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Trasferimento di azienda: quando c’è il diritto?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 3278/2024, ha chiarito che un semplice cambio di appalto non configura automaticamente un trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. Il caso riguardava un lavoratore licenziato dopo la successione di una nuova società nella gestione di un punto ristoro aeroportuale. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che per aversi trasferimento di azienda è necessario provare il passaggio di un’entità economica organizzata, ovvero un insieme di beni significativi, e non la sola successione nel servizio.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Cambio Appalto e Trasferimento di Azienda: La Cassazione Fa Chiarezza

Il cambio di gestione in un appalto di servizi genera spesso dubbi e preoccupazioni tra i lavoratori riguardo alla continuità del loro rapporto di lavoro. La domanda centrale è: la successione di un’impresa ad un’altra configura automaticamente un trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 del Codice Civile? Con l’ordinanza n. 3278 del 5 febbraio 2024, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema cruciale, ribadendo principi fondamentali per la tutela dei lavoratori e la certezza del diritto per le imprese.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dal licenziamento collettivo avviato da una società che gestiva un punto ristoro all’interno di un importante aeroporto italiano. A seguito della scadenza della concessione, un’altra grande azienda del settore della ristorazione era subentrata nella gestione. Un lavoratore, coinvolto nel licenziamento, si opponeva sostenendo che si fosse verificato un vero e proprio trasferimento di ramo d’azienda. Egli chiedeva quindi l’accertamento del suo diritto a passare direttamente alle dipendenze della nuova società concessionaria, mantenendo le medesime condizioni contrattuali.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato le sue domande. I giudici di merito avevano concluso che non sussistevano gli elementi per qualificare l’operazione come un trasferimento di azienda, in quanto non vi era stato un passaggio di beni strumentali significativi dalla vecchia alla nuova gestione. L’unica offerta della società subentrante era stata quella di una possibile assunzione ex novo, a condizioni diverse, che il lavoratore aveva rifiutato.

La Decisione sul trasferimento di azienda della Cassazione

Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando principalmente la violazione dell’art. 2112 c.c. e della direttiva europea 2001/23/CE. A suo avviso, i giudici non avevano considerato che l’attività era rimasta identica, con la stessa clientela (i passeggeri dell’aeroporto) e nello stesso luogo, elementi che avrebbero dovuto far presumere l’esistenza di un trasferimento di azienda.

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i motivi del ricorso inammissibili. Gli Ermellini hanno sottolineato che il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti della causa. Il compito della Suprema Corte è verificare la corretta applicazione della legge, non riesaminare le prove. Nel caso di specie, il ricorrente stava cercando di ottenere una nuova valutazione del merito, contestando l’interpretazione delle prove già operata dalla Corte d’Appello.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha ribadito il suo consolidato orientamento in materia. Affinché si configuri un trasferimento di azienda (o di un suo ramo), non è sufficiente la mera successione di un imprenditore a un altro in un appalto di servizi. È indispensabile che vi sia il passaggio di un’entità economica organizzata che conservi la propria identità. Questo si verifica quando vengono ceduti elementi materiali o immateriali significativi, come attrezzature, macchinari, know-how, che consentono al nuovo gestore di proseguire l’attività.

In base all’art. 29, comma 3, del D.Lgs. 276/2003, la semplice assunzione di personale da parte del nuovo appaltatore non è sufficiente a integrare un trasferimento d’azienda. È necessario un quid pluris: la cessione di un complesso di beni organizzati.

Nel caso esaminato, la Corte territoriale aveva accertato, con una valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che il lavoratore non aveva fornito alcuna prova del passaggio di beni di non trascurabile entità. Di conseguenza, correttamente i giudici di merito avevano escluso l’applicabilità della tutela prevista dall’art. 2112 c.c.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma un principio chiave: la distinzione tra cambio di appalto e trasferimento di azienda dipende da un accertamento fattuale. I lavoratori che intendono far valere il diritto alla continuità del rapporto di lavoro devono provare in giudizio che, oltre alla prosecuzione del servizio, vi è stata la cessione di un’organizzazione aziendale autonoma e preesistente. La sola identità del servizio offerto e della clientela non basta. Per le imprese, questa decisione ribadisce che la successione in un appalto non comporta automaticamente l’obbligo di assumere tutto il personale del precedente gestore alle medesime condizioni, a meno che non vi sia una cessione di asset aziendali rilevanti o specifiche clausole sociali nei contratti collettivi applicabili.

Un semplice cambio di appalto costituisce sempre un trasferimento di azienda?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera successione di un’impresa a un’altra nella gestione di un appalto di servizi non integra automaticamente un trasferimento di azienda. È necessario che vi sia il trasferimento di un’entità economica organizzata che conservi la sua identità.

Cosa deve provare un lavoratore per dimostrare che c’è stato un trasferimento di azienda?
Il lavoratore ha l’onere di provare che vi è stato il passaggio di un complesso di beni di non trascurabile entità, sia materiali (es. macchinari, attrezzature) che immateriali (es. know-how), che nel loro insieme costituiscono un’entità economica funzionalmente autonoma. La sola continuità del servizio o la riassunzione di parte del personale non è sufficiente.

La disciplina del CCNL può garantire il passaggio diretto dei lavoratori nel cambio appalto?
Dipende. La contrattazione collettiva può prevedere clausole (c.d. clausole sociali) che disciplinano il passaggio dei lavoratori in caso di cambio appalto. Tuttavia, nel caso specifico analizzato dalla Corte, il CCNL applicabile dalla società subentrante non riconosceva un diritto al passaggio diretto, ma prevedeva solo la possibilità di assunzioni ex novo, anche a diverse condizioni contrattuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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