Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24207 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24207 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13939-2023 proposto da:
COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2045/2022 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 29/12/2022 R.G.N. 346/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Il Tribunale di Foggia, in parziale accoglimento delle domande proposte da NOME COGNOME ha condannato, in
Oggetto
Trasferimento azienda
R.G.N. 13939/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 25/06/2025
CC
solido tra loro, NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di euro 61.206,85 per differenze retributive maturate dal 23.2.1994 al 14.7.2000, previo accertamento di un trasferimento di azienda tra la COGNOME ed il COGNOME, nonché solo quest’ultimo al pagamento della somma di euro 113.472,23 a titolo di differenze retributive.
La originaria pretesa era fondata sulle seguenti circostanze: a) il COGNOME aveva lavorato, dal 23.2.1994, quale pompista addetto alla erogazione del carburante presso la stazione di servizio di Orta Nova alle dipendenze di Rocchina Mazzei; b) il rapporto era poi proseguito alle stesse condizioni anche quando il 15.7.2000 la gestione della stazione di servizio, per effetto di un trasferimento di azienda ex art. 2112 cod. civ., era pervenuta al figlio della titolare, NOME COGNOME, il quale gli aveva comunicato la continuità del rapporto, senza soluzione e con la medesima anzianità; c) il lavoratore aveva ricevuto, quale retribuzione, importi di gran lunga inferiori a quelli dovuti e, sebbene il 30.6.2005 fosse stata comunicata la risoluzione del rapporto con la riassunzione in data 1.8.2005, la sua attività non si era mai di fatto interrotta fino al licenziamento del 30.4.2012.
La Corte di appello di Bari, con la sentenza n. 2045/2022, ha confermato la pronuncia di primo grado, condividendo il ragionamento del Tribunale in merito alla esistenza di un trasferimento di azienda, intervenuto tra la ditta COGNOME e quella del RAGIONE_SOCIALE, attraverso l’RAGIONE_SOCIALE quale terzo intermediario, e riconoscendo la fondatezza delle rivendicazioni economiche dell’originario ricorrente.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione
affidato a sei motivi (così numerate, in modo conseguente, le singole censure) cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc, la violazione dell’art. 2112 cod. civ. e art. 115 cpc.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc, la violazione dell’art. 2112 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 11 delle preleggi.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 2733 e 2735 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 228 cpc e 2112 cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché dell’art. 132 cpc, per motivazione apparente, in
relazi one all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc.
Con le suddette doglianze essi, in sintesi, censurano le statuizioni della Corte territoriale la quale , con una motivazione viziata nel processo logico applicativo dell’art. 2112 cod. civ., aveva ritenuto che si fosse verificato, nel passaggio dell’impres a de qua , un trasferimento di azienda, senza però avere considerato che vi era stata una cessazione dell’originaria attività produttiva, in capo a COGNOME, con la retrocessione del compendio aziendale alla AGIP che poi lo aveva riassegnato al COGNOME, con una palese diversità degli elementi dei due complessi produttivi.
Con il quarto motivo si eccepisce la violazione del combinato disposto degli artt. 2935 e 2948 n. 4 e n. 5 cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, con riferimento al
licenziamento del 15.7.2000, per non avere la Corte territoriale ritenuto che, in virtù del suddetto recesso, le pretese retributive relative al rapporto di lavoro intercorso con la COGNOME erano prescritte in quanto richieste con il ricorso introduttivo notificato solo il 20.4.2016.
Con il quinto motivo si lamenta la violazione dell’art. 2112 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 116 cpc e con l’art. 2935 cod. civ., per avere erroneamente ed immotivatamente la Corte territoriale, pur ritenendo applicabile i diritti conservativi di cui all’art. 2112 cod. civ., ritenuto sussistere la solidarietà di essi ricorrenti a decorrere dall’assunzione del Cirillo ovvero sin dal 1994.
Con il sesto motivo si lamenta, sempre con riferimento al licenziamento del 30.6.2005, la violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, 118 disp. att. cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc., obiettando che erroneamente la Corte territoriale aveva attribuito alla deposizione del teste COGNOME una particolare vis probatoria mentre, in tema di attendibilità, erano maggiormente credibili i testi addotti da essi ricorrenti.
Il ricorso non è fondato.
Preliminarmente, vanno respinte tutte le censure con le quali i ricorrenti denunciano un difetto di motivazione della gravata pronuncia.
