Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30729 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30729 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22531-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE
– intimato –
Oggetto
R.G.N. 22531/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 24/09/2024
CC
avverso la sentenza n. 942/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/07/2022 R.G.N. 999/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Napoli ha riformato la sentenza del Tribunale di Napoli, che aveva rigettato la domanda del lavoratore NOME COGNOME volta a ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato dalla RAGIONE_SOCIALE e il riconoscimento del trasferimento del rapporto di lavoro alla RAGIONE_SOCIALE a seguito di un affitto di ramo d’azienda.
La Corte ha osservato che, sebbene il Tribunale avesse respinto la domanda di COGNOME in merito alla successione tra le società, la documentazione prodotta in appello dimostrava chiaramente che il trasferimento d’azienda avvenuto l’8 agosto 2012 configurava una successione a titolo particolare della RAGIONE_SOCIALE ex art. 2112 c.c.. La Corte ha inoltre rilevato che la sentenza di illegittimità del licenziamento di COGNOME, emessa dal Tribunale di Napoli con la sentenza n. 15432/2013, spiegava effetto anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in quanto successore a titolo particolare della RAGIONE_SOCIALE nonostante le eccezioni sollevate dalla società appellata.
Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso con due motivi la società datoriale, cui resiste con controricorso, il lavoratore. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo del ricorso per cassazione, la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione o falsa
applicazione degli artt. 300, 303, 304, 305 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.. La società lamenta che la Corte d’Appello di Napoli ha erroneamente ritenuto tempestiva la riassunzione del processo, nonostante fosse intervenuta oltre il termine di tre mesi previsto dall’art. 305 c.p.c. Ed infatti, evidenzia la ricorrente, l’evento interruttivo (il fallimento della RAGIONE_SOCIALE fu ‘esternato’ dal difensore della parte il 13 settembre 2017, mediante deposito nel fascicolo informatico processuale di note da cui si desumeva la dichiarazione di fallimento, mentre la riassunzione avvenne solo il 29 dicembre 2017, quindi oltre il termine stabilito per legge.
Nella prospettazione difensiva, la decorrenza del termine per la riassunzione dovrebbe partire dall’intervento del fallimento, o quanto meno dalla prima dichiarazione del fatto interruttivo e non dalla data dell’interruzione formale del processo dichiarata in udienza.
Con il secondo motivo, la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 111 c.p.c. e 2112 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.. La società sostiene che la Corte d’Appello di Napoli abbia errato nel ritenere che il ramo d’azienda cui era addetto il lavoratore NOME COGNOME fosse stato oggetto di trasferimento a RAGIONE_SOCIALE attraverso un contratto di affitto di ramo d’azienda del 8 agosto 2012. Secondo la ricorrente, la documentazione prodotta in giudizio, tra cui l’allegato n. 5 (verbale sindacale), dimostrava che lo specifico settore ASL NA1, cui era assegnato il COGNOME, era stato dismesso dalla RAGIONE_SOCIALE già nel febbraio 2011, ben prima del contratto di affitto, e non faceva più parte dell’azienda.
Il ricorso è infondato.
3.1. Il primo motivo di ricorso, relativo alla intempestività della riassunzione è infondato.
La RAGIONE_SOCIALE ha sostenuto che la riassunzione del processo sarebbe stata intempestiva, poiché presentata oltre il termine di tre mesi previsto dall’art. 305 c.p.c. Tuttavia, la Corte di appello sul punto ha osservato: “In via preliminare la Corte rileva che il giudizio, interrotto in data 12.10.2017 è stato riassunto con ricorso depositato il 29.12.2017. La riassunzione è intervenuta tempestivamente, nel termine di tre mesi decorrenti dalla dichiarazione di interruzione del giudizio, non essendovi prova della notificazione dell’evento interruttivo in epoca antecedente a quella della declaratoria della Corte di Appello (non potendosi ritenere che il deposito telematico delle note dell’avv. COGNOME in data 13.09.2017 sia equivalente alla notificazione dell’evento interruttivo o ad altro atto che comprovi l’effettiva conoscenza dell’evento’ ).
Tale decisione risulta conforme alla giurisprudenza di questa corte che ha ritenuto come, ai fini della determinazione del dies a quo per la decorrenza del termine per la riassunzione o prosecuzione del processo interrotto, sia sufficiente una conoscenza legale e non effettiva, ma pur sempre realizzata attraverso una forma di comunicazione ( una relata di notifica, un verbale di udienza, una comunicazione formale), dell’evento interruttivo.
Così è stato affermato che, ‘nell’ipotesi di morte o perdita della capacità della parte costituita, la dichiarazione dell’evento interruttivo può essere validamente effettuata dal difensore della parte colpita dall’evento stesso al difensore della controparte, ai sensi del combinato disposto degli att. 170 e 300 c.p.c., ed il termine per la riassunzione decorre da tale data, nella quale si realizza la conoscenza legale (una relata di
notifica, un verbale di udienza, una comunicazione formale) dell’evento interruttivo, e non da quella della formale dichiarazione di interruzione del processo’ (Sez. 6 -3, n. 21375/2017, COGNOME, Rv. 645921-01).
Non rileva, per escludere la decorrenza, viceversa, la conoscenza effettiva (a fronte della dichiarazione in udienza dell’intervenuto fallimento da parte del difensore del fallito, ad esempio, il decorso del termine non è certo impedito dalla circostanza c he la controparte abbia disertato l’udienza), così come viene esclusa, ai fini del decorso del termine per la riassunzione, la sufficienza della «conoscenza aliunde acquisita» (Cass. n. 3085/2010).
E’ stato perciò evidenziato , pure, che l’evento della morte o della perdita della capacità processuale della parte costituita che sia dichiarato in udienza o notificato alle altre parti dal procuratore della stessa parte colpita da uno di detti eventi produce, ai sensi dell’art. 300, comma 2, c.p.c., l’effetto automatico dell’interruzione del processo dal momento di tale dichiarazione o notificazione e il conseguente termine per la riassunzione, in tale ipotesi, come previsto in generale dall’art. 305 c.p.c ., decorre dal momento in cui interviene la dichiarazione del procuratore o la notificazione dell’evento, ad opera dello stesso, nei confronti delle altre parti, senza che abbia alcuna efficacia, a tal fine, il momento nel quale venga adottato e conosciuto il provvedimento giudiziale dichiarativo dell’intervenuta interruzione (avente natura meramente ricognitiva) pronunziato successivamente e senza che tale disciplina incida negativamente sul diritto di difesa delle parti (Sez. 6-2, n. 27788/2022, COGNOME, Rv. 665712-01).
Poiché le ordinanze pronunciate dal giudice in udienza, inserite nel processo verbale ai sensi dell’art. 134 c.p.c., si reputano conosciute (conoscenza legale) sia dalle parti presenti, sia da
quelle che avrebbero potuto e dovuto intervenire (alle quali, quindi, non devono essere comunicate dal cancelliere), nel caso in cui l’interruzione sia disposta con ordinanza pronunciata in udienza, il termine perentorio per la riassunzione decorre, per le suddette parti, dalla data dell’ordinanza stessa, senza che, pertanto, sia necessaria, a tal fine, la presenza in udienza del procuratore della parte interessata alla riassunzione (Cass. n. 6654/2003). Tuttavia la dichiarazione dell’evento fatta in udienza dal procuratore della parte avversa a quella che è rimasta priva di difensore -la quale non può presumersi da questa ultima conosciuta, stante l’inapplicabilità del disposto dell’art. 176, comma secondo, c.p.c., in una situazione in cui è già venuta me no l’integrità del contraddittorio non è idonea a determinare la decorrenza del suddetto termine, a meno che dal processo verbale d’udienza non emerga la presenza della parte rimasta priva di difensore (Cass. n. 9625/1990).
Orbene da tali principi si ricava che, ai fini della decorrenza, salva l’ipotesi della dichiarazione nel contraddittorio o in udienza, occorre una qual forma di comunicazione dell’evento interruttivo, che con certezza consenta di calcolare il decorso del termine per riassumere, così da non pregiudicare il diritto di difesa delle parti.
Il deposito nel fascicolo informatico, pur se in astratto rende conoscibile l’evento, da parte di tutti coloro che vi hanno accesso o vi possono avere accesso, non è equiparabile ad una forma di comunicazione in senso proprio, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, salvo che non sia esplicitamente prevista tale funzione (come, per esempio, ad opera del nuovo art. 370 c.p.c., introdotto dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n.149, che prevede il solo deposito e non la notifica, del controricorso nel giudizio di cassazione). Pertanto, il motivo non merita accoglimento.
3.2. Anche il secondo motivo è infondato. Il ricorrente lamenta l’erronea applicazione degli artt. 111 c.p.c. e 2112 c.c., sostenendo che il ramo d’azienda in cui operava COGNOME NOME -relativo all’appalto ASL NA1 -sarebbe stato trasferito a un’altra società (RAGIONE_SOCIALE) e non alla RAGIONE_SOCIALE Tuttavia, la Corte d’Appello ha accertato, dando conto dei documenti posti a fondamento del giudizio (la visura camerale storica e del contratto di affitto di azienda prodotti in giudizio, cfr. pag. 7 della sentenza impugnata) che il contratto di affitto dell’intera azienda dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, avvenuto l’8 agosto 2012, ricomprendeva anche il settore ASL NA1, e che l’affitto era globale, ossia comprensivo di tutte le strutture e dei contratti in essere.
La sentenza impugnata appare conforme alla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui l’art. 2112 c.c. disciplina il trasferimento d’azienda anche in caso di subentro nella gestione del complesso aziendale, purché vi sia continuità n ell’esercizio dell’attività imprenditoriale, come nella specie. Non rileva la forma tecnica del trasferimento (affitto o cessione), ma la sostanza del subentro gestionale e l’inclusione delle risorse umane e materiali nel passaggio.
La doglianza del ricorrente, che invoca una violazione di legge senza specifica individuazione di errori nelle statuizioni della Corte territoriale, appare inoltre generica e priva di autosufficienza, risultando inammissibile secondo i principi espressi da questa Corte (Cass. SS.UU. n. 26242/2014; Cass. n. 7431/2018).
In ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di parte controricorrente, liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario;
al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori dichiaratisi antistatari. Ai sensi dell’ar t. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 24 settembre