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Trasferimento d’azienda sanità: diritti dei lavoratori

A seguito di un trasferimento d’azienda in sanità, alcuni dipendenti si sono visti modificare un compenso aggiuntivo. La Cassazione ha stabilito che i diritti economici basati su delibere interne del vecchio datore non si mantengono, a meno che non esista un precedente giudicato favorevole, il cui effetto si estende nel tempo.

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Trasferimento d’azienda sanità: quando i lavoratori conservano i diritti acquisiti?

Un recente caso esaminato dalla Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui diritti dei lavoratori nel contesto di un trasferimento d’azienda in sanità. La questione centrale riguardava la possibilità per i dipendenti di mantenere un trattamento economico aggiuntivo, precedentemente goduto, anche dopo l’incorporazione del loro ospedale in una più grande Azienda Sanitaria Locale (ASL). La pronuncia sottolinea la cruciale distinzione tra diritti derivanti da contratti collettivi e quelli basati su delibere aziendali interne, e il potente ruolo del giudicato nei rapporti di durata.

I Fatti del Caso: Una Riorganizzazione Aziendale e i Compensi Aggiuntivi

Un gruppo di dipendenti di un ospedale, facenti parte di un’équipe per le attività trasfusionali, percepiva da anni una quota del 20% sui ricavi generati dai servizi resi a cliniche private. Questo compenso era stato istituito da delibere interne della loro azienda, all’epoca un’entità autonoma.

Successivamente, l’ospedale è stato soppresso e incorporato in una ASL. Il nuovo datore di lavoro ha cessato di erogare quel compenso, remunerando tali attività solo se svolte fuori dall’orario di servizio, come lavoro straordinario o attività libero-professionale intra moenia. I lavoratori hanno quindi agito in giudizio per ottenere il pagamento delle quote per gli anni 2014, 2015 e 2016, ottenendo in prima battuta un decreto ingiuntivo.

Il Trasferimento d’azienda in sanità e la Decisione della Corte d’Appello

La ASL si è opposta al decreto e la Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ha accolto parzialmente l’opposizione. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che, in seguito al trasferimento d’azienda, il nuovo datore di lavoro non fosse vincolato dalle delibere del precedente ente e potesse applicare il proprio regime di trattamento economico a tutti i dipendenti, inclusi quelli trasferiti. I lavoratori hanno quindi proposto ricorso per cassazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso, giungendo a una decisione articolata che distingue le posizioni dei ricorrenti.

Per la maggior parte dei lavoratori, il ricorso è stato respinto. La Corte ha chiarito un principio fondamentale del pubblico impiego privatizzato: il trattamento economico dei dipendenti deve trovare la sua fonte esclusivamente nella legge o nella contrattazione collettiva (nazionale o aziendale). Le delibere interne di un’azienda, pur potendo disciplinare aspetti organizzativi, non possono creare diritti retributivi stabili. Di conseguenza, con il trasferimento d’azienda in sanità, il nuovo datore non era obbligato a mantenere un compenso basato su una fonte così debole come una delibera del precedente ente. Le regole del nuovo datore di lavoro, che prevedevano una diversa remunerazione, potevano legittimamente essere estese anche ai dipendenti neo-incorporati.

Diverso è stato l’esito per due specifici lavoratori. Questi ultimi avevano già ottenuto, per gli anni precedenti (2010-2013), delle sentenze passate in giudicato che accertavano il loro diritto a percepire la quota del 20%. La Cassazione ha accolto il loro motivo di ricorso, basato sulla violazione del principio del giudicato (art. 2909 c.c.).

La Corte ha ribadito che l’efficacia di un giudicato su un rapporto di durata, come quello di lavoro, si estende anche ai periodi successivi, a condizione che i fatti costitutivi del diritto e il quadro normativo di riferimento rimangano invariati. Poiché non era intervenuta una nuova contrattazione collettiva che modificasse quel diritto specifico, e i fatti (la prestazione lavorativa) erano rimasti gli stessi, il diritto accertato dalla precedente sentenza doveva considerarsi valido anche per gli anni 2014, 2015 e 2016. La sola fusione aziendale non era sufficiente a interrompere l’efficacia del giudicato.

Conclusioni: L’Importanza della Fonte del Diritto e del Giudicato

Questa ordinanza offre due lezioni fondamentali.

La prima è che, nel pubblico impiego, la fonte di un diritto economico è determinante. I lavoratori non possono fare affidamento su prassi o delibere interne per consolidare un diritto retributivo; solo la contrattazione collettiva può fornire una base solida.

La seconda è la straordinaria forza del giudicato. Una volta che un diritto è stato accertato con sentenza definitiva, esso si proietta nel futuro e resiste anche a cambiamenti organizzativi come un trasferimento d’azienda in sanità, a meno che non intervengano modifiche sostanziali nel quadro normativo o contrattuale. Per i due lavoratori che avevano agito in passato, la lungimiranza di aver ottenuto una sentenza definitiva si è rivelata decisiva.

In caso di trasferimento d’azienda nel settore pubblico, i diritti economici basati su delibere interne del vecchio datore di lavoro vengono sempre mantenuti?
No. Secondo la Corte, nel pubblico impiego il trattamento economico deve fondarsi sulla legge o sulla contrattazione collettiva. Le delibere interne del precedente datore di lavoro non sono vincolanti per il nuovo datore, che può applicare il proprio regime economico ai dipendenti trasferiti.

Che valore ha una precedente sentenza favorevole (giudicato) in un rapporto di lavoro che continua nel tempo?
Ha un valore fondamentale. Se una sentenza passata in giudicato ha accertato un diritto del lavoratore (come un compenso aggiuntivo), l’efficacia di tale decisione si estende anche ai periodi futuri del rapporto di lavoro, a condizione che i fatti e il quadro giuridico-contrattuale non siano sostanzialmente cambiati.

Un atto amministrativo di una Regione può creare un diritto alla retribuzione per i dipendenti pubblici?
No. La Corte ha chiarito che il trattamento economico dei pubblici impiegati deve essere quello previsto dai contratti collettivi e non può essere incrementato in forza di un atto amministrativo, come una delibera di una giunta regionale. Tali atti possono disciplinare aspetti organizzativi, ma non i diritti retributivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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