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Tolleranze costruttive: irrilevanti tra vicini

Una complessa disputa tra proprietari confinanti su confini, sopraelevazioni e aperture nei muri giunge in Cassazione. La Corte stabilisce due principi fondamentali: le cosiddette ‘tolleranze costruttive’ del 2%, previste dalla normativa edilizia, sono irrilevanti nei rapporti tra privati per il rispetto delle distanze legali. Inoltre, le aperture qualificabili come ‘luci’, se non conformi ai requisiti del codice civile, devono essere regolarizzate, non potendo il giudice ignorare la violazione. La sentenza d’appello viene cassata con rinvio.

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Le Tolleranze Costruttive non Valgono tra Privati: La Cassazione fa Chiarezza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 20807/2025, interviene su una complessa lite di vicinato, cogliendo l’occasione per ribadire principi cruciali in materia di distanze tra costruzioni e regolarità delle aperture. La decisione chiarisce in modo definitivo che le cosiddette tolleranze costruttive, previste dalla normativa urbanistica, non possono essere invocate per giustificare violazioni delle norme del Codice Civile nei rapporti tra privati. Un principio che rafforza la tutela del diritto di proprietà e stabilisce confini netti tra la sfera del diritto pubblico e quella del diritto privato.

I Fatti della Causa: una Complessa Vicenda di Confini

La vicenda legale ha origine dalla causa intentata da un proprietario contro i suoi vicini. Le richieste erano numerose e articolate: l’attore chiedeva l’accertamento dell’esatto confine tra le proprietà, l’arretramento di una nuova costruzione realizzata dai vicini in violazione delle distanze legali, la restituzione di una grotta sotterranea e di uno scannafosso che riteneva di sua proprietà, oltre al risarcimento dei danni.

I primi due gradi di giudizio si erano conclusi in modo sfavorevole per l’attore. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato gran parte delle sue domande, stabilendo il confine sulla base di una consulenza tecnica e ritenendo che la sopraelevazione realizzata dai vicini rientrasse nei limiti di tolleranza dettati dagli standard urbanistici. Anche le aperture presenti sul fabbricato dei convenuti erano state considerate regolari ‘luci’. Insoddisfatto, il proprietario ha proposto ricorso in Cassazione, affidandosi a dieci motivi di impugnazione.

La Decisione della Cassazione sulle Tolleranze Costruttive e le Luci

La Corte di Cassazione ha accolto due dei motivi di ricorso, ritenendoli fondati e decisivi, e ha cassato la sentenza d’appello, rinviando la causa ad un nuovo esame. I punti cardine della decisione riguardano l’inapplicabilità delle tolleranze costruttive alle controversie tra privati e la corretta interpretazione delle norme sulle ‘luci’.

L’Irrilevanza delle Tolleranze Costruttive nei Rapporti tra Privati

Il settimo motivo di ricorso lamentava l’errore della Corte d’Appello nel considerare irrilevante la sopraelevazione del fabbricato vicino, giustificandola sulla base della percentuale di tolleranza prevista dalle norme urbanistiche (il cosiddetto 2% secondo il D.P.R. 380/2001). La Cassazione ha accolto pienamente questa censura.

Gli Ermellini hanno chiarito che le norme sulle tolleranze costruttive (art. 34-bis del Testo Unico Edilizia) attengono esclusivamente al profilo amministrativo, cioè ai rapporti tra il cittadino che costruisce e la Pubblica Amministrazione. Esse servono a evitare sanzioni per difformità minime rispetto al titolo abilitativo. Tuttavia, queste disposizioni non hanno alcuna incidenza sui rapporti tra privati. Le norme del Codice Civile sulle distanze tra edifici (art. 873 e seguenti) sono infatti volte a tutelare interessi privati (come salubrità, ariosità e sicurezza) e non possono essere derogate da disposizioni di natura pubblicistica, salvo che non sia espressamente previsto.

La Disciplina delle Luci e il Diritto alla Regolarizzazione

Anche l’ottavo motivo di ricorso, relativo alla presunta irregolarità delle aperture (luci) nel muro dei vicini, è stato giudicato fondato. I giudici di merito avevano respinto la domanda sostenendo che le finestre, dotate di inferriate fisse e vetri opachi, non permettevano l’affaccio e quindi erano da considerarsi ‘luci’ regolari.

La Cassazione ha smontato questa argomentazione, ricordando che l’art. 901 del Codice Civile detta requisiti molto specifici e inderogabili per le luci: devono essere munite di inferriata e grata fissa, e soprattutto devono avere il lato inferiore a un’altezza minima dal pavimento (due metri e mezzo ai piani superiori, due metri al piano terra). La sentenza impugnata aveva completamente ignorato la verifica di questi requisiti, in particolare quello dell’altezza, che era stato modificato a seguito della ricostruzione dei solai. La Corte ha ribadito che il vicino ha sempre il diritto di esigere che le luci non conformi alla legge siano rese regolari, e il giudice non può esimersi dal verificare il rispetto di tutte le prescrizioni normative.

Le Motivazioni della Corte

Nella sua motivazione, la Suprema Corte ha tracciato una netta linea di demarcazione tra l’ordinamento urbanistico-edilizio e quello civilistico. Il primo governa l’attività edificatoria nell’interesse pubblico, il secondo disciplina i rapporti di vicinato a tutela dei diritti soggettivi dei proprietari. Le tolleranze costruttive operano solo nel primo ambito. Pertanto, una costruzione che viola le distanze civilistiche è illegittima nei confronti del vicino, anche se lo scostamento rientra nella tolleranza amministrativa del 2%. I giudici di merito avevano errato nel confondere i due piani, applicando una norma pubblicistica per dirimere una controversia di natura privatistica.

Per quanto riguarda le luci, la Corte ha sottolineato che la ratio dell’art. 901 c.c. è quella di bilanciare l’esigenza di dare aria e luce a un ambiente con la necessità di tutelare la privacy e la sicurezza del vicino. Questo bilanciamento è garantito solo dal rispetto puntuale di tutti i requisiti imposti dalla norma, incluso quello dell’altezza minima. Ignorare tale requisito, come fatto dalla Corte d’Appello, significa vanificare la tutela apprestata dalla legge, trasformando una potenziale luce in una veduta irregolare e quindi lesiva del diritto del confinante.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza in esame ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, stabilisce che chi costruisce non può fare affidamento sulle tolleranze costruttive per violare le distanze legali rispetto ai vicini. Anche una minima violazione può essere contestata e portare a una condanna di arretramento o demolizione. In secondo luogo, rafforza la tutela dei proprietari contro aperture irregolari, chiarendo che il diritto a pretenderne la regolarizzazione è pieno e non può essere limitato da valutazioni discrezionali del giudice che non tengano conto di tutti i requisiti di legge. La causa torna ora alla Corte d’Appello di L’Aquila, che dovrà decidere nuovamente la controversia attenendosi a questi chiari principi di diritto.

Le ‘tolleranze costruttive’ previste dalla normativa edilizia si applicano nelle cause tra vicini per il rispetto delle distanze?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che le tolleranze costruttive (come il limite del 2% di cui al D.P.R. 380/2001) riguardano esclusivamente i rapporti tra il costruttore e la Pubblica Amministrazione e non sono applicabili nelle controversie tra privati. Le norme del Codice Civile sulle distanze legali devono essere rispettate integralmente.

Cosa può fare un proprietario se le luci aperte dal vicino sul suo fondo non rispettano i requisiti di legge (es. altezza)?
Il proprietario può agire in giudizio per chiedere la regolarizzazione delle luci. Secondo la Corte, il vicino ha il diritto di esigere che le aperture siano rese conformi a tutte le prescrizioni dell’art. 901 del Codice Civile, incluse quelle sull’altezza minima dal pavimento, sulla presenza di grate e inferriate idonee.

In una causa per la determinazione dei confini, come viene risolta la controversia se le prove sono incerte?
La sentenza chiarisce che, in tema di regolamento di confini, qualora gli elementi di prova disponibili (come i titoli di proprietà o altre evidenze) risultino assenti, insufficienti o inidonei, il giudice può ricorrere in via sussidiaria alle mappe catastali per determinare la linea di confine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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