Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31202 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31202 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 30970 – 2020 proposto da:
RAGGIUNTI NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura allegata al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore, elettivamente domiciliata in Roseto degli Abruzzi (TE), presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dalla quale è rappresentata e difesa, giusta procura allegata al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 656/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA , pubblicata il 6/5/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal consigliere NOME COGNOME lette le memorie delle parti; rilevato che:
con sentenza n. 478/2015, il Tribunale di Teramo respinse la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, diretta a ottenere la condanna della società convenuta alla demolizione delle porzioni di edificio realizzate sul fondo confinante in violazione delle distanze minime dalla sua asserita proprietà esclusiva e al risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti per effetto dell’asservimento di fatto del fondo di proprietà a quello della società convenuta;
il Tribunale ritenne il difetto di legittimazione attiva di NOME COGNOME che non aveva prodotto alcun titolo di acquisto della proprietà per la cui tutela aveva agito in giudizio e, in ogni caso, riscontrò, a mezzo di c.t.u., che ella era proprietaria non della porzione immobiliare interessata dalle lamentate violazioni delle distanze, appartenente, invece, a un terzo soggetto estraneo al giudizio, ma di un immobile posto sul lato opposto del fabbricato edificato dalla convenuta;
c on sentenza n. 656/2020, la Corte d’appello di L’Aquila ha dichiarato inammissibile l’appello di NOME COGNOME che aveva rappresentato la mancata contestazione della sua legittimazione attiva da parte della convenuta e la non necessità di una prova rigorosa della proprietà nell’ actio negatoria servitutis qual era quella da lei espletata;
in particolare, per quel che qui rileva, la Corte d’appello , dopo aver richiamato la differenza fra le nozioni di legittimazione ad agire e di titolarità del diritto come delineate da questa Corte (S.U. n.
2951/2016), ha rimarcato che l’appellante aveva fondato la sua impugnazione soltanto sulla mancata considerazione, da parte del Giudice di primo grado, della non contestazione della sua legittimazione attiva da parte della società convenuta e non aveva, invece, censurato l’autonoma e principale ratio posta a fondamento del rigetto dal Tribunale e, cioè, la accertata prova della titolarità della proprietà del bene oggetto della negatoria servitutis in capo a soggetto terzo, rimasto estraneo al giudizio;
avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi, a cui l’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie;
considerato che:
-con il primo motivo NOME COGNOME, senza indicare specificamente una delle ipotesi del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., ha riproposto la questione della mancata contestazione, da parte della convenuta società, della sua titolarità della proprietà dell’immobile oggetto della proposta negatoria servitutis , denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 167 cod. proc. civ.;
con il secondo motivo, ancora una volta privo dell’indicazione normativa del vizio denunciato, la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art.949 cod. civ. e dell’art. 113 cod. proc. civ., per non avere la Corte d’appello ritenuto sussistente la prova dell a titolarità del diritto azionato « in forza dell’incarto processuale richiamato al motivo che precede e del comportamento processuale del convenuto», in considerazione della ammissibilità di prova per presunzioni e, in ogni caso, poiché nelle negatorie, ai sensi dell’art. 949 cod. civ., la legittimazione processuale attiva compete non soltanto al
proprietario, ma anche al titolare di un diverso diritto reale sul fondo servente;
-i due motivi sono inammissibili perché non censurano, preliminarmente, la dichiarazione di inammissibilità dell’appello, motivata dalla Corte territoriale sulla mancata impugnazione della ratio fondante della sentenza di rigetto di primo grado e, cioè, il difetto di titolarità del diritto della porzione immobiliare asseritamente servente, in quanto situata di fronte alla costruzione della convenuta; dalla c.t.u. espletata era, infatti, emerso che era un terzo estraneo al giudizio ad essere proprietario frontista della società, mentre NOME COGNOME era proprietaria di un immobile situato sul lato opposto del fabbricato edificato in asserita violazione delle distanze;
i due motivi, invero, ripropongono le questioni già sollevate nei gradi di merito, senza attingere la ragione della statuizione di inammissibilità, cioè senza contestare che nel l’appello non risultasse censurato il difetto di titolarità accertato dal Tribunale e posto a fondamento della statuizione di rigetto di primo grado; ne consegue un ricorso inammissibile perché concernente questioni di merito il cui esame è precluso dalla dichiarazi one di inammissibilità dell’appello (cfr. in ultimo, Cass. Sez. 2, n. 24550 del 11/08/2023);
dal rigetto del ricorso deriva la condanna di NOME COGNOME al rimborso delle spese in favore della resistente società, liquidate in dispositivo secondo il valore della causa, con distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratasi antistataria ;
stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge , con distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratasi antistataria.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda