Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31290 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31290 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/12/2025
PROPRIETÀ
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13743/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
– Ricorrente –
Contro
NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
– Controricorrente –
E contro
NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO studio NOME COGNOME.
– Controricorrente e ricorrente incidentale -E contro
PARENTE NOME, NOME, EREDI DI BRUNO VENTO.
– Intimati –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1628/2021 depositata il 03/03/2021.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 25 novembre 2025.
Rilevato che:
1. NOME COGNOME conveniva davanti al Tribunale di AVV_NOTAIO, sez. dist. di Gaeta, NOME COGNOME assumendo che, con atto notarile del 27/01/1990, aveva acquistato da NOME COGNOME, che ne aveva dichiarato il possesso pacifico ed ininterrotto ultratrentennale, l’area di risulta dell’abbattimento per fatto bellico della porzione di fabbricato urbano sita nel Comune di Spigno Saturnia, in INDIRIZZO, della superficie di mq. 39 circa, distinta in catasto al foglio 13, particella 585/1; che, successivamente, con scrittura privata del 10/05/1990, registrata il 13/01/1994, NOME COGNOME aveva operato una rettifica, includendo nella compravendita l’intera particella n. 585, comprendente il ‘ fabbricato urbano distrutto dall’ultimo evento bellico, sito in Spigno Saturnia part. 902 vecchio catasto urbano di Spigno Saturnia alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, casa di abitazione in INDIRIZZO terraneo 3 vani, primo piano 4 vani, sottotetto 2, foglio 13, part. 385/1, elenco I numero 238 RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE foglio 13 part. 585/2 INDIRIZZO piano terra, primo piano ‘, anche in tal caso per possesso ultraventennale ; che gli eredi di NOME COGNOME (NOME, NOME, NOME e NOME), anche per procura, con ulteriore scrittura privata del 18/01/1994, autenticata dal AVV_NOTAIO e regolarmente registrata, avevano riconosciuto come esatta la dichiarazione di consistenza del bene trasferito con il rogito del 27/01/1990, come effettuata da NOME COGNOME con la scrittura del 10/05/1990; che NOME COGNOME, da circa cinque anni, si era impossessato dell’immobile in questione, edificandovi anche un manufatto in violazione delle distanze legali.
Chiedeva, quindi, la condanna del convenuto al rilascio dell’immobile, previo il suo ripristino nella situaz ione ‘quo ante’; in via subordinata, previa declaratoria del mancato rispetto delle distanze legali (dal confine e tra le costruzioni), la condanna del convenuto all’eliminazione di quella parte del manufatto in contrasto con le disposizioni di legge, nonché, in via ulteriormente gradata, al risarcimento del danno.
In comparsa di costituzione e risposta NOME COGNOME contestava le pretese dell’attore, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedeva il rigetto della domanda.
Con un secondo atto di citazione NOME COGNOME, deducendo che, viste le difese svolte dal convenuto nel primo giudizio, aveva eseguito una visura, dalla quale era risultato che, con atto ai rogiti del AVV_NOTAIO del 07/12/1993, NOME COGNOME, in base ad una dichiarazione di possesso ultraventennale, aveva venduto la zona di terreno oggetto di causa a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, conveniva dinanzi al medesimo ufficio questi ultimi e chiedeva che, previo annullamento dell’atto di trasferimento, i convenuti venissero condannati a restituirgli il bene in oggetto, con il ripristino dello stato dei luoghi; in via subordinata, chiedeva la declaratoria del mancato rispetto, da parte dei convenuti, delle distanze legali (dal confine e tra le costruzioni), e la condanna degli stessi ad eliminare quella parte della loro costruzione in contrasto con le disposizioni di legge.
NOME COGNOME, costituendosi, chiedeva di essere tenuta indenne di qualunque pregiudizio dal proprio dante causa, NOME COGNOME; NOME COGNOME rappresentava che l’immobile oggetto della compravendita era pervenuto al proprio dante causa NOME COGNOME per atto del AVV_NOTAIO del 27/09/1970, e che COGNOME vi aveva edificato in forza di apposita concessione edilizia n.
56 del 26/08/1991, con la conseguenza che il trasferimento del bene doveva ritenersi del tutto regolare.
Analoghe difese svolgeva NOME COGNOME.
Il Tribunale, riuniti i giudizi, integrato il contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME, coniuge di NOME COGNOME, in regime di comunione legale dei beni, istruita la causa con prove per testi e mediante una CTU, con sentenza n. 2242 del 2014, in accoglimento della domanda dell’attore , annullava l’atto rogato per AVV_NOTAIO del 07/12/1993, intercorso tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ordinando loro, previa riduzione in pristino, di restituire all’attore NOME COGNOME l”area di risulta’ identificata in catasto al fg. 13, mapp. 585, e condannava COGNOME a manlevare NOME COGNOME dalle conseguenze della pronuncia.
Proponeva appello principale NOME COGNOME, cui, costituendosi, aderivano NOME COGNOME e NOME COGNOME, il quale, dal canto suo, spiegava appello incidentale contro il capo della sentenza del Tribunale che aveva annullato la compravendita COGNOME–COGNOME/COGNOME del 07/12/1993, tenuto conto della tassatività dei motivi di annullamento previsti dalla legge, azionabili solo dalle parti e non dai terzi; nel contraddittorio di NOME COGNOME, il quale chiedeva il rigetto del gravame, la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1628 del 2021, rigettava l’appello principale e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale, dichiarava l’inopponibilità a NOME COGNOME dell’atto di compravendita del 07/12/1993 concluso da NOME COGNOME con NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, confermava nel resto la sentenza impugnata, e statuiva sulle spese del giudizio.
Per quanto rileva in questa sede, in sintesi, la Corte territoriale rigetta l’appello principale della COGNOME sulla base delle seguenti
ragioni: (i) non è fondato il motivo di gravame con il quale NOME COGNOME deduce la non veridicità e l’inefficacia della ‘scrittura privata’ datata 10/ 05/1990, con cui NOME COGNOME intese precisare l’oggetto del precedente atto di compravendita a rogito del AVV_NOTAIO del 27/01/1990, intercorso tra la medesima e NOME COGNOME: infatti, l’appellante principale si è sostanzialmente limitata a sollevare una serie di ‘sospetti’ che investono la scrittura privata del 10/05/1990, senza però fornire alcuna dimostrazione del proprio assunto. Vero è che NOME COGNOME, in occasione della stipula dell’atto di compravendita del 27/ 01/1990, ebbe a dichiarare al AVV_NOTAIO rogante di non poter sottoscrivere l’atto per una ‘sopraggiunta debolezza visiva’, circostanza, questa, che tuttavia non implica che la COGNOME, anche in occasione della stipula della scrittura privata di rettifica del 10/05/1990, fosse automaticamente in condizione di non riuscire ad apporre in alcun modo la sua sottoscrizione in calce all’atto; (ii) quanto all’asserita nullità e falsità sia della scrittura privata del 18/01/1994, tra gli eredi di NOME COGNOME (NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME) e NOME, sia della procura consolare ad essa allegata, è sufficiente osservare che tale scrittura risulta regolarmente sottoscritta da NOME COGNOME, che partecipò all ‘atto non solo in proprio, ma anche in rappresentanza dei propri fratelli, e che le sottoscrizioni dei contraenti –NOME e NOME -sono state autenticate dal AVV_NOTAIO, ragion per cui esse debbono ritenersi autentiche, salva un’ipotetica impugnazione di falso da parte di chi vi abbia interesse. Analoghe considerazioni valgono anche per la copia della procura consolare allegata a tale scrittura, che nessuno ha mai impugnato per falsità; (iii) con riferimento al contenuto della scrittura privata del 18/01/1994, continua il giudice di appello, in essa i figli della COGNOME si limitarono a confermare il contenuto dell’accordo intercorso tra la loro madre e NOME
NOME, in data 27/01/1990, e della successiva rettifica operata in data 10/05/1990, con la quale NOME COGNOME, NOME COGNOME e tale NOME COGNOME intesero precisare che nell’oggetto dell’originaria compravendita avrebbe dovuto intendersi ricompresa l’intera particella n. 585 del fg. n. 13, nella sua totale estensione. Ne consegue che, spiega la Corte di Roma, diversamente da quanto sostiene l’appellante principale, le contestazioni circa la portata della rettifica possono essere dirette solo nei confronti della scrittura privata del 10/05/1990, non contro quella del 18/01/1994, che semplicemente riconosce il contenuto della prima scrittura; (iv) circa il valore delle prove documentali, è corretto il rilievo del Tribunale secondo cui sia il rogito di vendita tra NOME e NOME del 27/01/1990, sia la scrittura privata del 10/05/1990, che precisava l’oggetto della compravendita del 27/1/1990, non sono mai stati impugnati da nessuno; inoltre, dall’atto di compravendita a rogito del AVV_NOTAIO NOME del 27/09/1970, prodotto da NOME COGNOME in primo grado, al fine di comprovare l’avvenuto acquisto del terreno oggetto di causa, risulta per tabulas che quest’ultimo non acquistò la particella n. 585 del fg. 13, bensì la distinta particella n. 584 del fg. 13, con la conseguenza che, in occasione della stipula del contratto di compravendita del 07/12/1993, quest’ultimo non poté cedere ai compratori COGNOME/COGNOME/COGNOME alcun diritto sul terreno oggetto di causa (pacificamente coincidente con la particella 585), non potendo ovviamente trasferire a terzi diritti mai entrati a far parte del suo patrimonio; (v) NOME COGNOME e NOME COGNOME, i soli testimoni, tra quelli esaminati, estranei alle vicenda, hanno riferito circa la condizione dei luoghi e la difficoltà di utilizzare l’area a causa della presenza di numerose rocce, poi eliminate da COGNOME (l’unico che possedeva l’attrezzatura idonea ) su incarico di NOME COGNOME, che provvide anche a pagarlo. Le considerazioni svolte nella
CTU, a proposito della mancanza di un adeguato titolo, in capo a COGNOME, per disporre dell’area ceduta a COGNOME/COGNOME/COGNOME con il rogito stipulato in data 07/12/1993 non sono altro che la normale conseguenza del fatto che egli non acquistò mai quel terreno, nemmeno in parte, come dimostrato anche dalla circostanza che -come già detto – l’atto di acquisto del 1970, prodotto da COGNOME per documentare la provenienza del bene, riguardava una particella catastale (la n. 584) diversa da quella oggetto di causa (la n. 585). Infine, nessun valore può essere attribuito del rilascio a COGNOME della concessione amministrativa per costruire un manufatto su tale area, tenuto conto, da un lato, che il geom. NOME COGNOME, da costui incaricato della relativa pratica, nella sua deposizione, ha ammesso di non avere effettuato all’epoca alcuna verifica sui titoli di proprietà, dall’altro, che l’atto concessorio deve intendersi comunque rilasciato fatti salvi i diritti dei terzi.
Avverso la sentenza d’appello NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
NOME COGNOME, con controricorso -tempestivo (il ricorso è stato notificato il 10/05/2021, il controricorso è stato notificato il 21/06/2021, che cadeva di lunedì), donde l’infondatezza dell’eccezione di decadenza sollevata alla difesa di NOME nella memoria da ultimo depositata -ha aderito al ricorso di NOME COGNOME.
In prossimità dell’udienza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato una memoria congiunta; anche NOME COGNOME ha depositato una memoria.
Considerato che:
Primo motivo: ‘ V iolazione dell’art. 2644 c.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., per avere la Corte territoriale
totalmente pretermesso l’esame del fatto costituito dall’ordine delle trascrizioni tra l’atto di compravendita (del 7 dicembre 1993) trascritto il 23 dicembre 1993 e la scrittura privata autenticata di ‘rettifica’ (il 18 gennaio 1994) trascritta l’11 febbraio 1994 ‘.
La Corte d’appello avrebbe commesso un error in procedendo per aver omesso l’esame della questione dell’ordine delle trascrizioni , disciplinato dall’ art. 2644 c.c., in applicazione del quale non era opponibile a COGNOME, acquirenti in base ad un atto trascritto nel dicembre 1993, la rettifica avvenuta nel gennaio del 1994.
Per la ricorrente i titoli da porre a confronto sono: l’atto pubblico del 27/01/1990, mediante il quale NOME COGNOME acquistò da NOME COGNOME una porzione di ‘suolo ed area di risulta … della superficie di circa metri quadrati trentanove (mq. 39)’, distinta ‘nel catasto urbano di Spigno Saturnia col foglio 13, mappale 585/1 ‘ ; l’atto pubblico del 07/12/1993, mediante il quale NOME COGNOME e NOME COGNOME acquistarono da NOME COGNOME la restante porzione di ‘circa metri quadrati ventisette (mq. 27) … infra la maggiore consistenza della particella 585 del foglio 13’ ; la scrittura privata autenticata di ‘rettifica’ del 18 /01/1994, nella quale NOME COGNOME e NOME COGNOME dichiararono che ‘l’esatta consistenza e composizione dell’immobile oggetto della citata compravendita in data 27.01.1990’ avrebbe dovuto intendersi l’intero ‘fabbricato urbano, distrutto dall’ultimo evento bellico, sito in Spigno Saturnia Part. 902 vecchio catasto urbano di Spigno Saturnia, alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE NOME, casa abitazione in INDIRIZZO-17-19 Terraneo 3 vani, Primo piano 4 vani, Sottotetto 2, Foglio 13, part. 585/1, Elenco I numero 238 alla RAGIONE_SOCIALE, foglio 13 part. 585/2 INDIRIZZO Piano terra, Primo piano’ .
La scansione temporale dei tre atti, ad avviso della ricorrente, attesta che agli acquirenti COGNOME/COGNOME è inopponibile la scrittura privata del 10/05/1990, in quanto essi avevano già acquistato il diritto di proprietà su 27 mq, con atto stipulato e trascritto anteriormente alla detta scrittura di ‘rettifica’.
Secondo motivo: ‘ Violazione dell’art. 2644 c.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale di fatto retrodatato all’anno 1990 gli effetti, nei confronti dei terzi acquirenti con atto trascritto il 23 dicembre 1993, della scrittura privata di ‘rettifica’ datata 18 gennaio 1994 ‘ .
La mancata valutazione, da parte della Corte d’appello, del profilo della inopponibilità agli acquirenti della rettifica del 18/01/1994, trascritta successivamente alla trascrizione dell ‘atto di acquisto del 07/12/1993, già dedotta con il primo motivo, questa volta è denunciata quale error in iudicando .
Terzo motivo: ‘ Violazione degli artt. 116 c.p.c. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., 1158 c.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale ‘imprudentemente’ tributato valenza probatoria esclusiva e decisi va, nel giudizio di raffronto tra opposti acquisti a titolo originario, ad atti di acquisto a titolo derivativo ‘.
Si addebita alla sentenza di avere posto a confronto gli atti di acquisto delle parti, senza considerare che le contrapposte posizioni erano fondate su situazioni di possessio ad usucapionem , laddove, evidenzia la ricorrente, la Corte territoriale ha affermato che ‘dall’atto di compravendita a rogito AVV_NOTAIO del 27/9/1970, prodotto dal sig. NOME COGNOME in primo grado per comprovare l’avvenuto acquisto del terreno oggetto di causa, risulta ‘per tabulas’ che quest’ultimo non acquistò la particella n. 585 del Foglio 13′ , e ne ha fatto discendere ‘la conseguenza che, in occasione della stipula del
contratto di compravendita del 7/12/1993, egli non ebbe la possibilità di cedere ai sigg. COGNOME/COGNOME/COGNOME alcun diritto sul terreno oggetto di causa (pacificamente coincidente con la particella 585), non potendo ovviamente trasferire a terzi diritti mai entrati a far parte del suo patrimonio giuridico ‘ .
