Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31512 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31512 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 26722-2021 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 588/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/04/2021 R.G.N. 1783/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Opposizione all’esecuzione in base a titolo di formazione giudiziale passato in giudicato
R.G.N. 26722/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 08/10/2024
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma accoglieva l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale della medesima sede in data 27.4.2017 e, in riforma di quest’ultima, così provvedeva: a ) dichiarava che la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 7349/2014 non costituiva titolo esecutivo; b) dichiarava che COGNOME NOME non aveva diritto di agire in via esecutiva sulla base della sentenza di cui al capo a); c) dichiarava nullo il pignoramento presso terzi; d) condannava la COGNOME a rimborsare a RAI s.p.a. le spese dei due gradi di giudizio, che liquidava per ciascun grado in € 6.600,00, oltre cpa ed IVA, nonché i contributi unificati versati dalla RAI per i due gradi di giudizio.
Premetteva, tra l’altro, la Corte territoriale che il primo giudice, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dalla RAI all’esecuzione già iniziata con pignoramento presso terzi, notificato in data 13.7.2015 da COGNOME NOME a seguito della sentenz a della Corte d’appello di Roma n. 7349/2014, aveva dichiarato il diritto della COGNOME ad agire esecutivamente per la complessiva somma di € 400.539,12 ed aveva dichiarato inefficace il pignoramento per la somma eccedente il predetto importo, compensando un terzo delle spese di lite e ponendo a carico della RAI i residui due terzi, liquidati in € 6.000,00.
2.1. Rilevava, ancora, in narrativa che era intervenuta la sentenza di questa Corte di cassazione n. 10045/2019, che rigettava sia il ricorso principale di RAI s.p.a., sia quello incidentale della Guolo, con conseguente passaggio in giudicato
della sentenza della sentenza della stessa Corte d’appello n. 7349/2014.
Riferiti i motivi d’appello della RAI e le ragioni sulla base delle quali il Tribunale aveva fondato la propria decisione, la Corte giudicava fondati i primi due motivi, che esaminava congiuntamente, nonché altri due motivi d’appello, mentre dichiarava assorbiti tutti gli altri motivi.
Più nello specifico, in relazione ai primi due motivi di appello, riteneva che la non contestazione della RAI poteva al più essere riferita all’ an degli istituti retributivi pretesi nel giudizio di cognizione presupposto, non già al quantum , perché per il quantum la COGNOME non aveva formulato alcuna quantificazione, né aveva elaborato conteggi, sicché mancava il presupposto processuale necessario per poter poi ravvisare una ‘non contestazione’, rilevante ai sensi dell’art. 115 c.p.c. o comunque tale da co mportare l’esonero della necessaria attività giudiziale di quantificazione del credito; sicché, sotto questo profilo, la sentenza della stessa Corte n. 7349/2014 non costituiva titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.
La Corte reputava fondato altro motivo con il quale l’appellante addebitava al Tribunale il travisamento della sentenza posta in esecuzione, laddove aveva ritenuto che i giudici d’appello avessero affermato che ‘ la determinazione degli importi dovuti all’odierna opposta fosse possibile in base a semplici calcoli aritmetici ‘. Riteneva, infatti, che tale deduzione del Tribunale era priva del requisito della necessarietà logicogiuridica, potendo la Corte d’appello anche non aver pronunziato alcunché proprio nel senso di lasciare alla parte l’onere, poi, di promuovere un separato giudizio di quantifi cazione, fermo l’ an di quegli istituti accertati come dovuti, ciò che è tipico della
sentenza di accertamento e di quella di condanna c.d. generica. In entrambi i casi la pronuncia, secondo la Corte territoriale, non costituisce titolo esecutivo, sussistendo la sola certezza del credito, ma non pure la sua liquidità.
La stessa Corte giudicava in gran parte fondato il motivo con il quale l’appellante si doleva dell’errato convincimento del Tribunale circa l’irrilevanza dell’ordinanza dispositiva di una consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile sostitutiva della reintegrazione. Secondo la Corte, la sentenza d’appello, posta in esecuzione dalla Guolo, conteneva la condanna della RAI s.p.a. alla reintegrazione, non pure al pagamento dell’indennità sostitutiva, per la quale l’opzione era stata (logicamente) formulata dopo. Dunque, giammai, per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, a seguito di opzione, quella sentenza di appello sul merito del licenziamento avrebbe potuto rappresentare un titolo esecutivo, mancandone la condanna al pagamento.
Avverso tale decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
8 . Ha resistito l’intimat a con controricorso.
La controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘(in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., e in riferimento all’art. 112 c.p.c., con nullità della sentenza, oppure -subordinatamente -in relazione all’art. 360, c. 1, n. 5 c.p.c.): omissione di pronuncia e/o perplessità della decisione ossia carattere soltanto apparente
della motivazione’. Assume che ‘la sentenza di cui ai docc. 7 -8 (n.d.r.: ossia, la sentenza n. 7349/2014 posta in esecuzione), da un lato, indica direttamente l’inquadramento nel livello I del Ccl Rai e, dall’altro, specifica le voci da corrispondere media nte un rinvio ‘ al punto 5b, lettere a-p, pagg. 17 e 18 del ricorso introduttivo di lite ‘. Deduce ancora che tale punto di quel ricorso introduttivo di lite (trascritto in ricorso), in effetti, procedeva a un’elencazione ampia e articolata delle voci di rif erimento, e che per le voci a base contrattuale era indicata la relativa clausola e che la contrattazione era stata ritualmente prodotta in causa. Richiamato, quindi, il passo di cui al punto 2.2. della motivazione della sentenza qui impugnata (e, cioè, la parte di motivazione in cui la Corte d’appello aveva accolto il motivo a mezzo del quale la RAI aveva addebitato al Tribunale il travisamento della precedente sentenza della stessa Corte posta in esecuzione), assume che, benché il ‘combinato disposto’ tra la sentenza posta in esecuzione e i cennati documenti offriva numerosi e significativi elementi, la sentenza qui impugnata ‘sceglie di non scegliere’. Osserva che la sentenza impugnata avrebbe dovuto enunciare una certa interpretazione del suddetto ‘combinato disposto’, e che invece la sentenza impugnata si limita a dire che il suddetto ‘combinato disposto’ o meglio qualsiasi decisione che non precisi gli importi, può essere letta in vari modi, e tra l’altro può essere intesa nel senso di rimandare ad un successivo giudizio di quantificazione. Secondo la ricorrente, si tratta di un’asserzione tanto lapalissiana quanto generica, che sfugge al potere-dovere di definire la controversia, il che comportava una omissione di pronuncia e/o una perplessità della decisione, in violazione dell’art. 112 c.p.c., ed anzi determinava un carattere assolutamente apparente della motivazione.
Con il secondo motivo denuncia ‘(in relazione all’art. 360, c. 1, n. 5, c.p.c.): omesso esame circa gli elementi a favore della determinazione del quantum’. Richiama una serie di considerazioni svolte nella propria memoria di costituzione in secondo gra do, in particolare circa le ‘singole voci di spettanza’ e sui ‘contributi di previdenza’. Deduce allora che ella aveva diffusamente argomentato sulla quantificazione delle somme da lei ritenute dovutele alla luce sia del comportamento della RAI sia del regime delle singole voci di spettanza; che si trattava di elementi sottoposti al contraddittorio delle parti, visto che erano entrati nel processo tramite la cennata memoria; e che si trattava di elementi potenzialmente decisivi, in generale e/o per le singole voci di spettanza. E lamenta che inopinatamente di tutto ciò non si trovava la benché minima traccia nella sentenza impugnata e, segnatamente, nel punto 2.2. della motivazione.
Con un terzo motivo denuncia ‘(in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3): violazione e/o falsa applicazione dell’art. 474 c.p.c.’. Deduce che costituisce jus receptum , alla luce dell’art. 474 c.p.c. e della relativa interpretazione in giurisprudenza, che onde tutelare esecutivamente un credito è sufficiente che grazie dalla sentenza lo stesso risulti determinabile sebbene non determinato, richiamando taluni precedenti di legittimità a riguardo. Assume allora che tale regula juris viene completamente ignorata e violata nella sentenza impugnata e segnatamente nel punto 2.2. della motivazione.
Con un quarto e subordinato motivo denuncia ‘(in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3): violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91-92 c.p.c., per aver attribuito le spese alla Sig.ra COGNOME nonostante la soccombenza reciproca con la Rai’. Deduce la r icorrente che la sentenza impugnata comporta
una soccombenza reciproca per lei stessa e per la RAI, perché: (i) ella era soccombente sul quantum della pretesa, visto l’accoglimento in parte qua dell’appello della RAI; (ii) la RAI era soccombente sull’ an della pretesa, visto il rigetto in parte qua dell’appello della medesima RAI; lamenta, allora, che inopinatamente la sentenza impugnata attribuiva integralmente a lei la soccombenza e, pertanto, le addossava integralmente le spese.
Rispetto all’esame dei primi tre motivi di ricorso, occorre porre in luce che, come riportato in narrativa, la Corte territoriale aveva riferito che, a seguito della sentenza di questa Corte di legittimità n. 10045/2019, la precedente sentenza n. 7349/2014, ossia, la sentenza posta in esecuzione ed oggetto dell’opposizione della RAI, era passata in cosa giudicata.
Si deve ancora rimarcare che la stessa attuale ricorrente ha specificato che la propria impugnazione in questa sede ed ora in esame riguarda esclusivamente, oltre che il punto 4) (circa il regolamento delle spese processuali), il punto 2.2. della sentenza n. 588/2021, ossia, il paragrafo della parte motiva di quest’ultima in cui veniva esaminato il motivo d’impugnazione in cui l’allora appellante RAI si doleva di un travisamento da parte del Tribunale della sentenza posta in esecuzione, dove aveva ritenu to che i giudici d’appello avessero affermato che ‘ la determinazione degli importi dovuti all’odierna opposta fosse possibile in base a semplici calcoli aritmetici’ (cfr. pagg. 15-16 del ricorso).
Osserva allora il Collegio anzitutto che, sia pure per un passaggio in giudicato della sentenza posta in executivis sopravvenuto nel corso del secondo grado, le questioni poste
con i primi tre motivi del ricorso in esame afferiscono appunto alla portata di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato.
Deve, quindi, essere considerato che, come di recente insegnato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il ricorso per cassazione con cui venga denunciata la violazione, da parte del giudice dell’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, dell’art. 2909 c.c. riguardo al titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato, deve contenere, a pena d’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., la specifica indicazione del precetto sostanziale violato, nei cui limiti deve svolgersi il sin dacato di legittimità, e, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., della parte del provvedimento giurisdizionale passato in giudicato contenente il precetto sostanziale di cui si denuncia l’errata interpretazione, nonché l’eventuale elemento extratestuale, ritualmente acquisito nel giudizio di merito, che sia rilevante per l’interpretazione del giudicato (così Cass., sez. un., 21.2.2022, n. 5633).
Ebbene, rileva il Collegio che in nessuno dei primi tre motivi di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 2909 c.c. nei termini specificati dalle Sezioni Unite, in quanto tutti fanno riferimento a vizi diversi da detta violazione.
Sempre le Sezioni unite di questa Corte hanno, di recente, ribadito il principio, assolutamente fermo nella giurisprudenza di legittimità, della inammissibilità del ricorso per cassazione che non attinga tutte le rationes decidendi autonomamente idonee a supportare la decisione, giacché l’eventuale accoglimento del ricorso non potrebbe mai estendersi alle ragioni non sottoposte a gravame (così Cass., sez. un., 4.4.2022, n. 10852).
E, da questo punto di vista, erroneamente la ricorrente assume che i ‘punti 2.1. e 2.3. della motivazione’ dell’impugnata sentenza ‘non costituiscono oggetto del gravame di cui al presente atto, visto che sono privi di rilievo ai fini del decidere, …’ (così a pag. 15 del ricorso).
Al contrario, come anticipato in narrativa, già nel punto 2.1. della propria decisione la Corte territoriale, nel giudicare infondati i primi due motivi d’appello esaminati congiuntamente, aveva chiaramente concluso che la sentenza posta in esecuzione e poi passata in giudicato ‘non costituisce titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.’.
Tale parte di motivazione, pertanto, era già autonomamente idonea a sorreggere il decisum della stessa Corte, il che è riprovato dal suo dispositivo che, come pure riportato in narrativa, è stato anzitutto nel senso di dichiarare che la suddetta sentenza ‘n. 7349/2014 non costituisce titolo esecutivo’.
E il dato che la stessa Corte si sia poi espressa su taluni altri motivi di appello, giudicandoli infondati (compreso quello vagliato al § 2.3. che pure la ricorrente dichiara di non impugnare) o assorbiti, non scalfisce l’obiettività dei precedenti rilievi.
Inammissibilmente, perciò, nei primi tre motivi la ricorrente censura in questa sede esclusivamente quanto la Corte territoriale ha considerato nel punto 2.2. della propria motivazione.
Il secondo motivo, peraltro, è ex se inammissibile.
15. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, l’omesso esame di un fatto decisivo deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Costituisce un ‘fatto’, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una ‘questione’ o un ‘punto’, ma un vero e proprio ‘fatto’, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante; non costituiscono, viceversa, ‘fatti’, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive, gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze, o il ‘vario insieme dei materiali di causa’ (così, tra le altre, Cass., sez. lav., 22.5.2020, n. 9463; Cass. n. 18318/2022; in termini con precipuo riferimento alle ‘deduzioni difensive’ Sez. un. n. 20399/2019; Cass. n. 22397/2019 circa ‘questioni o argomentazioni’).
16. Ebbene, come già rilevato nel riassumere il contenuto della censura ora in esame, la ricorrente non denuncia in essa l’omesso esame di uno o più fatti storici, nel senso dianzi specificato, bensì si duole dell’omesso esame di una serie di proprie deduzioni ed argomentazioni difensive (relative, tra l’altro, a: ‘La indennità di maneggio denaro’, ‘La monetizzazione delle ferie non godute’; ‘Il premio di risultato’; ‘Le una tantum ‘; e ‘I contributi di previdenza’; v. pagg. 18 -22 del ricorso); il che comunque indurrebbe l’inammissibilità del secondo motivo.
Oltre che per le ragioni valevoli per i primi due motivi, anche il terzo motivo è di per sé inammissibile.
Alla censura è sottinteso l’assunto che il titolo esecutivo di formazione giudiziale oggetto d’opposizione, in base ad elementi extratestuali, recasse un credito non determinato ma determinabile.
Invero, secondo quanto avanti premesso, trattandosi di titolo esecutivo giudiziale passato in cosa giudicata (constatata dalla Corte), la ricorrente era tenuta a denunciare la violazione, non dell’art. 474 c.p.c., ma dell’art. 2909 c.c., e la relativa censura doveva contenere la specifica indicazione del precetto sostanziale violato, nei cui limiti deve svolgersi il sindacato di legittimità, e della parte del provvedimento giurisdizionale passato in giudicato contenente il precetto sostanziale di cui si denuncia l’errata interpretazione, nonché dell’eventuale elemento extratestuale, ritualmente acquisito nel giudizio di merito, che sia rilevante per l’interpretazione del giudicato.
E tutto ciò manca indubbiamente anche nello svolgimento del terzo motivo, come tale (in cui v’è solo il richiamo a taluni precedenti di legittimità).
Anche volendo considerare a riguardo quanto indicato nei precedenti due motivi, nonché, ancor prima, nell’esposizione sommaria dei fatti di causa, la ricorrente, proprio circa il contenuto della sentenza posta in esecuzione, si limita a riportare, oltre al suo dispositivo, un mero stralcio di parte della motivazione della stessa (cfr. pag. 4 del ricorso).
Parimenti inammissibile è il quarto motivo.
22. Come già anticipato nel riassumere il contenuto di questa censura, essa s’incentra sull’assunto che ‘la Rai è soccombente sull’ an della stessa, visto il rigetto in parte qua dell’appello della medesima Rai’.
Tale assunto all’evidenza non è aderente al decisum di secondo grado: come ben risulta dal testo della sentenza qui impugnata (del cui contenuto s’è dato conto in narrativa), l’appello della RAI è stato accolto (avendo la Corte di merito giudicato fondati integralmente o in gran parte i motivi esaminati, reputando assorbit i gli altri motivi). Non v’è traccia, anche nella motivazione della sentenza gravata, di un rigetto dell’appello della RAI circa l’ an della pretesa, del resto neanche configurabile nella specie perché, trattandosi di opposizione all’esecuzione della società rispetto a titolo di formazione giudiziale (e passato in giudicato), tale opposizione in prime cure era stata solo parzialmente accolta ed ha trovato invece integrale accoglimento in secondo grado (come premesso in narrativa, la Corte in dispositivo, in accoglimento dell’appello, ha dichiarato che la sentenza passata in giudicato non costituisce titolo esecutivo; che la COGNOME non aveva diritto di agire in via esecutiva sulla base della stessa sentenza e la nullità del pignoramento presso terzi).
Correttamente, perciò, la Corte in motivazione, nel riferirsi all’ ‘esito del giudizio’, che in secondo grado vedeva del tutto soccombente la lavoratrice appellata, resistente rispetto all’opposizione, ha posto a suo carico le spese del doppio grado di giudizio.
23 . La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale