Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20807 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20807 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
Oggetto: Confini e distanze
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 38081/2019 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
DI COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
DI NOME
-intimata – per la cassazione della sentenza n. 1541/2019 resa dalla Corte di appello di L’Aquila, pubblicata il 27/9/2019 e notificata il 8/10/2019;
udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 29/5/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venisse dichiarato inammissibile o rigettato;
lette le memorie depositate da entrambe le parti;
sentiti i difensori presenti.
Fatti di causa
1. NOME COGNOME premesso di essere proprietario di più fondi con sovrastante fabbricato, siti in Comune di L’Aquila, identificato nel NCEU al foglio 101, particelle 1752 e 1406, convenne in giudizio NOME Paola e NOME NOME perché venisse accertato l’esatto confine tra il proprio immobile e il fabbricato di loro proprietà, identificato nel NCEU al foglio 101, particella 1753, perché, in esito, venisse disposto l’arretramento a distanza di legge, con parziale demolizione, della nuova costruzione da essi realizzata, perché venisse pronunciata la condanna dei predetti al rilascio della grotta sotterranea di sua esclusiva proprietà e, in subordine, al ripristino dello stato ante operam del fabbricato anche al fine di assicurarne la staticità, oltre al risarcimento dei danni materiali.
Costituitisi in giudizio, COGNOME NOME e COGNOME NOME Giuseppe aderirono alla domanda formulata ex art. 950 cod. civ., chiesero che venisse dichiarata la legittimità delle opere edilizie eseguite, previa disapplicazione dei provvedimenti amministrativi adottati dal Comune di L’Aquila, e proposero domanda riconvenzionale onde ottenere la condanna dell’attore all’eliminazione delle lesioni provocate al muro di loro proprietà e al risarcimento dei danni per quelle già esistenti, domanda questa che non reiterarono, però, in
sede di precisazione delle conclusioni rassegnate all’udienza del 28/2/2013.
Con sentenza n. 302/2013, depositata il 3/5/2013, il Tribunale di L’Aquila accertò il confine tra le proprietà, aderendo alle indicazioni e determinazioni della c.t.u. Magrì, respinse tutte le ulteriori domande di parte attrice, sostenendo che fosse irrilevante la minima variazione del tetto realizzata dai convenuti; che la grotta rivendicata dall’attore e il cosiddetto scannafosso fossero di proprietà dei convenuti; che ricadesse nella proprietà dei medesimi lo sporto di gronda del tetto, il muro M3 e il manufatto edificato in aderenza ormai crollato in seguito al sisma; che i ferri che fuoriuscivano dal corpo di fabbrica C ormai crollato fossero temporanei; che le aperture esistenti sul prospetto, non più esistenti, fossero luci.
Il giudizio di gravame, instaurato da NOME COGNOME, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME Paola e di NOME Giuseppe, con la sentenza n. 1541/2019, pubblicata il 27/9/2019, con la quale la Corte d’Appello di L’Aquila rigettò l’appello, ponendo a base della decisione gli accertamenti compiuti dal c.t.u. nominato per primo, COGNOME piuttosto che i chiarimenti offerti, col decesso del predetto, dal secondo c.t.u. COGNOME, stabilendo la linea di confine tra le due proprietà, alla stregua della domanda proposta, reputata estesa all’intero confine e non limitata a una sua parte, e delle risultanze catastali, e ritenendo che la grotta, lo scannafosso e il Muro M1 ricadessero nella proprietà degli appellanti; che non fosse provata l’usucapione della zona confiniaria eccepita dall’appellante; che la sopraelevazione non superasse i limiti di tolleranza dettati dagli standard urbanistici; che il piccolo fabbricato in aderenza al muro M3 fosse crollato in seguito al sisma, con conseguente venir meno dell’interesse a una pronuncia sul punto; e che le aperture sullo stesso collocate costituissero luci e fossero
provviste di inferriate, con conseguente irrilevanza della realizzazione di un solaio di calpestio interno.
