Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3278 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 3278  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2083-2021 proposto da:
COGNOME  NOME,  elettivamente  domiciliato  in  ROMA,  INDICOGNOME, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore,  elettivamente  domiciliata  in  INDICOGNOME, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante  pro  tempore,  elettivamente  domiciliata  in
R.G.N. 2083/2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/01/2024
CC
INDICOGNOME, INDICOGNOME, presso lo studio dell’avvocato  NOME  COGNOME,  che  la  rappresenta  e  difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2590/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/11/2020 R.G.N. 2887/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, confermando -seppur con diversa motivazione – la pronuncia del Tribunale di Civitavecchia, respingeva le domande proposte da NOME COGNOME per l’accertamento della illegittimità del licenziamento collettivo intimato il 31.3.2014 da RAGIONE_SOCIALE (gestore del punto ristoro ‘RAGIONE_SOCIALE‘, sito all’interno dell’aeroporto di Fiumicino) e del diritto al passaggio diretto alle dipendenze della società RAGIONE_SOCIALE (assegnataria, in sub concessione, del suddetto punto ristoro da parte di RAGIONE_SOCIALE nel gennaio 2014), nonché per l’accertamento della nullità dell’Accordo 6.2.2014 intervenuto presso la Regione Lazio e dell’applicazione del CCNL RAGIONE_SOCIALE 8.7.2010. Dichiarava cessata la materia del contendere nei confronti di NOME COGNOME per intervenuta sopravvenuta conciliazione.
La Corte distrettuale, anche richiamando proprie statuizioni precedenti  (sentenza  n.  715  del  2020),  ricostruiti  i  fatti concernenti il  subentro  di  RAGIONE_SOCIALE  nella  gestione  del  punto ristoro  nonché  tutte  le  fasi  di  trattativa  intrattenute  con  le organizz azioni  sindacali  e  con  la  Regione  Lazio  nell’ambito della  procedura  ex  lege  n.  223  del  1991  nonchè  premessa
l’applicabilità del rito c.d. Fornero a tutte le domande avanzate dai lavoratori (nei confronti sia di RAGIONE_SOCIALE sia di RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, ha accertato l’insussistenza di un diritto al passaggio diretto dei lavoratori alle dipendenze della società subentrata nell’ap palto posto che nessuna disposizione, normativa o negoziale invocata dal lavoratore, garantisce, nel caso di specie, il passaggio diretto alle dipendenze della società concessionaria. Invero: 1) nessun elemento era stato dedotto e provato dal lavoratore -su cui incombe l’onere della prova, ex art. 2112 c.c. – in merito ad un passaggio di beni strumentali e/o di personale dal loro datore di lavoro (RAGIONE_SOCIALE alla nuova subconcessionaria (RAGIONE_SOCIALE, posto che, ai sensi dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, non costituisce trasferimento di azienda la mera assunzione dei lavoratori in caso di cambio del soggetto appaltatore, essendo necessario -affinché venga integrata la previsione legislativa -che vi sia una cessione dell’azienda o di un suo r amo intesa come passaggio di beni di non trascurabile entità; 2) il CCNL Turismo applicato da RAGIONE_SOCIALE (deduzione non contestata dai lavoratori) non riconosce, in occasione dei cambi di gestione, il diritto dei dipendenti addetti all’appalto al passaggio diretto presso la gestione subentrante (art. 332), pur prevedendo -in caso di mutamenti nell’organizzazione e nelle modalità del servizio, nelle tecnologie produttive e nelle clausole contenute nei capitolati di appalto -la possibilità di assunzioni ex novo anche a diverse condizioni contrattuali (art. 336), possibilità, del tutto conforme al CCNL, che RAGIONE_SOCIALE aveva offerto ai lavoratori con l’ipotesi di accordo 19.2.2014 (proposta che prevedeva l’assunzione a tempo indeterminato senza patto di prova, con trattamento retributivo superiore ai minimi tabellari previsti dal CCNL, proposta rifiutata dal lavoratore);
