionale».
La motivazione è tutta rivolta a evidenziare il concreto rischio di violazione del divieto di refoulemen t indiretto unicamente per la situazione, definita eccezionale, in cui versa il Paese d’origine.
Si dice nel provvedimento che l’esistenza nel Paese d’origine di un serio rischio per il ricorrente di essere soggetto a trattamenti inumani e degradanti per l’ipotesi di un suo rimpatrio giustifica il sindacato sul rifiuto tacito dello Stato di avvalersi della clausola discrezionale.
Il Tribunale di Roma ritiene, in applicazione degli artt.3.2. e 17 del Regolamento Dublino III, di non potere condividere la decisione di trasferimento perché il rischio di rimpatrio è alto e non risulta che in fattispecie analogo sia stato rispettato il principio di non refoulement .
Non viene specificamente sviluppato nel corpus argomentativo come si pervenga attraverso gli articoli citati del regolamento alla conclusione cui si perviene. Le C.O.I. riguardano, in particolare la politica dei rimpatri del paese richiesto.
Si tratta, in conclusione, di una decisione che contrasta frontalmente con il principio affermato dalla sentenza della CGUE in tema di valutazione del rischio di refoulement indiretto, riprodotta testualmente nel principio di diritto contenuto nella sentenza delle S.U., sopra ampiamente sopra illustrata.
Ma il giudizio era stato instaurato e concluso, nel merito, prima della pronuncia della CGUE e, soprattutto, prima dell’innovativa qualificazione della protezione nazionale come una modalità di esercizio della clausola di sovranità. La giurisprudenza di merito si era, di conseguenza, concentrata sulla tutela assoluta del principio di non refoulement in relazione all’art. 3 Cedu e 4 Carta, ritenendo, in senso lato, e senza un espresso riferimento alla protezione nazionale, che il mancato rilievo del rischio di refoulement indiretto evidenziasse la non applicazione della clausola discrezionale ed entrasse in conflitto, in via subordinata (o principale), con il principio sancito dall’art. 3.2, seconda parte del regolamento.
Da ciò deriva il necessario accoglimento del motivo di ricorso, con cassazione con rinvio al giudice di merito.
Resta il tema se il richiedente avesse allegato in sede d’impugnazione della decisione di trasferimento, una condizione personale di vulnerabilit à , tutelabile attraverso la protezione complementare italiana, quale definito dagli artt. 5, comma 6, e 19 TUI, sia pure modificati alla luce dei recenti interventi legislativi, nel rispetto del diritto d’asilo costituzionale riconosciuto dall’art.10, comma 3, della Costituzione.
Non è emerso nel giudizio, in maniera esaustiva, il quadro allegativo contenuto nel ricorso avverso la decisione di trasferimento del richiedente protezione internazionale o evincibile dagli atti che hanno condotto alla decisione dell’Autorità Dublino
In primo luogo, è necessario evidenziare che il sistema interno di protezione nazionale è fondato sull’art. 19 e sulla clausola di salvaguardia costituita dalla parte vigente dell’art. 5 c.6 del d.lgs n. 286 del 1998, secondo la quale il nostro Stato è tenuto al rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali in tema di diritti fondamentali della persona.
L’elencazione delle cause di inespellibilità contiene previsioni in parte sovrapponibili alle fattispecie di protezione internazionale tipizzata del diritto unionale, contenute nella Direttiva qualifiche (rifugio politico e protezione sussidiaria) sia in relazione al rischio di discriminazione per motivi di razza, politici, religiosi, di genere sia in relazione all’esposizione al rischio di tortura ed esposizione a trattamenti inumani e degradanti. Tuttavia, anche in queste ipotesi la protezione nazionale non coincide quanto ai requisiti con quella internazionale, sia in relazione all’eventuale sussistenza di cause di revoca operanti solo per le protezioni maggiori, sia in relazione alla diversa conformazione della vulnerabilità tutelabile rispetto al rigido perimetro dei requisiti normativi delle protezioni maggiori.
