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TFR fondo pensione: a chi spetta il credito?

Un lavoratore si oppone al rigetto della sua richiesta di ammissione al passivo fallimentare per le quote di TFR non versate al fondo pensione dal datore di lavoro. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6047/2024, accoglie il ricorso. Viene stabilito che il conferimento del TFR al fondo pensione costituisce, di regola, una delegazione di pagamento e non una cessione del credito. Di conseguenza, in caso di fallimento del datore di lavoro, la legittimazione a richiedere le somme non versate spetta al lavoratore, non al fondo.

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TFR fondo pensione: chi può richiederlo in caso di fallimento aziendale?

La gestione del TFR fondo pensione rappresenta un punto cruciale per la sicurezza previdenziale dei lavoratori. Ma cosa accade quando il datore di lavoro, incaricato di versare le quote al fondo, fallisce senza aver adempiuto ai suoi obblighi? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su una questione fondamentale: a chi spetta il diritto di agire per recuperare quelle somme? Al lavoratore o al fondo pensione stesso? La risposta risiede nella corretta qualificazione giuridica dell’atto di conferimento del TFR.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla vicenda di un lavoratore che, dopo il fallimento della sua azienda, aveva presentato istanza di insinuazione al passivo per recuperare le quote di TFR maturate e destinate a un fondo di previdenza complementare, ma mai effettivamente versate dal datore di lavoro. Sia il Giudice delegato che il Tribunale, in sede di opposizione, avevano respinto la richiesta del lavoratore. Secondo i giudici di merito, una volta che il lavoratore sceglie di destinare il TFR a un fondo pensione, si realizza una sorta di “cessione del credito”. Di conseguenza, l’unico soggetto legittimato a richiedere le somme non versate sarebbe stato il fondo stesso e non più il lavoratore.

TFR fondo pensione: la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente la visione dei giudici di merito. Accogliendo il ricorso del lavoratore, la Suprema Corte ha chiarito che la scelta di destinare il TFR a un fondo pensione, di norma, non configura una cessione del credito, bensì una delegazione di pagamento. Questa distinzione è tutt’altro che una sottigliezza giuridica, poiché ha conseguenze determinanti, specialmente in caso di fallimento del datore di lavoro.

La Differenza tra Delegazione di Pagamento e Cessione del Credito

Per comprendere la portata della decisione, è essenziale capire la differenza tra i due istituti:
* Cessione del credito (art. 1260 c.c.): il lavoratore (cedente) trasferisce la titolarità del suo diritto al TFR al fondo pensione (cessionario). Da quel momento, il lavoratore esce di scena e solo il fondo può pretendere il pagamento dal datore di lavoro.
* Delegazione di pagamento (art. 1269 c.c.): il lavoratore (delegante) non cede il suo diritto, ma semplicemente “delega” il datore di lavoro (delegato) a pagare il TFR direttamente al fondo pensione (delegatario). Il lavoratore rimane titolare del credito fino a quando il pagamento non viene effettivamente eseguito.

La Cassazione, richiamando suoi precedenti orientamenti, ha stabilito che il generico “conferimento” del TFR, come previsto dalla normativa sulla previdenza complementare (D.lgs. 252/2005), va interpretato come una delegazione di pagamento, a meno che non emerga inequivocabilmente dalle prove una diversa volontà delle parti di stipulare una vera e propria cessione del credito.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della motivazione risiede nelle conseguenze del fallimento del datore di lavoro. La delegazione di pagamento si basa su un rapporto di mandato tra il lavoratore (mandante) e il datore di lavoro (mandatario). Secondo le norme fallimentari, il fallimento del mandatario (il datore di lavoro) provoca lo scioglimento automatico del contratto di mandato.

Venendo meno la delega, il rapporto di pagamento torna alla sua forma originaria: il creditore è il lavoratore e il debitore è il datore di lavoro. Pertanto, la legittimazione ad agire per insinuarsi nel passivo fallimentare e recuperare le quote di TFR non versate spetta, di regola, al lavoratore. Sarà onere del curatore fallimentare, se del caso, dimostrare che tra le parti era intercorsa non una semplice delegazione ma una specifica cessione del credito, nel qual caso la legittimazione spetterebbe effettivamente al fondo.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha cassato il decreto del Tribunale e ha rinviato la causa allo stesso giudice, che dovrà riesaminarla attenendosi a questo principio di diritto. La decisione rappresenta una tutela fondamentale per i lavoratori. Stabilisce che, in assenza di un patto contrario esplicito, il lavoratore non perde la titolarità del suo TFR e, in caso di inadempimento e successivo fallimento del datore di lavoro, ha il pieno diritto di agire in prima persona per recuperare quanto gli spetta. Questo orientamento rafforza la posizione del lavoratore, che rimane il principale protagonista e titolare del suo trattamento di fine rapporto, anche quando ne sceglie una destinazione previdenziale.

A chi spetta chiedere il TFR non versato al fondo pensione se l’azienda fallisce?
Di regola, la legittimazione a chiedere le somme spetta al lavoratore. Questo perché il conferimento del TFR al fondo si configura come una delegazione di pagamento che si scioglie con il fallimento del datore di lavoro, facendo tornare la titolarità del credito in capo al lavoratore.

Che differenza c’è tra “delegazione di pagamento” e “cessione del credito” per il TFR?
Nella delegazione di pagamento, il lavoratore ordina al datore di lavoro di pagare il fondo, ma rimane titolare del credito. Nella cessione del credito, il lavoratore trasferisce la titolarità del suo diritto al fondo, perdendo la possibilità di richiederlo direttamente.

Cosa ha stabilito la Cassazione sul conferimento del TFR ai fondi pensione?
La Cassazione ha stabilito che l’atto con cui un lavoratore destina il proprio TFR a un fondo di previdenza complementare deve essere interpretato, in linea generale, come una delegazione di pagamento e non come una cessione del credito, salvo che non sia provata una diversa e specifica volontà delle parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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