Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3818 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3818 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
Oggetto: Appalto – Transazione – Obbligazione solidale.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19543/2019 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Bari, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1096/2019, pubblicata il 13/5/2019 e notificata il 13/5/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/1/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con sentenza n. 337 depositata il 27/01/2015, il Tribunale di Bari accolse l’opposizione proposta da COGNOME NOME avverso il decreto ingiuntivo n. 228 del 13/07/2007, emesso dal medesimo Tribunale in favore della società RAGIONE_SOCIALE per l’importo di € 74.001,49 a titolo di saldo compensi per lavori di manutenzione in appalto, revocando il decreto ingiuntivo opposto e condannando l’opponente a pagare, in favore della società, la residua somma di € 5.599,42, e accolse, altresì, la domanda riconvenzionale proposta dal COGNOME, condannando la società opposta e il terzo chiamato, COGNOME NOME, già direttore dei lavori, in solido tra loro, al pagamento, in suo favore, della somma di € 19.734,80 a titolo di risarcimento dei danni per vizi delle opere, rigettando, invece, la domanda riconvenzionale del terzo chiamato per il pagamento dei compensi professionali.
Con atto notificato il 19/02/2015, la Società RAGIONE_SOCIALE propose appello avverso la suddetta sentenza, incardinando un giudizio nel quale si costituì COGNOME NOME, che propose, a sua volta, appello incidentale, depositò atto di transazione stipulato con NOME COGNOME in data 03/04/2015 e relativo assegno, con cui quest’ultimo si obbligava a pagare la somma di € 27.000,00, ed evidenziò che il suo credito ammontava a € 34.700,00 e che residuava un debito di RAGIONE_SOCIALE di € 8.000,00 in virtù della sentenza, mentre la società appellante affermò di voler profittare ex art. 1304 cod. civ. dell’accordo intercorso tra il Fusco e il Caradonna, sostenendo che fosse cessata la materia del contendere con riguardo ai costi per il ripristino dei vizi dell’opera.
Il gravame si concluse con la sentenza n. 1096 del 03/05/2019, con la quale la Corte d’Appello di Bari accolse l’appello principale e, in riforma della sentenza appellata, condannò COGNOME NOME al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di € 28.679,42,
dichiarò cessata la materia del contendere tra le parti in ordine all’appello incidentale proposto dal COGNOME sulla domanda risarcitoria per vizi delle opere in ragione della intervenuta transazione, ossia quella intercorsa tra quest’ultimo e il co -debitore solidale NOME COGNOME della quale la società aveva dichiarato di volere profittare, rigettò le ulteriori questioni proposte con l’appello incidentale e confermò per il resto la sentenza impugnata, compensando le spese del giudizio.
Contro la predetta sentenza, COGNOME Pasquale propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La Società RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso principale, il ricorrente lamenta la violazione e/o errata interpretazione ed applicazione dell’art. 1304 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., perché i giudici di merito, alla stregua dell’atto di transazione intercorso con il direttore dei lavori, NOME COGNOME, del quale la società RAGIONE_SOCIALE aveva affermato di volere profittare, avevano dichiarato la cessazione della materia del contendere solo con riguardo alle proprie domande risarcitorie – legate al lamentato inadempimento delle sue controparti -, anziché con riferimento all’intero giudizio, e avevano, perciò disposto il prosieguo dello stesso relativamente alle domande della società. Ad avviso del ricorrente, invece, la dichiarazione della società, debitrice in solido con il direttore dei lavori, di volere profittare della transazione intercorsa tra quest’ultimo e il ricorrente non poteva che comportare, in applicazione dell’art. 1304 cod. civ., la definizione, tra tutte le parti, di ogni rapporto di debito/credito riguardante l’appalto, senza che rilevasse l’affermazione, contenuta in
sentenza, secondo cui il direttore dei lavori non poteva disporre di un credito non suo, ossia quello della società, giacché era stata proprio quest’ultima ad aderirvi una volta che aveva affermato di volere profittare della transazione.
Col secondo motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione di legge per mancata applicazione alla fattispecie dell’art. 1302 cod. civ. e conseguente errata applicazione dell’art. 1304 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, tenuto conto della transazione intercorsa tra il ricorrente e il debitore in solido-direttore dei lavori, della quale la società aveva dichiarato di volere profittare, avevano ritenuto estinti per intervenuta cessazione della materia del contendere i soli crediti del committente nei confronti dei due debitori solidali, ma non anche i crediti della società, senza considerare che in tal modo si ponevano in contrasto con il disposto dell’art. 1304 cod. civ.. A tal proposito, il ricorrente ha evidenziato come, al momento della transazione, il credito residuo in suo favore, come risultante alla stregua della sentenza del tribunale, ammontava a euro 30.000,00 – dati dalla somma di euro 36.000,00, dovutagli in solido dalla società e dal direttore dei lavori, decurtata della somma di euro 6.000,00 da lui dovuta ai predetti -, sicché il pagamento, da parte di NOME COGNOME, della somma di euro 27.000,00 aveva avuto il significato, in caso di adesione della società all’accordo, di definire qualsiasi reciproca pretesa.
3.1 I primi due motivi del ricorso principale, da trattare congiuntamente in quanto afferenti entrambi alla questione degli effetti dell’art. 1304 cod. civ., presentano motivi di inammissibilità e di infondatezza.
Occorre, innanzitutto, prendere le mosse dalla decisione impugnata, nella quale è detto che la transazione intercorsa tra il COGNOME e il direttore dei lavori COGNOME debitore solidale con la
società RAGIONE_SOCIALE della pretesa risarcitoria del primo, riguardasse l’intero credito maturato dal primo a titolo di risarcimento – in forza della sentenza emessa dal Tribunale -e quello vantato dal secondo a titolo di compensi professionali e non la mera quota del debitore solidale, arguendolo dal fatto che la somma pattiziamente posta a carico del COGNOME, pari a euro 27.000,00, fosse superiore alla presuntiva quota della metà del suo debito complessivamente pretesa a titolo risarcitorio nella misura complessiva di euro 34.000,00.
In ragione di ciò, i giudici di merito hanno ritenuto che il COGNOME non potesse affermare di non avere inteso rinunciare alle sue pretese economiche nei confronti della società, giacché una tale possibilità sarebbe stata percorribile solo nel caso in cui esse fossero state fondate su titolo diverso, e che, pertanto, la transazione dovesse dirsi definitoria della materia del contendere nei soli limiti della domanda risarcitoria proposta dallo stesso COGNOME nei confronti del COGNOME e della società, avendo quest’ultima dichiarato di volerne profittare ex art. 1304 cod. civ., e della domanda per compensi avanzata dal medesimo COGNOME, ma non anche con riguardo al prezzo dell’appalto, giacché i due paciscenti non avrebbero potuto disporre transattivamente anche di un credito altrui.
5.2 Orbene, si osserva in primo luogo come il primo comma dell’art. 1304 cod. civ. consenta, in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti, che il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla stipulazione della transazione tra creditore e uno dei debitori solidali, se ne possa avvalere dichiarando di volerne profittare, ossia esercitando un diritto potestativo che può avere luogo anche nel corso del giudizio e che non è soggetto a termini di decadenza, non costituendo «un’eccezione da far valere nei tempi e nei modi processuali ad
essa pertinenti» (Cass., 25/9/2014, n. 20250; Cass., 18/6/2018, n. 16087).
Come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, la previsione dell’art. 1304, primo comma, cod. civ. si riferisce alla sola transazione che riguardi l’intero debito solidale, ma non anche all’ipotesi in cui abbia ad oggetto unicamente la quota del debitore con cui è stipulata, la quale è certamente ‘configurabile – sempre che, beninteso, l’obbligazione sia per sua natura scindibile e che non si tratti di solidarietà pattuita nell’interesse di uno dei condebitori – quando vi consenta il creditore nel cui interesse il vincolo della solidarietà passiva è concepito, senza che sia necessario postulare un preventivo scioglimento della solidarietà, che ben può invece realizzarsi nel contesto medesimo della transazione (Cass., Sez. U, 30/12/2011, n. 30174; in tal senso si vedano anche Cass. n. 16050 del 2009, Cass. n. 14550 del 2009, Cass. n. 7485 del 2007, Cass. n. 9396 del 2006 e Cass. n. 8946 del 2006), né un’indispensabile diversità dei titoli da cui dipendono le diverse obbligazioni legate dal vincolo della solidarietà, una volta che tale vincolo sia unicamente funzionale ad una migliore realizzazione del credito e nulla perciò valga ad ostacolare la libera esplicazione dell’autonomia negoziale delle parti che intendono escluderlo per una quota parte del credito stesso (Cass., Sez. U, 30/12/2011, n. 30174).
