Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10704 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10704 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 01317/2021
promosso da
ERAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentat o e difeso dall’avv. prof. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
Regione del Veneto , in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa all’avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2744/2020 della Corte d’ appello di Venezia, pubblicata il 29/09/2020, notificata il 02/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La RAGIONE_SOCIALE (di seguito, RAGIONE_SOCIALE ha impugnato davanti alla Corte territoriale di Venezia la sentenza n. 3351/2016, con la quale il Tribunale
della stessa città aveva accolto l’opposizione proposta dalla Regione del Veneto (di seguito, Regione) contro il decreto ingiuntivo n. 3008/2014, emesso in favore dell’E.N.A.I.P. (di seguito, RAGIONE_SOCIALE) , per il pagamento dell’importo di € 175.859,84, oltre interessi legali dal deposito del ricorso al saldo, a titolo di interessi di mora ex artt. 4 e 5 d.lgs. n. 231 del 2002 per la ritardata corresponsione delle somme erogate dalla Regione a titolo di acconto sui contributi pubblici per lo svolgimento dei corsi di istruzione e formazione professionale del primo anno del ‘ Piano Area Giovani Corso 2010/2011’ , il cui progetto era stato approvato con la determinazione D.G.R. n. 765/2010, poi seguita dal l’atto di adesione della ENAIP .
L’appellat a si è costituita, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La Corte territoriale, con la sentenza indicata in epigrafe ha respinto il gravame.
La menzionata Corte ha, in particolare, ritenuto, circa la mancata applicazione degli interessi ex d.lgs. n. 231 del 2002, che le somme erogate dovevano considerarsi come finanziamento pubblico, e non come corrispettivo per prestazione di servizi, richiamando la circolare 20/E del maggio 2015 dell’Agenzia delle Entrate, che aveva chiarito come, nei casi in cui l’Amministrazione eroghi somme di denaro in base all’art. 12 l. n. 241 del 1990 (provvedimenti amministrativi attributivi di vantaggi economici), tali somme devono essere qualificate come contributi pubblici, non suscettibili di applicazione dell’IVA.
Secondo il Giudice del gravame, la norma in questione trova applicazione nei casi in cui la Pubblica Amministrazione promuova attività e realizzi opere e servizi di rilevante interesse generale, come quello scolastico, educativo e della formazione professionale, evidenziando che la procedura di affidamento di tali attività si svolge attraverso l’adozione di un avviso pubblico per la presentazione, da parte degli enti privati che operano nel settore della formazione, di progetti formativi di diverso livello, e che, nell’avviso pubblico sono stabiliti e resi pubblici i requisiti e
le modalità, da seguire, per ottenere le sovvenzioni e i contributi, oltre ai criteri in base ai quali viene selezionato il progetto formativo meritevole del finanziamento pubblico.
La stessa Corte di merito ha ricordato che la circolare n. 34/E del 2013 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’art. 12 l. n. 241 del 1990 riconduce tra le funzioni amministrative quelle relative all’attribuzione di vantaggi economici e prescrive che tale funzione sia esercitata nella forma del procedimento amministrativo, per cui il rapporto tra l’Amministrazione e l’ente destinatario del finanziamento pubblico non ha natura sinallagmatica di contratto a prestazioni corrispettive. L’ erogazione è, infatti, diretta a finanziare servizi da elargire nei confronti dei beneficiari che, nel caso dei servizi didattici e di formazione professionale, sono costituiti dai fruitori delle prestazioni rese dal soggetto che ottiene il contributo. Gli importi in questione sono erogati dal soggetto pubblico nell’ambito di un rapporto di natura concessoria per la gestione di un servizio di interesse generale finalizzato all’organizzazione del sistema educativo, di istruzione e di formazione.
Ad opinione della menzionata Corte, il discrimine tra corrispettivi e contributi non aventi natura di corrispettivo si configura quando la Pubblica Amministrazione agisce in base all ‘ art. 12 l. n. 241 del 1990, cioè quando eroga contributi, non in base al ‘c odice degli appalti ‘ , ma attraverso concessione di sovvenzioni, contributi e sussidi a soggetti o enti pubblici o privati, in relazione alle quali le Amministrazioni devono attenersi ai criteri di garanzia, di trasparenza ed imparzialità, operanti nel procedimento amministrativo.
