Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1071 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1071 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
Con separati ricorsi al Tribunale di Roma, poi riuniti, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dipendenti dell’Istituto Commercio Estero (ICE), hanno convenuto in giudizio il medesimo al fine di far accertare il loro diritto ad ottenere l’inclusione nella base di calcolo degli accantonamenti per il t.f.r. spettante per il periodo dal 1990 al 2004, di alcune voci retributive percepite (retribuzione di risultato mensile, maggiorazione turno, premio prod. aree, premio prod. ex art. 15, etc.), che l’ente aveva ritenuto di non valutare per i fini predetti.
La domanda è stata rigettata in primo grado, con pronuncia poi confermata dalla Corte di Appello di Roma, sul presupposto che non operasse per i rapporti dedotti in giudizio l’art. 2120 c.c. e quindi il regime del t.f.r ., dovendosi applicare la disciplina legale di cui alla L. n.13/1975, argomentando altresì la Corte rispetto al carattere non stipendiale delle voci retributive di cui è stato chiesto il computo ai fini dell’indennità di buonuscita.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi.
I.C.E. – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane – (Agenzia ICE) e il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), subentrati, nel corso del processo, nei rapporti giuridici già facenti capo all’ICE in forza dell’art. 14 d.l. 98/2011, hanno notificato controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
DIRITTO
In via preliminare, osserva il Collegio che la sentenza qui impugnata della Corte di Appello di Roma è passata in giudicato nei confronti di tutti i lavoratori che non hanno proposto ricorso per cassazione.
Sussiste infatti un litisconsorzio facoltativo, dovuto alla riunione dei giudizi da parte del giudice di primo grado.
Deve in proposito rammentarsi che la notificazione dell’impugnazione a parti diverse da quelle dalle quali o contro le quali è stata proposta ai sensi dell’art. 332 c.p.c. non ha la stessa natura della notificazione prevista dall’art. 331 c.p.c., relativo all’integrazione del contraddittorio in cause inscindibili in quanto, mentre in tale ultima norma si tratta di una vocatio in ius per integrare il contraddittorio, nell’ipotesi di cause scindibili detta notificazione integra soltanto una litis denuntiatio , allo scopo di avvertire coloro che hanno partecipato al giudizio della necessità di proporre le impugnazioni, che non siano già precluse o escluse, nel processo instaurato con l’impugnazione principale (Cass. n.7031/2020, che richiama Cass. n.3858/1983)
Pertanto, in caso di omissione dell’indicata notificazione (ordinata o meno dal giudice) si produce l’unico effetto per cui il processo, per facilitare l’ingresso dell’eventuale interveniente, è da ritenere in situazione di stasi e di quiescenza e la sentenza non può essere utilmente emessa fino alla decorrenza dei termini stabiliti dagli artt. 325 e 327 c.p.c. (Cass. n.7031/2020; Cass. n. 9080/2013 e Cass. n. 3858/1983).
Nel caso di specie il termine ‘lungo’ di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza di appello avverso la quale è stato proposto ricorso in cassazione è ampiamente decorso, sicché non si prospetta la necessità di ordinare ex art. 332 c.p.c. la notifica nei confronti dei lavoratori che non hanno proposto ricorso per cassazione.
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 111 Cost., 183 c.p.c., co. 4, 101, co. 2, c.p.c., 420 bis c.p.c., 112 c.p.c., e sostiene che il Tribunale e la Corte
d’Appello, nel ritenere applicabile il regime giuridico di cui all’art. 13, co. 1, L. 70/1975, nonostante che la stessa Amministrazione, per il periodo interessato, avesse continuato ad applicare il regime del t.f.r., pur senza includere le voci retributive da loro rivendicate, hanno violato il principio del contraddittorio, non provocato sul punto.
Con il secondo motivo è dedotta (art. 360 n. 3 c.p.c.) violazione e falsa applicazione della L. n. 70/1975, art. 13, del d.p.r. n. 1032 del 1973, art. 38, argomentandosi in ordine alla persistenza del regime di t.f.r. per i lavoratori ICE, pur dopo il sopravvenire della L. n. 68/1997 e sottolineandosi come la sentenza impugnata nulla avesse affermato rispetto all’applicabilità nel caso in esame della L. 106/1989, quanto meno nel periodo 1990-1998.
Con il terzo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione della L. n. 106/1989, dei C.C.N.L. ICE 19901991, della L. n. 68/1997, del CCNL del comparto degli enti pubblici non economici 1998/2001, art. 46, dell’art. 56, co. 56, Accordo Quadro Nazionale in materia di t.f.r. e di previdenza complementare del 29 luglio 1999, dell’art. 59, co. 56, L. n. 449/1997, dell’art. 2120 c.c., dell’art. 111 Cost., degli artt. 112 e 132 n. 4 c.p.c., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.), richiamando, sui medesimi presupposti di cui al secondo motivo, i conteggi allegati e predisposti dallo stesso ICE, con riferimento alle voci da inserire nel calcolo degli accantonamenti utili al t.f.r.
Il quarto motivo riguarda, infine, la liquidazione delle spese operata con la sentenza di appello, ritenuta eccessiva.
Va dato atto che la questione qui controversa è stata già oggetto di valutazione di questa Corte, sia con riferimento alla posizione del personale ICE non dirigente già in servizio alla data del 31.12.1995 (cfr. Cass. n. 13914/2021, Rv. 661332-01), sia avuto riguardo, per converso, alla posizione dei dirigenti (cfr. Cass. n. 26598/2020, Rv. 659626-01).
Al percorso motivazionale di entrambe le sopraindicate pronunzie questo Collegio, condividendolo, integralmente si riporta, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., facendolo proprio, non essendo emerse questioni nuove che inducano a rimeditare l’orientamento già espresso.
5.1. Giova qui solo sinteticamente ricordare che:
quanto alle posizioni dirigenziali, questa Corte ha affermato che ‘(…) ai dirigenti dell’ICE, in ragione dell’attrazione dei rapporti di lavoro con tale ente nel pubblico impiego privatizzato, ad opera dell’art. 10 della l. n. 68 del 1997, e della mancata previsione nella contrattazione collettiva di una disciplina specifica del TFR per i dirigenti, non può trovare applicazione l’art. 2120 c.c., bensì la disciplina legale di cui all’art. 13 della l. n. 70 del 1975, con conseguente riconoscimento dell’indennità di buonuscita e non del TFR’ ;
quanto alle posizioni del personale non dirigente dell’ICE, già in servizio al 31 dicembre 1995, nella pronunzia innanzi ricordata si è evidenziato che ad essi ‘non è applicabile la disciplina di cui all’art. 13 della l. n. 70 del 1975 in materia di indennità di buonuscita, bensì il regime del trattamento di fine rapporto, il quale, riconosciuto a favore di detto personale in virtù dell’art. 5, comma 5, della l. n. 106 del 1989, è stato poi tenuto fermo dall’art. 46, comma 5, del c.c.n.l. per gli enti pubblici non economici 1998-2001’ .
Tanto premesso, in linea generale, va esaminato il primo motivo di ricorso che è infondato per le ragioni di seguito esposte.
6.1. La Corte territoriale, nella prima parte della propria motivazione, ha infatti argomentato al fine di affermare, come poi ha fatto, che per i rapporti in giudizio non opererebbe in alcun modo il regime del t.f.r., ma quello della buonuscita ai sensi dell’art. 13 L. 70/1975.
In ciò sicuramente essa si è mossa lungo una linea giuridica autonoma rispetto a quella delle parti, ma lo ha fatto restando pienamente entro corretti binari processuali.
Infatti, a fronte di domande e difese che riguardavano le modalità di accantonamento a fini di t.f.r., la Corte doveva necessariamente e previamente verificare se il regime applicabile al caso di specie fosse o meno quello del t.f.r. e ciò essa ha fatto negando, appunto, che quella fosse la disciplina propria del rapporto, ritenendolo, per converso, assoggettato alle regole sull’indennità di buonuscita per i dipendenti di enti del c.d. parastato.
Neppure può dirsi che vi fosse da sollecitare un qualche contradditorio sul punto, ai sensi dell’art. 101, co. 2, c.p.c., in quanto non si trattava di muovere
rilievi d’ufficio, quanto di valutare la base giuridica dell’azione dispiegata e, dunque, un profilo necessariamente ab origine interno ed immanente al contraddittorio.
Ciò esclude che sia mancata pronuncia sull’oggetto del contendere, così come ogni altra violazione processuale denunciata.
Venendo al secondo motivo, rileva il Collegio che:
in memoria il difensore del ricorrente ha precisato che il medesimo appartiene al personale non dirigente dell’ICE; dal controricorso o dalla sentenza impugnata non emergono elementi di segno contrario;
dalla sentenza della Corte territoriale (cfr. seconda e terza pagina) emerge che la controversia riguarda personale dipendente già in servizio al 31.12.1995, rispetto al quale, in difetto di opzione per il trattamento di fine rapporto ex art. 2120 cod. civ., era rimasta in vigore la disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto di cui all’art. 13 della legge n. 70/75, non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti medesimi.
7.1. La sentenza qui impugnata è allora senz’altro erronea per non aver distinto le posizioni dei dirigenti da quelle dei lavoratori che non lo sono. L’avere accomunato le posizioni è infatti in contrasto con l’insegnamento del giudice di legittimità che giunge, come innanzi detto, a conclusioni opposte in relazione alle due indicate categorie.
7.2. Tanto premesso, ribadito che, rispetto al personale non dirigente assunto prima del 31.12.1995, è proseguito il regime di t.f.r. ad essi già precedentemente applicato (qui integralmente richiamati per il fondamento di tale assunto il percorso motivazionale e la ricostruzione normativa compiuta da Cass. n. 13914/2021, Rv. 661332-01, più volte ricordata), non può che rilevarsi come, rispetto alle posizioni di tali lavoratori -non dirigenti – venga meno il fondamento ultimo della decisione impugnata, ovverosia che il regime proprio del personale non dirigenziale fosse quello della buonuscita.
Da quanto sopra deriva l’accoglimento del secondo motivo e la cassazione della sentenza impugnata, devolvendosi al giudice del rinvio la puntuale verifica della qualifica non dirigenziale del ricorrente in cassazione, dovendosi per i
dirigenti – come anticipato – la questione risolversi alla luce della più volte innanzi ricordata Sez. L. n. 26598/2020, rv. 659626-01.
Il terzo motivo resta assorbito, riproponendosi con esso questioni sulle voci da considerare nel calcolo del predetto t.f.r.
La Corte territoriale, infatti, ha affrontato tale tema nella prospettiva del diverso istituto della buonuscita, sicché la cassazione della sentenza per il fatto che il regime applicabile ai lavoratori non dirigenti ICE, già in servizio al 31 dicembre 1995, è invece quello del t.f.r., necessariamente travolge, ex art. 336, co. 1, c.p.c., anche tale capo di decisione.
9.1. In definitiva, le questioni di cui al terzo motivo sono destinate a formare oggetto del giudizio di rinvio, onde apprezzare se e come le voci rivendicate dal COGNOME vadano considerate nel calcolo del t.f.r., previa nuova verifica della appartenenza del ricorrente al personale non dirigente dell’ICE.
Le ragioni della decisione comportano l’assorbimento anche del quarto motivo di ricorso, riguardante la liquidazione delle spese operata in appello.
All’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale consegue la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Non sussistono le condizioni processuali richieste dall’dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte accoglie il secondo motivo e rigetta il primo, assorbiti il terzo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso nella Adunanza camerale del 7 dicembre 2023.