La transazione pro quota , in quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto al debitore che vi aderisce, non può coinvolgere gli altri condebitori, i quali dunque nessun titolo avrebbero per profittarne, salvo ovviamente che per gli effetti derivanti dalla riduzione del loro debito in conseguenza di quanto pagato dal debitore transigente, giacché è la comunanza dell’oggetto della transazione stessa a far sì tale diritto possa essere esercitato dal condebitore solidale, riducendo l’ammontare
dell’intero debito (Cass., Sez. U, 30/12/2011, n. 30174; Cass., Sez. 1, 3/3/2022, n. 7094).
Pertanto, la transazione determina in tal caso esclusivamente lo scioglimento del vincolo della solidarietà passiva, riguardando unicamente il debitore che vi aderisce senza coinvolgere gli altri condebitori, che non hanno alcun titolo per profittarne, e senza vincolare in alcun modo la successiva ripartizione giudiziale della responsabilità tra i condebitori (Cass., Sez. 3, 25/1/2024, n. 2426; Cass., Sez 1, 03/03/2022 , n. 7094), restando siffatta situazione al di fuori del perimetro applicativo del ridetto art. 1304 cod. civ. (Cass., 30/112011, n. 25553, Cass., Sez. un., 30/12/2011, n. 30174; Cass., 17/1/2013, n. 1025; Cass., 11/7/2014, n. 15895; Cass., 30/12/2014, n. 27547; Cass., 27/8/2015, 17240; Cass., 30/9/2015, n. 19541; Cass., 7/10/2015, n. 20107; Cass., 17/11/2016, n. 23418; Cass., 18/6/2018, n. 16087; Cass., 6/7/2020, n. 13877) e imponendo al giudice di verificare se la somma pagata sia pari o superiore alla quota di debito gravante su di lui, oppure sia inferiore, perché, nel primo caso, il debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente a quanto effettivamente pagato dal debitore che ha raggiunto l’accordo transattivo mentre, nel secondo caso, lo stesso debito si riduce in misura corrispondente alla quota gravante su colui che ha transatto (Cass., Sez. U, 30/12/2011, n. 30174; Cass., Sez. 1, 24/9/2021, n. 25980).
Nel caso in cui, invece, la transazione abbia ad oggetto l’intero debito solidale, essa produce i suoi effetti estintivi nei limiti dell’obbligazione solidale e nei confronti di tutti i debitori solidali che dichiarano di volerne profittare e non si estende alla parte dell’obbligazione che non sia solidale perché dovuta esclusivamente da uno dei debitori (Cass., Sez. 3, 1/10/1994, n. 7979; Cass., Sez. 3, 2/8/2000, n. 10115; Cass., Sez. 3, 17/1/2001, n. 10115; Cass.,
Sez. 3, 17/1/2001, n. 573; Cass., Sez. 3, 30/10/2009, n. 23057), sicché la possibilità di profittare della transazione si ha soltanto fino a quando vi sia la solidarietà, mentre la norma resta inapplicabile per la parte di debito relativa a uno soltanto dei condebitori, oltre quella per la quale è solidale.
In siffatta situazione, il debitore solidale, che dichiara di volere profittare della transazione stipulata dall’altro condebitore solidale, rinuncia sostanzialmente alle difese inerenti al rapporto originario nei confronti del creditore ossia a far valere una situazione differente rispetto a quella che emerge dalla transazione, comportando la sua condotta la cessazione della materia del contendere in relazione al giudizio di merito con oggetto incompatibile, nel quale può solo discutersi dei concreti effetti della transazione sul residuo debito dei coobbligati che hanno dichiarato di volerne profittare (Cass., Sez. 3, 1/12/2021, n. 37848).
Lo stabilire, poi, se, in concreto, la transazione tra il creditore e uno dei debitori in solido abbia avuto ad oggetto l’intero debito o solo la quota del debitore transigente comporta, evidentemente, un’indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate negli artt. 1362 e segg. c.c. (Cass., Sez. U, 30/12/2011, n. 30174). Ebbene, a fronte di una pronuncia che ha ritenuto che la transazione intercorsa tra il direttore dei lavori e il committente riguardasse l’intero debito solidale e che, pertanto, la dichiarazione dell’impresa di volerne profittare consentisse alla medesima di avvantaggiarsene soltanto con riferimento alla pretesa risarcitoria di quest’ultimo, lasciando fuori il credito della medesima avente titolo nel compenso dell’appalto, il ricorrente non ha attinto, con la censura, il pronunciamento sulla interpretazione data alla scrittura alla luce delle norme codicistiche sull’interpretazione dei contratti,
avendo sostanzialmente avanzato una pretesa, quella dell’estensione della transazione anche ai crediti non solidali (quelli legati al corrispettivo dell’appalto spettanti all’impresa), che si pone in antitesi con i principi sopra esposti, una volta che, come accaduto, la transazione sia considerata integrale e non parziale.
Consegue da quanto detto l’infondatezza delle censure.
4.1 Con il terzo motivo di ricorso principale, subordinato ai due precedenti, si lamenta la violazione di legge per mancata applicazione alla fattispecie dell’art. 115 cod. proc. civ. e per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, nn. 3-5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, nel conteggio dei rapporti di dare avere con la società RAGIONE_SOCIALE avevano richiamato la fattura finale e riepilogativa degli acconti n. 28 del 28/5/2007, pari a euro 67.818,40 complessivi, emessa dalla società in seguito al collaudo, e dato conto dell’esclusione, tra le somme dovute, di quella di euro 3.080,00 di cui alla fattura n. 9/07 del 2/3/2007, corrisposta a sua volta a titolo di acconto, per poi escludere questa somma dagli acconti, così stabilendo che, a fronte di un valore dell’appalto di euro 95.427,28, la somma da detrarre fosse quella di euro 66.747,86, anziché quella di euro 69.827,86, e condannando il ricorrente al pagamento del residuo di euro 28.679,42, in luogo della somma corretta di euro 25.599,42, così omettendo di porre a fondamento della decisione la documentazione in atti (fatture n. 28 del 28/5/2007 e n. 9 del 2/3/2007).
4.2 Il terzo motivo di ricorso principale è inammissibile per difetto di interesse.
Risulta, infatti, che la sentenza impugnata è stata corretta, su sollecitazione dello stesso COGNOME, con il provvedimento del 14/6/2019, con il quale la Corte d’Appello, preso atto del fatto che
la somma di euro 3.080,00, derivante dalla fattura quietanzata, pur essendo stata esclusa dalle pretese sui saldi avanzate dalla RAGIONE_SOCIALE, non era stata calcolata negli acconti già pagati dal Fusco, ha disposto la correzione della motivazione, aggiungendo dopo l’importo di euro 2009,36, la locuzione ‘nonché ulteriori 3.080,00′, e del dispositivo, sostituendo l’importo di euro 28.669,42 con quello di euro 25.599,42’, con la conseguenza che è venuto meno l’interesse del ricorrente ad una pronuncia sul punto. 5.1 Con l’unico motivo di ricorso incidentale, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 6, 7, 7ter , 13, 14, 16, 17, 18 e 21 d.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza n. 1096/19 in ordine all’esatta quantificazione del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione nei confronti di COGNOME Pasquale alla luce degli acconti effettivamente pagati da quest’ultimo, in relazione all’art. 360, n. 3-5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano ritenuto erroneamente di quantificare l’importo dovuto a saldo dal ricorrente dapprima in euro 28.679,72 e poi, con l’ordinanza di correzione, in euro 25.599,42, oltre Iva al 10 %, prendendo in considerazione dati numerici tra loro non omogenei sotto il profilo dell’Iva, in quanto avevano considerato quale minuendo l’importo di euro 95.427,28, quale somma complessivamente dovuta alla società al netto di Iva, per poi sottrarre gli acconti versati nella misura di euro 67.818,40, Iva inclusa, nonché l’ulteriore importo di euro 2.009,46 (pari alle somme anticipate dal RAGIONE_SOCIALE per conto della società), sempre Iva inclusa, così pervenendo al risultato errato della somma ancora dovuta di euro 25.599,42, senza considerare che l’Iva riportata nelle cinque fatture considerate (così come quella dell’importo di euro 2.009,46) non poteva essere detratta, non costituendo acconto in favore della società. Ad avviso della ricorrente
incidentale, infatti, i giudici, nel calcolare il saldo, avrebbero dovuto considerare come minuendo l’importo netto di euro 95.427,28 (costo Iva esclusa) e da questo sottrarre la somma di euro 60.763,82 (ossia gli acconti netti versati dal Fusco) Iva esclusa, nonché l’ulteriore importo netto di euro 1.808,51 (pari alla somma di euro 2.009,46 anticipata dal Fusco decurtata dell’Iva), al fine di pervenire all’importo netto, ancora dovuto, di euro 32.854,95, oltre Iva, somma che si sarebbe potuta calcolare anche considerando tutti gli importi esaminati con aggiunta dell’Iva per ciascuno di essi. La ricorrente incidentale ha, infine, insistito perché la sua controparte venisse condannata al pagamento delle spese e competenze del sub procedimento ex art. 373 cod. proc. civ. celebratosi davanti alla Corte d’Appello (n. 1133/2019), attivato da quest’ultima e conclusosi con il rigetto della domanda, disposto con ordinanza del 31/7/2019.
5.2 Il ricorso incidentale è fondato.
Come si legge nella sentenza impugnata, i giudici di merito, partendo dalle fatture emesse dalla società in relazione ai pagamenti effettuati dal committente in acconto (nn. 11, 38, 42, 8 e 9), ciascuna delle quali prevedeva un importo totale comprensivo di Iva, e da quella riepilogativa emessa in seguito ai collaudi per complessivi euro 70.921,48, hanno ritenuto che, a fronte di un valore dell’appalto di euro 95.427,28, il totale complessivo degli acconti ricevuti dalla società fosse pari a euro 66.747,86, cui era stata aggiunta, in sede di correzione di errore materiale, la somma di euro 3.080,00, per un totale di euro 69.827,86, con la conseguenza che il Fusco era stato ritenuto obbligato a corrispondere alla società il saldo di euro 25.599,42 (non più di euro 28.679,42 come indicato in sentenza), oltre l’Iva al 10%.
Nella stessa sentenza è specificato che le fatture esaminate, sulle quali era stato fatto il calcolo degli acconti, riportavano già l’Iva,
mentre l’importo totale dei lavori era stato calcolato dal c.t.u. al netto di Iva, sicché l’importo ancora dovuto era stato fatto sottraendo all’importo totale (al netto di Iva), l’importo degli acconti (comprensivo di Iva), su quale si sarebbe dovuta aggiungere l’Iva al 10%.
Questa modalità di calcolo non può però considerarsi correttamente eseguita, in quanto non tiene conto del fatto che il credito di rivalsa Iva, generato dall’emissione di fattura all’atto del pagamento o di perfezionamento del servizio, è autonomo rispetto alla prestazione, sebbene ad essa soggettivamente e funzionalmente connesso (Cass., Sez. 2, 23/7/2013, n. 17876), in quanto mentre il corrispettivo di quest’ultima trova il proprio titolo diretto ed immediato nel negozio concluso dalle parti, il primo deriva direttamente dalla legge, ancorché sul presupposto di un negozio implicante la realizzazione di un’opera (Cass., Sez. 2, 7/3/1997, n. 2041; Cass., Sez. 1, 24/5/2007, n. 121629).
Da ciò consegue che, al fine di accertare il residuo corrispettivo dovuto dal committente all’appaltatore, non possono imputarsi le somme versate per I.V.A. sugli importi già fatturati e corrisposti, giacché in tal modo si immuta la natura del debito per I.V.A. attribuendogli, di fatto, la stessa natura del debito per corrispettivo (Cass., Sez. 2, 7/3/1997, n. 2041; Cass., Sez. 1, 24/5/2007, n. 121629).
Pertanto, il giudice, al fine di non incorrere in tale violazione, è tenuto a calcolare distintamente le somme corrisposte per sorte e quelle afferenti al rimborso dell’Iva anticipata sulle somme fatturate (Cass., Sez. 2, 7/3/1997, n. 2041; Cass., Sez. 1, 24/5/2007, n. 121629), le quali ultime rientrano nell’ambito del rapporto privatistico fra soggetto attivo e soggetto passivo della rivalsa, aggiungendosi l’obbligazione ex lege del committente
all’ammontare del corrispettivo e rimanendo soggetta al relativo regime civilistico (Cass., Sez. 1, 15/09/2004, n. 18577).
In ragione di quanto detto, la censura deve essere accolta.
6. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo e secondo motivo di ricorso principale e l’inammissibilità del terzo, e la fondatezza di quello incidentale, il ricorso principale deve essere rigettato, mentre deve trovare accoglimento quello incidentale, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, accoglie quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29/1/2025.