A tali ipotesi, per la stessa Corte, vanno assimilati i casi in cui il contributo è definito a livello comunitario e attuato nell’ordinamento attraverso bandi o delibere di organi pubblici, poiché anche in quei casi i contributi erogati non hanno natura di corrispettivo, per cui
l’Amministrazione può prevedere meccanismi di controllo sulla corretta rendicontazione.
La Corte d’appello ha, quindi, ritenuto che, n ella fattispecie esaminata, si debba escludere l’applicabilità della normativa sull ‘ appalto, trattandosi di un contributo erogato in base ad avviso pubblico, attinente alla presentazione di progetti formativi, con determinati capitoli di spesa stanziati per il perseguimento di obiettivi rientranti, peraltro, nella regolamentazione comunitaria.
Con riguardo alla decorrenza degli interessi ex art. 1282 c.c. sulle somme, dovute a titolo di anticipi e acconti, e non a saldo, la Corte distrettuale ha richiamato alcuni precedenti di legittimità, affermando che i debiti della Pubblica Amministrazione diventano esigibili solo quando sia emesso il relativo titolo di spesa, ossia quando l’ente erogatore emetta il mandato di pagamento, esaurita la fase di accertamento del credito con il compimento di tutti gli atti che la legge prescrive affinché il pagamento sia autorizzato.
La Corte territoriale ha, inoltre, ricordato che, proprio per crediti nei confronti della Regione per prestazioni effettuate nell’ambito della formazione professionale, questa Corte di cassazione ha già affermato che non basta la presentazione del rendiconto, ma è necessario che esso venga approvato dalla Giunta regionale, con la conseguenza che, solo all’esito di tale procedura di verifica, con la definitiva determinazione del residuo importo del contributo, la posizione del soggetto beneficiario diviene di diritto soggettivo, divenendo certo, liquido ed esigibile il suo credito.
Passando ad esaminare la fattispecie, la Corte d’appello ha ritenuto non dovuti né gli interessi ex d.lgs. n. 231 del 2002, né gli interessi legali ex art. 1282 c.c. e 1283 c.c. perché le somme stabilite a titolo di anticipo erano state pagate ben prima della rendicontazione finale, avvenuta il 25/09/2012, come riconosciuto dallo stesso appellante.
Avverso tale statuizione l ‘ENAIP ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di censura.
La Regione del Veneto si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto -e in particolare dell’art. 12 l. 7 agosto 1990, n. 241, degli artt. 1 e 2 d.lgs. 9 ottobre 2002 n. 231, dei considerando nn. 7 e 22 e degli artt. 1 e 2 della Direttiva n. 2000/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, nonché degli artt. 2, 3, 20, 21, 65, 68, 225 e dell’allegato IIB del d.lgs. n. 163 del 2006, degli artt. 1, comma 1, lett. d) e 9 e dell’allegato IB della Direttiva n. 92/50/CE del Consiglio e degli artt. 1, comma 1, lett. d) e 21 e dell’allegato 118 della Direttiva n. 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’art. 5 l. 21 dicembre 1978, n. 845, dell ‘ art. 2 l. 28 marzo 2003, n. 53, degli artt. 9 e 11 l.r. Veneto 30 gennaio 1990, n. 10, degli artt. 1 ss. l. r. Veneto 9 agosto 2002 n. 19 (che disciplina l’erogazione dei servizi di istruzione professionale per l’assolvimento dell’obbligo scolastico), oltre che dell’art. 33 Cost. – con riferimento al capo della sentenza impugnata che ha escluso ‘ i servizi di istruzione e formazione professionale per l’adempimento dell’obbligo scolastico ‘ dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 231 del 2002, non sussistendo alcuna ragione per differenziare tali prestazioni dagli altri servizi pubblici pacificamente soggetti all’applicazione del d.lgs. n. 231 del 2002, trattandosi di servizi disciplinati in modo espresso dal Codice degli appalti, che la Regione Veneto, in base alla normativa nazionale e regionale, ha scelto di far svolgere al privato dietro corrispettivo, anziché erogare direttamente, non diversamente da quanto accade per i servizi sanitari affidati ai privati, per i quali la giurisprudenza non dubita dell’assoggettamento alla disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del 2002.
Secondo il ricorrente, la Regione ha operato come committente dei servizi di istruzione e formazione professionale, da erogare a favore di terzi, per i quali ha previsto un corrispettivo, calcolato tenendo conto del numero delle ore, del numero degli allievi e del tipo di corso, nonché dei costi indiretti calcolati forfettariamente, ove l’ente erogatore, si è obbligato nei confronti della Regione a ll’esecuzione .
In tale ottica, non assume rilievo, per il ricorrente, il fatto che si tratti di servizio prestato nell’interesse generale, tenuto conto che le disposizioni nazionali devono essere interpretate in senso conforme alla Direttiva 2000/35/CE, alla successiva Direttiva 2011/7/UE e alla Risoluzione 17/01/2019, ove si è precisato che è proprio nei confronti degli enti pubblici che deve essere prestata particolare attenzione al fine di evitare i ritardi nei pagamenti (punto 21 della Risoluzione del Parlamento europeo del 17/01/2019).
Ad opinione della stessa parte, neppure la qualificazione del rapporto in termini concessori porterebbe a conclusioni diverse, poiché anche in questo caso vi è la conclusione di un contratto tra Amministrazione e impresa, che comporta in via esclusiva o prevalente la prestazione di servizi, come previsto dall’art. 2 d.lgs. n. 231 del 2002 , tenuto conto che una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che ha confermato l’applicazione del d.lgs. n. 231 del 2002 ai servizi sanitari svolti dai privati accreditati in base a convenzioni stipulate con la PA.
Con il secondo motivo è dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 4 e 7 d.lgs. n. 231 del 2002, dell’art. 3 della Direttiva n. 2000/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio e dell’art. 1224 c.c., con riferimento al capo di sentenza che esclude la sussistenza di un diritto soggettivo dell’Ente di formazione al pagamento dei corrispettivi prima dell ‘emissione del titolo di spesa e prima dell’approvazione del rendiconto finale , nonostante, in base al d.lgs. n.
231 del 2002, gli interessi di mora decorrano automaticamente anche nei confronti della Pubblica amministrazione per il solo fatto dell’inadempimento.
Con il terzo motivo di ricorso è denunciato il vizio di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, commi 1 e 2, 1363, 1366, 1367, 1370 c.c., nonché dell’art. 1341 c.c., con riferimento al capo della sentenza che esclude la sussistenza di un diritto soggettivo dell’ente di formazione al pagamento dei corrispettivi a titolo di anticipi e acconti in data precedente all’approvazione del rendiconto, violando, i criteri di ermeneutica contrattuale nell’interpretazione delle Delibere di Giunta regionale, che hanno regolato la fattispecie, la cui corretta lettura avrebbe dovuto condurre ad accertare la sussistenza di un diritto soggettivo dell ‘e nte agli anticipi e agli acconti in presenza dei presupposti previsti dalle menzionate Delibere, tenendo conto del criterio letterale e del complessivo comportamento delle parti ai sensi dell’art. 1362 c.c., oltre che degli art. 1363, 1366 e 1367 c.c. e 1370 c.c., aggiungendo che escludere l’esi s tenza di un diritto dell’ente di formazione ai pagamenti parziali integrerebbe una condizione generale di contratto di carattere vessatorio.
Con il quarto motivo di ricorso è, infine, dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, consistente nel fatto che le Delibere di Giunta regionale, regolatrici del rapporto, avevano subordinato all’approvazione del rendiconto il solo saldo, non i pagamenti parziali (anticipi e acconti), che erano, invece, dovuti al verificarsi dei presupposti espressamente previsti al punto C.25 dell’ allegato C alla DGRV n. 804/2010 (doc. 1 del fascicoletto allegato al ricorso per cassazione), nella specie pacificamente sussistenti.
Il primo motivo di ricorso è infondato per le ragioni di seguito evidenziate.
2.1. Com’è noto , il d.lgs. n. 231 del 2002 ha recepito la Direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29/06/, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (poi modificata dalla Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011, recepita dal d.lgs. n. 192 del 2012, non applicabile alla fattispecie ratione temporis ).
L’ art. 1 d.lgs. n. 231 del 2002, nel testo applicabile ratione temporis , previgente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 192 del 2013, «si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale» (art. 1 d.lgs. cit.).
Ai sensi dell’art. 2. d.lgs. cit. costituiscono transazioni commerciali «i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo»
Lo stesso articolo definisce, poi, la nozione di pubblica amministrazione e di imprenditore , individuando in quest’ultimo ogni soggetto esercente un ‘a ttività economica organizzata o una libera professione.
2.2. Ai fini della decisione assume rilievo decisivo definire la nozione di transazione commerciale.
In primo luogo, come sopra evidenziato, il d.lgs. ha precisato che deve trattarsi di un contratto, il quale deve poi connotarsi per due caratteristiche: 1) la previsione della consegna di merci o della prestazione di servizi in via esclusiva o anche solo prevalente; 2) il pagamento di un prezzo a titolo di corrispettivo.
Com’è noto, la corrispettività delle prestazioni contrattuali sta a significare che la prestazione di una parte trova remunerazione nella prestazione dell’altra.
I contratti a prestazioni corrispettive sono anche detti sinallagmatici, in quanto connotati da un nesso di reciprocità, comprendendo principalmente i contratti di scambio, quelli di concessione in godimento e di servizi a titolo oneroso, ove la prestazione di una parte è compensata dalla controprestazione dell’altra.
2.3. In tale quadro, la giurisprudenza di legittimità ha affermato l’applicabilità degli interessi previsti dal d.lgs. n. 231 del 2002 ai crediti derivanti dall’erogazione di prestazioni sanitarie da parte di strutture private accreditate col SSN, sia pure in presenza di determinati presupposti.
In particolare, le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente ritenuto che l’erogazione di tali prestazioni rientra nella nozione di transazione commerciale, ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 231 del 2002, quando siano prestate in base a un contratto -accessivo all’accreditamento – concluso in forma scritta con la PA, dopo l ‘entrata in vigore del d.lgs. cit., avendo tale contratto la natura di contratto a favore di terzi ad esecuzione continuata, contenente la previsione dell’obbligo di pagamento di un corrispettivo, la cui ritardata esecuzione comporta il riconoscimento degli interessi moratori ex art. 5 d.lgs. cit. (Cass., Sez. U, Sentenza n. 35092 del 14/12/2023).
Le Sezioni Unite hanno precisato che, mediante l’accreditamento, le strutture autorizzate acquisiscono lo status di soggetto idoneo a erogare prestazioni e servizi sanitari per conto del SSN, ma poi l’abilitazione a fornire, in concreto, prestazioni a carico del SSN deriva loro dalla stipula di accordi contrattuali che, ai sensi dell’art. 8 quinquies d.lgs. n. 502 del 1992, definiscono i programmi di attività, con indicazione dei volumi e delle tipologie di prestazioni erogabili.
Il rapporto tra la PA e il privato erogatore dei servizi non si arresta a livello provvedimentale, ma percorre una sequenza gestionale in cui dall’esercizio dello ius imperii si passa all’esercizio dello i us privatorum ,
con la stipula di un apposito negozio con il soggetto, cui è stata conferita la concessione, per regolamentare, su un piano ora tendenzialmente paritario, la gestione della concessione stessa.
La sequenza delle cosiddette 3 A – autorizzazione, accreditamento, accordo -termina con la stipulazione di quello che, se l’accreditato è un soggetto privato, si qualifica e assume la forma di un contratto, da redigere per iscritto, nel quale, tenendo conto della programmazione regionale e delle relative delibere della Giunta regionale, quelle che sono così diventate le parti di un negozio bilaterale determinano il contenuto degli obblighi che l’accreditato assume a favore degli utenti del Servizio sanitario, nonché il conseguente corrispettivo che l’ente pubblico a sua volta si obbliga a corrispondere.
2.4. Per verificare la sussistenza, nella fattispecie, di una transazione commerciale occorre tenere conto della disciplina che governa il sistema regionale di istruzione e formazione professionale, verificando come nella specie si siano articolati i rapporti giuridici tra le parti.
2.5. Com’è noto, l’obbligo di istruzione e l’obbligo di formazione sono stati unificati, con la l. n. 53 del 2003 e con i successivi decreti attuativi, nel diritto-dovere all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età.
Ai sensi dell’art. 1, d.lgs. n. 226 del 200 5, recante norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, l’obbligo di istruzione, che si completa con l’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, può essere assolto:
-nel sistema scolastico di durata quinquennale (licei, istituti tecnici, istituti professionali) finalizzato al conseguimento di un diploma di scuola secondaria superiore che consente l’accesso all’istruzione superiore;
-nel sistema regionale di istruzione e formazione professionale di cui al d.lgs. n. 226 del 2005, di durata triennale o quadriennale (IeFP).
L’istruzione e formazione professionale si articola in percorsi di durata triennale finalizzati al conseguimento di una qualifica professionale (livello EQF 3) o di durata quadriennale (livello EQF 4), finalizzati al conseguimento di un diploma professionale.
Successivamente al conseguimento del diploma professionale è possibile frequentare un anno integrativo finalizzato al conseguimento della maturità professionale, anche ai fini dell’accesso all’istruzione superiore.
L ‘ assolvimento del diritto-dovere e il conseguimento dei relativi titoli di studio si realizza anche attraverso periodi di alternanza scuola-lavoro e, a partire dal quindicesimo anno di età, può essere svolto attraverso un contratto di apprendistato, ai sensi del d.lgs. n. 81 del 2015.
Il d.lgs. n. 226 del 2005 è uno dei decreti attuativi della l. n 53 del 2003, il quale, disciplinando i percorsi di istruzione e formazione professionale, a ll’art. 15 , ha stabilito che, n ell’esercizio delle competenze legislative esclusive in materia di istruzione e formazione professionale e nella organizzazione del relativo servizio, le Regioni assicurano i livelli essenziali delle prestazioni, poi descritti negli articoli successivi. La menzionata norma precisa anche che i livelli essenziali costituiscono i requisiti per l’accreditamento da parte delle Regioni (e delle Province autonome) delle istituzioni che realizzano i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Con legge regionale n. 19 del 2002, la Regione Veneto ha istituito l’elenco regionale degli organismi di formazione professionale accreditati.
In particolare, l’art. 1, comma 1, l.r. cit., ha previsto quanto segue: «1. Al fine di garantire standard di qualità dei soggetti attuatori nel sistema di formazione professionale, è istituito presso la Giunta regionale l’elenco regionale degli organismi di formazione accreditati.»
Particolare rilievo assume quanto stabilito al successivo comma 2 dello stesso articolo, ove si legge che «L’iscrizione nell’elenco regionale di cui al comma 1 comporta l’accreditamento dei soggetti iscritti che possono realizzare interventi di formazione e di orientamento finanziati con risorse pubbliche, ovvero interventi di formazione riconosciuti ai sensi dell’articolo 19 della legge regionale 30 gennaio 1990, n. 10 ‘ Ordinamento del sistema di formazione professionale e organizzazione delle politiche regionali del lavoro ‘ , e successive modificazioni e integrazioni, nel rispetto degli obiettivi della programmazione regionale.»
Con l’ art. 19 l.r. n. 10 del 1990, appena richiamato, la Regione Veneto ha disciplinato le attività libere di formazione professionale, stabilendo che la Giunta regionale, verificati determinati requisiti e condizioni, opera, su richiesta, il riconoscimento dei corsi e delle iniziative formative svolte da enti, istituzioni, associazioni, imprese o privati, operanti in ambito regionale, precisando che il riconoscimento non comporta l’erogazione di alcun contributo da parte della Regione.
In sintesi, i l sistema dell’istruzione e formazione professionale gestito dalla Regione Veneto prevede il necessario accreditamento per tutti i soggetti che erogano servizi di formazione professionale, i quali, poi, si distinguono tra coloro che realizzano interventi di formazione o orientamento finanziati da risorse pubbliche e coloro che organizzano interventi formativi che, pur riconosciuti, non fruiscono di alcun finanziamento pubblico.
2.5. La controversia oggetto di giudizio riguarda un intervento di istruzione e formazione professionale organizzato dalla Regione Veneto, indirizzato ai giovani soggetti ad obbligo scolastico, finanziato con fondi statali e regionali. Si tratta, in particolare, dell’intervento formativo di primo anno del ‘Piano Annuale di Formazione Iniziale 2010/2011’ .
