Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11638 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11638 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7327-2024 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DEL MERITO – UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LA LOMBARDIA – AMBITO TERRITORIALE DI PAVIA, ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE DI MORTARA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 110/2024 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/02/2024 R.G.N. 521/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Graduatorie
ATA
R.G.N.7327/2024
COGNOME
Rep.
Ud.08/01/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Il Ministero dell’istruzione e merito aveva proceduto a seguito di un controllo a campione alla esclusione dalla graduatoria ATA del signor COGNOME ritenendo che egli non possedesse come, invece, dallo stesso dichiarato il titolo necessario all’inserimento nella graduatoria medesima. Conseguentemente, il Ministero aveva proceduto alla sua esclusione per dichiarazioni mendaci e alla risoluzione del contratto a tempo determinato con l’Istituto Comprensivo di Mortara.
Con ricorso al Tribunale di Pavia, il signor COGNOME esibiva copia autenticata dall’ufficio anagrafe del Comune di Brancaleone del diploma di maturità magistrale rilasciato in data 14 luglio 2001 dall’Istituto Maria Immacolata di Africo Nuovo, chiedendo , pertanto, l’accertamento dell’illegittimità dell’esclusione e della risoluzione contrattuale.
Il Tribunale accoglieva la domanda.
La Corte d’appello di Milano in riforma della sentenza del Tribunale di Pavia rigettava, viceversa, le domande proposte dal signor COGNOME ritenendo le stesse infondate.
Ad avviso della Corte d’appello risultava che nel 2001 erano stati consegnati all’Istituto Maria Immacolata 18 modelli di diploma in bianco numerati dal numero 382515 al numero 382532. Altri 52 modelli, in pari data, erano stati consegnati all’Istituto Pan etta di Locri. La numerazione di questi ultimi era dal numero 382533 al numero 382584. La Corte territoriale rilevava che l’atto autenticato prodotto in giudizio, ossia il diploma che COGNOME aveva dichiarato di aver conseguito presso l’Istituto NOME e che aveva inviato all’amministrazione per l’inserimento in graduatoria, recava numero 382533 corrispondendo, quindi, al primo dei diplomi consegnati all’Istituto INDIRIZZO di Locri, non a quelli consegnati alla scuola Maria Immacolata di Africo. Inoltre, la Corte di merito dava rilievo anche un elenco degli alunni di classe quarta della scuola Maria Immacolata di Africo per l’anno scolastico 2000/2001 tra cui non risultava il nome del signor COGNOME. E ancora, la Corte faceva rilevare che era stata prodotta una nota del dirigente scolastico della scuola COGNOME di Locri in cui veniva dichiarato che il numero di pergamena 382533 corrispondeva al diploma rilasciato ad altro soggetto, signora NOME COGNOME per maturità artistica.
Ciò posto la Corte d’appello, a fronte della palese evidenza della documentazione predetta, riteneva provato che il signor COGNOME aveva ottenuto l’inserimento nella graduatoria e conseguente contratto a tempo determinato sulla base di dichiarazioni mendaci e di documento non genuino, per cui la declaratoria di decadenza e la conseguente risoluzione contrattuale apparivano atti dovuti e, quindi, legittimi.
La sentenza è stata impugnata con ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi; l’amministrazione è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 445 del 2000 articolo 18, comma 2 e dell’articolo 2714 c.c. in riferimento all’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c. non avendo la Corte tenuto i n debita considerazione i principi dalle norme predette espressi in relazione alla validità e all’efficacia probatoria di atti autenticati da pubblici ufficiali. In particolare, la sentenza di appello avrebbe integralmente omesso la valutazione della copia autenticata del diploma di maturità prodotta in originale nel giudizio di primo grado non pronunciandosi sui motivi per cui detto documento non dovesse essere ritenuto valido ai fini della decisione con valore probatorio di pari grado a quello dei documenti depositati in giudizio dal Ministero.
Con il secondo motivo ci si duole, ai sensi dell’articolo 360, primo comma n.5, c.p.c., dell’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, poiché la corte territoriale avrebbe omesso di esaminare compiutamente l’eccezione di parte appellata relativa all’allegato numero tre, depositato da part e dell’amministrazione in data 28 novembre 2023.