Avverso la suddetta sentenza COGNOME NOME propone ricorso per cassazione affidato a dieci motivi. Di NOME NOME resiste con controricorso, mentre NOME è rimasta intimata.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 132, secondo comma, punto 4, cod. proc. civ., 950 e 873 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e la motivazione apparente, non adeguata e congrua, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché, con riferimento alla domanda di accertamento dei confini e all’errata estensione della stessa, valutata in primo grado come afferente a tutti i confini tra i fondi e non, invece, ai soli muri M1 e M3, i giudici di merito avevano affermato che l’appellante aveva denunciato l’usurpazione di una porzione del proprio fondo, perpetrato dai convenuti, non soltanto con riguardo alle due limitate porzioni di muro, ma anche all’ampliamento dello sporto di gronda e della grotta sotterranea al fabbricato principale di loro proprietà, insistendo per l’arretramento sia del fabbricato principale, sia di quello realizzato ex novo nella corte posteriore. Il ricorrente ha, sul punto, ribadito che l’ actio finium regundorum era stata da lui chiesta solo con riferimento ai muri M1 e M3 (ossia la piccola porzione di muro di mt. 1,6 di contenimento a ridosso della INDIRIZZO e di quello di contenimento che divideva il suo giardino dal cortile delle controparti), e che diverse erano, invece, le domande riguardanti sia la rivendicazione della grotta sconosciuta fino al 2003, sia la rimozione della porzione del nuovo sporto di gronda realizzato dalla
contro
parte, sia l’arretramento del nuovo fabbricato, sia la demolizione delle porzioni realizzate ad altezza maggiore, tant’è che, se così non fosse stato, non si sarebbe compreso il senso della domanda riconvenzionale avanzata dalla controparte onde ottenere l’accertamento dei confini in relazione a tutto il fondo. Inoltre, i giudici non avevano motivato sulla tipologia di azione esercitata, essendosi limitati ad affermare che la domanda aveva finalità recuperatoria con riferimento alla grotta e allo sporto di gronda, così da rendere una motivazione apparente.
1.2 Il primo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
La censura, infatti, già resa difettosa dalla commistione tra vizi di violazione di legge e critiche motivazionali, in sé incompatibili, posto che i primi suppongono accertati gli elementi del fatto in relazione ai quali si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e i secondi, che quegli elementi di fatto intendono precisamente rimettere in discussione, comportano un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante e sussistente solo qualora il percorso argomentativo adottato nella sentenza di merito presenti lacune e incoerenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione (Cass., Sez. 1, 23/10/2018, n. 26874; Cass., Sez. 3, 7/5/2007, n. 10295, Rv. 596657-01), non chiarisce quali parti della sentenza si siano poste in contrasto con i richiamati artt. 950 e 873 cod. civ.
In tal modo, la doglianza si pone in contrasto col principio secondo cui, a mente del n. 4 del primo comma dell’art. 366 cod. proc. civ., il ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., deve indicare, a pena d’inammissibilità, le norme di legge (o eventualmente il principio di diritto) di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto
precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (in tal senso, Cass., Sez. U., 28/10/2020, n. 23745; Cass. Sez. 6 – 1, 24/02/2020, n. 4905), né consentendosi altrimenti ad essa di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione in assenza di indicazioni su quali siano state le modalità e sotto quale profilo essa sia stata realizzata (Cass., Sez. 3, 28/10/2002, n. 15177; Cass., Sez. 2, 26/01/2004, n. 1317; Cass., Sez. 6 – 5, 15/01/2015, n. 635; Cass. Sez. 3, 11/7/2014, n. 15882, Cass. Sez. 3, 2/4/2014, n. 7692).
1.3 La censura è infine infondata nella parte in cui lamenta la motivazione apparente.
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve, infatti, essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830). Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. da ultimo, Cass., Sez. U, 30/1/2023, n. 2767; vedi anche, tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145)
Nella specie, i giudici di merito hanno esaustivamente chiarito le ragioni per le quali hanno ritenuto che l’ actio finium regundorum esercitata dal ricorrente riguardasse tutti i confini e non solo la porzione relativa ai muri M1 e M3, sostenendo che il predetto aveva altresì denunciato l’usurpazione della porzione del proprio fondo interessata dall’ampliamento dello sporto di gronda e della grotta sotterranea al fabbricato principale degli appellati, opere delle quali aveva chiesto la riduzione in pristino e il rilascio, insistendo per l’arretramento sia del fabbricato principale, sia di quello realizzato ex novo , con la conseguenza che l’effetto recuperatorio doveva considerarsi conseguente all’azione di regolamento di confini.
E’ allora evidente che la doglianza intende rappresentare un vizio di interpretazione della domanda a cui la sentenza avrebbe messo capo, così confliggendo con il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui l’interpretazione della domanda è
operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, è censurabile in sede di legittimità solo quando ne risulti alterato il senso letterale o il contenuto sostanziale dell’atto, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire (Cass., Sez. III,, 22/09/2023, n. 27181; Cass. Sez. III, 20/10/2005, n. 20322; Cass., Sez. III, 12/05/2003, n. 7198) o, come si è più diffusamente argomentato, «a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se l’inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum , potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero l’omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in judicando , in base all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., o al vizio di error facti , nei limiti consentiti dall’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.» (Cass., Sez. 3, 10/06/2020, n. 11103; Cass., Sez. 1, 7/2/2024, n. 3454).
Nessuna di tali violazioni è però ravvisabile nella specie, posto che la valutazione dell’intero confine tra le due proprietà era funzionale all’accertamento, pure richiesto, della porzione immobiliare interessata dall’ampliamento dello sporto di gronda e della proprietà della grotta sotterranea al fabbricato principale degli
appellati, che richiedeva, giust’appunto, la verifica dell’esatta delimitazione delle due proprietà.
2.1 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta il travisamento della prova in merito a fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., e la motivazione apparente, non adeguata e congrua, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito respinto la doglianza afferente all’erroneo ricorso agli accertamenti compiuti dal c.t.u. Magrì, in luogo di quelli del c.t.u. Del COGNOME, operato dal giudice di primo grado, sostenendo che questo avesse argomentato sulle ragioni di tale preferenza. Il ricorrente ha, sul punto, obiettato che il giudice di primo grado non aveva affatto motivato sulle ragioni della sua preferenza per gli accertamenti compiuti dal primo c.t.u., essendosi limitato a contestare il metodo di determinazione del confine adoperato dal secondo c.t.u.; che quest’ultimo aveva svolto una nuova perizia, senza limitarsi a rendere meri chiarimenti, e aveva accertato la sussistenza di una difformità tra le misure catastali, poste a base della decisione, e la situazione reale, invece trascurata nonostante le altre evidenze documentali; che dunque la motivazione resa era solo apparente, stante la mancata comparazione tra le due relazioni, e che la decisione era stata assunta con travisamento della prova.
2.2 Il secondo motivo, anch’esso reso difettoso dalla commistione tra vizi di violazione di legge e critiche motivazionali, è inammissibile con riferimento alla doglianza rapportata all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ..
Al riguardo, occorre premettere che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’adesione acritica da parte del giudice alle conclusioni peritali di una delle consulenze tecniche d’ufficio, espletate in tempi diversi e pervenute a conclusioni difformi, senza
farsi carico di un’analisi comparativa, o la motivazione sostanziatasi nella uniformazione del giudice a una sola delle due perizie, integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., risolvendosi l’omessa considerazione dell’altra relazione peritale nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, salvo che le conclusioni recepite siano, da sole, idonee a palesare le ragioni della scelta compiuta dal giudice (Cass., Sez. 3, 26/05/2021, n. 26/5/2021, n. 14599; Cass., Sez. L, 25/10/2022, n. 31511)
Tale principio non può trovare però applicazione nella specie.
Infatti, ne ll’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 3, 28/2/2023, n. 5947; Cass., Sez. 3, 20/9/2023, n. 26934;Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860).
A tal proposito è stato anche da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme ‘ in facto , la quale ricorre, come chiarito da Cass., Sez. 6-2, 9/3/2022,
n. 7724, «non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice».
Nella specie, il ricorrente non ha affatto chiarito il percorso motivazionale seguito dal giudice di primo grado e la sua difformità rispetto a quello della Corte d’Appello, ciò che rende la censura inammissibile.
Il motivo è, peraltro, pure infondato con specifico riguardo alla dedotta doglianza di apparenza della motivazione.
Fermi restando i principi affermati da questa Corte sul tema, come riportati nel precedente punto 1.3, si osserva che i giudici di merito hanno ampiamente e diffusamente dato conto delle ragioni per le quali, previa lettura delle relative relazioni tecniche, hanno ritenuto maggiormente attendibile la c.t.u. COGNOME rispetto a quella COGNOME, dedicando a tale aspetto diverse pagine, nelle quali hanno evidenziato la parzialità dell’accertamento compiuto da quest’ultimo, non avendo potuto fare sopralluoghi a causa del sisma, il grave errore di metodo da questi commesso per avere comparato le misurazioni compiute dal tecnico dei convenuti, che aveva redatto il progetto di ristrutturazione del fabbricato, e quelle effettuate dal primo c.t.u. Magrì, benché le prime non richiamassero le quote dell’immobile rispetto alla sede stradale, la fallacia dei calcoli eseguiti e l’incongruenza delle misurazioni, specificando, con dovizia di particolari, le ragioni anche tecniche di tali assunti.
Alla stregua di quanto detto deve escludersi, dunque, la fondatezza della censura.
3.1 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione di legge e, in particolare, degli artt. 887, 950 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; il travisamento dei fatti di causa e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.; la motivazione apparente, non adeguata e congrua, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito confermato i rilievi critici alla c.t.u. COGNOME, già evidenziati dal giudice di primo grado, e avere indicato il confine sulla base della mappa catastale, senza sottoporre a critica le risultanze della c.t.u. Macrì, valutare la stessa incertezza da questi manifestata nell’indicazione del confine e l’assenza di una riproduzione dello stato dei luoghi in scala. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non aveva tenuto conto dello stato dei luoghi, né considerato che nessun errore di metodo era stato effettuato dal secondo c.t.u., che nessuna incertezza sul confine sussisteva, essendo questo segnato dal muro del fabbricato dei convenuti allineato con il muro M3 di separazione tra la corte posteriore del fabbricato dei convenuti e il giardino dell’attore esistente da tempo immemorabile, e che il confine risultava anche dai documenti in atti, sicché l’ iter logico seguito dalla sentenza era privo di logica e inconsistente.
3.2 La terza censura è anch’essa, come le precedenti, resa difettosa dall’inammissibile commistione tra vizi di violazione di legge e critiche motivazionali, dalla mancata specificazione del rapporto tra contenuto precettivo delle norme e affermazioni in diritto riportate nella sentenza in violazione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., e dall’assenza di deduzioni circa la diversità tra l’ iter argomentativo della sentenza di primo grado e quella d’appello, necessario in caso di c.d. doppia conforme.
Quanto al difetto di motivazione, vanno richiamati i medesimi principi enunciati nel precedente punto 1.3, per poi evidenziare l’insussistenza del dedotto vizio di motivazione apparente.
I giudici di merito non si sono limitati, infatti, a chiarire i motivi per i quali avevano ritenuto inaffidabile la seconda c.t.u. (pp. 6 e 7), ma si sono altresì dilungati nella disamina della prima relazione dell’Ing. COGNOME (pp. 8), evidenziando come questi avesse accertato lo stato dei luoghi, rilevando una distanza tra fabbricati di mt. 21,78 verso la strada pubblica e di mt. 21.83 su confine del muro M2 e una discrasia con i distacchi catastali, che ha superato analizzando le fattezze del muro M1, quale naturale prosecuzione, per fattura e materiali, del muro di proprietà degli appellati; avesse valorizzato la presenza di una preesistente apertura, murata, avente presumibile funzione di accesso allo scannafosso, ora accessibile dalla proprietà del ricorrente; avesse calcolato le dimensioni di quest’ultimo, equiparando il dato catastale a quello di verifica in loco, e il confine, ivi compreso lo scannafosso.
In ragione di ciò, la motivazione non può dirsi né insussistente, né apparente, mentre la censura, per come articolata, esula certamente dal perimetro di intervento di questa Corte di legittimità.
Come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 5792 del 05/03/2024, il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata
da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, cod. proc. civ., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale.
Essendo stato evidenziato nella censura un fatto sostanziale, è a quest’ultima fattispecie che occorre fare riferimento, con la conseguenza che vale, anche in questo caso, la regola della c.d. doppia conforme, non rispettata nella censura.
Peraltro, la doglianza va a incidere sulla valutazione del materiale probatorio, che costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è perciò estranea ai compiti istituzionali di questa Corte.
4.1 Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 132, secondo comma, punto 4, cod. proc. civ., 950 e 873 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; la motivazione apparente, non adeguata e congrua, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici affermato che fossero di proprietà dei convenuti lo scannafosso, il relativo muro di contenimento, lo sporto di gronda, la grotta interrata e i muri M1 e M3, rendendo sul punto una motivazione apparente e travisando gli atti e i documenti di causa tra cui la planimetria catastale allegata al condono del 1986, gli elaborati dell’ing. Perfetto, gli atti di provenienza delle parti, la situazione di fatto dei luoghi e le stesse mappe catastali. Ad avviso del ricorrente, i giudici non avevano considerato, quanto allo sporto di gronda, che il prolungamento dello stesso aveva violato le distanze dal confine; quanto al muro M1, che questo non era accessibile dal lato interno del giardino dei convenuti, che vi erano differenze di misure rispetto al confine catastale e che nel progetto dei
convenuti era stato indicato come ‘altra proprietà’; quanto al muro M3, che questo separava palesemente il giardino del ricorrente dalla corte posteriore dei convenuti su cui era stato realizzato un cordolo sporgente verso la proprietà del ricorrente e demolito da questi ultimi, sicché esso avrebbe dovuto essere considerato o di proprietà del ricorrente o di comune proprietà; quanto alla grotta, infine, che la relativa profondità non coincideva con l’intercapedine e il muro, né con il confine catastale.
4.2 La quarta censura è anch’essa, come le precedenti, resa difettosa dall’inammissibile commistione tra vizi di violazione di legge e critiche motivazionali, dalla mancata specificazione del rapporto tra contenuto precettivo delle norme e affermazioni in diritto riportate nella sentenza in violazione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., e dall’assenza di deduzioni circa la diversità tra l’ iter argomentativo della sentenza di primo grado e quella d’appello, necessario in caso di c.d. doppia conforme, ivi compreso il profilo afferente al dedotto travisamento di un fatto sostanziale.
Essa è peraltro infondata nella parte in cui lamenta il difetto di motivazione, giacché, fermi restando i principi in materia di motivazione apparente riportati nel precedente punto 1.3, i giudici di merito hanno adeguatamente motivato sulle ragioni per le quali hanno ritenuto che il muro M1, lo scannafosso e la grotta fossero di proprietà dei convenuti, sostenendo che la questione era stata affrontata dal giudice di primo grado soltanto in via incidentale e funzionale all’accertamento dei confini, senza concorrere alla formazione del giudicato, che, con motivazione condivisa, detti manufatti insistevano sulla proprietà degli appellati e che, quanto alla grotta, la cavità, che non aveva subito alcuna modifica in ampliamento, ricadeva all’interno di detta proprietà con uno scarto lieve di cm. 17, che trovava giustificazione nell’elevato grado di
approssimazione delle misure effettuate proprio con riferimento al suo posizionamento.
5.1 Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 132, secondo comma, punto 4, cod. proc. civ., 950 e 873 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; la motivazione apparente, non adeguata e congrua, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano accolto il motivo proposto davanti ad essi, afferente al vizio di ultrapetizione commesso dal Tribunale, che aveva spostato in avanti il confine catastale di mt. 1.10 verso il fondo del ricorrente, senza riconoscere l’accoglimento sul punto. I giudici, inoltre, non avevano motivato sulle ragioni del ricorso al confine catastale, benché il confine fosse chiaro alla stregua dei documenti e dello stato dei luoghi, né avevano considerato che l’accertamento della linea di confine aveva riguardato la sola parte afferente ai muri M1 e M3.
5.2 La quinta censura, che presenta i medesimi profili di inammissibilità delle precedenti, sia quanto alla commistione tra vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, sia quanto al principio della c.d. doppia conforme, sia con riferimento alla mancata indicazione delle questioni afferenti alla violazione delle norme sopra richiamate in relazione ai contenuti della sentenza, cui si aggiunge una non del tutto perspicua spiegazioni delle ragioni della doglianza, è parimenti infondata con riguardo al difetto di motivazione.
I giudici hanno, infatti, chiarito le ragioni per le quali hanno fatto ricorso al criterio residuale delle mappe catastali per l’individuazione del confine, sostenendo che a tali conclusioni conducevano tutti i dati a disposizione del c.t.u., dalla verifica dello stato dei luoghi alla complessità della stessa rispetto ai dati catastali, stanti le diverse accertate dimensioni del fabbricato degli
appellati, e che il giudice poteva ricorrere ad esso non solo in caso di assenza e obiettiva di altri elementi, ma anche di loro inidoneità. In tal modo, la Corte d’Appello si è conformata ai principi affermati da questa Corte, secondo i quali, in tema di regolamento di confini, il ricorso al sistema di accertamento sussidiario costituito dalle mappe catastali è consentito al giudice non soltanto in caso di mancanza assoluta e obiettiva di altri elementi, ma anche nell’ipotesi in cui questi (per la loro consistenza, o per ragioni attinenti alla loro attendibilità) risultino, secondo l’incensurabile apprezzamento svolto in sede di merito, comunque inidonei alla determinazione certa del confine (Cass., Sez. 2, 6/6/2017, n. 14020), con la conseguenza che la parte che eventualmente si dolga del ricorso, da parte del giudicante, a tale mezzo sussidiario di prova ha l’onere di indicare gli specifici elementi alla cui stregua andrebbe, invece, difformemente accertata la linea di confine controversa (Cass., Sez. 2, 30/12/2009, n. 28103; Cass., Sez. 2, 11/07/2002 , n. 10121).
Tali elementi sono stati individuati dal ricorrente nella presenza del muro perimetrale, sul quale però i giudici di merito hanno espressamente ritenuto di non fondare il proprio convincimento in ragione della equivocità del complesso degli elementi in suo possesso.
6.1 Con il sesto motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito rigettato l’eccezione di usucapione di tutta l’area interposta tra i fabbricati di rispettiva proprietà, ivi compresi lo scannafosso e la grotta, sostenendo che non ne fosse stata fornita la prova, senza considerare che nei propri scritti difensivi il ricorrente aveva dedotto di essersi occupato della pulizia dello scannafosso da tempo immemorabile e che questa porzione
immobiliare era stata usata per appoggiarvi vari oggetti al coperto, così come fatto col muro ad esso perpendicolare, circostanze queste non contestate dalla controparte.
6.2 Il sesto motivo è inammissibile, dovendo trovare applicazione il principio della c.d. doppia conforme di cui al precedente punto 2.2 e non avendo il ricorrente indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.
7.1 Con il settimo motivo di ricorso, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 873 cod. civ. e 55, 56, 57 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale di L’Aquila, nonché la motivazione apparente della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto irrilevante l’accertata sopraelevazione del fabbricato dei convenuti, siccome ricompresa nella percentuale di tolleranza prevista dalle norme urbanistiche, senza considerare le due sentenze penali di condanna passate in giudicato, che documentavano l’aumento di altezza del fabbricato nella misura di cm. 50, nonché le osservazioni compiute dal c.t.u. COGNOME e le foto e il prospetto, che evidenziavano una sopraelevazione all’imposta e al colmo non compatibile con le misure riportate dal primo c.t.u.. Il ricorrente ha poi evidenziato che non esisteva il rilevato errore di metodo del c.t.u. COGNOME, posto che anche il c.t.u. COGNOME si era servito del progetto dell’ing. COGNOME; che nella zona A, dove insistevano i fabbricati, non era possibile il superamento del volume e della superficie utile preesistente; che l’altezza in esubero realizzata era superiore alla c.d. tolleranza del 2%; e che l’avvenuta esecuzione dei lavori in assenza di titoli abilitativi incideva sui parametri urbanistici, peraltro non rilevanti nei rapporti privatistici.
7.2 Il settimo motivo è fondato.
In base al comma 2ter dell’abrogato art. 34 D.P.R. n. 380 del 2001, rubricato ‘Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire’, «ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali», norma che è stata sostanzialmente riprodotta dall’art. 34 -bis , comma 1, dello stesso d.P.R., riguardante le ‘tolleranze costruttive’, il quale attualmente prevede che «il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo». Dal loro chiaro tenore letterale e dalla stessa collocazione sistematica si ricava che le citate disposizioni attengono al profilo della conformità dell’opera alla normativa edilizia vigente, ai fini dell’eventuale applicazione delle sanzioni previste dalla legge, e sono pertanto destinate a trovare applicazione esclusivamente nei rapporti fra il privato costruttore e la pubblica amministrazione, non anche in quelli fra soggetti privati (in questi termini, Cass., Sez. 2, 31/10/2023, n. 30216; Cass., Sez. 2, 10/8/2023, n. 24469, entrambe non massimate).
Alla stregua di tali principi, deve allora affermarsi l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui ritiene corretta l’affermazione del giudice di primo grado nella parte in cui aveva considerato irrilevante l’accertata sopraelevazione del fabbricato dei convenuti siccome ricompresa nella percentuale di tolleranza prevista dalle norme urbanistiche, con conseguente fondatezza della censura.
8.1 Con l’ottavo motivo di ricorso, si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 901 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., e la motivazione apparente, non adeguata e congrua, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello rigettato la domanda conseguente alla demolizione e ricostruzione dei solai del fabbricato delle controparti, con la realizzazione di uno nuovo al piano sottotetto sul quale erano poste le due vecchie luci, trasformate in luci irregolari, sostenendo che le stesse non risultassero apribili per la presenza di inferriate e protette da vetri opachi. Ad avviso del ricorrente, i giudici avevano violato l’art. 901 cod. civ. in quanto non avevano considerato la situazione ante e post intervento delle luci e gli ulteriori requisiti di regolarità previsti dalla norma (altezza dal pavimento/suolo delle luci, dovuta all’abbassamento della quota dei solai, e grata non rilevata).
8.2 L’ottavo motivo è fondato.
I giudici di merito hanno respinto la doglianza con la quale l’appellante aveva lamentato che le aperture insistenti sul prospetto del fabbricato degli appellati prospiciente il suo fondo avessero perso le caratteristiche di luci, permettendo la possibilità di affaccio sul fondo confinante, sostenendo che le finestre in questione non risultassero apribili, essendo dotate di inferriate fisse e protette da vetri opachi, e che detti accorgimenti fossero sufficienti a impedire l’ inspectio e la prospectio in alienum , in quanto consentivano di configurarle come luci, con la conseguenza che, in ragione delle loro caratteristiche, sarebbe stata irrilevante la realizzazione di un solaio di calpestio interno.
Tali considerazioni non si confrontano con il disposto di cui all’art. 901 cod. civ., secondo cui «le luci che si aprono sul fondo del vicino devono: 1) essere munite di un’inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati; 2) avere il lato inferiore a un’altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal
suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri se sono ai piani superiori; 3) avere il lato inferiore a un’altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l’altezza stessa».
Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che se è vero che ai sensi dell’art. 902 cod. civ. il vicino può chiedere solo la regolarizzazione della luce, ma non la sua chiusura, rimanendo irrilevante l’intenzione del suo autore o la finalità dal medesimo perseguita, va tuttavia escluso che il giudice possa affermare il diritto di mantenere le luci tutte le volte in cui il loro adeguamento al disposto dell’art. 901 cod. civ. si riveli in concreto inidoneo a soddisfare l’esigenza di attingere aria e luce, trattandosi di azione intesa a far valere un diritto reale, la cui tutela impone la rimozione del fatto lesivo (Cass., Sez. 2, 9/5/2023, n. 12306; Cass., Sez. 2, 5/1/2011, n. 233).
L’apertura sul fondo del vicino, quando abbia le caratteristiche della luce anche se non conforme alle prescrizioni dell’art. 901 cod. civ., come nella specie, deve essere resa conforme, in caso di irregolarità ai sensi dell’art. 902, secondo comma, cod. civ., a tali prescrizioni, anche mediante la sopraelevazione all’altezza minima interna, finalizzata ad impedire l’esercizio della veduta (Cass., Sez. 2, 10/1/2013, n. 512; Cass., Sez. 2, 23/07/1983, n. 5081).
A questi principi non si sono dunque attenuti i giudici di merito, con conseguente fondatezza della censura.
9.1 Con il nono motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., e la motivazione apparente, non adeguata e congrua, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici
di merito affermato di non doversi pronunciare sul manufatto insistente sulla corte della part. 1753 in quanto crollato in seguito al sisma del 2009, senza considerare che il manufatto era invece tuttora esistente, che nessuno dei c.t.u. aveva parlato di crollo, che la mancata indicazione del manufatto nella planimetria del c.t.u. COGNOME era dovuta verosimilmente al fatto che l’area non fosse visibile post sisma a causa dell’inagibilità del fabbricato e che, pertanto, sarebbe stata necessaria una pronuncia sulla violazione delle distanze legali.
9.2 Il nono motivo è inammissibile con riguardo al riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in ragione del principio della c.d. doppia conforme, nei termini precisati nel precedente punto 2.2, non avendo il ricorrente indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.
Quanto al difetto di motivazione, richiamati i principi affermati sul punto nel precedente punto 1.3, la censura è infondata, avendo i giudici di merito affermato il difetto di interesse dell’appellante dovuto al crollo del manufatto in seguito al sisma che aveva interessato la città.
La doglianza si risolve, in sostanza, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
10.1 Con il decimo motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione degli artt. 91 cod. proc. civ. e 13, comma 1bis e quater , d.P.R. n. 115 del 2002, per avere i giudici di merito posto a carico del ricorrente le spese del giudizio nella loro integralità e disposto il raddoppio del contributo unificato, senza considerare che, con
riguardo ai confini, avevano dato ragione all’appellante, allorché, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di primo grado, che aveva calcolato la distanza dalla proprietà dei convenuti partendo dal parametro esterno dello scannafosso verso la proprietà del ricorrente, aveva effettuato il calcolo partendo dai muri del corpi C e C1 della particella 1753, con la conseguenza che avrebbero dovuto compensare, almeno in parte, le spese di lite.
10.2 Il decimo motivo resta assorbito dall’accoglimento dell’ottavo.
In conclusione, dichiarata la fondatezza del settimo e dell’ottavo motivo, l’infondatezza del primo, secondo, terzo, quarto, quinto e nono, l’inammissibilità del sesto e l’assorbimento del decimo, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, dichiara l’inammissibilità del sesto e l’assorbimento del decimo, rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 29/5/2025.