Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5367 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5367 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2115/2023 R.G. proposto da:
COGNOME nella qualità di titolare dell’omonima azienda agricola, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del rappresentante legale p.t., NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, EMAIL
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante p.t. e
Presidente, NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, studiolegale@pec.avvocatogaetanoforte.it;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 1644/2022, depositata il 10/11/2022 e notificata l’11/11/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/01/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’Azienda agricola COGNOME, operante nel settore delle produzioni agricole di tipo cerealicolo-orticolo-olivicolo e vinicolo, conveniva dinanzi al Tribunale di Lucera- Sez. dist. di Apricena, la RAGIONE_SOCIALE, da cui aveva acquistato il prodotto fitosanitario denominato RAGIONE_SOCIALE (presentato dalla RAGIONE_SOCIALE come <> e <>), allo scopo di utilizzarlo nell’annata agraria 2007-2008 per la coltivazione e produzione delle colture intensive biologiche di ortaggi a rotazione stagionale, uva da vino e da tavola, chiedendo che: a) fosse accertato l’illecito della convenuta consistente nell’avergli fornito un prodotto inadatto alla coltivazione biologica, in ragione della presenza in esso di un componente chimico, il Dimetomorf, non consentito per le coltivazioni biologiche: circostanza emersa non solo in sede di A.T.P. ante causam , ma anche dagli esami eseguiti da una società tedesca interessata all’acquisto di uva biologica oltre che da quelli disposti dall’Organismo di controllo delle coltivazioni biologiche
‘RAGIONE_SOCIALE‘; b) la convenuta fosse condannata: b 1 ) al risarcimento di tutti i danni patiti e/o patiendi, di natura patrimoniale e/o non patrimoniale, fino alla concorrenza di euro 8.000.000,00 ovvero fino alla diversa maggiore o minore somma da accertarsi in giudizio e/o da liquidarsi anche equitativamente; b 2 ) alla restituzione della somma di euro 35.941,93, pagata per la fornitura del Sulfar; b 3 ) al pagamento della somma di euro 2.581,80 per spese anticipate per gli esami di laboratorio e dell’ulteriore somma di euro 4.792,25 per l’ATP svolta ante causam ; b 4 ) al pagamento delle competenze di giudizio.
Costituendosi in giudizio, la RAGIONE_SOCIALE chiedeva di chiamare in causa a garanzia la RAGIONE_SOCIALE, cui aveva affidato la preparazione del fungicida, e la RAGIONE_SOCIALE con la quale aveva stipulato una polizza assicurativa; eccepiva l’incompetenza del tribunale adito in favore di quello di Rovigo e, nel merito, contestava la dedotta inutilizzabilità del fitofarmaco Sulfar nell’agricoltura e coltivazione biologica nonché le risultanze raggiunte dal CTU in sede di accertamento tecnico preventivo.
La RAGIONE_SOCIALE respingeva ogni responsabilità ascrittale dalla RAGIONE_SOCIALE adducendo di essersi limitata a curare la miscelatura della borlanda che la committente le aveva fornito, addizionandola con lo zolfo.
RAGIONE_SOCIALE eccepiva la carenza di legittimazione attiva di parte attrice e chiedeva il rigetto della domanda di manleva per inoperatività della polizza e comunque instava affinché fossero ritenute infondate le domande rivolte alla convenuta RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale, con sentenza n. 2005/2019 rigettava la domanda attorea, basandosi sulle emergenze della C.T.U. espletata in giudizio, escludendo, quindi, che il Dimetomorf fosse una sostanza chimica vietata per le coltivazioni biologiche, accertandone, ex adverso , il frequente impiego in agricoltura, ritenendo che il
quantitativo significativamente superiore al limite legale, rinvenuto peraltro sulle sole foglie di vite, fosse da imputare probabilmente proprio all’attore che non aveva provveduto ad una corretta diluizione del prodotto o che non lo aveva uniformemente distribuito.
La Corte d’appello di Bari, con la sentenza n.1644/2022, resa pubblica il 10/11/2022 e notificata l’11/11/2022, ha rigettato l’appello, ritenendo: a) carente di prova la titolarità del diritto posto a base della domanda dell’appellante, essendosi il medesimo sottratto all’onere di dimostrare le ragioni giuridiche che collegavano il diritto azionato alla sua persona, non avendo provato, in particolare, <> nonché <>, essendo emerso che esercitava la sua attività in parte su fondi di sua proprietà ed in parte su terreni di un terzo, NOME COGNOME totalmente estraneo all’azienda agricola, e che si era sottratto non solo all’onere di dimostrare le ragioni giuridiche che collegavano il diritto alla sua persona (<>), ma neppure aveva <>; b) inidonea a dimostrare la titolarità del diritto la scrittura privata prodotta durante l’espletamento della C.T.U. da cui emergeva che NOME COGNOME aveva autorizzato il padre NOME ad agire nel suo interesse, in quanto essa non era autenticata, era priva di data certa, non conteneva riferimenti ai
dati censuari dei terreni, non indicava se la gestione era a titolo gratuito o oneroso, né la scadenza; c) contestato ritualmente da parte convenuta il difetto di titolarità del diritto, precisando che detta contestazione può sostanziarsi in una negazione che assume i caratteri tecnico-giuridici di una mera difesa <> e che NOME COGNOME non aveva <>.
NOME COGNOME formulando quattro motivi, ricorre per la cassazione di detta sentenza.
RAGIONE_SOCIALE resistono con separati controricorsi.
RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva in questa sede.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Parte ricorrente e RAGIONE_SOCIALE depositano memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunzia <>.
La tesi della ricorrente è che la corte d’appello abbia violato il principio devolutivo, poiché <>; a tal fine sostiene che: i) l’eccezione di difetto di legittimazione attiva era stata oggetto di discussione in contradditorio nel giudizio di primo grado ed era stata rigettata (implicitamente) dal tribunale e che, sebbene si trattasse di nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, essa incontrava il limite del giudicato interno che nel caso di specie si era formato per effetto della mancata proposizione dell’impugnazione incidentale secondo i dettami dell’art. 342 cod.proc.civ. e nelle forme di cui all’art. 343 cod.proc.civ.; ii) RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, costituendosi in giudizio, aveva rilevato che parte attrice affermava di esercitare l’attività di azienda agricola su terreni parte in proprietà del titolare dell’azienda agricola medesima, parte del figlio NOME e che quindi le coltivazioni interessate alla vicenda non appartenevano all’azienda agricola attrice che non era proprietaria del relativo suolo -ed aveva reiterato l’eccezione di difetto di legittimazione attiva nel corso del giudizio di primo grado (cfr. comparsa di costituzione, memoria ex art.183, 6° comma, n.1 cod.proc.civ., foglio di p.c., comparsa conclusionale e replica conclusionale); iii) con la memoria ex art 183, 6° comma, n. 1 cod.proc.civ., parte attrice aveva replicato a detta eccezione; iv) tra i quesiti posti dal tribunale al CTU vi era anche quello finalizzato ad <>; v) diversamente da quanto sostenuto dalla corte d’appello, il tribunale aveva ritenuto infondata implicitamente l’eccezione di carenza di legittimazione attiva, avendo rigettato la domanda risarcitoria di NOME COGNOME perché <>.
Sulla scorta di tali argomenti il ricorrente sostiene che l’eccezione di difetto di legittimazione attiva avrebbe dovuto formare oggetto di impugnazione incidentale, in forza del principio di diritto enunciato dalle sezioni Unite con la pronuncia n. 7925/2019, secondo il quale <>. Insiste nel dire che le parti totalmente vittoriose nel merito, ma soccombenti teoricamente sulla questione pregiudiziale di diritto, per ovviare al rigetto espresso o implicito dell’eccezione avrebbero dovuto proporre appello incidentale e non limitarsi – <>.
Ulteriore argomento a supporto della sua tesi è il fatto che neanche tutte le parti appellate avevano riproposto in modo specifico e tempestivo l’eccezione ex art 346 cod.proc.civ.: solo Axa Assicurazioni S.p.A. aveva spiegato un inammissibile appello incidentale, in quanto non rispettoso dei dettami di cui all’art. 342 cod.proc.civ., difettando l’individuazione delle norme di legge sulle quali si fondava l’eccezione e, comunque inammissibile e/o irrilevante essendo, terza chiamata in causa in garanzia dalla convenuta COGNOME (artt.103, 106 cod.proc.civ.) che a sua volta non aveva proposto appello incidentale. L’azione principale e quella di garanzia sono fondate su due titoli diversi e le relative cause sono scindibili, con la conseguenza che se il convenuto soccombente non propone l’impugnazione della pronuncia sulla causa principale, su quest’ultima si forma un giudicato, che si estende nei confronti del terzo chiamato (cfr. litisconsorzio facoltativo improprio tra parti confluite in un unico pro cesso), avendo il terzo, chiamato in garanzia dal convenuto, poteri processuali riconducibili a quelli dell’interventore adesivo dipendente, cui è preclusa la facoltà di formulare eccezioni non sollevate dal convenuto siccome quella di impugnare la sentenza che dichiari quest’ultimo soccombente nei confronti dell’attore.
Il motivo è inammissibile.
La ratio decidendi dell’impugnata sentenza, illustrata soprattutto alle pp. 8-10, non è stata né colta né confutata efficacemente da parte ricorrente.
La corte territoriale ha infatti ritenuto che spettava a NOME COGNOME allegare di avere la legittimazione ad agire ed anche la titolarità sostanziale del diritto azionato e che il medesimo invece si era sottratto all’adempimento di detto onere, anche a seguito della rituale contestazione della parte convenuta.
Parte ricorrente, invece, ha costruito l’intera trama delle sue argomentazioni difensive attorno all’assunto erroneo che la corte d’appello si sia pronunciata sul suo difetto di legittimazione attiva.
È opportuno ricordare che la distinzione tra titolarità del diritto e legittimazione attiva è scolpita da Cass., Sez. un., 16/02/2016, n. 2851, a mente della quale <> e <>. Solo ove il convenuto avesse
riconosciuto il fatto posto dall’attore a fondamento della domanda oppure nel caso in cui avesse articolato <> gli sarebbe stato precluso anche in appello di <>.
Ebbene, nel caso qui esaminato, a Settimio COGNOME si contesta di non aver provato di avere la titolarità sostanziale del diritto fatto valore -e non il difetto di legitimatio ad causam -; la questione riguardava un elemento costitutivo indefettibile della domanda, il cui accertamento attiene al merito della controversia e non una questione pregiudiziale di rito.
Detto ragionamento della corte d’appello non è stato affatto colto dal ricorrente che ha svolto difese inconducenti che non l’hanno scalfito, con conseguente inammissibilità del motivo per violazione dell’art. 366, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ.
2) Con il secondo motivo parte ricorrente prospetta <> , per avere la Corte d’appello di Bari errato nel ritenere che per dimostrare la titolarità del diritto risarcitorio azionato era necessaria <>; essendo emerso e/o risultato incontestato che coltivava, in quanto titolare di un’azienda agricola, i terreni interessati dalla denunciata contaminazione, il ricorrente sostiene che non era tenuto a fornire la prova del diritto, reale o personale, in forza del quale aveva coltivato detti terreni né era tenuto a identificare quelli sui quali aveva calcolato la richiesta
risarcitoria; di conseguenza, la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto superflua la delibazione, nel merito, dei motivi di gravame.
In particolare, sostiene che, avendo coltivato i terreni danneggiati dal Dimetomorf, esercitava sugli stessi un potere di fatto che lo legittimava ad agire per chiedere il risarcimento del danno, indipendentemente dal diritto reale e/o di godimento che poteva avere all’esercizio di quel potere materiale; contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo il diritto al risarcimento del danno spetta anche a chi aveva coltivato i terreni ed abbia subito, per effetto dell’evento dannoso denunciato, una diminuzione patrimoniale, atteso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, colui che si trovi ad esercitare un potere materiale sulla cosa può risentire un danno dal danneggiamento della stessa e quindi agire in giudizio per richiedere il risarcimento del danno.
La corte d’appello, inoltre, non avrebbe tenuto conto dei fatti precisi, gravi e concordanti ( ex artt. 2697, 2727, 2729 cod.civ.) acquisiti al giudizio dai quali desumere la titolarità del diritto risarcitorio, considerato che era risultato incontestato che parte ricorrente coltivava i terreni ove le colture erano risultate contaminate dal COGNOME, che era titolare dell’omonima azienda agricola e che in forza di detta qualità aveva coltivato i terreni. Anche la scrittura privata del 2007 avrebbe dovuto essere considerata quanto meno un principio di prova scritta del fatto che coltivava anche i terreni del figlio NOME COGNOME e che le evidenziate relative carenze formali erano appunto riconducibili e/o giustificabili proprio per l’incontestato rapporto di parentela sussistente con il titolare del diritto reale sui terreni coltivati.
Il giudice a quo sarebbe incorso in errore anche per avere preteso l’identificazione catastale dei terreni, ai fini della prova della titolarità del diritto azionato, posto che la prova della consistenza dei terreni è una questione che riguarda il quantum della pretesa
risarcitoria, considerato che il diritto al risarcimento del danno era stato calcolato sulla superficie dei terreni relativi alle colture danneggiate e contaminate dal Dimetomorf. Né la corte territoriale avrebbe considerato che: a) l’Ente di controllo ‘RAGIONE_SOCIALE‘ aveva soppresso, in via prudenziale, le indicazioni di metodo biologico, con riguardo all’uva da tavola ‘Sugraone’ <>; b) la relazione d’ufficio in sede di ATP conteneva la descrizione dell’azienda agricola COGNOME con analitica descrizione ed identificazione anche catastale dei terreni facenti parte dell’azienda e coltivati ad uva da tavola e da vino.
In ogni caso, l’identificazione catastale dei terreni non era stata oggetto di contestazione da parte convenuta, poiché, come detto, l’eccezione di carenza di legittimazione era stata sollevata sul presupposto della mancata <> (pag. 8 sentenza impugnata), non per carenza di indicazione catastale dei terreni.
Il motivo è fondato p.q.r.
Nel caso di specie emerge chiaramente dall’impugnata sentenza che l’impresa agricola aveva chiesto il risarcimento del <> (p. 3).
Il credito risarcitorio nel caso di specie, in considerazione dei fatti per come prospettati e della consistenza delle richieste risarcitorie, non era legato ai fondi coltivati, se non indirettamente; la richiesta risarcitoria non riguardava i beni, non era mai stato dedotto, infatti, che essi avessero subito un danno per effetto della contaminazione, né parte ricorrente se ne era mai lamentata. Di conseguenza, non era tenuta a dimostrare né di essere proprietaria dei terreni coltivati né di essere stata incaricata di coltivarli dal relativo proprietario. A legittimarla era il fatto che avesse nella qualità indicata coltivato i terreni, destinandoli a una coltura biologica, e che in tale qualità avesse acquistato il Solfur, andando incontro alle conseguenze che ne erano derivate. Non faceva parte del thema decidendum e quindi del thema probandum la sua legittimazione a coltivare i terreni. La pretesa, dunque, che dimostrasse di avere un diritto di proprietà sui terreni contaminati o che il proprietario degli stessi le avesse conferito il potere di farlo (a ciò sarebbe servito l’atto documentato dalla scrittura privata del 2007) deve considerarsi errata.
Alla base del ragionamento argomentativo di parte ricorrente vi è infatti la tesi secondo cui la sua legittimazione ad agire per chiedere il risarcimento del danno non era legata al titolo in forza del quale coltivava i terreni, ma allo svolgimento dell’attività di coltivazione: quando cioè evoca il potere di fatto sui beni ha ragione, sia pure esclusivamente nella misura in cui si suole che la corte d’appello abbia preteso la prova di essere titolare del diritto di proprietà e/o del diritto personale di godimento dei terreni, non nella parte in cui anche, evocando la giurisprudenza di questa Corte, pretende di applicare alla vicenda per cui è causa la giurisprudenza che estende al possessore la legittimazione risarcitoria per i danni subiti dai beni danneggiati da un fatto illecito.
Muovendo da detto assunto -cioè che a rilevare ai fini della titolarità sostanziale del diritto controverso non fosse la titolarità del diritto sui beni -parte ricorrente coglie in parte nel segno anche quando si duole che la corte d’appello abbia preteso da parte sua la prova dell’indicazione catastale dei terreni contaminati, non tanto o almeno non solo perché detta indicazione rilevava esclusivamente ai fini della quantificazione del danno, ma perché i danni lamentati non riguardavano la contaminazione dei terreni, ma gli effetti sui prodotti agricoli riferiti all’annata agraria 2008, cioè la loro incommerciabilità, la perdita in conseguenza di ciò di contratti già conclusi oltre che il danno all’immagine aziendale.
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della <>. L’impugnata sentenza sarebbe nulla per erronea ricognizione del contenuto delle prove e degli elementi acquisiti al giudizio, essendo evidente che dai documenti probatori acquisiti erano stati identificati catastalmente i terreni coltivati, contaminati a seguito dell’utilizzo del Sulfar.
4) Con il quarto motivo il ricorrente lamenta <>, per avere la Corte d’appello di Bari accolto l’eccezione di difetto di titolarità del rapporto dal lato attivo con una motivazione <>.
Pur avendo riconosciuto che l’azienda agricola COGNOME Settimio <> e che era risultato accertato che la contaminazione aveva interessato l’uva da tavola Sugraone, coltivata dall’azienda Passalacqua Settimio, la corte di merito avrebbe escluso integralmente la titolarità del diritto risarcitorio senza l’illustrazione delle ragioni logico -giuridiche in forza delle quali è stata pretesa la prova del diritto reale e/o di godimento sui terreni ai fini della prova della sussistenza della titolarità attiva, nonché le ragioni logico-giuridiche in forza delle quali ha ritenuto non sufficiente la prova della coltivazione dei terreni da parte dell’appellante e del pregiudizio economico subito dal medesimo.
Dato l’accoglimento p.q.r. del secondo motivo di ricorso, i motivi terzo e quarto sono assorbiti.
All’accoglimento p.q.r. del secondo motivo, assorbiti il terzo e il quarto, inammissibile il primo, consegue la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche a liquidare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie p.q.r. il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il terzo e il quarto motivo e inammissibile il primo motivo. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 17 gennaio 2025 dalla