Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24210 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24210 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4209-2022 proposto da:
COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1233/2021 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 10/08/2021 R.G.N. 5/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Il Tribunale di Foggia, in parziale accoglimento delle domande proposte da NOME COGNOME ha condannato, in
Oggetto
Licenziamento individuale -Trasferimento azienda
R.G.N. 4209/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 25/06/2025
CC
solido tra loro, NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di euro 56.297,25 (di cui euro 3.665,66 a titolo di indennità per maneggio denaro) per differenze retributive maturate dal 9.3.1994 al 14.7.2000, previo accertamento di un trasferimento di azienda tra la COGNOME ed il COGNOME, nonché solo quest’ultimo al pagamento della somma di euro 96.337,70 a titolo di differenze retributive (comprensive di indennità per maneggio denaro e indennità di mancato preavviso) maturate dal 15.7.2000 al 30.4.2012, nonché ha dichiarato la inefficacia del licenziamento intimato al lavoratore il 31.3.2012, con riammissione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno, decurtato l’aliunde perceptum .
La originaria pretesa era fondata sulle seguenti circostanze:
il COGNOME aveva lavorato, dal 9.3.1994, quale pompista addetto alla erogazione del carburante presso la stazione di servizio di Orta Nova alle dipendenze di Rocchina COGNOME; b) il rapporto era poi proseguito alle stesse condizioni anche quando il 15.7.2000 la gestione della stazione di servizio, per effetto di un trasferimento di azienda ex art. 2112 cod. civ., era pervenuta al figlio della titolare, NOME COGNOME il quale gli aveva comunicato la continuità del rapporto, senza soluzione e con la medesima anzianità; c) dall’1.1.2008 erano state espletate anche le mansioni di addetto contabile; d) il lavoratore aveva ricevuto, quale retribuzione, importi di gran lunga inferiori a quelli dovuti e, sebbene il 30.6.2005 fosse stata comunicata la risoluzione del rapporto con la riassunzione in data 1.8.2005, la sua attività non si era mai di fatto interrotta; e) il licenziamento intimatogli con lettera del 31.3.2012 era illegittimo per mancata specificazione dei
motivi di recesso datoriale, forniti solo dopo la scadenza dei termini.
La Corte di appello di Bari, con la sentenza n. 1233/2021, condividendo il ragionamento del Tribunale in merito alla esistenza di un trasferimento di azienda, intervenuto tra la ditta COGNOME e quella del COGNOME, attraverso l’RAGIONE_SOCIALE quale terzo intermediario e in parziale riforma della pronuncia di primo grado relativamente alle rivendicazioni economiche, ha condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido tra loro, al pagamento in favore di NOME COGNOME, della somma di euro 52.631,59 oltre accessori, a titolo di differenze retributive maturate dal 9.3.1994 al 14.7.2000, mentre il solo NOME COGNOME al pagamento, per lo stesso titolo, di euro 86.644,56, oltre accessori; ha confermato le statuizioni sulla inefficacia del licenziamento, rimodulando gli importi mensili da decurtare nonché le ulteriori somme percepite a titolo di retribuzione negli anni successivi e con riferimento ai rapporti di lavoro risultanti dall’estratto conto previdenziale.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi (così numerate, in modo conseguente, le singole censure) cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione dell’art. 2112 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 11 delle preleggi.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 2733 e 2735 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 228 cpc e 2112 cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché dell’art. 132 cpc, per motivazione apparente, in rela zione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 2112 co. 3, 1 cpv cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc. Con le suddette doglianze essi, in sintesi, censurano le statuizioni della Corte territoriale la quale , con una motivazione viziata nel processo logico applicativo dell’art. 2112 cod. civ., aveva ritenuto che si fosse verificato, nel passaggio dell’impres a de qua , un trasferimento di azienda, senza però avere considerato che vi era stata una cessazione dell’originaria attività produttiva, in capo a COGNOME, con la retrocessione del compendio aziendale alla AGIP che poi lo aveva riassegnato al COGNOME, con una palese diversità degli elementi dei due complessi produttivi.
Con il quarto motivo si eccepisce la violazione del combinato disposto degli artt. 2935 e 2948 n. 4 e n. 5 cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, con riferimento al licenziamento del 15.7.2000, per non avere la Corte territoriale ritenuto che, in virtù del suddetto recesso, le pretese retributive relative al rapporto di lavoro intercorso con la COGNOME erano prescritte in quanto richieste con il ricorso introduttivo notificato solo l’1.2.2013.
Con il quinto motivo si lamenta la violazione dell’art. 115 co. 1 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc e art. 132 co. 2
4 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, con riferimento sempre alla vicenda del licenziamento del 30.6.2005 e alla vis attribuita alla testimonianza del teste NOME COGNOME
Con il sesto motivo si lamenta, sempre con riferimento al licenziamento del 30.6.2005, la violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, 118 disp. att. cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc.
Si obietta la Corte di appello, con una motivazione connotata da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, aveva ritenuto non provata l’intimazione di un licenziamento al Palatella nonostante l’irrogazione del recesso fosse un dato incontestato tra le parti.
Con il settimo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 2 legge n. 604/1966, in combinato disposto con l’art. 1362 cod. civ. e, in difetto, con l’art. 1367 cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, sostenendo che la Corte territoriale aveva erroneamente considerato il concetto di genericità dei motivi di licenziamento e che, in ogni caso, avrebbe dovuto ‘conservare effetti’ alla intimazione del recesso prima di giungere alla declaratoria di inefficacia.
Con l’ottavo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 2 n. 3 della legge n. 604/1966, in combinato disposto con l’art. 112 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc.
Con il nono motivo i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 2 n. 3 della legge n. 604/1966, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc e dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc.
Essi deducono, con le suindicate censure, che erroneamente la Corte di appello, omettendo di pronunciarsi sulla relativa domanda, non aveva limitato il risarcimento del danno da
licenziamento alla data del 21.11.2016, nonostante vi fosse agli atti la prova della cessazione dell’attività da parte del COGNOME alla predetta data, e che non aveva considerato che il COGNOME, nel chiedere l’esternalizzazione dei motivi con la missiva del maggio 2012, ponendo le sue energie a disposizioni del COGNOME, comunque aveva cercato e trovato altre soluzioni lavorative.
Il ricorso non è fondato.
Preliminarmente, vanno respinte tutte le censure con le quali i ricorrenti denunciano un difetto di motivazione della gravata pronuncia.
In tema di contenuto della sentenza, infatti, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
Nella fattispecie, invece, la Corte territoriale, con adeguate e chiare argomentazioni, che consentono di ripercorrere l’iter logico -giuridico seguito, ha motivato sui singoli punti oggetto delle doglianze, come di seguito sarà precisato, di talché le asserite violazioni di legge non sono sussistenti.
Venendo, quindi, nello specifico allo scrutinio dei motivi, i primi tre non sono meritevoli di accoglimento.
La Corte territoriale ha tenuto ben presente le vicende riguardanti la titolarità della Stazione di Servizio di cui è processo (precedente gestione della COGNOME, restituzione alla
RAGIONE_SOCIALE e nuovo rapporto di comodato con COGNOME), correttamente ritenendo che, nella fattispecie, vi fosse stato, anche in tale ipotesi, un trasferimento di azienda ex art. 2112 cod. civ.
Infatti, si configura trasferimento di azienda in tutti i casi in cui, ferma restando l’organizzazione del complesso dei beni destinati all’esercizio dell’attività economica, ne muta il titolare in virtù di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello subentrante nella gestione; sicché il trasferimento di azienda è realizzabile, sempre che si abbia un passaggio dei beni di non trascurabile entità, anche in due fasi per effetto dell’intermediazione di un terzo. Una volta realizzatosi il trasferimento di azienda, i rapporti di lavoro preesistenti al trasferimento proseguono con il nuovo titolare senza necessità del consenso da parte dei lavoratori, con l’effetto che ogni lavoratore può far valere nei confronti del nuovo titolare i diritti maturati in precedenza ed esercitabili nei confronti del cedente (Cass. n. 26215/2006).
Il trasferimento d’azienda è, pertanto, configurabile sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, ma tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa e – come affermato anche dalla sentenza della Corte di Giustizia del 7 marzo 1996, C-171/94 e C172/94 – realizzabile anche in due fasi per effetto della intermediazione di un terzo.
Con un accertamento di fatto, adeguatamente motivato e svolto a seguito della istruttoria espletata, e pertanto insindacabile in questa sede, entrambi i giudici del merito hanno poi rilevato che il complesso aziendale, poi utilizzato
dal COGNOME, era lo stesso di quello gestito dalla COGNOME (stessi macchinari, locali e dipendenti) con il medesimo marchio ‘RAGIONE_SOCIALE‘: e tale dato istruttorio non era stato mai contestato, in primo grado, dagli odierni ricorrenti che solo nel presente giudizio hanno, del resto, in modo inammissibile, dedotto nuove circostanze (ragioni di salute e di età della COGNOME) che avrebbero determinato la interessata a risolvere per mutuo consenso il primo contratto di comodato.
Il quarto, il quinto ed il sesto motivo, da esaminare congiuntamente per la loro interferenza, presentano anche essi profili di inammissibilità e di infondatezza.
Va ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. parimenti infondato (per tutte Cass. Sez. Un. n. 20867/2020).
Anche in relazione alla censura relativa alla deposizione del teste COGNOME deve sottolinearsi che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove
che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Con riferimento, poi, alla questione dell’asserito licenziamento del 30.6.2000 la Corte territoriale, con un accertamento di merito svolto con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, ha rilevato che nessuna prova era stata fornita c irca l’esistenza di un recesso del lavoratore e che, da tutti i dati istruttori raccolti, era emersa, invece, la prova della prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del COGNOME senza soluzione di continuità: ciò era desumibile non solo dagli elementi logistici in relazione ai quali veniva eseguita la prestazione lavorativa, ma anche dal fatto che vi fu un espresso riconoscimento, da parte del COGNOME, relativamente alla posizione lavorativa del Palatella, del medesimo inquadramento, della stessa qualifica, degli scatti di anzianità e delle stesse mansioni in precedenza attribuite allorquando la gestione era della COGNOME.
A ciò va aggiunto che non risulta che il COGNOME non abbia contestato la esistenza del licenziamento del 30.6.2000: egli ha fatto solo riferimento ad una comunicazione di risoluzione del rapporto, inviata agli uffici competenti, con una nota di prosecuzione del rapporto del 15.7.2000 che i giudici di seconde cure hanno accertato essere priva di sottoscrizione, da parte del COGNOME, e prontamente disconosciuta in corso di giudizio.
Tali riscontri, unitamente ad altri (valutazioni opinate non significative dei documenti rappresentati dalle buste paga e dalla corresponsione del TFR) sono stati concordemente ritenuti, sia in primo grado che in grado di appello,
insufficienti a dimostrare un avvenuto licenziamento che palesemente è stato ritenuto fittizio.
Conseguentemente è stata, quindi, ritenuta, in un contesto di continuità del rapporto lavorativo, in modo corretto, assorbita la doglianza relativa alla eccepita prescrizione dei crediti vantati con riferimento al periodo di lavoro alle dipendenze della COGNOME.
Il settimo motivo non è meritevole di accoglimento perché con esso si censura l’interpretazione del contenuto di un atto di autonomia privata (genericità dei motivi del licenziamento) il cui esame spetta al giudice di merito con un accertamento di fatto che, in quanto adeguatamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 11254/2018); nel caso in esame, invero, non viene in rilievo la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale ma si contrappone unicamente una diversa esegesi rispetto a quella fornita dai giudici di merito che hanno ritenuto che la espressione ‘situazione economica passiva’ fosse assolutamente inidonea ad indicare le ragioni economiche della crisi economica e cioè la decisione del datore di lavoro di riorganizzare la produzione e, di conseguenza, di disporre la soppressione del posto di lavoro del Palatella e la impossibilità di riutilizzare il lavoratore licenziato ricollocandolo altrove, oltre a non essere state precisati i criteri di scelta nei suoi confronti.
In modo esatto, poi, ritenuta la inefficacia del recesso, è stata dalla Corte territoriale applicata la sanzione di legge prevista per tale vizio; analogamente va rilevata la assoluta genericità delle doglianze dei ricorrenti in ordine alla rilevata violaz ione dell’obbligo di repêchage, fondate su una
inammissibile contestazione di accertamenti di merito espletati dalla Corte territoriale.
Infine, anche l’ottavo ed il nono motivo sono infondati.
La Corte territoriale, nel prendere atto che un secondo licenziamento era stato disposto dal COGNOME con missiva spedita al lavoratore il 24.12.2019 e senza incorrere in alcuna omessa pronuncia, ha implicitamente respinto l’assunto che l’attività lavorativ a del COGNOME fosse cessata il 21.11.2016, cioè circa tra anni prima: circostanze tra loro assolutamente incompatibili.
Conseguentemente, infine, la condanna al risarcimento dei danni, in relazione al licenziamento intimato ante legge n. 92/2012, è stato limitato alle retribuzioni maturate sino al 24.12.2019 disponendo, contestualmente, la detrazione dell’aliunde perceptum costituito dalle somme corrisposte al COGNOME a fronte dell’attività lavorativa prestata in forza di nove contratti part-time con altri datori di lavoro.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli
esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 giugno 2025