Con il terzo motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell’articolo 5 del D.M. n. 50 del 3 marzo 2021, in recepimento della cosiddetta ‘legge Madia’ sulla certezza del diritto e sulla cristallizzazione della posizione giuridica del destinatario del provvedimento impugnato in primo grado, nonché per violazione falsa applicazione delle norme sul procedimento amministrativo di cui all’articolo 55 bis e ter del decreto legislativo n.165/200 1 recepito dal contratto collettivo nazionale scuola.
Il ricorso è infondato per i seguenti motivi.
La prima censura è inammissibile per non essersi il ricorrente confrontato con la ratio decidendi della pronuncia impugnata.
Orbene, il ricorso per cassazione deve contenere a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421; Cass. 24/02/2020, n. 4905). In particolare, è necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la «ratio decidendi» posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto dirimente la circostanza che il numero di pergamena che, secondo l’atto autenticato dal Comune di Africo Nuovo contraddistingue il titolo di studio del signor COGNOME appartiene in realtà ad un altro diploma rilasciato da altra scuola a favore di persona diversa, con conseguente accertamento di non genuinità della documentazione prodotta ai fini dell’inserimento nella graduatoria. Tale profilo decisorio non viene aggredito dall’odierno ricorrente che si limita a contestare la valutazione operata dal giudice del merito che ha ritenuto, con motivazione congrua, tale documento inidoneo a dimostrare il conseguimento del titolo di studio.
Anche il secondo motivo è inammissibile.
Va premesso che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte è “inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019).
Orbene, nel caso di specie, la Corte distrettuale ha esaminato l’allegato n. 3 versato in atti dal MIM, nella misura in cui ha ritenuto irrilevanti alcune correzioni al verbale di consegna dei diplomi da parte del Provveditore agli studi al Preside della scuola NOME di Africo, soprattutto perché i numeri delle pergamene corrispondono al numero dei diplomi consegnati e la numerazione corrisponde a quella dei diplomi rilasciati all’altra
scuola di Locri. Conseguentemente, la censura è esclusivamente finalizzata a richiedere a questa Corte una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito.
Il terzo motivo riguardante la asserita violazione della c.d. ‘Legge Madia’ nonché l’art. 55 bis e ter del decreto legislativo n. 165/2001 è, altresì, inammissibile.
Va al riguardo premesso che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 28060/2018; conf. Cass. 22069/2015).
Ciò posto, l’odierno ricorrente rappresenta di avere dedotto la questione della violazione dell’art. 5 del DM n. 50 del 3/3/2021 in recepimento della Legge Madia nel ricorso introduttivo di primo grado, ma nulla allega circa l’eventuale decisione sul punto del primo giudice e dei termini in cui la questione è stata devoluta alla Corte d’appello, al fine di consentire a questa Corte di valutare l’ammissibilità della questione sotto il profilo dell’assenza di novità.
Ad ogni buon conto il motivo è infondato in quanto le norme indicate nella censura asseritamente violate non vengono in rilievo nel caso di specie.
Va rilevato che in tema di lavoro pubblico privatizzato, nel cui ambito gli atti di gestione del rapporto di lavoro sono adottati con i poteri e le capacità del privato datore di lavoro, l’atto con cui l’Amministrazione revochi un incarico (nella specie, di insegnamento a tempo determinato), sul presupposto della nullità dell’atto di conferimento per inosservanza dell’ordine di graduatoria, equivale alla condotta del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perché affetto da nullità, trattandosi di un comportamento
con cui si fa valere l’assenza di un vincolo contrattuale, e non potendo darsi esercizio del potere di autotutela in capo all’Amministrazione datrice di lavoro (Cassazione 8328/2010).
Nel caso di specie l’amministrazione non ha , quindi, posto in essere un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente né tantomeno un provvedimento in autotutela finalizzato all’annullamento di un precedente provvedimento amministrativo in quanto illegittimo ovvero non conveniente. Ed invero, la declaratoria di decadenza e la risoluzione contrattuale sono conseguenti al necessario controllo e verifica da parte dell’amministrazione della idoneità allo svolgimento del rapporto di pubblico impiego che presuppone il possesso dei titoli di studio per la validità del contratto, per cui è da escludersi che tali verifiche rientrino nell’esercizio del generale potere di autotutela amministrativa, trattandosi di un comportamento con cui si fa valere l’assenza del vincolo contrattuale.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro, in data 08/01/2025.