Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31853 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31853 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10665/2023 R.G. proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende
– ricorrenti –
contro
della Fonte di Fauno n. 25
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4377/2022 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 21.11.2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I ricorrenti -dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE Roma RAGIONE_SOCIALE, in servizio presso l’ospedale San INDIRIZZO, che fino al 31.12.2014 era costituito in autonoma azienda ospedaliera -chiesero e ottennero dal Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, decreto ingiuntivo per il pagamento delle spettanze maturate negli anni 2014, 2015 e 2016 quali componenti dell’ equipe incaricata di eseguire le attività trasfusionali in favore di altre aziende del SSN e delle aziende sanitarie private convenzionate con l’azienda pubblica di appartenenza per la fornitura di tale servizio.
L’opposizione al decreto ingiuntivo proposta dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE venne respinta dal Tribunale, con sentenza che, prontamente impugnata, fu riformata dalla Corte d’Appello di Roma, che accolse parzialmente l’opposizione all’ingiunzione , revocando il decreto ingiuntivo e condannando l’Azienda al pagamento dei minori importi a credito accertati.
Contro la sentenza della Corte territoriale i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi.
L’Azienda sanitaria si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti principale denunciano, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. «violazione e/o falsa applicazione dell ‘art. 2103 e 2112 c.c. e dell’art. 15 -quinquies del d.lgs. n. 502/1992».
I ricorrenti rivendicano il diritto a mantenere, anche quali dipendenti del l’RAGIONE_SOCIALE Roma 1, il medesimo trattamento economico a suo tempo goduto presso la formalmente soppressa Azienda Ospedaliera San Filippo Neri con riguardo alla loro partecipazione alle attività trasfusionali eseguite in favore delle aziende private. In particolare, rivendicano il diritto alla quota di loro spettanza sul 20% esposto nelle fatture emesse nei confronti delle aziende private che l’Azienda Ospedaliera ripartiva tra tutti i componenti dell’ equipe impegnata in quel servizio.
Il motivo censura la sentenza impugnata laddove questa ha ritenuto che, con l’incorporazione dell’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri nell’A .S.L. Roma E, prima (dal 1°.1.2015), e nell’A.S.L. Roma 1, poi (dal 1°.1.2016), in forza dell’art. 2112 c.c. sarebbe divenuto applicabile anche ai rapporti di lavoro con gli ex dipendenti dell’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri il diverso regime applicato ai dipendenti delle aziende sanitarie incorporanti.
Il secondo motivo del ricorso principale denuncia, sempre in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2103 e 2112 c.c., in relazione a ll’art. 15 -quinquies del d.lgs. n. 502/1992, avuto precipuo riguardo al decreto del Ministro della Sanità del 1°.9.1995, alla legge regionale del Lazio n. 48/1995 ed ai provvedimenti regionali D.G.R. 376/2001 e 342/2008 con riferimento all’art. 34 CCNL Comparto Sanità 7.4.1999 in tema di lavoro straordinario».
I ricorrenti desumono dalle disposizioni che si assumono violate e da altre indica te nell’illustrazione del ricorso la fonte
del proprio diritto al pagamento dei compensi aggiuntivi, così come azionati con il ricorso per decreto ingiuntivo, rilevando che non si tratta di compenso per lavoro straordinario, né di attività libero professionale svolta intra moenia .
Il terzo motivo denuncia: «vizio di cui a ll’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame di un fatto storico consistente nel fatto che vi era una contrattazione collettiva di livello aziendale espletata presso l’Azienda incorporante prima della fusione per incorporazione, culminata con accordo sindacale ratificato il 2.12.2009, fatto che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti ed era decisiva per il giudizio».
Il motivo, sul ribadito presupposto che un regime del trattamento economico deteriore presso le aziende incorporanti potrebbe essere giustificato solo dalle previsioni di un diverso contratto collettivo, contesta alla Corte territoriale di non avere esaminato il fatto che una siffatta previsione non è contemplata nel contratto collettivo aziendale stipulato nel 2009 presso l’RAGIONE_SOCIALE
I primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della stretta connessione tra di loro, sono infondati.
4.1. La Corte d’Appello di Roma, per decidere la causa tra i ricorrenti e l’RAGIONE_SOCIALE Roma 1, ha innanzitutto preso atto che le delibere adottate da tale Azienda, a differenza di quelle a suo tempo adottate dall’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri , non prevedevano la distribuzione automatica del 20% aggiuntivo fatturato sul l’attività trasfusion ale resa alle aziende private tra tutti i dipendenti coinvolti, bensì la remunerazione dei dipendenti per tale attività solo se resa al di fuori del normale orario di servizio, come lavoro straordinario o prestazioni libero
professionali intra moenia . La Corte ha quindi ritenuto -facendo riferimento all’art. 2112 c.c. che il nuovo datore di lavoro non fosse tenuto ad applicare ai lavoratori trasferiti per effetto dell’incorporazione dell’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri il medesimo trattamento economico già da loro goduto presso il precedente datore di lavoro, potendo estendere anche nei loro confronti il regime di trattamento economico applicato ai propri dipendenti.
4.3. La critica nei confronti di tale impostazione si incentra sul rilievo che il nuovo datore di lavoro non può disconoscere al lavoratore trasferito il trattamento economico cui egli aveva diritto presso il precedente datore di lavoro. Più precisamente, si afferma che il diverso trattamento economico -anche deteriore -potrebbe essere esteso ai lavoratori trasferiti, ai sensi dell’art. 2112 c.c., ma solo in esecuzione di un diverso contratto collettivo, non certo di deliberazioni unilaterali del nuovo datore di lavoro. A ciò si aggiunge che presso l’Azienda Sanitaria Locale Roma E, nella quale fu incorporata l’Azie nda Ospedaliera San Filippo Neri e che poi confluì a sua volta nell’A.S.L. Roma 1, non fu mai stipulato un contratto collettivo aziendale che prevedesse la ripartizione tra i lavoratori del 20% aggiuntivo fatturato alle aziende private soltanto a titolo di remunerazione di lavoro straordinario o di attività libero professionale intra moenia .
4.4. Il ragionamento dei ricorrenti è astrattamente corretto, ma in concreto difetta di un elemento necessario per attribuirgli fondamento.
La Corte d’Appello h a basato la sua decisione su un confronto tra le delibere adottate dalle diverse aziende -e, quindi, svolto sul piano omogeneo dei diversi regolamenti interni -stabilendo che l’A.SRAGIONE_SOCIALE Roma 1 non poteva essere
vincolata al rispetto delle delibere a suo tempo adottate dalla cessata Azienda Ospedaliera San Filippo Neri.
Giustamente i ricorrenti evidenziano la necessità di spostare il confronto sul più appropriato livello della «normativa primaria e secondaria» e dei contratti collettivi di lavoro, uniche fonti abilitate a definire il trattamento economico nel pubblico impiego (artt. 24 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001). Ma questo deve valere anche e innanzitutto per il trattamento economico goduto presso l’A zienda Ospedaliera San Filippo Neri, trattandosi di individuare una fonte legale o contrattuale del credito azionato dalla ricorrente con il ricorso per decreto ingiuntivo.
4.5. Ebbene, i ricorrenti non indicano la fonte del proprio vantato diritto in un contratto collettivo nazionale di lavoro. L ‘ unica disposizione di CCNL menzionata nella rubrica del secondo motivo è una norma in tema di lavoro straordinario (art. 34 CCNL Comparto Sanità 7.4.1999), citata a contrario , ovverosia soltanto per sostenere che non si applica nel caso in esame.
Nemmeno viene indicato un contratto collettivo aziendale di lavoro stipulato dall’A zienda Ospedaliera San Filippo Neri che prevedesse la ripartizione automatica del 20% fatturato alle aziende private tra tutti i lavoratori impegnati nell’attività di trasfusione. Ciò fermo restando che un contratto collettivo aziendale potrebbe disporre retribuzioni aggiuntive soltanto nei limiti in cui ciò sia previsto e consentito dalla contrattazione collettiva nazionale (Cass. nn. 24807/2023; 21316/2022).
Per quanto riguarda le fonti legislative, a parte l’ art. 15 -quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, menzionato anch’esso per escluderne la pertinenza nel caso di specie (in quanto disciplina l’attività libero professionale intra moenia dei dirigenti medici), i ricorrenti citano la legge n. 107 del 1990 (peraltro pressoché
integralmente abrogata dalla legge n. 219 del 2005) e la legge della Regione Lazio n. 48 del 1995. Queste disposizioni contengono però norme volte a disciplinare l’organizzazione del servizio trasfusionale, non il rapporto di lavoro con i dipendenti delle aziende sanitarie che svolgono quel servizio.
L’art. 2103 c.c. è indicato in rubrica senza che se ne spieghi l’utilità a sostegno della domanda , in una causa che non riguarda l’esercizio di mansioni inappropriate al livello di inquadramento dei lavoratori. Quanto all’art. 2112 c.c., esso delinea i presupposti per il mantenimento dei diritti già acquisiti presso il precedente datore di lavoro, sicché non può costituire esso stesso la fonte di quei diritti.
Viene poi invocato il decreto del Ministero della Sanità 1°.9.1995 (contenente la «disciplina dei rapporti tra le strutture pubbliche provviste di servizi trasfusionali e quelle pubbliche e private, accreditate e non accreditate, dotate di frigoemoteche»), al quale è allegato uno «Schema-tipo di convenzione per il servizio di medicina trasfusionale», il cui art. 12, rubricato «rapporti economici», dispone: «L ‘ azienda sanitaria fatturerà mensilmente alla casa di cura: … f ) contributo alle spese di funzionamento generale della struttura trasfusionale produttiva della prestazione e della consulenza tecnico-scientifica fornita, pari al 20% del fatturato complessivo».
È dunque questa la disposizione -di rango sublegislativo e non contrattuale -che prevede la fatturazione di un contributo, pari al 20% dell’importo complessivo delle altre voci esposte in fattura, destinato però a remunerare, non direttamente i lavoratori coinvolti nel servizio, bensì le «spese di funzionamento generale della struttura trasfusionale
produttiva della prestazione e della consulenza tecnicoscientifica fornita».
Tale destinazione del 20% a copertura delle spese di «funzionamento generale della struttura» richiederebbe una successiva contrattazione collettiva che stabilisse la misura e le modalità dell ‘ attribuzione di quanto incassato ai dipendenti interessati, i quali di quella struttura sono parte essenziale, ma non esclusiva.
In mancanza di tale previsione contrattuale, i ricorrenti indicano la fonte del loro diritto soggettivo nelle delibere della Giunta regionale del Lazio n. 376 del 2001 e n. 345 del 2008. L’art. 15 di quest’ultima (che ha aggiornato la precedente) stabilisce, in effetti, tra l’altro, che «Per le attività trasfusionali svolte nei confronti delle case di cura private ai sensi dell’art 1, comma 1, del Decreto del Ministro della Sanità 10.9.1995 compete una quota del 20% del fatturato complessivo derivante dalla convenzione in favore de l personale dell’ equipe del centro stesso». In altri termini, il 20% del fatturato -che secondo il Decreto ministeriale citato ristora le spese di «funzionamento generale della struttura» e, quindi, appartiene all’Azienda -viene attribuito invece alla « equipe del centro», cioè direttamente ai lavoratori.
Sennonché, tale delibera regionale non può rappresentare la fonte normativa del credito vantato dai ricorrenti, per una duplice ragione.
Innanzitutto, come già rilevato sopra, il trattamento economico dei pubblici impiegati deve essere quello previsto dai contratti collettivi e non può essere incrementato in forza di un atto amministrativo (artt. 24 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001).