L o svolgimento dell’ iter procedimentale non è controverso ed è stato descritto da entrambe le parti.
La Regione, con DGR n. 1485/2010 ha approvato il bando per la presentazione di progetti formativi relativi al menzionato percorso di formazione, in attuazione dell’Accordo in Conferenza Stato Regioni, disciplinando la presentazione delle domande di finanziamento da parte degli enti accreditati o in corso di accreditamento (doc. 1 fascicoletto depositato con il ricorso per cassazione).
Alla menzionata delibera risulta allegata, oltre al bando (all. A), una Direttiva per la presentazione dei progetti formativi (all. B), mentre, per quanto riguarda gli adempimenti relativi alla gestione e alla rendicontazione delle attività, la stessa delibera ha richiamato l’allegato C alla DGR 804/2010, operando anche alcuni correttivi.
Dall’esame di quest’ultimo allegato, si evince chiaramente che, come dedotto dalla controricorrente, il finanziamento è determinato in base ai costi, diretti e indiretti, della realizzazione del progetto formativo (doc. 3 fascicoletto depositato con il ricorso per cassazione).
Presentati i progetti, all’esito dell’ istruttoria, la Regione ha individuato i progetti ammessi e finanziati, tra cui quello del ricorrente (doc. 2 fascicoletto depositato con il ricorso per cassazione).
Il legale rappresentante del l’ ente ha, quindi, sottoscritto un atto unilaterale, con il quale si è impegnato a realizzare le attività in conformità al progetto approvato, oltre che a conformarsi quanto stabilito dalle normative, nazionali e regionali, dichiarando di essere consapevole che, in caso di violazioni, il finanziamento avrebbe potuto essere revocato (doc. 4 fascicoletto allegato al ricorso per cassazione).
2.5. Il ricorrente ha dedotto l’applicabilità della disciplina prevista dal d.lgs. n. 231 del 2002, affermando che la Regione ha operato come committente di un servizio reperibile nel mercato e che l’ENAIP si è obbligato ad eseguire tale servizio, garantendo dei livelli qualitativi e quantitativi predeterminati nelle delibere della Giunta Regionale, ottenendo in cambio la corresponsione dalla Regione di un importo
calcolato tenendo conto delle ore, del numero degli allievi e del tipo di corso, nonché dei costi indiretti calcolati forfettariamente, così facendo emergere quel nesso di corrispettività proprio delle transazioni commerciali, confermato anche dal fatto che la Regione ha previsto la risoluzione del rapporto in caso di inadempimento.
2.6. Tale prospettazione non può essere condivisa.
Come sopra evidenziato, per ritenere che si tratta di una transazione commerciale, agli effetti del d.lgs. n. 231 del 2002, occorre accertare l’esistenza di un contratto intercorso tra le parti, ove le parti contraenti hanno previsto l’esecuzione di determinate ha come corrispettivo il pagamento di un prezzo.
Il ricorrente ha prospettato l’esistenza di un ‘rapporto’ contrattuale , avente le caratteristiche della transazione commerciale, come definita dall’art. 2 d.lgs. n. 231 del 2002, ma non ha neppure dedotto l’esistenza di un contratto sottoscritto dalle parti che potesse essere valutato a tal fine.
Dalle stesse allegazioni di parte, emerge l’avvio di una procedura pubblica per il finanziamento di progetti formativi, in relazione al quale il ricorrente ha presentato la domanda, che è stata accolta, seguita dalla sottoscrizione di un atto unilaterale, e non di un contratto, da parte del ricorrente.
Quest’ultimo, nel menzionato atto unilaterale, si è impegnato a dare attuazione al progetto approvato, nel rispetto delle norme generali e delle previsioni del bando, nella dichiarata consapevolezza che le violazioni potrebbero comportare la revoca del finanziamento (doc. 5 e doc. 7 del fascicoletto allegato al ricorso per cassazione).
Correttamente il giudice di merito ha escluso che la somma attribuita al ricorrente fosse il corrispettivo pattuito per la prestazione di un servizio, la formazione professionale, non risultando alcun accordo in tal senso, emergendo, anzi, dagli atti sopra descritti che si è trattato di una
procedura amministrativa per l’erogazione di un contributo pubblico, erogato al soggetto che si è offerto di svolgere l’ attività di formazione e che all’esito di detta procedura è risultato avere i requisiti richiesti .
Come sopra evidenziato, la Regione è portatrice, per legge, dell’interesse pubblico alla realizzazione dei corsi di formazione professionale in questione, indirizzati ai giovani soggetti ad obbligo scolastico, ed è per questo che, come previsto dalla l.r. n. 19 del 2002, procede al finanziamento a fondo perduto dei progetti formativi che rispettino i livelli essenziali delle prestazioni richiesti dalla legge e dal bando, conservando poteri di vigilanza e di controllo sull’attività che viene svolta, oltre che di revoca del beneficio concesso in caso di violazioni del privato.
Il finanziamento non è un corrispettivo pattuito in condizioni di parità tra privato e PA, ma una sovvenzione che l’Amministrazione eroga per coprire i costi del beneficiario, all’esito di un procedimento amministrativo, in cui vengono verificati tutti i r equisiti per l’approvazione del progetto.
La fattispecie è del tutto diversa da quella esaminata dalla giurisprudenza, riguardante l’erogazione di prestazioni sanitarie in regime di accreditamento, ove, come sopra evidenziato, la spettanza degli interessi ex d.lgs. n. 231 del 2002 è subordinata alla stipula di un contratto scritto avente ad oggetto la determinazione del prezzo per le prestazioni eseguite e del tetto massimo di spesa.
Il secondo motivo di ricorso è anch’esso infondato.
La censura presuppone l’operatività della disciplina prevista dal d.lgs. n. 231 del 2002, che non richiede la costituzione in mora ai fini della decorrenza degli interessi, ma tale operatività , come emerso dall’esame del primo motivo di ricorso, è stata legittimamente esclusa dalla Corte d’appello .
Il terzo motivo è inammissibile perché non attinge la ratio sottesa alla decisione assunta.
L a Corte d’appello ha dapprima ritenuto che tutti i crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione diventano esigibili, e quindi possono produrre interessi, « solo quando sia stato emesso il relativo titolo di spesa, ossia fino a quando l’ente erogatore non emetta il mandato di pagamento e non si esaurisca la fase di accertamento della sussistenza del credito con il compimento di tutti gli atti che la legge prescrive affinché il pagamento sia autorizzato…» .
Poi, con specifico riferimento ai crediti per formazione professionale, ha aggiunto che «… Solo se al momento dell’approvazione del rendiconto finale non fossero stati già erogati gli anticipi sorgerebbe il diritto soggettivo agli interessi legali sulle somme a titolo di anticipo o di acconto non ancora liquidate».
La stessa Corte ha, quindi, concluso che «Nel caso di specie non sono dovuti né gli interessi ex D.lgs. n. 241/2002, né gli interessi legali ex art. 1282 c.c. e 1283 c.c. perché le somme dovute a titolo di anticipo sono state pagate ben prima della rendicontazione finale, avvenuta il 25/09/2012, come riconosciuto dall’appellante.»
Il ricorrente ha formulato la censura in esame, ritenendo che la Corte d’appello non ha applicato i corretti criteri legali di ermeneutica contrattuale (in riferimento soprattutto al contenuto dell’Allegato C della DGRV n. 804/2010, ove sono disciplinate le modalità di erogazione d ell’anticipo, dell’acconto e del saldo ).
In questo modo, tuttavia, la parte non ha attinto la ratio sottesa alla decisione impugnata, che non si fonda su ll’ interpretazione delle clausole degli atti amministrativi menzionati, ma sulla natura dei crediti vantati nei confronti della PA, rendendo inammissibile la doglianza.
Anche il quarto motivo è inammissibile.
La censura non coglie la ratio della decisione che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, è chiaramente riferita proprio alla decorrenza degli interessi sulle somme dovute a titolo di anticipi o acconti, tenuto conto che la Corte d’appello , come sopra evidenziato, ha affermato che anche per tali somme l’esigibilità interviene al momento dell’approvazione del rendiconto .
In considerazione della novità delle questioni affrontate con il primo motivo di ricorso, sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite tra le parti.
In applicazione dell’art. 13, co mma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese di lite;
dà atto, i n applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile