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Trasferimento d’azienda: il superminimo può essere ridotto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33146/2024, ha stabilito che dopo un trasferimento d’azienda è legittima la riduzione di un ‘superminimo’ se il contratto collettivo applicato dal nuovo datore di lavoro non lo prevede. La tutela della retribuzione del lavoratore opera al momento del passaggio, ma non rende il trattamento economico intangibile rispetto a future modifiche della contrattazione collettiva. Il caso riguardava due lavoratori che si erano visti sopprimere un emolumento a seguito della disdetta di vecchi accordi aziendali, molti anni dopo il trasferimento.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Trasferimento d’azienda: il superminimo può essere ridotto?

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 33146/2024, affronta una questione cruciale nel diritto del lavoro: la sorte degli elementi retributivi aggiuntivi, come il superminimo, in caso di trasferimento d’azienda. La pronuncia chiarisce i limiti della tutela della retribuzione del lavoratore, affermando che questa non è intangibile di fronte alle successive dinamiche della contrattazione collettiva applicata dal nuovo datore di lavoro.

I Fatti del Caso: La Soppressione del Superminimo

La vicenda trae origine dal ricorso di due lavoratori contro la società che aveva acquisito il ramo d’azienda in cui erano impiegati. Ai lavoratori non era più stato corrisposto un emolumento denominato “superminimo non assorbibile” a partire da maggio 2020. Tale emolumento era previsto da un accordo collettivo di salvaguardia del 1997 e da un contratto integrativo aziendale del 2010. La società cessionaria aveva interrotto l’erogazione a seguito della disdetta di tali accordi.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’azienda, revocando il decreto ingiuntivo inizialmente ottenuto dai lavoratori. Questi ultimi, ritenendo violato il principio di irriducibilità della retribuzione sancito dall’art. 2112 del Codice Civile in caso di trasferimento d’azienda, hanno proposto ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Corte: il Principio Applicabile al Trasferimento d’Azienda

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, basando la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale consolidato. I giudici hanno chiarito come debba essere interpretata la normativa nazionale ed europea in materia.

La Regola del Contratto Collettivo del Cessionario

Il punto centrale della decisione è che, in caso di trasferimento d’azienda, ai dipendenti ceduti si applica il contratto collettivo in vigore presso l’azienda cessionaria, anche se questo risulta essere meno favorevole. Il contratto collettivo dell’azienda di provenienza cessa di avere efficacia, a meno che presso il nuovo datore di lavoro non esista alcuna disciplina collettiva.

La Corte ha ribadito che la normativa europea (in particolare la direttiva 2001/23) mira a garantire il mantenimento delle condizioni di lavoro fino alla scadenza o alla sostituzione del contratto collettivo originario, ma non impedisce che, una volta avvenuta tale sostituzione, si applichino le nuove e diverse condizioni previste dal contratto del cessionario.

Quando si Applica la Tutela Retributiva nel Trasferimento d’Azienda?

La Cassazione ha specificato che la tutela prevista dall’art. 2112 c.c. e dalle direttive europee è finalizzata a impedire che i lavoratori subiscano un peggioramento delle loro condizioni “per il solo fatto del trasferimento” e al momento esatto in cui questo avviene. Questo significa che il nuovo datore di lavoro non può, unilateralmente e immediatamente, ridurre la retribuzione globale del lavoratore trasferito.

Tuttavia, questa protezione non cristallizza la retribuzione per sempre. Essa non impedisce che, in un momento successivo, il trattamento economico possa essere modificato dalle dinamiche della contrattazione collettiva, come la scadenza o la sostituzione di un accordo aziendale. Nel caso di specie, il superminimo era di fonte collettiva e non individuale; pertanto, la sua esistenza era legata a quella degli accordi che lo prevedevano.

La Reiezione del Rinvio alla Corte di Giustizia Europea

I ricorrenti avevano anche chiesto di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Cassazione ha negato tale richiesta, ritenendola non necessaria. I giudici hanno osservato che la normativa europea in materia è già stata ampiamente interpretata dalla stessa Corte di Giustizia (principio dell'”acte clair”). Inoltre, la questione posta dai lavoratori era ritenuta non rilevante, poiché il peggioramento retributivo non era avvenuto al momento del trasferimento, ma ben vent’anni dopo, a causa di vicende contrattuali successive.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra la tutela immediata legata all’evento del trasferimento e la normale evoluzione del rapporto di lavoro nel tempo. Il principio di irriducibilità della retribuzione non può tradursi in un’immunità permanente da qualsiasi modifica derivante da nuove fonti collettive. Un elemento retributivo come il superminimo, se originato da un contratto collettivo, ne segue le sorti: se il contratto viene meno o viene sostituito, anche l’emolumento può legittimamente cessare di essere erogato. La sua fonte non è il contratto individuale, che lo recepisce come fonte esterna, ma l’accordo collettivo stesso. Pertanto, la sua modifica non costituisce una violazione dell’art. 2103 c.c. o dell’art. 2112 c.c. se avviene nel rispetto delle regole della successione dei contratti collettivi.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso, confermando che la soppressione di un superminimo di origine collettiva, avvenuta a distanza di anni da un trasferimento d’azienda a seguito della cessazione degli accordi che lo prevedevano, è un’operazione legittima. La decisione rafforza il principio secondo cui, pur garantendo la continuità dei rapporti e la stabilità al momento del passaggio, il trasferimento d’azienda non congela le condizioni economiche e normative dei lavoratori, che restano soggette all’evoluzione della contrattazione collettiva applicata dal nuovo datore di lavoro.

Dopo un trasferimento d’azienda, il nuovo datore di lavoro può applicare un contratto collettivo meno favorevole?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che ai dipendenti ceduti si applica il contratto collettivo in vigore presso la società acquirente, anche se questo prevede condizioni economiche meno vantaggiose rispetto a quello precedente.

La tutela della retribuzione prevista dall’art. 2112 c.c. è assoluta e permanente?
No. La tutela mira a impedire un peggioramento retributivo che avvenga per il solo fatto del trasferimento e al momento del trasferimento. Non rende la retribuzione intangibile rispetto a future modifiche legittimamente introdotte dalla contrattazione collettiva, come la scadenza o la sostituzione di un accordo aziendale.

Un ‘superminimo’ previsto da un contratto collettivo diventa parte del contratto individuale del lavoratore?
No, non necessariamente. Se il superminimo ha origine in un contratto collettivo, esso resta una fonte esterna al rapporto di lavoro individuale. Di conseguenza, le sue sorti sono legate a quelle del contratto collettivo che lo ha istituito: se tale contratto cessa di avere efficacia, può cessare anche l’obbligo di corrispondere il superminimo, a meno che non sia stato specificamente pattuito per compensare particolari qualità professionali del singolo lavoratore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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