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Trasferimento d’azienda: lo stipendio è intoccabile?

La Cassazione chiarisce che nel trasferimento d’azienda, l’obbligo di mantenere le condizioni economiche non è eterno. Un ‘superminimo’ nato da un accordo collettivo per compensare un cambio di contratto può essere legittimamente eliminato se l’accordo viene disdettato, senza violare l’art. 2112 c.c.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Trasferimento d’azienda: lo stipendio è intoccabile?

Il trasferimento d’azienda è un evento complesso che solleva molte domande tra i lavoratori, soprattutto riguardo alla stabilità della propria retribuzione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su questo tema, stabilendo che le tutele economiche non sono eterne e possono essere modificate dalle dinamiche della contrattazione collettiva. Analizziamo insieme questo caso per capire i limiti della protezione salariale.

I Fatti del Caso: un “Superminimo” Conteso per Oltre Venti Anni

La vicenda riguarda tre lavoratrici che, a seguito di un trasferimento d’azienda avvenuto nel 1997, si videro applicare un nuovo e meno favorevole contratto collettivo. Per compensare la differenza economica, un accordo di salvaguardia riconobbe loro un “superminimo non assorbibile”, una voce retributiva aggiuntiva destinata a rimanere stabile.
Per oltre vent’anni, questa condizione è stata rispettata. Tuttavia, nel 2018 la società acquirente ha comunicato la disdetta di tutti gli accordi integrativi aziendali, e dal maggio 2020 ha cessato di corrispondere il superminimo. Le lavoratrici si sono quindi rivolte al giudice per ottenere il ripristino del pagamento. Mentre il tribunale di primo grado ha dato loro ragione, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, portando il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e il trasferimento d’azienda

La Suprema Corte ha respinto il ricorso delle lavoratrici, confermando la legittimità della decisione della società di interrompere il pagamento del superminimo. La sentenza si basa su un’attenta analisi dell’articolo 2112 del Codice Civile e della normativa europea in materia di trasferimento d’azienda.

Il Principio di Tutela nell’Art. 2112 c.c.

La Cassazione ha ribadito che la tutela prevista per i lavoratori in caso di trasferimento d’azienda mira a impedire un peggioramento delle condizioni lavorative per il solo fatto del trasferimento. Questo significa che al momento del passaggio, il lavoratore non deve subire un danno economico. Tuttavia, questa protezione non “congela” la retribuzione per sempre.
La Corte, in linea con la giurisprudenza europea, ha chiarito che il nuovo datore di lavoro (cessionario) non è obbligato a mantenere le condizioni del contratto collettivo del cedente oltre la sua naturale scadenza o dopo l’applicazione di un nuovo contratto collettivo. Nel caso di specie, il trattamento di favore era stato mantenuto per oltre vent’anni, ben oltre il momento del trasferimento.

La Natura Collettiva del Superminimo e l’Impatto sul trasferimento d’azienda

Un punto decisivo è stata la natura del superminimo. I giudici hanno stabilito che esso non derivava da un accordo individuale basato su specifiche qualità professionali delle lavoratrici, ma da un accordo collettivo (l’accordo di salvaguardia). Essendo di fonte collettiva, era soggetto alle dinamiche della contrattazione, inclusa la possibilità di essere modificato o eliminato da accordi successivi o a seguito di una legittima disdetta, come avvenuto in questo caso.
Di conseguenza, anche il principio di irriducibilità della retribuzione (art. 2103 c.c.) non è stato ritenuto applicabile, poiché non protegge le voci retributive di origine collettiva dalle successive vicende della contrattazione.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra la tutela garantita al momento del trasferimento e la successiva evoluzione del rapporto di lavoro. La legge vuole evitare che il trasferimento sia un pretesto per peggiorare le condizioni dei dipendenti, ma non intende sottrarli alle normali dinamiche contrattuali che riguardano tutti gli altri dipendenti dell’azienda acquirente. Una volta inseriti nella nuova realtà aziendale, i lavoratori trasferiti seguono le regole e i contratti collettivi applicati in quella realtà. L’accordo che aveva istituito il superminimo era un accordo collettivo e, come tale, poteva essere legittimamente disdettato. La sua cessazione ha quindi prodotto effetti anche sul trattamento economico delle lavoratrici, senza che ciò costituisca una violazione delle norme sul trasferimento d’azienda.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante principio guida: la protezione del lavoratore nel trasferimento d’azienda è forte ma non assoluta. La retribuzione è garantita contro peggioramenti immediati e ingiustificati legati al solo passaggio, ma rimane soggetta all’evoluzione della contrattazione collettiva nel tempo. Un beneficio economico nato da un accordo sindacale può terminare con la fine di quell’accordo, inserendo il lavoratore trasferito nelle stesse dinamiche di tutti i suoi colleghi.

Dopo un trasferimento d’azienda, il nuovo datore di lavoro è obbligato a mantenere per sempre la stessa retribuzione prevista dal contratto del precedente datore?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la tutela mira a evitare un peggioramento al momento del trasferimento e per il solo fatto del trasferimento. Successivamente, la retribuzione può essere influenzata dalle dinamiche della contrattazione collettiva applicata dal nuovo datore, come la scadenza o la disdetta di accordi collettivi.

Un “superminimo non assorbibile” concordato in un accordo collettivo per compensare un cambio di contratto può essere eliminato?
Sì. Se il superminimo ha origine in un accordo collettivo e non in un patto individuale legato a meriti specifici del lavoratore, può essere legittimamente eliminato se l’accordo collettivo che lo prevedeva viene disdettato o cessa di avere efficacia.

Il principio di irriducibilità della retribuzione impedisce qualsiasi modifica peggiorativa dello stipendio?
No. La Corte ha chiarito che il principio di irriducibilità della retribuzione (art. 2103 c.c.) non protegge le componenti salariali di fonte collettiva da successive modifiche (anche peggiorative) introdotte da nuovi contratti collettivi. La sua tutela è primariamente rivolta a voci retributive stabilite nel contratto individuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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