Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8881 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 8881  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6533-2023 proposto da:
COGNOME  NOME,  domiciliat o  ‘ex lege ‘  presso  l’indirizzo  di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO;
– ricorrente –
contro
COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME, domiciliati ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentati e difesi dall’ AVV_NOTAIO COGNOME;
– controricorrenti –
Avverso  la  sentenza  n.  1466/2022  d ella  Corte  d’appello  di Palermo, depositata in data 05/09/2022;
Oggetto
OPPOSIZIONE ESECUZIONE
Sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo Conseguenze
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 25/11/2024
Adunanza camerale
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 25/11/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1468/22, del 5 settembre 2022, della Corte d’appello di Palermo, che respingendone il gravame avverso la sentenza n. 171/19, del 12 febbraio 2019, del Tribunale di Trap ani, pronunciatosi sull’opposizione all’esecuzione promossa da NOME COGNOME, in relazione al credito per spese processuali, azionato ‘ in executivis ‘ dall’odierno ricorrente in forza di titolo esecutivo giudiziario costituito dalla sentenza n. 1430/13 della stessa Corte palermitana -ha dichiarato l’improcedibilità dell’esecuzione intrapresa dal COGNOME, per sopravvenuta carenza del titolo esecutivo, e ciò in ragione dell’avvenuta cassazione dello stesso ad opera di questa Corte, giusta sentenza n. 22627/16, dell’8 novembre 2016.
Riferisce,  in  punto  di  fatto,  l’odierno  ricorrente  di  aver promosso una procedura per espropriazione immobiliare a carico del COGNOME, in forza del suddetto titolo esecutivo giudiziale (poi annullato da questa Corte), che aveva posto a carico dello stesso -nonché degli altri soggetti che avevano convenuto in giudizio il COGNOME, per il rilascio di un bene che assumevano essere occupato dal medesimo ‘ sine titulo ‘ -la condanna alla refusione delle spese di lite.
Proponeva  il  COGNOME  dapprima  opposizione  al  precetto  (che risulta  definita,  nel  senso  dell’accoglimento  della  stessa,  da sentenza d’appello ormai passata in giudicato, atteso che il ricorso per  cassazione  del  COGNOME  è  stato  dichiarato  improcedibile  da questa Corte, con ordinanza n. 24890/23, del 21 agosto 2023), e
poi  opposizione  ex  art.  615  cod.  proc.  civ.;  in  particolare,  tale seconda iniziativa giudiziaria veniva assunta per far valere non solo l’illegittimità degli atti  della  procedura per vizi formali, ma pure l’impignorabilità dei beni immobili staggiti, perché costituiti in fondo patrimoniale.
Disposta dal giudice dell’esecuzione la sospensione ex art. 624 cod.  proc.  civ.,  nella  fase  di  merito  del  giudizio  di  opposizione veniva ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME, coniuge del COGNOME.
L’esito del giudizio di primo grado consisteva nell’accoglimento  dell’opposizione ,  decisione  sostanziatasi  nella declaratoria di ‘inespropriabilità (relativa) dei beni’ e di estinzione della procedura esecutiva.
Esperito gravame dal creditore opposto, il giudice d’appello lo respingeva, esito al quale perveniva in accoglimento dell’eccezione preliminare -già sollevata in primo grado dall’esecutato e  riproposta  in  seconde  cure -di  sopravvenuta carenza del titolo esecutivo, in ragione della sua cassazione da parte di questa Corte.
 Avverso  la  sentenza  della  Corte  panormita  ha  proposto ricorso per cassazione il COGNOME, sulla base -come detto -di due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o errata applicazione dell’art. 12 delle preleggi, degli artt. 1362, 1372, 2909 e 1306 cod. civ. e degli artt. 336, 324, 329, 103, 97, 91 e 92 cod. proc. civ., nonché violazione degli artt. 324, 329, 103 e 336 cod. proc. civ., dell’art. 12 delle preleggi e degli artt. 1362 e 1372 cod. civ., oltre a nullità della sentenza.
Il ricorrente lamenta l’errata interpretazione, da parte della Corte territoriale, della sentenza di questa Corte, n. 22627/16, che ha caducato il titolo esecutivo. Assume, infatti, che tale pronuncia non avrebbe effetto nei confronti di NOME COGNOME, atteso che l’azione da questi proposta finalizzata al rilascio di un immobile, di comproprietà dello stesso, asseritamente occupato ‘ sine titulo ‘ dal COGNOME presenterebbe natura scindibile, rispetto a quella, ulteriormente coltivata dagli altri comproprietari, di risoluzione per inadempimento del contratto di locazione riconosciuto corrente ‘ inter partes ‘, non avendo il COGNOME partecipato al relativo giudizio celebrato innanzi a questo giudice di legittimità. Di conseguenza, si assume, la sentenza posta alla base dell’intrapresa esecuzione sarebbe, nei suoi confronti, divenuta definitiva e passata in giudicato.
D’altra parte, poiché la condanna al pagamento delle spese di lite, comminata dalla sentenza poi cassata, non era stata posta solidalmente  a  carico  di  tutti  i  soccombenti,  neppure  potrebbe invocarsi  l’applicazione  dell’art.  1306  cod.  civ.,  per  giustificare l’efficacia, anche in favore di NOME COGNOME, della pronuncia di questa Corte che ha caducato il titolo esecutivo in forza del quale era stata intrapresa, nei suoi confronti, la procedura di espropriazione immobiliare.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o errata applicazione dell’art. 12 delle preleggi, degli artt. 1362, 1372, 2909, 2028, 2032 e 1705 cod. civ. e degli artt. 336, 324, 329, 103 e 112 cod. proc. civ., oltre a violazione degli artt. 324, 329, 103 e 112 cod. proc. civ., degli artt. 1362 e 1372 cod. civ., e dell’art. 12 delle preleggi, oltre a nullità della sentenza.
Il ricorrente lamenta, nuovamente (ancorché sotto un diverso profilo), l’errata interpretazione, da parte della Corte palermitana, della sentenza di questa Corte, n. 22627/16.
Si contesta, in particolare, l’applicazione che il giudice d’appello ha fatto del principio enunciato da Cass. Sez. Un., sent. 4 luglio 2012, n. 11136 -secondo cui, sugli immobili oggetto di comunione, ogni comproprietario è legittimato ad agire in giudizio per la tutela del diritto nella sua interezza, atteso che, sul bene comune, concorrono pari poteri gestori di tutti i comproprietari, in virtù della presunzione per cui ciascuno di essi opera con il consenso degli altri. In forza di tale principio, pertanto, si è ritenuto che il ricorso per cassazione esperito dagli altri comproprietari avesse giovato pure a NOME COGNOME.
Assume, per contro, il ricorrente che ‘il potere gestorio di affare altrui viene meno nel momento in cui il comproprietario interessato sia in grado di provvedervi da sé stesso’, di talché, nel caso di specie, la costituzione in giudizio ‘di ciascun compro prietario che ha rivendicato il suo personale diritto’ nei confronti di esso COGNOME ‘ha determinato l’insorgere di una pluralità di rapporti processuali autonomi all’interno dello stesso giudizio, deciso con sentenza formalmente unica ma produttiva di effet to separato su ciascuno dei rapporti processuali’. Ciò premesso, nonché considerato che ‘l’azione di risoluzione per inadempimento è scindibile e non dà luogo a litisconsorzio necessario’, il ricorrente assume che se ne debba trarre come conseguenza che ‘la domanda di risoluzione per mancato pagamento dei canoni’, che gli altri comproprietari hanno continuato a coltivare nell’impugnare la sentenza titolo dell’esecuzione intrapresa da esso COGNOME poi cassata da questa Corte, non ha potuto svolgere alcuna efficacia nei confronti di NOME COGNOME.
Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il COGNOME e la COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile.
8.1. Invero, il passaggio in giudicato della sentenza che ha accolto l’opposizione al precetto proposta dal COGNOME (atteso che, come detto, il ricorso per cassazione del COGNOME, avverso di essa, è stato dichiarato improcedibile da questa Corte, con ordinanza n. 24890/23, del 21 agosto 2023), ha comportato il definitivo riconoscimento della sopravvenuta caducazione del titolo in forza del quale il COGNOME intraprese la procedura espropriativa immobiliare per cui è causa e, attesa la peculiarità delle ragioni in quella sede sviluppate, soprattutto il definitivo riconoscimento della pronuncia su queste ultime, riproposte nella presente sede. A ciò consegue, pertanto e in primo luogo, l’applicazione del principio secondo cui ‘il giudice dell’opposizione all’esecuzione è tenuto a compiere d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, la verifica sulla esistenza del titolo esecutivo posto alla base dell’azione esecutiva, potendo rilevare sia l’inesistenza originaria del titolo esecutivo sia
la sua sopravvenuta caducazione’ (cfr. Cass. Sez. Lav., sent. 29 novembre 2004, n. 22430, Rv. 578146-01; Cass. Sez. 3, sent. 13 luglio 2011, n. 15363, Rv. 619222-01), e ciò in applicazione del principio compendiato nel classico brocardo ‘ nulla executio sine titulo ‘ (Cass. Sez. Un., sent. 21 settembre 2021, n. 25478, non massimata sul punto).
Ma, per quanto detto, il giudicato sull’opposizione a precetto si estende pure alle questioni dedotte nell’odierna opposizione, su cui parte ricorrente non può, quindi, ulteriormente insistere.
Pertanto, il presente ricorso va dichiarato inammissibile, visto che, nel giudizio di cassazione, ‘l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successi vamente alla pronuncia della sentenza impugnata’, trattandosi, infatti, ‘di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto’ (Cass. Sez. Lav., ord. 21 aprile 2022, n. 12754, Rv. 664480-01).
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
A carico del ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di  versare , al competente  ufficio  di  merito,  un  ulteriore  importo  a  titolo  di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20
febbraio  2020,  n.  4315,  Rv.  NUMERO_DOCUMENTO),  ai  sensi  dell’art.  13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso,  condannando NOME COGNOME a rifondere, a NOME COGNOME e NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 1.550,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art.  1,  comma  17,  della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei  presupposti  per  il  versamento  da  parte  del  ricorrente,  al competente  ufficio  di  merito, dell’ulteriore  importo  a  titolo  di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  all’esito  dell’adunanza  camerale della