Sotto altro profilo, la sentenza sarebbe sostanzialmente priva di motivazione per aver riproposto, pressoché pedissequamente, le ragioni su cui si fondava la decisione di primo grado, e sarebbe viziata per non aver colto che l’appellante aveva lamentato l’errore commesso dal Tribunale nel basare la decisione esclusivamente sulle risultanze degli accertamenti peritali.
Quarto motivo: ‘ Violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., in rapporto all’omesso esame dell’avvenuto riconoscimento, in atto pubblico e da parte dell’attore in rivendica NOME, dell’altruità della proprietà rivendicata ‘.
La ricorrente sostiene che, nell’atto di appello e negli ulteriori scritti difensivi, aveva dedotto che, con l’atto di compravendita per AVV_NOTAIO del 27/01/1990, cioè con l’atto mediante il quale NOME COGNOME aveva acquistato da NOME COGNOME la “superficie di circa metri quadrati trentanove (mq. 39), confinante con detta INDIRIZZO, INDIRIZZO .INDIRIZZO.” le parti avevano riconosciuto la proprietà, in capo a NOME COGNOME (dante causa anche della ricorrente), proprio dell’area successivamente oggetto di contestazione.
Lamenta che la sentenza d’appello ha trascurato questa decisiva circostanza.
Quinto motivo: ‘ Violazione dell’art. 59 L. 16 febbraio 1913 n. 89, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto la validità, e l’efficacia nei confronti dei terzi, di un atto di rettifica avente ad oggetto non la mera correzione
di errori materiali, ma l’espressione di una del tutto nuova ed autonoma volontà negoziale ‘ .
La Corte d’appello sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 59 della legge notarile sia sotto il profilo contenutistico che sotto il profilo formale: dal primo punto di vista, perché avrebbe dovuto rilevare che con la scrittura del 18/01/1994 non si è trattato meramente di “rettificare … errori od omissioni materiali”, bensì di stravolgere radicalmente l’intero oggetto del contratto asseritamente “rettificato”, attraverso la sostituzione dell’originario oggetto del negozio con un bene riferibile ad una totalmente difforme volontà negoziale; dal secondo punto di vista, perché avrebbe dovuto rilevare che, nella scrittura privata del 18/01/1994, il AVV_NOTAIO si guardò bene ‘ dal “rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto …contenente errori od omissioni materiali… mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato”- secondo la formula del nuovo art. 59 bis L.N. (introdotto dal d.lgs. n. 110 del 2010, ratione temporis inapplicabile alla fattispecie in esame) – essendosi invece egli ‘ astutamente ‘ limitato alla mera certificazione dell’autenticità delle firme delle parti.
6. Il primo e il quarto motivo, suscettibili di esame congiunto per connessione argomentativa, sono inammissibili.
In relazione ad entrambe le censure, opera la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile ratione temporis) , che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” e che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme). La ricorrente non indica, ai sensi dell’art. 366, co mma 1, n. 4, c.p.c., in quale misura siano tra loro diverse le ragioni di fatto poste a base,
rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello (Cass. n. 5947 del 2023).
Del resto, come sottolinea in memoria la difesa di NOME, la sentenza d’appello conferma quella del Tribunale la quale aveva accertato la proprietà in capo a NOME, la carenza di titolo in capo a NOME e il trasferimento sine titulo – senza introdurre elementi nuovi di fatto che possano essere considerati diversi da quelli su cui si fonda la prima decisione.
Il secondo e il quinto motivo, i quali pongono questioni sovrapponibili e che perciò possono essere esaminati insieme, sono inammissibili per le seguenti ragioni.
In primo luogo, essi non colgono la ratio decidendi della sentenza d’appello: entrambi i motivi fanno riferimento alla rettifica del 18/01/1994, la quale, nell’ottica della ricorrente, sarebbe inopponibile ex art. 2644 c.c. agli acquirenti COGNOME (secondo motivo) e sarebbe in contrasto con i limiti della rettifica notarile sanciti dall’art. 59 L.N (quinto motivo).
La sentenza d’appello, tuttavia, afferma con chiarezza che la rettifica che assume rilievo in questo giudizio è quella di cui alla scrittura privata del 10/05/1990, e non quella del 18/01/1994, nella quale i figli della venditrice NOME si limitarono a confermare il contenuto dell’accordo intercorso tra la loro madre e NOME in data 27/01/1990 e della successiva rettifica del 10/05/1990, in cui la venditrice e l’acquirente precisavano che la compravendita riguardava tutta quanta la particella 585.
In secondo luogo, le anzidette questioni sono nuove, non sono state trattate dal giudice d’appello , e non risultano neppure dedotte come motivi di impugnazione.
La sentenza risponde ai quattro motivi di appello, che riguardano altri aspetti , diversi dall’ipotetica violazione, da parte del primo
giudice, del principio in tema di effetti della trascrizione sancito dall’art. 2644 c.c. e della disciplina dell’art. 59 L.N., ossia: (a) la nullità della di rettifica del 18/01/1994; (b) la falsità della scrittura privata del 18/01/1994 e dell’allegata procura consolare; (c) la non genuinità e non veridicità della scrittura privata del 10/05/1990; (d) l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie (CTU, documenti , prova per testi).
Come ricorda Cass. 27/09/2023, n. 27474 (che, in motivazione, menziona Cass. n. 32804/2019), qualora una questione giuridica implicante un accertamento di fatto -non risulti trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto. In precedenza si era chiarito che « inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano ‘nuove’ e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte » (Cass. 20/08/2015, n. 17049).
8. Il terzo motivo è infondato per le seguenti ragioni.
La Corte d’appello , in adesione alla sentenza di primo grado, ha esaminato i titoli di acquisto delle parti e ha concluso che l’attore aveva dimostrato di essere proprietario del bene rivendicato ( l’intera particella n. 585) e che, per converso, i convenuti erano privi di un valido titolo di acquisto, in quanto NOME COGNOME era un mero occupante sine titulo della stessa particella.
Sul punto è solo il caso di aggiungere che non spettava al giudice di merito verificare se COGNOME fosse divenuto proprietario o meno dell” area di risulta ‘ in questione in forza di usucapione ventennale per la decisiva ragione che il convenuto non aveva dedotto, né in via d’eccezione né con autonoma domanda, di avere acquistato per usucapione la proprietà del bene rivendicato dall’attore.
Da altra angolazione giuridica, non sussiste alcun vizio strutturale della sentenza d’appello : per la giurisprudenza di questa Corte (vedi Sez. L, Ordinanza n. 28139 del 05/11/2018, Rv. 651516 -01; in termini, Sez. 1, Ordinanza n. 20883 del 05/08/2019, Rv. 654951 01) la sentenza d’appello può essere motivata ” per relationem “, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico, senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame.
Nella specie, il lamentato vizio di motivazione apparente non sussiste in quanto la sentenza d’appello segue un percorso argomentativo lineare e privo di aporie logiche, non rimanda acriticamente alla decisione di primo grado, illustra in modo puntuale i momenti salienti del processo, e risponde, in maniera inappuntabile, ai rilievi critici veicolati nei motivi di appello.
Da ultimo, non ricorre la violazione dell’art. 116 c.p.c., dovendosi qui richiamare il consolidato orientamento di legittimità (Cass. Sez. U., 30/09/2020, n. 20867, che menziona: Cass. Sez. U., 05/08/2016, n. 16598; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34474, con richiami pure a
Cass. 19/06/2014, n. 13960, e a Cass. 20/12/2007, n. 26965) secondo cui « n tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione ».
9. In conclusione, il ricorso è respinto.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, sono a carico solidale della ricorrente COGNOME e del controricorrente COGNOME, il quale ha aderito al ricorso, in applicazione del principio di soccombenza.
10. A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione a favore del controricorrente NOME COGNOME, che liquida
in euro 3.500,00, a titolo di compenso, oltre a euro 200,00 per esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, in data 25 novembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME