Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27144 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27144 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/10/2025
SENTENZA
sul ricorso 20692/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrenti – et
COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME;
-intimati- avverso la sentenza n. 601/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 07/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Termini Imerese NOME COGNOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME chiedendo che fosse accertato che il fabbricato di proprietà di questi ultimi era stato realizzato in violazione delle norme locali sulle distanze dai confini e dalle vedute e aperture. Chiese altresì che i convenuti fossero condannati in solido al ripristino delle distanze legali, alla chiusura delle aperture e delle parti del loro edificio fuori regola e al risarcimento dei danni.
1.1. Si costituì soltanto COGNOME NOME, la quale eccepì preliminarmente la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza; nel merito chiese il rigetto della domanda attorea e, in via riconvenzionale, promosse domanda di usucapione, sostenendo di avere acquisito il diritto di mantenere le distanze irregolari denunciate dall’attore , per averne esercitato il possesso pubblicamente, pacificamente e continuamente per oltre vent’anni.
1.2. Il Tribunale disattese in via preliminare l’eccezione di nullità dell’atto introduttivo del giudizio, e nel merito rigettò la domanda attorea mentre accolse la domanda riconvenzionale.
La Corte d’appello di Palermo rigettò l’impugnazione proposta da NOME COGNOME e confermò la sentenza di primo grado.
2.1 Questi, in sintesi, gli argomenti salienti della sentenza, per quel che qui possa rilevare:
-era ammissibile l’acquisto per usucapione della servitù anche nel caso di costruzione abusiva;
-l’eccezione riguardante la violazione della normativa urbanistic oedilizia, ex art. 9, n. 3 del d.m. 1968 n. 1444, doveva considerarsi nuova, in quanto mai sollevata in primo grado, derivando da ciò l’inammissibilità del secondo motivo d’appello;
-l’appellante non aveva mai contestato che l’immobile fosse stato costruito nel 1976/1977, come ritenuto dal giudice di prime cure, ma soltanto che lo stesso a quel tempo non era rifinito e non era abitabile, circostanze tuttavia irrilevanti ai fini del possesso utile ad usucapire;
la dichiarazione extragiudiziale del dante causa degli appellati del 18/01/1984, nonché gli ulteriori atti extragiudiziali del 1998 e del 1999, prodotti dalla parte appellante, non potevano considerarsi atti idonei ad interrompere l’usucapione , poiché quest’ultima poteva essere interrotta solamente attraverso l’effettiva privazione del possesso;
-alcuna argomentazione critica era stata mossa dall’appellante in ordine alla motivazione data dal giudice di prime cure circa il rigetto dalla richiesta di risarcimento danni.
NOME COGNOME propone ricorso fondato su quattro motivi. Resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME. Sono rimasti intimati NOME e NOME COGNOME.
COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME resistono con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il controricorso, viene preliminarmente eccepito il difetto di legittimazione attiva del ricorrente, poiché il terreno e il fabbricato per cui è causa erano stati venduti a NOME COGNOME con atto dell’ 8/01/2009, dunque prima dell’introduzione del giudizio in primo grado (l’atto di citazione venne notificato in data 30/01/2014). La proprietà dei predetti immobili non risultava altresì successivamente riacquistata dal ricorrente.
Tale circostanza sarebbe stata appresa dai resistenti solamente in seguito alla pubblicazione della sentenza di secondo grado e comprovata attraverso gli atti prodotti ex art. 372 cod. proc. civ. (visura immobiliare e atto del AVV_NOTAIO dell’8/1/2009, rep. 13726 e racc. 5606).
L’eccezione è fondata, pur dovendosi procedere a una più corretta qualificazione giuridica.
Avendo la parte controricorrente provato, senza avere trovato plausibile smentita sul punto, che il ricorrente si era spogliato del bene immobile di cui qui si controverte prima dell’inizio dell’azione giudiziaria, deve affermarsi che costui, piuttosto che privo di legittimazione, risultava difettare ‘ab origine’ di titolarità attiva.
Come è stato già chiarito, l’eccezione di difetto di titolarità attiva del diritto controverso non attiene alla carenza di legittimazione attiva, bensì al merito della controversia (Cass. n. 32814/2023).
La carenza di titolarità conduce al rigetto della domanda e, quindi, alla manifesta infondatezza del ricorso, avendo il ricorrente agito per la difesa di un bene della vita che non gli si apparteneva.
La titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (S.U. n. 2951, 16/02/2016, Rv. 638371 -01).
Inoltre, la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice, se risultante dagli atti di causa (S.U. n. 2951 cit., conf., ex multis, Cass. nn. 11744/2018, 8625/2025).
Il Collegio condivide l’arresto di cui immediatamente sopra e, per contro, non intende dare continuità all’opinione discordante
espressa da Cass. n. 17092/2016, la quale reputa che il principio debba valere solo per l’ipotesi della mancanza di ‘legitimatio ad causam’, attiva e passiva, consistente nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, e non già in caso di titolarità del rapporto controverso, che, attenendo al merito, rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio dei soggetti in lite.
L’opinione minoritaria immediatamente sopra riportata, seppure coglie un profilo discretivo peculiare, implica l’evenienza di emissione di sentenze inutili, in quanto inidonee a regolare il diritto prospettato in causa.
La fondatezza dell’eccezione rende inutile il vaglio dei motivi, che restano assorbiti in senso improprio.
Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.
Il regolamento delle spese segue la declaratoria d’inammissibilità del ricorso e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione
temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 settembre 2025.
Il consigliere est. Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME