Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17040 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17040 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
REGIONE CAMPANIA;
– intimata – avverso la sentenza n. 3859/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 14/12/2020 R.G.N. 1949/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Napoli nel quale deduceva: che era stato dipendente della Regione Campania con inquadramento nel VI livello con
Oggetto
Regione Campania
–
TFS
–
Periodo di lavoro
svolto alle dipendenze
di CASMEZ.
R.G.N. 18416/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 20/05/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 18416-2021 proposto da: dall’avvocato
COGNOME rappresentato e difeso NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
decorrenza dall’1.11.1983 e fino alla data del 30.04.2011 di cessazione del rapporto di lavoro; che, precedentemente, aveva prestato servizio dall’1.01.1978 e sino al 31.10.1983 alle dipendenze della disciolta Cassa per il Mezzogiorno (di seguito anche RAGIONE_SOCIALE), per essere, poi, trasferito unitamente a tutto il personale, dapprima in via provvisoria, poi in via definitiva, alla Regione Campania con decorrenza dall’1.11.1983 in seguito alla soppressione dell’Ente; che l’inquadramento nella Regione Campania era avvenuto nel luglio 2001, in esecuzione della delibera della Giunta Regionale n. 1672 del 20 aprile 2001, con decorrenza dall’1.11.1983; che alla cessazione del rapporto aveva ricevuto il TFS maturato per il periodo dall’1.11.1983 al 30.04.2011 (nell’import o lordo di euro 46.632,47, pari al netto di euro 42.327,83, liquidato per complessivi 27 anni e 6 mesi, arrotondati a 28 anni per la frazione di mesi uguali o maggiore di 6), con esclusione del periodo trascorso alle dipendenze della Cassa per il Mezzogiorno (01.01.1978-31.10.1983); che per il periodo alle dipendenze della Cassa per il Mezzogiorno aveva ricevuto da INA Assitalia la somma complessiva di euro 8.314,50, in forza delle polizze cumulative accese dalla Cassa per il Mezzogiorno in favore dei suoi dipendenti ed alimentate sino allo scioglimento dell’ente.
Tanto esposto, lamentava che al momento della cessazione del rapporto con la Regione Campania gli era stato corrisposto il TFS maturato per il solo periodo dal 1983 e non anche per quello alle dipendenze della Cassa per il Mezzogiorno e chiedeva, pertanto, la condanna della Regione al pagamento della somma lorda di € 11347,72 pari alla differenza tra l’importo complessivamente dovuto a titolo di TFS (quantificato nei conteggi nell’importo lordo di euro 57.980,19) e l’importo lordo liquidato dalla Regione Campania (euro 46.632,47).
Nelle note depositate nel corso del primo grado di giudizio, l’istante precisa va e limitava la domanda, rimarcando che ‘ l’importo versato da Ina -Assitalia va considerato corrisposto a titolo di TFS e pertanto sottratto a quello complessivamente dovuto ‘ e, per tale motivo, riduceva l’importo rivendicato in ricorso da € 11.347,72 ad € 3.033,22, oltre accessori di legge (avendo detratto dal primo importo la somma di € 8.314,50 versata gli dall’ istituto assicurativo innanzi indicato).
La pronunzia di rigetto del giudice di primo grado è stata confermata dalla Corte territoriale che, per quanto qui ancora in rilievo, ritenuta la legittimazione passiva della Regione Campania, ha osservato che:
– in relazione al periodo del rapporto di lavoro svoltosi alle dipendenze della disciolta RAGIONE_SOCIALE operava una particolare forma di previdenza, disciplinata dal r.d.l. 8 gennaio 1942 n. 5, convertito in l. n. 1251/1942, intitolato ‘Costituzione di una gestione speciale degli accantonamenti dei fondi per le indennità dovute dai datori di lavoro ai propri impiegati in caso di risoluzione del rapporto d’impiego’ , che prevedeva un ‘ Fondo per l’indennità agli impiegati ‘ (art. 3) per la corresponsione a costoro e, in caso di morte, agli aventi diritto dell’indennità prevista per la risoluzione del rapporto d’impiego dall’art. 10 r.d.l. 13 novembre 1924 n. 1825, dai contratti collettivi e dalle norme equiparate;
– i datori di lavoro, privati e pubblici, erano obbligati (ex artt. 1 e 9) a versare al Fondo gli ‘ accantonamenti necessari ‘ e poi, alla cessazione del rapporto, a corrispondere agli impiegati l’indennità, ricevendone l’importo dal Fondo ; detti datori erano, tuttavia, sottratti a tale obbligo -e quindi esonerati dal versamento al Fondo e dalla costituzione di detto rapporto assicurativo -qualora avessero stipulato contratti ‘ di
assicurazione o di capitalizzazione ‘ (di natura pacificamente privatistica), aventi ad oggetto la corresponsione agli impiegati o ai loro aventi diritto, nel momento della cessazione del rapporto di lavoro, di un’indennità, pagata direttamente dall’assicuratore , non inferiore a quella maturata in ragione degli accantonamenti di cui innanzi;
con l’art. 4, comma 7, della l. 29 maggio 1982 n. 297 è stata disposta la soppressione del predetto Fondo, con la previsione, al comma 8, che le disponibilità dello stesso sarebbero state devolute ai datori di lavoro aventi diritto ‘proporzionalmente agli accantonamenti effettuati a norma di legge’ ;
nel caso all’attenzione, è pacifico e documentato che NOME abbia ricevuto, nel 2011, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, direttamente dall’istituto assicuratore l’importo netto di euro 8.314,50 (come emergente, si legge in sentenza, dalle due ricevute INA RAGIONE_SOCIALE del 2011, prodotte dal ricorrente in primo grado e da tutti i documenti versati in primo grado da cui emerge con chiarezza che la RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato con la INA RAGIONE_SOCIALE delle polizze finalizzate alla corresponsione ai propri dipendenti della indennità per la risoluzione del rapporto di lavoro);
il pagamento effettuato nel 2011 dall’istituto assicurativo INA direttamente a favore del Sorbino costituisce quindi prova che l’originario datore di lavoro RAGIONE_SOCIALE avesse stipulato le polizze assicurative e che rientrasse, pertanto, tra i datori di lavoro esonerati dall’obbligo dei versamenti al Fondo di cui all’art. 1 del R.D.L. 8 gennaio 1942 n. 5, convertito in L. n. 1251/1942, per aver stipulato contratti ‘ di assicurazione o di capitalizzazione ‘ di natura privatistica ;
conseguentemente, in ragione dell’esonero di RAGIONE_SOCIALE dall’obbligo di versamenti al Fondo, in seguito alla soppressione del Fondo disposta con legge 29 maggio 1982 n. 297, nessuna restituzione di accantonamenti dal Fondo al datore di lavoro poteva essere dovuta e, di conseguenza, nessun successivo trasferimento di accantonamenti da Cassa per il Mezzogiorno a Regione Campania poteva essere operato;
– la differenza pretesa in giudizio, quindi, nemmeno può essere riconosciuta con l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 1 e 3 della l.r. 15 del 1981 norme con le quali la Regione Campania, ha disciplinato il trattamento previdenziale dei dipendenti di provenienza degli Enti soppressi e transitati alle dipendenze della Regione, in quanto il presupposto per l’applicazione delle innanzi indicate disposizioni è che l’ente di provenienza avesse versato alla Regione le somme accantonate quale indennità di fine servizio, presupposto giammai concretizzatosi per il dipendente della disciolta Cassa per il Mezzogiorno;
– per effetto della stipula dei contratti di assicurazione di natura privatistica, infatti, la Cassa per il Mezzogiorno non era tenuta ad effettuare versamenti al Fondo di cui al r.d.l. 8 gennaio 1942 n. 5, convertito in l. n. 1251/1942, né poteva vanta re, quindi, all’atto della soppressione del Fondo disposta con legge 29 maggio 1982 n. 297, alcun diritto alla restituzione di accantonamenti (mai effettuati) e, pertanto, non era tenuta nei confronti della Regione Campania a nessun trasferimento di accantonamenti, con la conseguenza che ai servizi svolti dal COGNOME alle dipendenze della Cassa per il Mezzogiorno non possono applicarsi, come invoca l’appellante, le disposizioni in tema di ‘ trattamento previdenziale (indennità di anzianità)’ di
cui agli articoli 1 e 2 della legge regionale n. 15 del 17 marzo 1981.
Avverso detta pronunzia propone ricorso per cassazione articolato in due motivi NOME COGNOME
Resta intimata la Regione Campania.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 1 della l.r. Campania n. 18 del 17 marzo 1981, nel testo modificato dalla l.r. n. 15 del 1986, in materia di omogeneizzazione del trattamento previdenziale del personale regionale.
1.1. Sostiene che la Corte territoriale ha errato nel negare l’applicazione della l.r. Campania del 17.3.1981 n. 18, offrendo un’erronea lettura del dato normativo , alla stregua di un mero dato fattuale: il pagamento delle polizze da parte di Ina Assitalia al lavoratore, polizze stipulate, tuttavia, non da RAGIONE_SOCIALE, ma da Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno.
1.2. Afferma l’erroneità della decisione laddove, nell’affrontare la questione del trattamento di fine rapporto/servizio, cioè di un’obbligazione che sorge alla conclusione del rapporto di lavoro, riguardo alla posizione dei dipendenti provenienti dalla Cassa per il Mezzogiorno, non la valuta alla luce delle regole vigenti al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ma in applicazione di una inconferente disciplina relativa alla prima parte del rapporto di lavoro, quella intercorsa con RAGIONE_SOCIALE
1.3. Argomenta che la pronunzia sarebbe in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità non valorizzando l’anzianità di servizio maturata presso RAGIONE_SOCIALE ai fini del trattamento di fine servizio, richiamando in particolare
Cass. n. 11231 del 2012, oltre che plurime pronunzie dei giudici amministrativi.
1.4. Il motivo non può essere accolto.
1.5. Va in primo luogo evidenziato che esso si presenta come un motivo misto di fatto e diritto, rimettendo in discussione, inammissibilmente, circostanze fattuali accertate in fase di merito, in contrasto con il costante orientamento di questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione o falsa applicazione di norme di legge, la mancanza assoluta di motivazione , l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o l’ omessa pronunzia, mirando, per converso, il mezzo ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così realizzando una surrettizia trasformazione del giudicato in un nuovo, non consentito, giudizio di merito (fra le tante si veda Cass. S.U. n. 34476/2019, Cass. n. 8758/2017).
1.6. Nella pronunzia qui impugnata a pag. 6, infatti, si dà conto che: ‘Nel caso che ci occupa è pacifico e documentato NOME abbia ricevuto, nel 2011, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, direttamente dall’istituto assicuratore l’importo netto di euro 8.314,50 (si vedano le due ricevute RAGIONE_SOCIALE del 2011, prodotte dal ricorrente in primo grado). Inoltre, dai documenti prodotti in primo grado dal ricorrente emerge con chiarezza che la RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato con la RAGIONE_SOCIALE delle polizze finalizzate alla corresponsione ai propri dipendenti della indennità per la risoluzione del rapporto (…), richiamando sul punto anche una serie di documenti acquisiti agli atti.
1.7. Tale accertamento fattuale non è evidentemente più rivedibile, alla luce di quanto innanzi detto.
1.8. Le restanti censure svolte sono anch’esse, prima ancora (ed oltre che) infondate, inammissibili in quanto non si confrontano affatto con la ricostruzione normativa operata nella pronunzia appellata riportata nel dettaglio nei ‘ Fatti di causa ‘ alle lettere da a) ad h) e quindi con il decisum. A tanto va solo aggiunto breviter che, a differenza di quanto dedotto nel motivo, al lavoratore è stata applicata la disciplina in vigore all’atto della cessazione del servizio che, tuttavia, non poteva che tener conto, per espressa scelta del legislatore, della pregressa regolazione del rapporto con RAGIONE_SOCIALE nei termini innanzi indicati.
Con la seconda censura parte ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., per esser la sentenza fondata su una motivazione solo apparente, estrinsecantesi in argomentazioni niente affatto sufficienti a rivelare la ratio decidendi della statuizione.
2.1. Sostiene il ricorrente in cassazione che ‘il ragionamento posto dalla Corte territoriale a base della sentenza impugnata appare di euristica interpretazione di un mero dato fattuale (quale il pagamento ad opera dell’INA Assitalia, in realtà effettuato in conseguenza di una tortuosa gestione del rapporto di lavoro, scaturita a distanza di ben 18 anni dal trasferimento alla Regione Campania, nell’inquadramento nell’organico dell’Ente intimato), peraltro non correttamente rilevato (suddetto pagamento è, infatti, avvenuto in forza di polizza accesa non già dalla Cassa del Mezzogiorno -come erroneamente indicato dal ricorrente in contrasto con le risultanze della documentazione dallo stesso versata in atti fin dal deposito del ricorso introduttivo -ma, vari anni dopo la soppressione dell’Ente, dalla Regione Campania e dall’Agenzia
per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno)’, in ragione della erronea valutazione di detto elemento fattuale, rimarca ancora pensionato ricorrente, la motivazione della Corte territoriale nella sentenza impugnata è conseguentemente apparente.
2.2. Critica, inoltre, la correttezza nella valutazione di una serie di documenti da parte della Corte territoriale.
2.3. Il motivo è inammissibile.
2.4. Al pari di quanto già innanzi detto con riguardo al primo mezzo al punto 1.8., non può mancarsi di rilevare che alla luce del percorso motivazionale della Corte territoriale come innanzi compiutamente riportato dei ‘Fatti di causa’ lett. da a) ad h) è evidente la presenza di una motivazione articolata, niente affatto apparente e, invero, nemmeno insufficiente.
2.5. Tanto basta per il rigetto in parte qua del motivo volto in realtà a censurare non una motivazione apparente, ma una motivazione non gradita.
Peraltro, va sottolineato che i vizi dell’attività del giudice che comportano la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminaz ione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunziato error in procedendo (così Cass. Sez. 3-6, n. 15676/2014). Evenienza quest’ultima che qui non ricorre.
2.6. Le ulteriori censure, ancora una volta, ridondano in inammissibili richieste di rivalutazione del materiale probatorio e dei documenti in atti, sostanzialmente rimettendo in discussione accertamenti fattuali già compiuti dal giudice di merito, sicché riguardo a dette censure valgono le osservazioni già svolte al punto 1.5.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese essendo rimasta intimata la Regione Campania.
5 . Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di cassazione il 20 maggio 2025.
LA PRESIDENTE
(NOME COGNOME