In tema di contenuto della sentenza, infatti, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina
logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
Nella fattispecie, invece, la Corte territoriale, con adeguate e chiare argomentazioni, che consentono di ripercorrere l’iter logico -giuridico seguito, ha motivato sui singoli punti oggetto delle doglianze, come di seguito sarà precisato, di talché le asserite violazioni di legge non sono sussistenti.
Venendo, quindi, nello specifico allo scrutinio dei motivi, i primi tre non sono meritevoli di accoglimento.
La Corte territoriale ha tenuto ben presente le vicende riguardanti la titolarità della Stazione di Servizio di cui è processo (precedente gestione della COGNOME, restituzione alla Agip e nuovo rapporto di comodato con COGNOME), correttamente ritenendo che, nella fattispecie, vi fosse stato, anche in tale ipotesi, un trasferimento di azienda ex art. 2112 cod. civ.
Infatti, si configura trasferimento di azienda in tutti i casi in cui, ferma restando l’organizzazione del complesso dei beni destinati all’esercizio dell’attività economica, ne muta il titolare in virtù di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello subentrante nella gestione; sicché il trasferimento di azienda è realizzabile, sempre che si abbia un passaggio dei beni di non trascurabile entità, anche in due fasi per effetto dell’intermediazione di un terzo. Una volta realizzatosi il trasferimento di azienda, i rapporti di lavoro preesistenti al trasferimento proseguono con il nuovo titolare senza necessità del consenso da parte dei lavoratori, con l’effetto che ogni lavoratore può far valere nei confronti
del nuovo titolare i diritti maturati in precedenza ed esercitabili nei confronti del cedente (Cass. n. 26215/2006).
Il trasferimento d’azienda è, pertanto, configurabile sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, ma tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa e – come affermato anche dalla sentenza della Corte di Giustizia del 7 marzo 1996, C-171/94 e C172/94 – realizzabile anche in due fasi per effetto della intermediazione di un terzo.
Con un accertamento di fatto, adeguatamente motivato e svolto a seguito della istruttoria espletata, e pertanto insindacabile in questa sede, entrambi i giudici del merito hanno poi rilevato che il complesso aziendale, poi utilizzato dal COGNOME, era lo stesso di quello gestito dalla COGNOME (stessi macchinari, locali e dipendenti) con il medesimo marchio ‘RAGIONE_SOCIALE‘: e tale dato istruttorio non era stato mai contestato, in primo grado, dagli odierni ricorrenti.
Il quarto, il quinto ed il sesto motivo, da esaminare congiuntamente per la loro interferenza, presentano anche essi profili di inammissibilità e di infondatezza.
Va ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. Un. n.
20867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014): ipotesi, queste, non ravvisabili, nel caso in esame, ove attraverso un esame delle risultanze istruttorie, è stato accertato che il complesso aziendale della stazione di carburanti della Mazzei aveva a vuto inizio nell’anno 1994 e non ne 1996.
Inoltre, la suddetta questione non pregiudica la responsabilità solidale ex art. 2112 cod. civ. tra la COGNOME ed il COGNOME vertendosi in una situazione di crediti, non pagati, preesistenti al momento del trasferimento di azienda.
Anche in relazione alla censura relativa alla deposizione del teste COGNOME deve sottolinearsi che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazi one degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Con riferimento, poi, alla questione dell’asserita interruzione del rapporto di lavoro del giugno dell’anno 2000 la Corte territoriale, con un accertamento di merito svolto con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, ha rilevato che nessuna prova era stata fornita circa l’esistenza di una tale interruzione e che, da tutti i dati istruttori raccolti, era emersa, invece, la prova della prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del COGNOME senza soluzione di continuità: ciò era desumibile non solo dagli elementi logistici in relazione ai quali veniva eseguita la prestazione lavorativa, ma anche dal fatto che vi
fu un espresso riconoscimento, da parte del COGNOME, nel novembre del 2000, relativamente alla posizione lavorativa del COGNOME, del medesimo inquadramento, della stessa qualifica, degli scatti di anzianità e delle stesse mansioni in precedenza attribuite allorquando la gestione era della COGNOME.
Tali riscontri, unitamente ad altri (valutazioni opinate non significative dei documenti rappresentati dalle buste paga e dalla corresponsione del TFR) sono stati concordemente ritenuti, sia in primo grado che in grado di appello, insufficienti a dimostrare una intervenuta interruzione che palesemente è stata ritenuta insussistente.
Conseguentemente è stata, quindi, considerata, in un contesto di continuità del rapporto lavorativo, in modo corretto, assorbita la doglianza relativa alla eccepita prescrizione dei crediti vantati con riferimento al periodo di lavoro alle dipendenze della COGNOME.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli
esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 giugno 2025