Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17379 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17379 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16560/2020 r.g., proposto da
COGNOME NOME , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce n. 1287/2019 pubblicata in data 11/12/2019, n.r.g. 649/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 15/04/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE, addetto ad un pubblico appalto relativo al servizio di nettezza urbana commissionato dal Comune di Gallipoli. Nei confronti della propria datrice di lavoro aveva ottenuto l’accertamento giudiziale (con sentenza n. 10759/2009 del
OGGETTO:
appalto di servizi -subentro di nuova impresa – trasferimento d’azienda art. 29, co. 3, d.lgs. n. 276/2003 nel testo anteriore alla novella del 2016 -accertamento in concreto
Tribunale di Lecce) del suo diritto alla retrodatazione della propria anzianità lavorativa al 13/06/2003.
Nell’appalto era poi subentrata RAGIONE_SOCIALE, che lo aveva assunto, ma aveva continuato a indicare in busta paga la data del 15/01/2013 come decorrenza della sua anzianità lavorativa.
Nei confronti di quest’ultima il COGNOME aveva quindi promosso esecuzione forzata di obblighi di fare (art. 612 c.p.c.) per ottenere la predetta retrodatazione sulla base di quel medesimo titolo esecutivo.
RAGIONE_SOCIALE aveva proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., sostenendo di essere priva di legittimazione passiva per essersi il titolo giudiziale esecutivo formato nei confronti di altro soggetto giuridico.
2.Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale accoglieva l’opposizione e dichiarava il difetto di legittimazione passiva di RAGIONE_SOCIALE, ritenendo insussistente un trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c., poiché era rimasto indimostrato il passaggio, oltre che dei lavoratori dell’impresa uscente, anche di beni strumentali di non trascurabile entità, alla luce del principio di diritto affermato da Cass. n. 24972/2016.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal COGNOME.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
i motivi di appello sono poco intellegibili e comunque l’appellante non si confronta con la sentenza di primo grado;
l’appellante sostiene che l’art. 30 della legge n. 122/2016, che ha modificato l’art. 29, co. 3, d.lgs. n. 276/2003, lo dispensi dall’onere della prova dei presupposti di fatto necessari per ravvisare un trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c., ma non tiene conto che la legge del 2016 è successiva ai fatti di causa, in quanto è entrata in vigore il 27/03/2016;
l’appellante sostiene la retroattività della legge n. 122/2016, che a suo dire avrebbe natura interpretativa, ma non argomenta in alcun modo il suo assunto;
va condivisa la conclusione del Tribunale circa la tardività della deduzione secondo cui sarebbero stati trasferiti anche ‘mezzi ed
attrezzature’, nonché delle richieste istruttorie avanzate soltanto nelle note autorizzate, volte peraltro solo a sollecitare i poteri istruttori ufficiosi ex art. 421 c.p.c. di acquisizione documentale;
con riguardo agli accordi fra RAGIONE_SOCIALE ed il Comune di Gallipoli, nonché all’art. 6 CCNL di settore, il Tribunale ha motivato nel senso per cui tali atti e clausole giammai potrebbero portare all’applicazione dell’art. 2112 c.c., ma semmai fondare soltanto un diritto di natura risarcitoria in capo al lavoratore.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e poi ha depositato memoria.
6.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, relativo all’intervenuto suo passaggio diretto alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE, senza soluzione di continuità.
Il motivo è inammissibile perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, penult. co., c.p.c.). Peraltro, il ricorrente non ha indicato, come invece era suo onere, le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, né allegato e dimostrato che esse siano -in ipotesi -tra loro diverse (Cass. n. 5528/2018; Cass. n. n. 26774/2016; Cass. n. 19001/2016).
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, relativo all’inapplicabilità dell’art. 29, co. 3, d.lgs. n. 276/2003, in quanto destinato a regolare soltanto i rapporti fra le imprese e non pure quelli fra impresa subentrante e dipendenti di quella uscente.
Il motivo è inammissibile perché non attiene ad un ‘fatto storico’, bensì all’interpretazione di una norma giuridica.
In termini di ‘omesso esame’ esso è comunque precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 348 ter, ult. co., c.p.c.).
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c.
il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 29 d.lgs. n. 276/2003, come modificato dall’art. 30 L. n. 122/2016, laddove applicabile anche al rapporto fra dipendenti dell’impresa uscente ed impesa subentrante, per avere la Corte territoriale escluso che esso configurasse comunque una ‘ successione di azienda ‘.
Il motivo è inammissibile perché non si confronta in alcun modo con la ratio decidendi , incentrata sul carattere innovativo e non interpretativo dell’intervento legislativo del 2016, come tale inapplicabile ratione temporis .
L’art. 29, co. 3, d.lgs. n. 276/2003 nella sua originaria formulazione così disponeva: ‘ L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda ‘.
In relazione a tale norma va ribadito l’orientamento di questa Corte di legittimità, secondo cui in caso di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi, non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall’appaltatore cessato al trasferimento automatico all’impresa subentrante, ma occorre accertare in concreto che vi sia stato un trasferimento di azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c., mediante il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all’attività di impresa, o almeno del know how o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti, altrimenti ostandovi il disposto dell’art. 29, co. 3, d.lgs. n. 276 del 2003, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza eurounitaria che consente, ma non impone, di estendere l’ambito di protezione dei lavoratori di cui alla Direttiva n. 2001/23/CEE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda (Cass. n. 8922/2019; Cass. n. 24972/2016).
A seguito della novella introdotta dall’art. 30 L. n. 122/2016, la norma è ora così formulata: ‘ L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda ‘.
In tal senso questa Corte ha già precisato che ai sensi dell’art. 29, co. 3, d.lgs. n. 276/2003, come novellato dall’art. 30 della legge n. 122/2016, in caso di subentro di un nuovo appaltatore dotato di una propria struttura organizzativa e operativa, l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto non integra l’ipotesi di trasferimento d’azienda se il complesso di elementi organizzativi e produttivi introdotti dal subentrante è caratterizzato da profili di novità tali da interrompere il nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà precedentemente sussistente tra i fattori della produzione che consentivano l’esecuzione dell’appalto (Cass. n. 27607/2024).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha condiviso il giudizio del Tribunale relativo alla tardività della deduzione -avanzata per la prima volta nelle note autorizzate per l’udienza di discussione del trasferimento anche di ‘mezzi ed attrezzature’ (v. sentenza impugnata, p. 5). E nessuna censura al riguardo è stata sollevata dal ricorrente. E’ quindi conforme a diritto la decisione impugnata, nella quale i Giudici d’appello hanno specificato, con un accertamento in fatto adeguatamente motivato e in quanto tale insindacabile in questa sede (Cass. n. 7364/2021), che nella fattispecie era mancato in concreto il passaggio di beni di non trascurabile entità e che, comunque, i dipendenti, pur essendo numerosi, non costituivano un gruppo dotato di una propria identità funzionale e non aveva una autonoma capacità operativa o un particolare knowhow che consentisse di attribuire al loro insieme la valenza di porzione di azienda suscettibile di cessione. Tanto basta per escludere la fondatezza della pretesa del ricorrente di ricostituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 2112 c.c. (Cass. ord. n. 32805/2023, in fattispecie sovrapponibile a quella in esame).
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 2112 c.c. alla luce della giurisprudenza della Corte G.U.E. e specificamente della sentenza del 25/01/2001, in causa C. 172/99.
Il motivo è infondato.
Come sopra precisato, l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. è esclusa da ll’art. 29, co. 3, d.lgs. n. 276/2003 nella formulazione vigente ratione temporis , e
tale esclusione non è in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza eurounitaria, che consente, ma non impone di estendere l’ambito di protezione dei lavoratori di cui alla direttiva n. 2001/23/CE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda (in termini Cass. ord. n. 32805/2023 in fattispecie analoga).
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 339 e 342 c.p.c., 2112 c.c., 111 c.p.c. e 6 CCNL 30/04/2003 per avere la Corte territoriale condiviso le ragioni del Tribunale.
Il motivo è inammissibile sia per la promiscuità delle censure, alcune relative ad asseriti errores in procedendo , altre ad errores in iudicando ; sia per l’impossibilità di applicare l’art. 111 c.p.c. ad una vicenda asseritamente successoria verificatasi dopo la formazione del giudicato quale titolo esecutivo. L ‘art. 111 c.p.c., infatti, si applica alla successione nel diritto controverso, ossia presuppone che la controversia sia ancora pendente e quindi non si sia ancora formato il giudicato.
Infine il motivo è inammissibile per l’estraneità delle censure rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, nella quale si è in più punti ribadita l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. ai fatti di causa.
Neppure rileva l’art. 6 CCNL invocato, che configura soltanto un diritto ad essere assunto presso il nuovo appaltatore (in presenza di determinati presupposti), ma non consente certo di opporre a quest’ultimo titoli esecutivi che il dipendente abbia conseguito in precedenza nei confronti della sua originaria datrice di lavoro quale impresa poi ‘uscente’.
6.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi
dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in