Anche per queste ipotesi d’inespellibilità può, in conclusione operare, l’ostacolo al trasferimento costituito dall’accertamento positivo dei requisiti della protezione complementare senza che si verifica un’ingerenza nel sistema unionale, in quanto il dir itto, ove sussistente, ha un contenuto più ampio, traducendosi in un permesso di soggiorno temporaneo, del mero impedimento dovuto all’applicazione del principio di non refoulement .
Le altre ipotesi, ratione temporis applicabili al caso di specie (la violazione del diritto alla vita privata e familiare, come configurata nell’art. 19 c.1.1, secondo periodo ex d.l. n. 130 del 2020) e quelle oggetto del successivo intervento normativo, comunque non
abrogativo dell’obbligo di rispettare il sistema di tutela dei diritti fondamentali di matrice costituzionale e convenzionale, sulla cui ampiezza c’è ampio dibattito dottrinale e le prime decisioni giurisdizionali, rappresentano esplicitamente ipotesi neanche in parte coincidenti o sovrapponibili con quelle di matrice unionale ed hanno ampia applicazione interna.
L’autonomia del giudizio sulla decisione di trasferimento rispetto a quello relativo alla domanda di protezione internazionale è relativa, non potendo trascurarsi che il ricorrente è un richiedente asilo e che, nell’ambito del giudizio relativo alla protez ione internazionale, al giudice del merito spetta, officiosamente, la verifica delle condizioni per la protezione nazionale, anche ove queste si fondino su fatti acquisiti successivamente alla proposizione della domanda.
In definitiva, nel nostro ordinamento tuttora si prevede un diritto soggettivo al rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale dello straniero che, anche in assenza di un livello di integrazione apprezzabile in Italia, rischi in concreto di versare nel paese d’origine in condizione di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità, che ne degradi l’esistenza al di sotto della soglia minima della dignità umana.
Le stesse Sezioni Unite hanno, da ultimo, ribadito che indubbiamente è prerogativa del diritto nazionale concedere la possibilit à di impugnare la decisione di non avvalersi della clausola discrezionale di cui all’art.17 Reg. per tutta la durata del ricorso avverso la decisione di trasferimento.
Le Sezioni unite hanno risposto a uno dei quesiti posti dalle ordinanze interlocutorie, in astratto, in senso affermativo, concludendo che « il diritto dell’Unione consente al richiedente di impugnare il disposto trasferimento per le più svariate ragioni, tra le quali potrebbe
annoverarsi anche la dedotta violazione del proprio diritto al riconoscimento della protezione complementare di diritto nazionale » (salvo poi escluderlo nei casi esaminati, per carenze nelle allegazioni del richiedente). Il giudice dell’impugnazione del trasferimento deve poter tenere conto di circostanze determinanti anche se sopravvenute alla decisione di trasferimento.
E la clausola discrezionale è facoltativa, nel senso di cui al punto 146 della sentenza CGUE (« Detta facoltà è intesa a consentire a ciascuno Stato membro di decidere in piena autonomia, in base a considerazioni di tipo politico, umanitario o pragmatico, di accettare di esaminare una domanda di protezione internazionale, anche se esso non è competente in base ai criteri stabiliti da detto regolamento (sentenza del 23 gennaio 2019, M.A. e a., C -661/17, EU:C:2019:53, punto 58 »), ma il limite a questa discrezionalità è dato dalla prospettazione di un diritto sul quale si deve garantire un ricorso effettivo e quindi il mancato uso della clausola è, in questi termini, sindacabile.
Ne deriva che, in ordine alla clausola 17 Reg. in esame, il giudice nazionale, in base alla sentenza CGUE del 30/11/2023 e alle sentenze delle Sezioni Unite del 2025, deve valutare se il rifiuto tacito (insito nella decisione di trasferimento verso altro Stato membro competente) di avvalersi della clausola discrezionale del nostro Stato appaia giustificato, anzitutto, alla luce di quanto prospettato in ricorso, se da questi atti emergono fatti nuovi rilevanti ai fini della protezione complementare di diritto nazionale.
Quanto alle possibili carenze sistemiche nelle procedure di asilo e nelle condizioni di accoglienza, l’art.3 Reg. contempla, in via autonoma, al par. 2, un caso specifico di ipotesi di non trasferimento, per il rischio di trattamento inumano o degradante a i sensi dell’art.4 Carta UE, a causa di carenze sistemiche dello stato competente, ma comunque l’assenza
o la presenza delle carenze sistemiche entrano in gioco (secondo CGUE e SU) nel delineare « i limiti del sindacato da parte del giudice sull’art.17 ».
Nel senso che l’art.17 par.1 in combinato disposto anche con art.4 Carta UE, non impone al giudice dello Stato membro richiedente di dichiarare tale Stato membro competente (e quindi non si può obbligare lo Stato ad avvalersi della clausola del 17) per il motivo che esiste, secondo tale giudice, un rischio di violazione del principio di non-refoulement nello Stato membro richiesto, « in assenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza » dei richiedenti protezione internazionale nello Stato membro richiesto in occasione del trasferimento o in conseguenza di esso. Occorrono invero circostanze eccezionali per derogare al principio di fiducia reciproca sul rispetto del principio di non respingimento da parte di tutti gli Stati UE oppure deve sussistere una condizione personale di vulnerabilità del richiedente: il diritto europeo vieta ai giudici degli Stati membri « di servirsi del sindacato sulla clausola per eludere il mutual trust e di sovrapporre una propria delibazione sul rischio di respingimento indiretto a quella devoluta allo Stato membro competente ».
La novità dell’approccio ermeneutico delle S.U. consiste, da un lato, nell’introduzione, in astratto, della protezione nazionale nell’ambito delle circostanze da valutare in sede di impugnazione della decisione di trasferimento, attraverso l’art. 17 del regolamento, e, dall’altro, nella richiesta di oneri allegativi e di una condotta processuale in ordine agli adempimenti della parte richiedente, in parte non prevedibili, in parte non ritenuti di primaria rilevanza da parte dei giudici di merito e dunque non rilevati.
Occorre poi dare necessario rilievo a un aspetto, proprio di tutte le decisioni involgenti l’intero quadro dei diritti fondamentali del cittadino straniero riguardanti l’asilo, rappresentato dall’obbligo per il giudice del merito di procedere ad una valuta zione all’attualità che tenga conto di tutte le sopravvenienze allegate ed acquisite al momento della decisione.
L’apprezzamento del fatto o dei fatti spetta in via esclusiva al giudice del merito e questo potere-dovere si atteggia in modo peculiare nei giudizi in oggetto, perché il potere allegativo della parti non si esaurisce in via definitiva con la decisione di legittimità ma può svilupparsi anche nel giudizio di rinvio, sia perché l’oggetto dell’intervento nomofilattico ne impone l’esame nei limiti dell’esercizio del potere dispositivo della parte, sia perché si tratta di fatti nuovi ma decisivi o rilevanti.
Quest’ultimo profilo riveste nei giudizi come quello a quo , una particolare rilevanza, per il rilievo del fattore tempo in relazione all’acquisizione di una condizione di stabilità idonea ad essere valutata alla stregua dell’art. 8 Cedu.
Il giudice di rinvio, nell’ambito di un giudizio, di regola, ad istruzione sostanzialmente chiusa – in cui è preclusa la formulazione di nuove conclusioni e quindi la proposizione di nuove domande o eccezioni e la richiesta di nuove prove, salvo che la necessità di nuove conclusioni sorga dalla stessa sentenza di cassazione – potrà, limitatamente ai fatti già allegati dalle parti o comunque acquisiti al processo ritualmente, nella fase processuale antecedente al giudizio di cassazione, sicuramente compiere tali necessarie verifiche (Cass. 20423/2024; Cass. 27736/2022: « Nel giudizio di rinvio, configurato dall’art. 394 c.p.c. quale giudizio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”, é preclusa l’acquisizione di nuove prove e segnatamente la produzione di nuovi documenti, salvo che la stessa sia giustificata da
fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore »).
In tal senso, nella materia, senz’altro potranno assumere rilievo anche gli elementi di informazione forniti nel colloquio di cui all’art. 5 del Regolamento, che rappresenta un adempimento obbligatorio.
Inoltre, il giudice del rinvio, anche alla luce delle Sezioni Unite 2025, dovrà tener conto delle nuove allegazioni del richiedente per fatti sopravvenuti, non solo rispetto alla decisione di trasferimento (cui si deve dare senz’altro risposta affermativa) ma all’originario ricorso giurisdizionale di impugnazione del trasferimento in forza del Reg. Dublino III e alla situazione esistente nell’attualità, anche per effetto del tempo trascorso.
Invero, questa Corte (vedasi Cass., nn. 11178/2019 e 11796/2021, in tema di riconoscimento dell’assegno divorzile) ha già affermato come la cassazione della pronuncia con rinvio, ove si apra un nuovo orizzonte interpretativo sollecitato dall’intervento della giurisprudenza di legittimità che richieda l’acce rtamento di fatti, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito, imponga per l’effettivo dispiegamento del diritto di difesa che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova sui temi non trattati conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di rinvio, nonché di nuove allegazioni di fatti preesistenti ma non prima allegati o trattati.
In sostanza, può essere adempiuto dal richiedente l’onere allegativo , in sede di ricorso davanti al giudice del merito, alla luce dei fatti acquisiti nella decisione oggetto d’impugnazione che evidenzino il rifiuto tacito dell’Autorità Dublino di applicare la clausola di sovranità, anche con il richiamo puntuale alle domande ed allegazioni contenute
nella domanda di protezione internazionale che ha determinato l’avvio del sub procedimento relativo all’individuazione dello Stato competente.
Il tutto nelle necessarie premesse sul diritto, nella materia, a un ricorso effettivo, sui poteri del giudice di rinvio, quando intervengano mutamenti giurisprudenziali, e sulla natura della protezione nazionale – complementare/umanitaria/speciale – come attuativa del diritto di asilo costituzionale dell’art.10 Cost.
Per quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassato il decreto impugnato con rinvio al Tribunale di Roma in diversa composizione.
Il giudice del rinvio dovrà attenersi , in base alla sentenza CGUE del 30/11/2023 e alle sentenze delle Sezioni Unite del 2025, ai seguenti principi:
«il giudice adito in sede di impugnazione delle decisioni di trasferimento dei richiedenti asilo, ex art. 27 del Regolamento UE n. 604 del 2013, nonché ex art. 3 del d.lgs. n. 25 del 2008 ed ex art. 3, lett. e-bis), del d.l. n. 13 del 2017, conv. con modif. dalla l. n. 46 del 2017, non può esaminare se sussista un rischio, nello Stato membro richiesto, di una violazione del principio di non-refoulement, a meno che non constati l’esistenza, nello Stato membro richiesto, di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale »;
« in sede di rinvio, a seguito di cassazione della decisione sull’impugnazione del trasferimento ai sensi del Regolamento n. 604/2013, il giudice nazionale, nell’ambito del sindacato sull’esercizio della clausola di cui all’art.17 del Regolamento da parte dello Stato membro richiedente, deve valutare se il rifiuto
tacito (insito nella decisione di trasferimento verso altro Stato membro competente), di avvalersi della clausola discrezionale del nostro Stato, appaia giustificato, anzitutto, alla luce di quanto prospettato in ricorso o risultante dagli atti prodotti dalle parti, se emergono fatti rilevanti ai fini della protezione anche nazionale, attuativa del diritto di asilo costituzionale dell’art.10 Cost., potendo essere allegati fatti nuovi sopravvenuti, anche per effetto del tempo trascorso, oppure fatti preesistenti ma non prima allegati o trattati ».
Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, con rinvio al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche in ordine alla