Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1039 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1039 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 683-2023 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME COGNOME ;
– intimati –
Avverso la sentenza n. 1337/2022 della Corte d’appello di Firenze, depositata il 21/06/2022;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 25/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
OPPOSIZIONE ESECUZIONE
Spese di lite
R.G.N. 683/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 25/09/2024
Adunanza camerale
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME COGNOME ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1337/22, del 21 giugno 2022, della Corte d’appello di Firenze, che accogliendone parzialmente il gravame avverso la sentenza n. 3601/18, del 31 dicembre 2018, del Tribunale della stessa città -ha confermato l’accoglimento solo parziale dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. dalla stessa proposta.
In particolare, la decisione oggi impugnata ha ribadito, per quanto qui ancora di interesse, il rigetto dell’opposizione nella parte in cui l’ allora opponente assumeva la non debenza dell’importo di € 244,80 (dovuto a titolo di anticipo delle spese di consulenza tecnica d’ufficio) dalla somma di € 442,84, della quale era stato richiesto il pagamento alla NOME COGNOME da parte di NOME e NOME COGNOME, in forza di atto di precetto notificatole il 2 aprile 2015, unitamente al titolo giudiziale costituito da sentenza pronunciata, a carico della stessa e dei suoi germani, dal medesimo Tribunale fiorentino, recante il numero 782 del 2015.
Riferisce, in punto di fatto, l’odiern a ricorrente di essersi opposta all’intrapresa esecuzione, sul rilievo che la pretesa creditoria, azionata ‘ in executivis ‘ dai COGNOME , dovesse ritenersi già integralmente soddisfatta, e ciò in forza di quanto corrisposto -anteriormente alla notifica del titolo esecutivo e del precetto -da NOME COGNOME COGNOME anch’egli uno dei coobbligati in solido al pagamento ordinato dalla già menzionata sentenza del Tribunale di Firenze, titolo dell’ esecuzione mobiliare.
Esauritasi la fase interdittale con rigetto dell’istanza di sospensione ex art. 624 cod. proc. civ., radicata dall’allora opponente quella di merito, l’esito della stessa consisteva
nell’accoglimento solo parziale dell’opposizione, con compensazione tra le parti delle spese di lite nella misura di un quarto . L’opposizione, in particolare, veniva respinta, per quanto ancora rileva nella presente sede di legittimità, anche in relazione alla dedotta non debenza della spesa di € 244,80 (asseritamente) sostenuta dai COGNOME nel giudizio in cui si era formato il titolo giudiziale, da essi poi posto in esecuzione -a titolo di acconto dovuto al consulente tecnico d’ufficio.
Gravata, pertanto, la sentenza del primo giudice, per lamentare -tra gli altri motivi di appello -che l’importo suddetto, in realtà, non sarebbe mai stato corrisposto dai COGNOME, giacché previsto in favore di un ausiliario del giudice poi revocato (e sostituito con altro) per non aver portato a termine l’incarico conferitogli, l’impugnazione veniva, sul punto, rigettata, In considerazione, invece, dell’accoglimento parziale dell’appello (su altro capo della decisione del primo giudice), le spese del secondo grado di giudizio venivano interamente compensate.
Avverso la sentenza della Corte fiorentina ha proposto ricorso per cassazione la COGNOME COGNOME sulla base -come detto -di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione degli artt. 287, 288, 474 e 480 cod. proc. civ. e/o nullità del procedimento, per violazione dell’art. 288 cod. proc. civ.
La ricorrente torna a lamentare, come già nel giudizio di merito, che la statuizione con cui il Tribunale di Firenze -nella pronuncia costituente il titolo dell’intrapresa esecuzione ha ‘posto le spese di CTU’ (senza migliore specificazione) a carico di essa COGNOME COGNOME e dei propri germani, era ‘talmente generica che per azionarla come titolo esecutivo i Sigg.ri
COGNOME ne avrebbero dovuto richiedere quantomeno la correzione’.
Avrebbe, dunque, errato la Corte fiorentina nel riconoscere il diritto dei COGNOME di procedere all’esecuzione anche in relazione al ridetto importo di € 244,80, decisione che il giudice di appello ha sostenuto , invece, essere ‘in coerenza con la statuizione contenuta nella sentenza n. 782/2015 che poneva definitivamente a carico degli opposti in quel giudizio (tra cui la odierna appellante) le spese di CTU, così da ricomprendere gli esborsi effettuati anche per il titolo in questa sede controverso’.