RAGIONE_SOCIALE non era tenuta ad applicare il CCNL RAGIONE_SOCIALE ma in ogni caso, anche volendo applicare la ‘Sezione Gestori’ di detto CCNL (e non la ‘Sezione RAGIONE_SOCIALE‘) nulla era stato dedotto con riguardo alla ‘quota di traffico o di attività acquisita dal soggetto subentrante’ a cui la ‘Sezione RAGIONE_SOCIALE‘ (che rinviava al Protocollo d’Intesa del 16.4.1999 adottato ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 18 del 1999) ricollegava il trasferimento di parte (e non di tutto) il personale in occasione di un cambio di gestione; 4) l’operazione era regolata dal diritto privato, non potendosi legittimamente invocare (come anche rilevato dal Consiglio di Stato, sentenza n. 2639 del 2015 emessa in controversia instaurata da altra società concorrente) l’applicazione del cod ice degli appalti. La Corte territoriale concludeva, pertanto, che l’accordo stipulato presso la Regione Lazio il 6.2.2014 a conclusione della procedura ex lege n. 223 del 1991 (ove, in sintesi, si prevedeva la messa in c.i.g. sino al 31.3.2014, l’obbligo della società aggiudicataria di assunzione a tempo indeterminato, il licenziamento dei lavoratori che non accettavano il nuovo contratto di lavoro) era valido ed efficace, alla luce della disciplina di fonte normativa e negoziale, né era stato provato un comportamento fraudolento delle società (le quali, anzi, avevano cercato di individuare possibili soluzioni per eliminare o almeno ridurre l’impatto negativo della crisi conseguita al cambio di gestione del punto di ristoro) o la sussistenza di vizi formali (quali la mancata erogazione del trattamento di c.i.g.) del suddetto accordo.
Avverso la detta sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Le società RAGIONE_SOCIALE (successore a titolo particolare della
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE resistono con distinti controricorsi. Tutte le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod.civ., della direttiva comunitaria 2001/23/Ce anche con riferimento alla violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale ripetutamente affermato dalle sentenze della Corte di giustizia UE, nonché violazione dell’art. 2697 c.c., per avere, la Corte distrettuale, trascurato il diritto riconosciuto dall’art. 2112 c.c. e dalla direttiva europea – alla conservazione del posto di lavoro alle medesime caratteristiche, dovendosi intendere per trasferimento di azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato; in applicazione di tali principi, nella fattispecie in esame, adottando le norme di comune esperienza di cui all’art. 115 c.p.c., non vi è dubbio che vi sia stato un mutamento nella titolarità di un’azienda che è rimasta identica nella sua essenzialità, come risulta dalla narrativa dei fatti, non contestati dalle due società, non avendo considerato, la sentenza impugnata, tutti quei fattori e quelle circostanze che dimostravano l’identità dell’azienda trasferita: infatti, la clientela è la stessa in quanto formata da passeggeri in partenza presso lo scalo aereo e, dunque, la qualità
dell’azienda è la stessa, con medesima identità. La sentenza non  contiene  alcun  riferimento  alla  Direttiva  comunitaria, vincolante per ii giudici nazionali, dalla quale deriva il diritto al passaggio diretto in caso di subentro di un nuovo imprenditore.
Con il secondo motivo, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia omessa motivazione in ordine ad una domanda con conseguente violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. avendo trascurato, la Corte territoriale, che ‘la contrattazi one collettiva costituisce una trattativa privata, secondaria, con riferimento alla fattispecie sottoposta all’esame del giudice di merito che non può essere applicata ove la stessa risulti in contrasto con la normativa primaria costituita dalla Direttiva comunitaria’ e ‘l’applicazione della normativa comunitaria era stata invocata dal COGNOME fin dal ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto avanti al Tribunale di Civitavecchia con il quale aveva fatto presente che il passaggio diretto dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE era tutelato dalla normativa comunitaria’.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ., violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. sulla corrispondenza tra chiesto e pronunciato nonché mancato esame di un ‘aspetto essenziale’ della controversia avendo, la Corte territoriale, trascurato che il passaggio diretto dal vecchio al nuovo concessionario dello stesso punto di ristoro era un fatto pacifico e non controverso, e che la RAGIONE_SOCIALE dopo aver inizialmente dichiarato la propria intenzione di dar vita alla procedura per il passaggio diretto dei lavoratori ha avviato la procedura per il licenziamento collettivo, in violazione dei diritti riconosciuti dalla Direttiva comunitaria ai lavoratori.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., inapplicabilità della contrattazione collettiva e assoggettamento alla disciplina legale (art. 2112 cod.civ.) e comunitaria (2001/23/CE) posto che la mancata accettazione del contraddittorio, da parte delle società, sulla disciplina dettata dal CCNL RAGIONE_SOCIALE è irrilevante, discendendo, il diritto al passaggio diretto alle dipendenze della nuova concessionaria, dalla normativa nazionale e comunitaria.
Con il quinto motivo il ricorrente deduce, ex art. 360, primo comma,  n.  3,  cod.proc.civ.,  assorbimento  della  questione relativa alla pretesa liceità del licenziamento collettivo sostenuta dalla sentenza impugnata dal  momento  che, dall’accoglimento  del  prim o  e  secondo  motivo  discende  la illegittimità del licenziamento intimato dalla RAGIONE_SOCIALE (il motivo si compendia, essenzialmente, nella sola rubrica).
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente vista la stretta connessione, sono inammissibili.
Pur dovendo -preliminarmente – rilevare che la sentenza impugnata ha verificato la legittimità del licenziamento collettivo della RAGIONE_SOCIALE e, corrispondentemente, la correttezza del subentro della società RAGIONE_SOCIALE a seguito di specifiche domande dei lavoratori che richiamavano, oltre che la disciplina di fonte legale (legge n. 223 del 1991, art. 2112 c.c.), anche quella di fonte negoziale (sia il CCNL Turismo sia il CCNL RAGIONE_SOCIALE), va sottolineato che tutte le censure del ricorso si traducono in crit iche ed obiezioni avverso l’ampia valutazione delle risultanze istruttorie quale operata dal giudice del merito nell’esercizio del potere di libero e prudente apprezzamento delle prove a lui demandato dall’art. 116 cod. proc. civ. e si risolvono altresì nella prospettazione del
risultato interpretativo degli elementi  probatori acquisiti, ritenuto  dallo  stesso  ricorrente  corretto  ed  aderente  alle suddette risultanze, con involgimento, così, di un sindacato nel merito della causa non consentito in sede di ‘legittimità (cfr. ex plurimis , Cass. n.22283 del 2014, Cass. n. 21424 del 2015).
Invero, le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità, in quanto il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013;Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che ‘il COGNOME non ha né specificamente allegato con l’atto introduttivo né comprovato i presupposti per l’applicabilità dell’art. 2112 cod.civ.’: il ricorrente, con tutti i motivi di ricorso, da una parte (in violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione) non trascrive i punti salienti del ricorso introduttivo del giudizio ove si sarebbero indicati i presupposti fattuali che consentivano l’applicazione del regime previsto
dall’art. 2112 (a suo dire trascurati dal giudice di merito) e, dall’altra, non coglie la chiara ratio decidendi della sentenza impugnata , trascurando ripetutamente che il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda (o parte di essa) soggiace alla ricorrenza di specifici requisiti dettati dalla previsione legislativa, previsione che è la risultanza delle modifi che apportate dapprima dall’art. 47 della legge n. 428 del 1990 e poi dal d.lgs. n. 18 del 2001 proprio per recepire le direttive 1977/187/CE e poi 2001/23/CE. Il ricorrente rammenta la giurisprudenza comunitaria che sanziona gli Stati membri che non adeguano il diritto nazionale alla normativa comunitaria senza spendere alcuno, anche embrionale, argomento circa le specifiche previsioni dettate dalla direttiva del 2001 e circa le ritenute presunte lacune o divergenze tra la disciplina nazionale (dettata dall’art. 2112 cod.civ.) e la direttiva comunitaria adottata in materia di trasferimento di imprese o parti di essa.
9. In applicazione della disciplina dettata a livello nazionale (art. 2112 c.c.) e comunitario (direttiva CE 2001/23/CE), nonché della consolidata interpretazione fornita sia da questa Corte sia dalla Corte di giustizia UE (cfr. Cass. n. 11247 del 2016; Cass. n. 19034 del 2017; Cass. n. 28593 del 2018; con riguardo alla giurisprudenza comunitaria, cfr. sentenze Corte di Giustizia, 20 gennaio 2011, C-463/09; 6 marzo 2014, C458/12; 13 giugno 2019, C-664-17), il diritto dei lavoratori al passaggio diretto all e dipendenze dell’imprenditore subentrante in una concessione sorge ove una entità economica organizzata in maniera stabile conservi, in occasione del trasferimento, la sua identità al fine di perseguire uno specifico obiettivo e si accerti l’esistenza di una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese.
10. Da ultimo, va richiamata Cass. n. 8922 del 2019 che ha precisato come, in caso di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi, non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall’appaltatore cessato al trasferimento automatico all’impresa subentrante, ma occorre accertare in concreto che vi sia stato un trasferimento di azienda, ai sensi dell’art. 2112 cod.civ., mediante il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all’attività di impresa, o almeno del ‘know how’ o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti, altrimenti costandovi il disposto dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza euro unitaria che consente, ma non impone, di estendere l’ambito di protezione dei lavoratori di cui alla direttiva n. 2001/23/CE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda (cfr. altresì Cass. n. 7364 del 2021).
11. I motivi di ricorso, pertanto, non lamentano che la sentenza impugnata abbia errato nella ricognizione degli elementi legali identificativi del trasferimento del ramo d’azienda (errando nell’ascrizione di significato alla disposizione normativa astratta) né denunciano un errore di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., sub specie di errore di sussunzione commesso dai giudici del merito (v. in proposito Cass. SS.UU. n. 5 del 2001 e, più di recente, Cass. n. 13747 del 2018) né denunciano l ‘omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ. nel testo successivo alla modifica di cui all’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134) che presuppone un “fatto storico” (inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale, ossia
costitutivo,  impeditivo,  estintivo  o  modificativo  del  diritto azionato, o secondario, cioè dedotto in funzione probatoria) trascurato  dalla  Corte  territoriale  che  se  valutato  avrebbe determinato un diverso esito della lite,  bensì, detti motivi, involgono  apprezzamenti  di  merito  in  ordine  alla  (del  tutto genericamente dedotta) sussistenza di una identità del ramo di azienda nella fattispecie concreta, valutazioni in quanto tali sottratte al sindacato di questa Corte.
10. Occorre ribadire l’oramai costante insegnamento di questa Corte secondo il quale la verifica dei presupposti fattuali che consentano l’applicazione o meno del regime previsto dall’art. 2112 c.c. implica una valutazione di merito che sfugge al sindacato di legittimità (v. Cass. n. 20422 del 2012; Cass. n. 5117 del 2012; Cass. n. 1821 del 2013; Cass. n. 2151 del 2013; Cass. n. 24262 del 2013; Cass. n. 10925 del 2014; Cass. n. 27238 del 2014; Cass. n. 22688 del 2014; Cass. n. 25382 del 2017; di recente, ancora, Cass. n. 2315 del 2020 e Cass. n. 6649 del 2020). Ciò inevitabilmente, considerato che l’accertamento in concreto dell’insieme degli elementi fattuali idonei o meno a configurare la fattispecie legale tipica del trasferimento di ramo d’azienda, delineata in astratto dal quinto comma dell’art. 2112 c.c., implica prima una individuazione ed una selezione di circostanze concrete e, poi, il loro prudente apprezzamento, traducendosi in attività di competenza del giudice di merito, cui non può sostituirsi il giudice di legittimità. In particolare non può negarsi che la valutazione, nella concretezza della vicenda storica, dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto e della sua preesistenza è di certo una quaestío facti che opera, come tale, sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice del merito, per l’accertamento della ricorrenza, nella fattispecie
dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo dell’art. 2112 c.c..
Infine, la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass., Sez. U, n. 11892/2016, Cass. Sez.U. n. 20867 del 2020);
La violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018, Cass. n. 18092 del 2020), mentre nella specie i ricorrenti lamentano la errata valutazione di mezzi istruttori.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese  di  lite  seguono  il  criterio  della  soccombenza  dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
14. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), se dovuto.
P.Q.M.
La  Corte  dichiara  inammissibile  il  ricorso  e  condanna  il ricorrente  al  pagamento  delle  spese  di  lite  del  presente giudizio di legittimità che liquida, a favore di ciascuna società controricorrente, in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per  compensi  professionali,  oltre  spese  generali  al  15%  ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti  processuali  per  il  versamento,  da  parte  del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,  pari  a  quello  previsto  per  il  ricorso,  a  norma  del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nell’Adunanza camerale del 9 gennaio 2024.