Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5133 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5133 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME NOME COGNOME NOMENOME NOME e difesi per procura alle liti in calce al ricorso da ll’ AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliat i presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME in Roma, INDIRIZZO.
Ricorrenti
contro
Banca d’Italia , in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa per procura alle liti allegata al controricorso dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOMEAVV_NOTAIO e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso la sua sede in Roma, INDIRIZZO.
Controricorrente
avverso il decreto n. 5416/2019 della Corte di appello di Roma, depositato il 16. 5. 2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9. 1. 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
Udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udite le difese svolte dall’AVV_NOTAIO, per delega dell’AVV_NOTAIO, per i rico rrenti e dall’AVV_NOTAIO per la controricorrente.
Fatti di causa
Con decreto n. 5416 del 16. 5. 2019 la Corte di appello di Roma dichiarò inammissibile l’opposizione proposta da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME avverso il provvedimento del 28. 1. 2014 con cui il Direttorio della Banca d’Italia aveva loro applicato, quali membri del consiglio di amministrazione della BCC dei RAGIONE_SOCIALE, una sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 385 del 1993.
La Corte di appello , premesso che l’opposizione era stata inizialmente proposta davanti al Tar Lazio, che, con sentenza n. 6370 del 5. 5. 2015, aveva declinato la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario, motivò tale conclusione dichiarando tardiv a l’opposizione , per essere stata notificata alla B anca d’Italia oltre il termine di tre mesi previsto dall’art. 11 c .p.a., decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza del Tar, avvenuto in data 6. 12. 2015, reputando irrilevante, a tal fine, che i ricorrenti avessero depositato presso la Cancelleria della Corte istanza di riassunzione in data 30. 11. 2015, atteso che comunque essa risultava notificata alla controparte, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, oltre il termine suddett o.
Per la cassazione di questo decreto, con atto notificato il 9. 12. 2019, hanno proposto ricorso i ricorrenti COGNOME NOME e gli altri ricorrenti in epigrafe indicati, affidandosi a due motivi.
La Banca d’Italia ha notificato controricorso.
Avviato per la decisione in camera di consiglio, con ordinanza del 27. 6. 2023 la trattazione del ricorso è stata rimessa alla pubblica udienza.
I ricorrenti e la controricorrente hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 11, comma 2, c.p.a., assumendo l’erroneità della decisione impugnata per avere dichiarato tardiva l’opposizione sul presupposto che la stessa, dopo la declaratoria di carenza di giurisdizione da parte del Giudice amministrativo, debba necessariamente avvenire nella forma della proposizione di una autonoma domanda, così escludendo che l’atto necessario da porre in essere prima della scadenza del termine di tre mesi previsto dall’art. 11 citato possa consistere in un atto di riassunzione contenente la richiesta di fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio. Questa conclusione, sostiene il ricorso, è errata, fondandosi unicamente sulla pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte n. 27163 del 2018, che però appare un precedente isolato rispetto all’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il processo che si instaura dopo la pronuncia declinatoria della giurisdizione non è un nuovo ed autonomo procedimento, ma la prosecuzione di un unico giudizio, soggetto quindi nella forma anche all’atto di riassunzione, tanto più laddove, come nel caso di specie, vi sia identità di parti ed il processo mantenga le sue caratteristiche di natura impugnatoria e non vi sia quindi la necessità di adattare la domanda alle modalità e forme previste per il giudizio dinanzi al giudice adito in relazione al rito applicabile.
Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha ritenuto tardiva l’opposizione avanzata dagli odierni ricorrenti affermando che, dopo la declinatoria di giurisdizione del giudice amministrativo, essi, al fine di preservare gli effetti processuali e sostanziali della domanda e quindi per non incorrere nella tardività della loro domanda di opposizione alla sanzione irrogata, avrebbero dovuto proporre la domanda dinanzi al giudice designato nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della predetta pronuncia, come previsto dall ‘art. 11 c.p.a. ; ha aggiunto che tale termine non poteva reputarsi osservato con il semplice deposito, prima della sua
R.G. N. 38202/2019.
scadenza, della istanza di riassunzione e che, inoltre, tale atto, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza , era stato notificato oltre il suddetto termine. La conclusione adottata dal decreto impugnato si sottrae alle censure sollevate, risultando conforme ai principi della giurisprudenza di legittimità.
In particolare, con la sentenza n. 27163 del 2018 le Sezioni unite di questa Corte , affrontando il tema del rapporto tra l’art. 11 c.p.a. e l’art. 59 della legge n. 69 del 2009, hanno affermato che la prima di dette disposizioni ha carattere speciale rispetto all’altra e che essa individua nella sola riproposizione del processo, innanzi al giudice indicato nella pronuncia declinatoria della giurisdizione, il mezzo di tutela esperibile ai fini della salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda originariamente proposta, a differenza del dettato del citato art. 59, che invece contempla anche, ove ricorrano determinate condizioni, l’istituto della riassunzione. Ne discende che, in caso di declinatoria della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, la domanda, ai detti fini, deve essere sempre nuovamente e tempestivamente proposta, con contenuto non diverso dalla precedente, dinanzi al giudice munito di giurisdizione, così determinando l’instaurazione di un giudizio nuovo, secondo la disciplina applicabile a quest’ultimo, anche con riguardo alla ritualità del contraddittorio.
L’arresto citato ha altresì chiarito che la scelta tra riassunzione e riproposizione della domanda non dipende soltanto dal tipo di giudizio da svolgere dinanzi al giudice a quem , ma dalla circostanza che vi sia stato o no il passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio originario declinando la giurisdizione, dal momento che, se questo si è chiuso con il passaggio in giudicato della relativa pronuncia, lo strumento non può che essere quello della proposizione della nuova domanda, mentr e nell’altro caso è appropriato lo strumento della riassunzione, qualora non occorra adattare la domanda alle modalità ed alle forme previste davanti al giudice adito.
Merita aggiungere, in riposta alle osservazioni sollevate nel ricorso, che i principi suddetti non si pongono in contrasto o discontinuità con la giurisprudenza precedente o successiva delle Sezioni unite di questa Corte, in particolare con le pronunce, citate dai ricorrenti, che, in sede di regolamento preventivo di
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giurisdizione, hanno affermato che, in tema di translatio iudicii , il processo che, dopo la pronuncia declinatoria della giurisdizione, si instaura, per effetto della tempestiva riassunzione, davanti al giudice indicato come munito di giurisdizione, non è un nuovo ed autonomo procedimento, ma la naturale prosecuzione di un unico giudizio.
In primo luogo perché il principio sopra richiamato di per sé non si pone in contraddizione con l’affermazione che, in caso di passaggio in giudicato della sentenza del giudice amministrativo che declina la giurisdizione, lo strumento necessario per preservare gli affetti processuali e sostanziali della domanda risiede necessariamente nell’instaurazione di un nuovo giudizio, laddove la prosecuzione del giudizio originario si verifica nei casi in cui l’art. 59 della legge n. 69 del 2009 prevede lo strumento della riassunzione.
In secondo luogo considerando la diversità delle concrete vicende processuali, tenuto conto che le sentenze nn. 14828 e 10633 del 2010 non affrontano la questione delle forme per la riproposizione del giudizio dinanzi al giudice ordinario a seguito della declinatoria di giurisdizione da parte del giudice amministrativo, mentre nel caso affrontato con la pronuncia n. 9683 del 2019, il difetto di giurisdizione era stato dichiarato dal giudice amministrativo in pendenza dello stesso giudizio instaurato dinanzi al Tribunale civile, sicché il fatto processuale assumeva contorni peculiari e non sovrapponibili alla vicenda oggetto del presente giudizio.
In conclusione, deve ritenersi corretta la pronuncia impugnata, laddove ha dichiarato tardiva l’opposizione al provvedimento sanzionatorio per essere stata avanzata oltre il termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza del Tar, avuto riguardo al momento in cui sono stati notificati l’istanza di riassunzione ed il decreto di fissazione dell’udienza. L’art. 145 del d.lgs. n. 385 del 1993 prevede infatti che l’opposizione sia notificata direttamente alla Banca d’Italia e successivamente depos itata alla Cancelleria della Corte di appello. Correttamente pertanto la Corte territoriale ha tenuto conto, ai fini del computo del termine di tre mesi previsto per la riproposizione della domanda dall’art. 11 c.p.a. quale condizione per mantenere intatti gli effetti della domanda originaria, del momento in cui l’ atto è stato notificato.
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Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 111 Cost., assumendo che, anche a ritenere corretta la soluzione di diritto in ordine alla necessità della proposizione di una nuova domanda, la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere validamente instaurato il giudizio tramite l’atto di riassunzione, applicando la giurisprudenza di legittimità in tema di overruling , atteso che l’arresto richiamato delle Sezioni unite di questa Corte del 2018 è intervenuto successivamente, costituisce un mutamento imprevisto della giurisprudenza precedente ed ha esercitato effetti preclusivi sulla domanda proposta dagli odierni ricorrenti.
Anche questo motivo è infondato.
Il prospective overruling , che permette di considerare produttivo di effetti l’atto processuale posto in essere con modalità e forme ossequiose dell’orientamento giurisprudenziale dominante al momento del compimento dell’atto stesso e poi ripudiato , è invocabile esclusivamente nel caso di un imprevedibile e radicale mutamento della giurisprudenza ( Cass. n. 3436 del 2023; Cass. n. 552 del 2021 ), situazione che non trova riscontro nel caso di specie, non rinvenendosi, come già segnalato, pronunce di questa Corte affermative di un principio contrario al precedente seguito dalla Corte di appello.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 gennaio 2024.
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME