Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6890 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 6890 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2024
nulla osta sindacale, tuttavia lo spostamento lavorativo andrebbe valutato sotto il profilo della antisindacalità in concreto, profilo rispetto al quale le prove dedotte e non ammesse si riferivano a circostanze dotate di carattere di decisività, richiamando anche l’avere il COGNOME mai svolto attività sindacale presso la casa Circondariale ed il fatto che -a dire del Sindacato ricorrente – il personale assegnato alla sorveglianza presso il carcere era ampiamente congruo;
3.
i due motivi vanno esaminati congiuntamente, dato il nesso logicogiuridico tra loro esistente;
4.
l ‘art. 40 del d.p.r. n. 266 del 1987 che è chiamato a regolare la fattispecie, al comma 1, prevede che « il trasferimento di sede dei dirigenti sindacali, componenti di organi statutari delle organizzazioni sindacali, può essere disposto solo previo nulla osta delle rispettive organizzazioni di appartenenza »;
l’omologa previsione dell’art. 22 della L. n. 300 del 1970 in ambito di lavoro privato stabilisce a propria volta che « il trasferimento dall’unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui al precedente articolo 19, dei candidati e dei membri di commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza »;
l’analogia di formulazione consente di dare rilievo all’elaborazione giurisprudenziale avutasi rispetto ad entrambe le norme;
sul punto, alcuni arresti -richiamati anche dalla difese della ricorrente – si sono concentrati sul dato fattuale, ritenendo che sia integrata la fattispecie del ‘trasferimento’ a fronte di « ogni tipo di allontanamento dalla sede lavorativa che, per determinare un distacco, completo e di
apprezzabile durata, dal luogo di svolgimento dell’abituale attività sindacale, sia suscettibile di produrre una lesione (anche potenziale) all’azione del rappresentante sindacale, equiparabile in termini fattuali – in ragione cioè dell’interesse leso – al trasferimento » (Cass. 5 febbraio 2003, n. 1684);
altri arresti hanno invece fatto leva sul significato giuridico proprio della terminologia utilizzata, ritenendo che non si possa ritenere ‘trasferimento’ la revoca del provvedimento di utilizzazione provvisoria presso altra sede del lavoratore che rivesta incarichi di dirigenza sindacale, e il conseguente rientro del medesimo nell’originaria sede di servizio, fermo restando che, al di là dell’osservanza formale del disposto di legge, « qualora … l’allontanamento sottenda un intento discriminatorio o sia oggettivamente idoneo a ledere in concreto la libertà e l’attività sindacale, è esperibile la tutela per attività antisindacale ai sensi dell’art. 28 statuto lavoratori » (Cass. 23 gennaio 2008, n. 1442);
il collegio ritiene che vada preferita la seconda opzione, sia per l’aderenza al tenore testuale delle norme, sia per restare comunque tutelato -salvo un diverso riparto degli oneri probatori -il caso in cui, al di là della dinamica giuridica seguita, vi sia in concreto un’attività caratterizzata da antisindacalità, anche per il pregiudizio al legame con la base dei lavoratori rappresentati;
5.
ciò premesso non può neanche dirsi che siano integrate le fattispecie, in cui è necessario il nulla osta sindacale, dell’art. 6 del l’accordo nazionale quadro di amministrazione per il personale appartenente al corpo di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 24 marzo 2004;
il citato art. 6 prevede che:
-« i dirigenti sindacali che ricoprono cariche in seno agli organismi direttivi previsti dagli statuti delle Organizzazioni Sindacali rappresentative sul piano nazionale del RAGIONE_SOCIALE possono essere trasferiti o inviati a prestare servizio provvisorio ad
istituti o servizi ubicati in una sede diversa solo previo nulla osta delle OO.SS. di appartenenza » (primo comma);
-« ne ll’ambito della stessa sede di servizio, da intendersi quale località ove è ubicata la struttura o la singola direzione, il trasferimento dei dirigenti sindacali … in un ufficio o servizio diverso da quello di assegnazione, può essere disposto solo previo nulla osta delle OO.SS. di appartenenza » (secondo comma);
il primo comma prevede dunque il caso dei lavoratori che siano « trasferiti o inviati a prestare servizio provvisorio ad istituti o servizi ubicati in una sede diversa », ma già si è detto che la revoca del distacco non equivale a trasferimento in senso tecnico e del resto nel caso di specie neppure ricorre l’ipotesi del trasferimento ‘in sede diversa’, ove per sede si intenda -come si evince a contrario dal secondo comma -quella ubicata in un’ altra località, perché sia la sede del distacco che quella di rientro sono a Potenza;
neppure è integrata l’ipotesi dell’ ‘invio’ provvisorio, perché non è tale la revoca del distacco , ove semmai è fatta cessare l’assegnazione ad unità diversa da quella di appartenenza;
infine, non può dirsi integrato il caso di cui al secondo comma in quanto, pur ricorrendo il presupposto del passaggio tra servizi della « stessa sede di servizio, da intendersi quale località ove è ubicata la struttura o la singola direzione », non si può parlare, per quanto si è detto in precedenza, di ‘trasferimento’ in senso tecnico;
con riferimento all’ipotesi di cui al secondo comma , l’assenza di trasferimento in senso tecnico esclude parimenti che abbia rilievo la precisazione di Cass., S.U., 9 febbraio 2015, n. 2359, secondo cui il nulla osta è richiesto anche ove il trasferimento in questione avvenga nell’ambito della medesima località sede di servizio;
6.
va dunque escluso che, agendo senza richiedere il nulla osta, la P.A. sia incorsa in violazione diretta di norme sulla tutela dei dirigenti sindacali e delle OO.SS.;
7.
quanto all’antisindacalità in concreto, non ha rilievo il richiamo alla mancata ammissione delle prove testimoniali perché esse, il cui capitolato è trascritto nel ricorso per cassazione, riguardano circostanze descrittive generali dell’accaduto ed il fatto che il lavoratore ave va partecipato a manifestazioni pubbliche di protesta, il che non è in sé decisivo rispetto allo scopo antisindacale del trasferimento;
certamente non era poi ammissibile, in quanto contenente un giudizio non demandabile ad un testimone, il capitolo in cui si assume che la decisione della RAGIONE_SOCIALE avrebbe « tradito la volontà di punire » il dirigente sindacale;
per quanto poi riguarda la necessità di potenziare il servizio di sorveglianza presso il carcere, su cui ha fatto leva la Corte territoriale, il motivo contiene una replica di merito, ove si afferma che il personale assegnato era « ampiamente congruo » e contiene affermazioni (come quella per cui presso il carcere « difettano le figure professionali dei viceispettori poiché in assenza temporanea degli ispettori, essendo il ruolo di questi ultimi ampiamente coperto, sono chiamati a svolgere la sorveglianza generale gli assistenti capo ») non chiare, né tali da inficiare la spiegazione data dalla sentenza impugnata, perché il trasferimento del lavoratore a fini di rafforzamento della sorveglianza resta tale a prescindere da quanto così affermato dalla ricorrente;
né ad integrare il motivo possono valere alcune circostanze indicate nelle memorie finali, secondo cui l’esigenza di rafforzamento del personale del carcere « poteva essere soddisfatta con il rientro di altri due distaccati presso la COR, ossia gli ispettori COGNOME e COGNOME, con diversa anzianità di servizio, oltre che ricorrendo ai sovrintendenti presenti presso la stessa Casa Circondariale »;
si tratta infatti di deduzioni in parte generiche, non potendosi in sede di legittimità ipotizzare su tali laconiche basi raffronti di fatto in ordine alle ragioni che hanno portato a prescegliere il COGNOME e non gli altri due ispettori;
in altra parte (possibilità di sopperire alle esigenze con i sovrintendenti) si tratta di difese che non è neppure chiarito esplicitamente come esse vadano conciliate con le altre deduzioni sul tema dispiegate in causa e sopra riportate;
in ogni caso -ed in via totalmente assorbente -è noto che le memorie finali non possono contenere integrazioni rispetto ai motivi di ricorso per cassazione (Cass. 30 marzo 2023, n. 8949 e, in specifico, rispetto al rito camerale, Cass. 28 novembre 2018, n. 8949; Cass. 23 agosto 2011, n. 17603);
7.1
quanto al l’insistenza dei motivi sul fatto che il COGNOME non avesse mai svolto attività sindacale presso la casa circondariale, essa in sé tenderebbe a negare il fatto, almeno parzialmente diverso, affermato dalla Corte territoriale e da essa posto a fondamento delle proprie valutazioni, secondo cui era stato proprio presso il carcere che vi era stata la designazione del predetto quale delegato provinciale;
intanto va detto che il fatto in sé di una tale modalità di designazione non appare contestato e comunque nel giudizio di cassazione non si può addurre come vizio di legittimità la mera negazione di un fatto storico posto a fondamento della decisione;
da altro punto di vista, la prospettazione di fatti storici ulteriori rispetto a quelli considerati – quale potrebbe essere lo svolgimento in concreto dell’attività sindacale presso il COR – non individua un vizio di legittimità nella pronuncia impugnata, se non quando siano integrati i presupposti specifici di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., ovverosia quando siano stati trascurate circostanze decisive;
in proposito, la Corte territoriale ha valorizzato il fatto della designazione come delegato avvenuta presso la casa circondariale, quale elemento, in una con la necessità di rafforzare il personale del carcere, di un complessivo convincimento di merito in ordine all’assenza di un obiettiva lesione degli interessi sindacali, sicché, tenuto anche conto della minima distanza tra il carcere ed il COR – cui la Corte territoriale fa riferimento nel riepilogare gli assunti della sentenza di primo grado, poi da essa condivisa – non si vede come si possa affermare che necessariamente, trascurando l’essersi svolta l’attività sindacale presso il COR, si sia determinata un reale ed obiettiva lesione rispetto ad essa;
in tale quadro, non va neppure trascurato anche quanto esplicitato nel controricorso, ovverosia che, essendo il COGNOME delegato ‘provinciale’, come accertato anche dalla sentenza di appello, non si vede come possa intendersi quale rottura del nesso con i lavoratori rappresentati il fatto dello spostamento, per cessazione del distacco, tra due sedi interne non solo alla stessa Provincia, ma anche allo stesso Comune;
7.2
il motivo e le difese, in generale, hanno del resto la caratura propria della richiesta di una diversa valutazione del materiale di causa, sicché vale il principio per cui in sede di legittimità non sono ammesse censure che si traducano, sul presupposto della difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice agli elementi delibati, in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148);
8.
il terzo motivo censura la sentenza impugnata adducendo la violazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., lamentando che la Corte territoriale non si sia espressa sulla richiesta di riforma della
condanna alle spese pronunciata in primo grado, formulata sul presupposto che il Tribunale in sede di opposizione aveva accolto il motivo di impugnazione dispiegato avverso il decreto sommario e consistente nella censura rispetto all’omessa valutazione della natura ritorsiva della revoca del distacco;
vale in proposito il principio secondo il quale (Cass. 5 febbraio 2021, n. 2830) « nel caso in cui, pur in mancanza di espresso esame del motivo di impugnazione relativo alle spese di primo grado, l’appello sia stato interamente rigettato nel merito con condanna dell’appellante al pagamento integrale delle spese di lite anche del secondo grado, non ricorre l’ipotesi dell’omesso esame di un motivo di appello, né quella del difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (cd. “minuspetizione”), atteso che la condanna alle spese del secondo grado implica necessariamente il giudizio sulla correttezza di quella pronunciata dal primo giudice, sicché il motivo di gravame relativo a tale condanna deve intendersi implicitamente respinto e assorbito dalla generale pronuncia di integrale rigetto dell’impugnazione e piena conferma della sentenza di primo grado »;
d’altra parte, la soccombenza (Cass. 6 giugno 1975, n. 2255; Cass. 9 novembre 1981 n. 5914; Cass. 2 settembre 2014, n. 18503; Cass. 2 novembre 2021, n. 31183) si misura sull’esito complessivo della domanda;
non ha dunque rilievo il superamento di profili preliminari infondatamente eccepiti dalla parte complessivamente vittoriosa, sicché l’avere la Corte di merito ritenuto, in dissenso rispetto ai dubbi posti sul tema dal Tribunale, che il COGNOME fosse dirigente sindacale, non ha alcun effetto sulla valutazione di soccombenza operata dalla Corte di merito che resta pienamente fondata, a fronte del rigetto di tutte le domande dispiegate;
non diversamente -venendo più da vicino al contenuto del motivo -l’avere il decreto della fase sommaria omesso di apprezzare la questione sulla ritorsività, non toglie che essa sia stata poi ritenuta infondata dal
Tribunale in sede di opposizione, sicché l’accaduto nulla sposta rispetto alla valutazione di soccombenza su cui evidentemente si sono mosse le pronunce assunte in causa nei diversi gradi e fasi del giudizio;
9.
al rigetto del ricorso per cassazione segue la regolazione secondo soccombenza anche delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1bis , se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 20.2.2024.