In secondo luogo, la delibera regionale n. 345 del 2008 (al pari di quella precedente del 2001) non è volta a disciplinare
i compensi incentivanti, cioè il tipo di retribuzione aggiuntiva vantata dai ricorrenti, bensì contiene le «linee guida per l’esercizio della libera professione intramuraria della Regione Lazio», ovverosia la disciplina proprio di quel tipo di attività che, secondo i ricorrenti, non dovrebbe avere niente a che fare con la remunerazione da loro pretesa.
4.6. In definitiva è evidente la contraddizione in cui cade la tesi sostenuta dai ricorrenti: in mancanza di una norma della contrattazione collettiva che loro riconosca il diritto fatto valere a titolo di compenso incentivante, invocano una disposizione che, oltre a non avere rango adeguato nel sistema delle fonti del diritto del pubblico impiego privatizzato, è diretta a disciplinare l’attività libero professionale intramuraria dei dirigenti e non la retribuzione del lavoro dei dipendenti a vario titolo coinvolti nella fornitura all’esterno del servizio emostrasfusionale nell’adempimento del normale debito orario lavorativo.
5. Il quarto motivo di ricorso riguarda esclusivamente la posizione particolare dei ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed è così rubricato: « vizio di cui all’art 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 2909 c.c. e di estensione del giudicato in tema di rapporti di durata».
I due predetti ricorrenti rilevano di avere fondato la loro pretesa creditoria anche sui giudicati rispettivamente ottenuti con riguardo al medesimo diritto maturato negli anni dal 2010 al 2013. Ritengo no che la Corte d’Appello abbia errato non rilevando l’efficacia di tali giudicati anche per le annualità successive e, quindi, non solo per il 2014 (con riguardo al quale la Corte d’Appello ha comunque riconosciuto il diritto in capo a tutti i ricorrenti), ma anche per il 2015 e il 2016 (ove il diritto è
stato negato ai sensi di quanto osservato -ed integrato -sopra, decidendo su ll’infondatezza dei precedenti motivi).
5.1. Questo motivo è fondato.
La Corte territoriale ha dato atto dell’esistenza del giudicato esterno in senso favorevole ai ricorrenti per gli anni dal 2010 al 2013 (sentenze n. 3438/2016 della Corte d’Appello di Roma e n. 618/2017 del Tribunale di Roma: docc. nn. 10 e 11 del fascicolo di primo grado, prodotto dai ricorrenti in ossequio all’art. 369 c.p.c.) , ma non ha preso in considerazione l’ipotesi che esso possa estendere la sua efficacia, non solo all’anno 2014 (per il quale la Corte romana ha ritenuto per altra via fondata la domanda), ma anche agli anni 2015 e 2016.
Ebbene, deve essere qui ribadito il principio per cui « l’efficacia del giudicato, riguardante anche i rapporti di durata, non è … impedita dall’autonomia dei periodi … in riferimento agli elementi costitutivi della fattispecie originante l’obbligazione relativa ad un determinato periodo che assumano carattere tendenzialmente permanente » (Cass. n. 17223/2020, che cita a sua volta i precedenti conformi, in ambito tributario, Cass. nn. 13498/2015 e 37/2019; conforme altresì, successivamente, Cass. nn. 10430/2023; 1465/2021 e, con specifico riferimento al rapporto di pubblico impiego, Cass. n. 18901/2019).
In base a tale principio, il lavoratore che abbia ottenuto un giudicato favorevole sul diritto di percepire una certa retribuzione aggiuntiva in alcuni periodi di un rapporto poi proseguito è onerato dell ‘ allegazione e della prova del perpetuarsi dei medesimi fatti costitutivi anche in periodi successivi, ma una volta accertati tali fatti costitutivi, purché anche il regime giuridico sia rimasto invariato, il precedente giudicato può avere effetto quanto alla qualificazione giuridica dell ‘ accaduto.
Nel caso di specie, il ripetersi dei medesimi fatti (ovverosia la partecipazione dei ricorrenti alle attività trasfusionali rese in favore di strutture private) ed il trasferimento dell’attività e dell’organizzazione sono in sé dati acclarati e pacifici (anche con riferimento alla quantità delle prestazioni rese e alla misura degli effetti retributivi), mentre per quanto riguarda la disciplina giuridica del rapporto non può essere considerata un fatto rilevante la solo formale soppressione dell’Azienda Ospe daliera COGNOME, confluita nell’A.SRAGIONE_SOCIALE Roma E e poi nell’A .S.L. Roma 1, stante il fatto che il giudicato è destinato a fare stato ex art. 2909 c.c. anche nei confronti degli «aventi causa» e mancando una diversa contrattazione collettiva volta a disciplinare specificamente questo aspetto del rapporto di lavoro presso le Aziende incorporanti.
Tale assenza di normativa contrattuale specifica è stata rilevata dalla stessa Corte d’Appello, che infatti ha tratto la disciplina soltanto dalle diverse delibere aziendali. Né può essere valorizzato quale fonte di un mutamento di regime giuridico un contratto collettivo aziendale della A.S.L. Roma E (quello ratificato il 2.12.2009), di cui la stessa ricorrente conferma che «non ha in alcun modo modificato la disciplina prevista dalla delibera n. 1382/2005», ovverosia non si è occupata di tale specifica questione.
Il quinto e ultimo motivo denuncia, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2103 e degli art. 2501 e ss. in tema di fusione. Violazione e/o falsa applicazione della legge regionale Lazio n. 17 del 30.12.2014 e della legge regionale Lazio n. 18 del 16.6.1994, art. 6 abrogato in parte qua dalla legge regionale Lazio n. 17 del 31.12.2015».
Il motivo è volto ad affermare , sulla base dell’esegesi delle norme legislative regionali, la sopravvivenza dell’A zienda Ospedaliera San Filippo Neri anche dopo il 31.12.2014 e, in particolare, fino al 31.12.2015, al fine di prolungare nel tempo anche la disciplina dettata, per questo aspetto dei rapporti di lavoro, dalla delibera n. 77/2004 adottata dall’Azienda ospedaliera.
6.1. Per quanto già argomentato nel rigettare i primi tre motivi, anche questo motivo è infondato, dal momento che il regime applicato presso l’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri non trovava fondamento in una necessaria fonte contrattuale collettiva, sicché -fatti salvi gli effetti del giudicato per coloro che l’hanno ottenuto prolungare nel tempo l’esistenza dell’Azienda e l’efficacia delle sue delibere non può modificare i termini della questione.
In definitiva, rigettati i primi tre motivi e il quinto, deve essere accolto il quarto motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, ovverosia soltanto per quanto statuito nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME Inoltre, con riguardo alla posizione di tali ricorrenti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito (art. 384, comma 2, c.p.c.) con il definitivo rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo. Al contrario, nei confronti degli altri ricorrenti il dispositivo di accoglimento dell’opposizione e revoca ( in partibus quibus ) del decreto ingiuntivo risulta conforme al diritto e non deve essere cassato, una volta corretta e integrata la motivazione nei termini sopra esposti (art. 384, comma 4, c.p.c.).
Il diverso esito del processo nei due gradi di merito giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio di
legittimità tra i ricorrenti definitivamente soccombenti e l’RAGIONE_SOCIALE. Nel rapporto, invece, tra quest’ultima e i controricorrenti vittoriosi le spese legali del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Per quanto riguarda i due gradi del giudizio di merito, restano ferme le statuizioni contenute nella sentenza d’appello.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono -a carico solidale dei ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME -i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il quarto motivo di ricorso e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione al decreto ingiuntivo solo in quanto proposta nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME
condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME liquidate in € 2.000 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, € 200 per esborsi e accessori, ferma la decisione sulle spese dei due gradi di merito, così come adottata dalla Corte d’Appello nella sentenza impugnata;
rigetta i restanti motivi di ricorso e, quindi, integralmente il ricorso proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
compensa le spese del giudizio di legittimità nel rapporto tra i suindicati ricorrenti e RAGIONE_SOCIALE;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza, a carico dei ricorrenti
soccombenti, dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della