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TFR socio lavoratore: la Cassazione conferma il diritto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26071/2024, ha stabilito che il diritto al TFR del socio lavoratore di cooperativa deriva direttamente dalla legge e non necessita di una specifica previsione contrattuale. Il caso riguardava un lavoratore che, pur essendo socio di una cooperativa, svolgeva un’attività lavorativa subordinata. La Corte ha rigettato il ricorso della società committente, confermando che la Legge 142/2001 ha esteso le tutele del lavoro subordinato, incluso il TFR, ai soci lavoratori, superando la precedente giurisprudenza che richiedeva un accordo esplicito o un comportamento concludente.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Diritto Societario, Giurisprudenza Civile

TFR socio lavoratore: la Cassazione conferma che è un diritto di legge

Il rapporto di lavoro all’interno delle cooperative è da sempre un terreno complesso, in bilico tra logiche societarie e tutele giuslavoristiche. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza su un punto fondamentale: il diritto al TFR socio lavoratore non dipende da un accordo, ma è garantito direttamente dalla legge. L’ordinanza n. 26071/2024 ribadisce che, con la riforma del 2001, al rapporto di lavoro del socio si applicano le tutele tipiche del lavoro subordinato, compreso il trattamento di fine rapporto.

I Fatti del Caso

Un lavoratore, socio di una cooperativa, aveva chiesto e ottenuto in secondo grado la condanna della cooperativa e della società committente al pagamento di somme a titolo di Trattamento di Fine Rapporto (TFR) e per contributi previdenziali trattenuti. La società committente, responsabile in solido, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente due argomenti:
1. Il lavoratore avrebbe modificato la sua domanda in appello (c.d. mutatio libelli), basando la richiesta di TFR sul suo status di socio lavoratore e non più, come in primo grado, sulla presunta fittizietà del rapporto associativo a favore di un mero rapporto di lavoro subordinato.
2. Il diritto al TFR per un socio lavoratore non deriverebbe automaticamente dalla legge, ma richiederebbe una specifica previsione contrattuale o un comportamento concludente da parte della cooperativa, elementi assenti nel caso di specie.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della società. I giudici hanno chiarito che non vi è stata alcuna modifica della domanda, poiché il diritto al TFR discende in ogni caso dal rapporto di lavoro, a prescindere dal fatto che questo si affianchi o meno a un rapporto associativo. Il cuore della decisione, però, risiede nell’interpretazione della Legge n. 142/2001, che ha riformato la posizione dei soci lavoratori di cooperativa.

Le Motivazioni: la svolta normativa per il TFR socio lavoratore

La Corte ha spiegato che, prima della Legge 142/2001, prevaleva una teoria ‘monista’, secondo cui la prestazione lavorativa era assorbita nel contratto di società. Di conseguenza, le tutele lavoristiche, come il TFR, erano riconosciute solo se previste da un accordo o da prassi consolidate.

Con la riforma del 2001, il legislatore ha adottato la c.d. ‘teoria dualistica’, riconoscendo l’esistenza di due rapporti distinti e collegati: il rapporto associativo e un ‘ulteriore’ rapporto di lavoro (che può essere subordinato, autonomo o di altra natura). Secondo l’art. 1, comma 3, della legge, dall’instaurazione di questi rapporti derivano gli effetti giuridici previsti dalla legge stessa e, per quanto compatibili, dalle altre leggi sul lavoro.

La Cassazione afferma un principio chiave: l’art. 2120 c.c., che regola il TFR, è pienamente compatibile con la posizione del socio lavoratore con rapporto di tipo subordinato. Non vi sono motivi ostativi nella legislazione vigente per negare l’applicazione di questa tutela fondamentale. La legge non pone condizioni, come la necessità di un accordo specifico, né subordina il diritto alla disponibilità di risorse economiche da parte della cooperativa. Pertanto, il diritto al TFR del socio lavoratore sorge direttamente dalla legge, esattamente come per qualsiasi altro lavoratore subordinato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un orientamento fondamentale per la tutela dei soci lavoratori. Le implicazioni pratiche sono significative:
* Certezza del Diritto: I soci lavoratori con un rapporto di lavoro subordinato hanno un diritto al TFR garantito per legge, che non può essere negato in assenza di una previsione nello statuto o in un contratto.
* Responsabilità delle Cooperative: Le cooperative devono considerare il TFR come un costo del lavoro obbligatorio per i propri soci lavoratori subordinati, accantonando le relative somme come farebbe qualsiasi altro datore di lavoro.
* Tutela Estesa: La decisione conferma che il processo di equiparazione delle tutele tra lavoratori ‘tradizionali’ e soci lavoratori, avviato con la Legge 142/2001, è un principio cardine del nostro ordinamento lavoristico.

Un socio lavoratore di una cooperativa ha sempre diritto al TFR?
Sì, se il suo rapporto di lavoro è di natura subordinata. La Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto al TFR, regolato dall’art. 2120 c.c., è pienamente compatibile con la posizione di socio lavoratore e si applica per legge, senza bisogno di ulteriori accordi.

È necessaria una clausola specifica nel contratto o nello statuto della cooperativa per riconoscere il TFR al socio lavoratore?
No. Secondo la sentenza, dopo la riforma introdotta con la Legge n. 142/2001, il diritto al TFR per il socio con rapporto di lavoro subordinato discende direttamente dalla legge. La precedente giurisprudenza che richiedeva una previsione pattizia o un’obbligazione volontaria della società è da considerarsi superata.

Cambiare la base giuridica della richiesta di TFR tra primo e secondo grado costituisce una modifica della domanda (mutatio libelli)?
No. La Corte ha stabilito che la richiesta di TFR si fonda sempre sul rapporto di lavoro. Che tale rapporto sia considerato come l’unico esistente o come un rapporto che si affianca a quello associativo di socio, la causa petendi (il fondamento della domanda) non cambia. Pertanto, non si verifica una mutatio libelli vietata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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