Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19051 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19051 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
Oggetto
R.G.N.1881/2020
COGNOME
Rep.
Ud.08/04/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 1881-2020 proposto da: COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME – ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 245/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 21/06/2019 R.G.N. 6/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La Corte di appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato improponibile la domanda con la quale NOME COGNOME aveva convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE, sua ex datrice di lavoro, chiedendone la condanna al pagamento del trattamento di fine rapporto asseritamente spettante in forza del rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti. La statuizione di improponibilità è stata fondata sulla preclusione ad agire per la rivendicazione del l’emolumento in ogg etto alla luce della pregressa conciliazione giudiziale intervenuta tra le parti.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di dodici motivi dei quali i primi undici distinti in tre gruppi e l’ultimo svolto separatamente da tutti gli altri; la parte intimata ha resistito con controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria
Considerato che
Con il primo gruppo di motivi parte ricorrente deduce: a) omessa disamina di fatti decisivi ai fini del giudizio; b) violazione e falsa applicazione degli artt. 1965, 1362, 1363, 1364 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1 nn. 3 e 5 c.p. c.; c) violazi one e falsa applicazione degli artt. 1418, 1325 e 2110 c.c. della legge n. 297/1982. Con tali motivi, illustrati congiuntamente, viene censurata, sotto vari profili, la sentenza impugnata per avere respinto la eccezione del lavoratore intesa a far valere la irrinunciabilità del diritto al trattamento di fine rapporto, fondata, in sintesi, sul rilievo che tale diritto non era ancora entrato a far parte del patrimonio dell’odierno ricorrente nel momento nel quale era stato stipulato l’accordo concliativo.
Con il secondo gruppo di motivi deduce: a) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1369 c.c. in relazione agli artt. 410 e 411 c.p.c.; b) violazione dell’art. 1418, comma 1 c.c. dell’art. 1965 e s. c.c. dell’art.2113 c.c.; c ) violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c,, degli artt. 1442, 1438, 1428, 1429 c.c.; d) omessa disamina di fatti decisivi ai fini del giudizio. Con tali motivi, illustrati congiuntamente, si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che l ‘oggetto della transazione contemplasse anche il trattamento di fine rapporto.
Con il terzo gruppo di motivi parte ricorrente deduce: a) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1369 c.c. in relazione agli artt. 410 e 411 c.p.c.; b) ) violazione dell’art. 1418, comma 1 c.c. dell’art. 1965 e s. c.c. dell’art.2113 c.c.; c) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e sgg. , dell’art. 2119 c.c,, degli artt. 1442, 1439, 1428, 1429 c.c.; d) omessa disamina di fatti decisivi ai fini del giudizio. Con tali motivi, illustrati congiuntamente, si censura sotto vari profili la complessiva interpretazione dell’accordo conciliativo.
Con l’ultimo motivo si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 comma 4 c.p.c. per essere il dispositivo di improponibilità del ricorso di primo grado, disancorato dalle argomentazioni esposte nella motivazione della sentenza.
I motivi devono essere respinti.
Occorre premettere che la Corte distrettuale, all’esito di argomentata e puntuale disamina del contenuto della conciliazione giudiziale inter partes ha ritenuto che l’assetto di interessi in quella sede definito implicava la piena coscienza e volontà del Folisi di includere nell’oggetto della transazione anche il t.f.r. e ritenuto non dirimente in senso contrario il mero dato
letterale costituito dal difetto di espressa menzione di tale componente nel testo negoziale; in particolare la Corte di merito ha sottolineato la incongruità della opposta interpretazione propugnata dal lavoratore circa la imputazione di parte delle somme percepite ed ha valorizzato il dichiarato carattere omnicomprensivo della somma da questi accettata, accompagnata dalla dichiarazione di non avere null’altro a pretendere <> con espressa rinunzia ad ogni ulteriore azione nascente dal rapporto di lavoro, anche sotto il profilo risarcitorio per asseriti danni.
Tanto premesso, in relazione all’ultimo motivo del ricorso per cassazione, motivo che si esamina con priorità in ragione del carattere dirimente collegato al suo eventuale accoglimento, se ne rileva la infondatezza. A tal fine è sufficiente evidenziare che la statuizione di improponibilità dell’originario ricorso risulta del tutto coerente con la parte motiva della decisione, incentrata sull’accertamento della esis tenza di valido accordo transattivo avente ad oggetto (anche) il t.f.r., conseguendo da tale accertamento la preclusione per il lavoratore ad azionare in via giudiziale la relativa pretesa ( ex plurimis , Cass. 552/1995).
Le censure articolate con gli altri motivi presentano plurimi profili di inammissibilità.
8.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da
offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; il giudizio di legittimità è infatti un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ. (Cass 11603 del 2018 Cass. n. 19959 del 2014, Cass. 21165 del 2013); i motivi d’impugnazione, se prospettano una pluralità di questioni precedute dalla elencazione unitaria delle norme violate, sono inammissibili, in quanto costituiscono una negazione della regola della chiarezza e richiedono un intervento della S.C. volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass., n. 28541/2024, Cass, n. 18021/2016); è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo,
inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse. ( Cass., n.3397/2024, Cass., n. 26874/2018).
8.2. In relazione al vizio di cui all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. è stato chiarito che esso essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 17570/2020, Cass. n. 287/2016; Cass. n. 635/ 2015, Cass. n. 25419/2014; Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010/2012). Quanto all’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, per costante insegnamento del giudice di legittimità esso introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a ire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), specificandosi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così Sez. un. n. 8053/2014; Sez. un. n. 19881/2014); che in tale paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di
deduzioni difensive o di censure proposte (Sez. un. n. 20399/2019). E’ stato, inoltre, precisato che non costituiscono fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio in parola: a) le argomentazioni o deduzioni difensive; b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze astrattamente rilevanti; c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il vario insieme dei materiali di causa; d) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della domanda in sede di gravame (in tal senso, riassuntivamente, Cass. n. 18318/2022; ma v., ex plurimis , in termini analoghi Cass. n. 10321/2023; n. 5616/2023; n. 26364/2022). Infine, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato mentre la denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più
interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’ interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra ( Cass. n. 19044/2010, Cass. n. 15604/2007, in motivazione, Cass. n. 4178/2007) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’ interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. n. 14318/2013, Cass. n. 23635/2010).
8.3. La articolazione dei motivi di ricorso afferenti al primo, al secondo ed al terzo gruppo, non è conforme alle indicazioni del giudice di legittimità. Tali gruppi di motivi si connotano per la enunciazione unitaria in rubrica delle norme violate non seguita dalla separata illustrazione di questioni giuridiche alle stesse rapportabili; parte ricorrente, pur formalmente denunziando violazione e falsa applicazione di plurime norme di diritto, incentra le proprie critiche sull’interpretazione della conc iliazione giudiziale, con riferimento al tema della rinunciabilità del t.f.r. quale diritto non ancora entrato nel patrimonio del lavoratore, al tema della esclusione dello stesso dall’ambito dell’accordo conciliativo. Le argomentazioni spese si sostanziano tuttavia in una lettura meramente contrappositiva a quella fatta propria dal giudice di appello in ordine a l contenuto dell’atto transattivo, lettura non veicolata dalla corretta modalità di deduzione del vizio di violazione delle regole legali di interpretazione, come sopra configurata. Le conclusioni attinte dalla Corte di merito sono frutto di una lettura complessiva delle singole clausole dell’accordo, che tiene conto delle espressioni usate, in particolare in relazione al dichiarato carattere omnicomprensivo della somma ricevuta dal COGNOME, ed offrono una lettura senz’altro congrua della complessiva intesa raggiunta dalle parti anche con riferimento al t.f.r.., in
relazione ad un rapporto di lavoro che veniva risolto contestualmente all’accordo conciliativo.
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna del ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’ 8 aprile 2025 La Presidente
Dott.ssa NOME COGNOME