In realtà, poiché le sole spese di CTU liquidate del Tribunale fiorentino, nel giudizio che ha messo capo alla sentenza n. 782/2015 ( ovvero il titolo dell’intrapresa esecuzione ), erano quelle spettanti al consulente nominato in sostituzione del precedente, revocato, e non quelle asseritamente corrisposte a costui a titolo di acconto, se i COGNOME , ‘prima di notificare l’atto di precetto, avessero chiesto la correzione del titolo esecutivo’, in ragione della sua genericità, essa COGNOME COGNOME, ai sensi dell’art. 288 cod. proc. civ., ‘avrebbe potuto impugnare sul punto avanti al giudice di appello di quel giudizio il provvedimento come corretto, e non avrebbe dovuto intraprendere la presente opposizione all’esecuzione’.
Su tali basi, dunque, si imputa alla Corte territoriale (come già al Tribunale di prima istanza) di non aver rilevato la ‘mancanza di un titolo esecutivo debitamente corretto in punto di «spese di CTU»’, avendo ‘preferito «interpretare»’ (peraltro erroneam ente ed in violazione delle norme di diritto, come la ricorrente si propone di illustrare nel secondo motivo di ricorso) ‘un titolo esecutivo da correggere’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione degli artt.
61, 91, 191 e 196 cod. proc. civ. e, ‘sotto ulteriore profilo’, dell’art. 474 cod. proc. civ., anche con riferimento all’art. 168 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Assume la ricorrente che, anche ad ammettere che l’interpretazione del titolo giudiziale dell’ intrapresa esecuzione sia stata legittima, pur in assenza di correzione dell’errore materiale, essa risulterebbe, comunque, errata, giacché la somma di € 244,80, ‘non rientra in alcun caso «tra le spese di CTU»’.
A tanto, per vero, condurrebbero ‘due semplici ma altrettanto dirimenti considerazioni’ : che il consulente inizialmente nominato venne revocato, senza svolgere praticamente alcuna attività (e quindi senza maturare alcun diritto al compenso, che ove corrisposto, pertanto, avrebbe potuto dare luogo a richiesta di ripetizione dell’indebito) ; che, in ogni caso, alcun compenso o rimborso venne dallo stesso richiesto ex art. 168 del d.P.R. n. 115 del 2002, con decadenza dal relativo diritto ai sensi dell’art. 71, comma 2, del medesimo d.P.R.
3.3. Infine, il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., per ingiusta condanna parziale alle spese del primo grado.
In subordine ai precedenti motivi, la ricorrente lamenta, che, nonostante l’accoglimento parziale dell’opposizione in primo grado e dello stesso appello, la Corte fiorentina avrebbe ingiustamente confermato la condanna ai tre quarti delle spese del giudizio di primo grado, decisione che, invece, avrebbe dovuto formare oggetto di rivalutazione.
Difatti, assume la ricorrente, ‘con l’atto di appello con ben due motivi si era impugnata la errata liquidazione delle spese operata dalla sentenza di primo grado e pertanto, avendo accolto l’appello almeno sul punto, ben avrebbe potuto la Corte fiorentina riconsiderare, unitariamente in base all’esito complessivo della
contro
versia, anche l’ingiusta condanna al pagamento dei tre quarti delle spese del giudizio di primo grado della presente opposizione, magari compensando interamente anche le spese di primo grado’ (si richiama, sul punto, Cass. Sez. 2, ord. 21 giugno 2022, n. 19933).
Sono rimasti solo intimati i COGNOME .
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va rigettato.
7.1. I primi due motivi di ricorso -suscettibili di scrutinio unitario, data la loro connessione -non sono fondati, per le ragioni di seguito indicate.
7.1.1. Nello scrutinarli, si deve muovere dalla constatazione che entrambi censurano l’interpretazione del titolo esecutivo giudiziale data da ambo i giudici di merito, della quale viene lamentata l’erroneità per aver incluso nelle ‘spese di CTU’, poste a carico di essa COGNOME COGNOME e dei suoi germani, pure quelle, che si assumono non dovute (e mai percepite), relative ad acconti liquidati in favore dell’ausiliario del giudice in origine nominato e poi revocato, senza che esso abbia mai svolto, sostanzialmente, alcuna attività.
Ciò detto, non pare ozioso rammentare che nell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. all’esecuzione promossa in base a titolo giudiziale, ‘non è consentita un’integrazione, tanto meno extratestuale, del titolo esecutivo quando è univoca e certa la struttura del suo comando e quando gli ulteriori elementi potevano essere sottoposti nel giudizio in cui quel titolo si è formato al giudice della relativa cognizione e, se del caso, con l’idoneo gravame avverso il medesimo’ (tra le più recenti, Cass. Sez. 3, ord. 23 gennaio 2023, n. 1942, Rv. 666694-01).
Nella specie, a fronte della dizione ‘univoca’ del titolo (‘spese di CTU’), non può dubitarsi della correttezza di un’interpretazione che vi ha incluso anche la corresponsione di acconti al consulente poi revocato. Sicché, in definitiva, la censura -più che appuntarsi sull’interpretazione del titolo esecutivo finisce col risolversi in una contestazione della circostanza di fatto che quegli acconti siano stati realmente richiesti e percepiti, secondo quanto si deduce, in particolare, con il secondo motivo di ricorso.
Né, d’altra parte, potrebbe valorizzarsi sempre nella prospettiva di contestare l’interpretazione accolta dalla Corte territoriale -la ‘genericità’ d ella dizione ‘spese di CTU’, facendo carico ai creditori esecutanti di non aver attivato la procedura di correzione di errore materiale.
Difatti, in disparte il rilievo che tale questione non risulta aver formato oggetto dei motivi di appello (come emergenti dalla sentenza impugnata, oltre che esposti nella -per vero, assai scarna -ricostruzione che di essi è fatta dalla COGNOME COGNOME nel proprio ricorso, ciò che rende dubbia la stessa ammissibilità della censura; cfr. Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02), dirimente è la seguente constatazione. Ovvero che non si comprende affatto in quale misura una simile ‘inerzia’ dei COGNOME possa essersi convertita -per così dire, ‘alchemicamente’ in un vizio della sentenza impugnata. Il tutto,
infine, non senza considerare che se un dubbio vi era sull’effettiva portata di quella condanna alla refusione delle spese di CTU, e ciò sulla scorta degli elementi fattuali -la revoca pressocché immediata del primo consulente nominato e l’assenza di rich iesta (e, soprattutto, di percezione) di alcun acconto da parte dello stesso -dedotti con il secondo motivo del presente ricorso, essi, secondo la giurisprudenza sopra richiamata, si sarebbero dovuti far valere ‘nel giudizio in cui quel titolo si è format o al giudice della relativa cognizione’, in particolare ‘con l’idoneo gravame avverso il medesimo’ (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, ord. n. 1942 del 2023, cit .).
7.2. Il terzo motivo di ricorso è, invece, inammissibile.
7.2.1. Ancora una volta, infatti, né la sentenza impugnata, né lo stesso ricorso, danno conto di censure fatte valere in appello in relazione alla decisione di compensare, solo nella misura di un quarto, le spese del primo grado di giudizio, atteso che la statuizione su di esse pare essere stata censurata in relazione ai (soli) criteri di liquidazione. Sicché, a tacer d’altro, vi è almeno un difetto di autosufficienza -ex art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. -in relazione al presente motivo, atteso che esso non dà conto del se e del come la censura sulle spese di lite fosse stata proposta in appello.
In questa prospettiva, dunque, vano appare il tentativo della ricorrente di richiamarsi all’arresto di questa Corte da essa cit ato. La richiamata decisione, pur affermando che il giudice di secondo grado -qualora la domanda attorea sia stata parzialmente accolta, sia in primo grado che in appello -può, sulla base della valutazione inerente all’esito complessivo del giudizio, compensare, in tutto o in parte, le spese del grado di appello, nonché quelle del giudizio di primo grado, tale potere riconosce,
quanto a queste ultime, ‘se vi sia stata impugnazione sul punto’ (Cass. Sez. 2, ord. 21 giugno 2022, n. 19933, Rv. 665007-01).
Nulla va disposto in relazione alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo rimasti i COGNOME solo intimati.
A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare , al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della