Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24963 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24963 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 24543/2023 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato;
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale, il quale chiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di appello dell’Aquila n. 617/2023, depositata il 28/4/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/7/ 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione del 27/10/2015 la società RAGIONE_SOCIALE deduceva di aver espletato prestazioni sanitarie nell’anno 2008 per la somma di euro 378.763,74, al netto dei ticket pagati dagli utenti del servizio.
Il tetto di spesa per l’anno 2008 era stato fissato con delibere del commissario ad acta nn. 19, 32 e 60 del 2009, per la somma di euro 365.160,00, ma tali delibere erano state annullate dal Tar dell’Aquila, con sentenza n. 82/2010, passata in giudicato.
Pertanto, il tetto di spesa doveva essere ricavato da quello già individuato per l’anno 2007, pari ad euro 388.758,51; la somma richiesta di euro 378.766,74 era, dunque, inferiore al tetto di spesa applicabile all’anno 2008, proveniente dall’anno 2007.
L’Asl aveva però erogato solo la somma di euro 304.030,89.
Pertanto, la società chiedeva alla Asl di Pescara la somma di euro 44.212,58 ed alla Asl di Chieti la somma di euro 23.921,54, per un totale di euro 68.134,12.
Si costituiva in giudizio la Asl di Pescara chiedendo, in via preliminare, l’autorizzazione a chiamare in causa la Finanziaria Regionale Abruzzese (FIRA).
In caso di accoglimento, anche parziale, della domanda dell’attrice, la convenuta chiedeva di dichiarare la responsabilità ovvero la corresponsabilità della RAGIONE_SOCIALE.
Nel merito, la Asl rilevava che, stante la ratio istitutiva dei ticket , quale partecipazione dell’utente alla spesa pubblica, «gli stessi dovevano essere ricompresi nel budget annuale assegnato alla struttura accreditata e comunque scomputati ai fini remunerativi, per cui
il mancato pagamento non poteva costituire indebito arricchimento della AUSL».
Si costituiva in giudizio la FIRA chiedendo il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti.
Nessuno si costituiva per la Asl Lanciano-Vasto-Chieti.
Il Tribunale di Pescara, con sentenza n. 133 del 2020, rigettava la domanda, compensando integralmente le spese di lite tra le parti costituite.
Chiariva che le prestazioni rese oltre il tetto di spesa non potevano essere oggetto di indennizzo, non essendo sussistente in tal caso il requisito dell’arricchimento dell’Amministrazione sanitaria. Tale arricchimento era escluso «nel momento in cui l’ente regionale fissava i limiti di spesa, non avendo quindi interesse alcuno alle prestazioni erogate sopra il budget indicato».
Quanto ai ticket di spesa, essi erano previsti da norme di finanza pubblica, inderogabili ed imperative per il contenimento della spesa pubblica, «sicché il ricavato del ticket doveva essere conteggiato nel budget di spesa riconosciuto ad ogni operatore sanitario».
6.1. Con il primo motivo di appello la COGNOME rilevava l’erroneità della sentenza di prime cure, nella parte in cui non aveva riconosciuto il diritto della società all’indennizzo per indebito arricchimento, ritenendo che le prestazioni rese fossero state extra budget .
In realtà, in mancanza del tetto di spesa previsto per il 2008, doveva farsi riferimento al tetto di spesa dell’anno precedente, quello del 2007, era pari ad euro 388.758,51, maggiore dunque delle prestazioni effettuate dalla società RAGIONE_SOCIALE è del 2008 pari ad euro 378.763,74.
6.2. Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante rilevava che, ai fini del computo del tetto di spesa, non dovevano essere conteggiati i ticket direttamente corrisposti dei pazienti.
La Asl aveva erogato solo la somma di euro 304.030,89, dovendo però la cifra di euro 44.212,58 in favore dell’Asl di Pescara ed euro 23.921,54 in favore dell’asta di Chieti.
La Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza n. 617/2023, depositata il 28/4/2023, accoglieva l’appello principale della società.
Una volta annullate da parte del Tar dell’Aquila le delibere del commissario ad acta n. 19/2009 e n. 32/2009, indicanti i limiti di spesa per l’anno 2008, occorreva fare applicazione dei limiti di spesa previsti per l’anno precedente, ossia per il 2007.
Il tetto di spesa per l’anno 2007 doveva essere individuato nella somma di euro 388.758,51.
Pertanto, spettavano alla società le somme richieste pari ad euro 44.212,58 in favore dell’Asl Pescara ed euro 23.921,54 in favore dell’Asl Chieti.
7.1. Con riguardo poi ai ticket riscossi dai pazienti per prestazioni eseguite, le somme ad essi relative non dovevano essere conteggiate per il computo del tetto di spesa.
Ciò in quanto, già in precedenza i ticket non rientravano nella componente da considerare per il computo del tetto di spesa, il cui calcolo era svolto «al netto dei ticket ».
Solo con i nuovi provvedimenti, e segnatamente le due delibere del commissario ad acta n. 19 e n. 32 del 2009, annullate dal Tar L’Aquila, si prevedeva, innovando la previsione in essere nel 2007, di inglobare «nel tetto anche l’importo dei ticket , così nei fatti riducendo l’ammontare che la struttura poteva eseguire a carico del SSR».
Venendo meno le previsioni inserite nelle delibere annullate, si doveva far riferimento alla precedente regolamentazione, che escludeva dal calcolo del tetto di spesa i ticket versati dai pazienti.
Era fondato l’appello incidentale della FIRA, in difetto di titolarità passiva della stessa.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE Pescara, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce «art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli articoli 8bis e 8quinquies del d.lgs. n. 502/1992, dell’art. 2, comma 8, della legge 549/1995, dell’art. 1, comma 32, della legge n. 662/1996 e dell’art. 32, comma 8, della legge 449/1997 per come interpretati dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4 del 12/4/2012, nella parte in cui la Corte di appello di L’Aquila, nel regolare la fattispecie sottoposta al suo vaglio, ha richiamato il principio interpretativo giurisprudenziale delle norme in commento secondo il quale ‘le strutture private, fino a quando non venga adottato un provvedimento definitivo di determinazione del tetto di spesa, possono fare affidamento sull’entità della spesa dell’anno precedente, diminuita dell’ammontare corrispondente alla quota di riduzione della spesa sanitaria stabilita dalle norme finanziarie per l’anno in corso’ disapplicando la prevista riduzione della spesa sanitaria e richiamando tout court il budget di spesa dell’anno precedente».
In sostanza, per la ricorrente, la Corte d’appello si è limitata, essendo state annullate le delibere del commissario ad acta n. 19 e n. 32 del 2009, ad applicare quale tetto di spesa, quello dell’anno precedente al 2008, e quindi il tetto di spesa del 2007, pari ad euro 388.758,51.
Ciò in applicazione delle sentenze del Giudice amministrativo, e segnatamente della sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Plen., n. 3 del 2012.
Tuttavia, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che anche tale sentenza richiamata del Giudice amministrativo imponeva di detrarre dal tetto di spesa dell’anno precedente «l’ammontare corrispondente alla quota di riduzione della spesa sanitaria stabilita dalle norme finanziarie per l’anno in corso».
Nella specie, in Abruzzo era stato adottato il Piano di Rientro per l’anno 2007.
Per la ricorrente non era stata attuata la diminuzione «secondo le norme finanziarie».
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce «art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, avendo omesso il Giudice di appello di considerare il fatto che in sede di ingiustificato arricchimento non può tenersi conto solo del limite del budget annuale di spesa fissato dalle determinazioni programmatiche regionali, dovendosi invece tenere conto anche del mancato introito costituito dal ticket degli utenti, che sarebbe stato incassato dalla Asl ove avesse provveduto in proprio all’erogazione della prestazione».
Per la ricorrente, ai fini della determinazione della locupletatio dell’Asl, in sede di ingiustificato arricchimento per prestazioni sanitarie offerte da strutture accreditate, è indefettibile «considerare non solo il costo delle prestazioni indicato nel budget annuale ma anche gli introiti che essa azienda sanitaria avrebbe acquisito per il tramite dei ticket sanitari pagati dagli utenti ed incassati direttamente, viceversa, dalla struttura privata».
La Corte d’appello, nel ritenere che non dovessero essere considerati anche i ticket nel perimetro del tetto di spesa, si sarebbe limitata a fare riferimento al limite di spesa posto per l’ultima annualità in corso, ossia il 2007, senza però «prendere in esame il dato fattuale che il mancato introito dei ticket da parte della Asl di Pescara fosse un fatto determinante ai fini della quantificazione della locu».
Gli unici indici che dovevano essere osservati per il computo dell’indennizzo ex art. 2041 c.c., in ordine all’arricchimento, erano costituiti dalla spesa stabilita nei limiti di budget fissati, ossia il costo che la Pubblica Amministrazione avrebbe sostenuto, con la sottrazione però degli «eventuali introiti costituiti dai ticket sanitari incassati dai pazienti non esenti».
L’ultima convenzione stipulata tra le parti, ove si prevedeva che il tetto di spesa fosse calcolato al netto dei ticket , «avrebbe avuto incidenza qualora la domanda fosse stata ascrivibile all’alveo della responsabilità contrattuale, domanda tuttavia estranea all’oggetto del contendere».
Si evidenzia dunque il mancato esame del fatto decisivo ed essenziale nella quantificazione dell’arricchimento della PA.
Non doveva essere inserito all’interno dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento anche l’importo di euro 36.962,25, pari allo ammontare dei ticket versati dagli utenti direttamente la struttura sanitaria.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta «art. 360, primo comma, n. 3, per la violazione e falsa applicazione dello art. 2041 c.c., nonché dei principi di diritto in punto di quantificazione e liquidazione dell’indennizzo da ingiustificato arricchimento nella parte in cui, contrariamente al dettame normativo, il Giudice di Ap-
pello ha disposto la condanna della Pubblica Amministrazione oltre i limiti dell’arricchimento».
La Corte d’appello ha ritenuto che i ticket sanitari dovessero comunque essere esclusi dall’ultimo budget di riferimento, in relazione all’anno 2007, in quanto la loro inclusione, essendo stata prevista nelle delibere n. 19 e n. 32 del 2009 del commissario ad acta , non poteva ritenersi valida per effetto dell’annullamento delle stesse delibere da parte del Tar Abruzzo.
Tuttavia, l’art. 2041 c.c. prevede che l’indennizzo da ingiustificato arricchimento sia limitato, appunto, all’effettivo arricchimento.
Si tratta del depauperamento subito, ma nei limiti dell’arricchimento.
Se dunque il depauperamento sia superiore all’arricchimento, l’indennizzo deve essere riconosciuto nei limiti dell’arricchimento, e non oltre.
Con altra pronuncia della Corte d’appello dell’Aquila (sentenza n. 508 del 2022) si è, infatti, ritenuto che ai fini di individuare l’indebito arricchimento della Asl, non può tenersi conto solo del risparmio di spesa pari alle tariffe previste per legge, dovendosi invece tenere conto anche del mancato introito costituito dal ticket degli utenti che sarebbe stato incassato dalla Asl ove avesse provveduto in proprio all’erogazione della prestazione.
L’indennizzo da ingiustificato arricchimento va distinto dal risarcimento del danno, sicché il parametro di riferimento nel caso dell’indennizzo non è il danno, ma l’esigenza equitativa di riequilibrare il patrimonio dell’arricchito e dell’impoverito.
Se dunque l’ammontare delle prestazioni effettuate dalla società era pari ad euro 348.246,47 ossia pari al costo che l’Asl di Pescara avrebbe sostenuto qualora avesse erogato essa stessa prestazioni sanitarie, tale limite risulta diminuito dal mancato percepimento dei
ticket sanitari, pari ad euro 36.962,25, da parte dell’Asl di Pescara, in quanto tali ticket sono stati incassati dalla struttura sanitaria privata.
L’arricchimento dell’Asl non poteva che essere determinato quindi in euro 311.281,22, ossia euro 348.246,47, con sottrazione della somma di euro 36.962,25.
Poiché la Asl aveva pagato la somma di euro 304.030,89, la condanna doveva essere rimodulata in una somma inferiore.
Il primo motivo è infondato.
4.1. Va premesso un breve quadro normativo in materia di determinazione dei tetti di spesa regionali.
L’art. 26 della legge 23/12/1978, n. 833 (prestazioni di riabilitazione) stabilisce che «le prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa, sono erogate dalle unità sanitarie locali attraverso i propri servizi. L’Unità sanitaria locale, quando non sia in grado di fornire il servizio direttamente, vi provvede mediante convenzioni con istituti esistenti nella regione in cui abita l’utente o anche in altre regioni, aventi i requisiti indicati dalla legge, stipulate in conformità ad uno schema tipo approvato dal Ministro della Sanità, sentito il consiglio sanitario nazionale».
4.2. L’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede una programmazione sanitaria, che si articola in un piano sanitario nazionale di durata triennale e di un piano sanitario regionale (art. 1, comma 9: «il piano sanitario nazionale ha durata triennale ed è adottato dal governo entro il 30 novembre dell’ultimo anno di vigenza del piano precedente. Il piano sanitario nazionale può essere modificato nel corso del triennio con la procedura di cui al comma 5»).
Ai sensi del comma 2 dell’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992, vengono in rilievo i LEA (livelli essenziali di assistenza), prevedendosi
poi, che «il servizio sanitario nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del comma 3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nello accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse».
Il piano sanitario regionale è disciplinato dall’art. 1, comma 13, del d.lgs. n. 502 del 1992.
4.3. Quanto ai tetti di spesa, prevede l’art. 12 del d.lgs. 30/12/ 1992, n. 502 (Fondo sanitario nazionale) che «il fondo sanitario nazionale è ripartito con riferimento al triennio successivo entro il 15 ottobre di ciascun anno, in coerenza con le previsioni del disegno di legge finanziaria per l’anno successivo, dal CIPE la quota capitaria di finanziamento da assicurare alle regioni viene determinata sulla base di un sistema di coefficienti parametrici ».
L’art. 32, comma 8, della legge 27/12/1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) stabilisce che «le regioni, in attuazione della programmazione sanitaria ed in coerenza con gli indici di cui all’art. 2, comma 5, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, ivi compresi i presidi ospedalieri di cui al comma 7, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibili con il fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all’art. 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996, n. 662».
L’art. 39 (Ripartizione del fondo sanitario nazionale) del d.lgs. 15/12/1997, n. 446, prevede poi che «il CIPE su proposta del Mini-
stro della Sanità, d’intesa con la conferenza Stato-Regioni, delibera annualmente l’assegnazione in favore delle regioni, a titolo di acconto, delle quote del fondo sanitario nazionale di parte corrente».
5. Questa Corte, con plurime decisioni, ha ritenuto che l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il servizio sanitario nazionale può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato, con la conseguenza che deve considerarsi giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget per la necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e, quindi, il vincolo delle risorse disponibili (Cass., sez. 3, 29/10/2019, n. 27608; che richiama Cons. Stato, sez. III, 10/2/2016, n. 566; Cons. Stato, sez. III, 10/4/2015, n. 1832; poi Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; di recente Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364).
Si è affermato che, alla base di tali conclusioni, si collocano stringenti indirizzi normativi (art. 32, comma 8, legge 27/12/1997, n. 449; art. 12, comma 3, d.lgs. 23/12/1992, n. 502; art. 39 del d.lgs. 15/12/1997, n. 446), in base ai quali, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario, attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema (Cass. n. 31364 del 2024).
5.1. Si tratta dell’esercizio di un potere connotato da ampi margini di discrezionalità, in quanto deve bilanciare interessi diversi e per certi aspetti contrapposti, ovvero l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si
muovono in base ad una legittima logica imprenditoriale e l’assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche che garantiscono l’assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri tipici di un sistema universalistico (Cass., sez. 3, n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
Inoltre, si è precisato che il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia non può restare subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di tutela, risultano cedevoli e recessivi rispetto a quelli pubblici. Vi è dunque la necessità di rivedere l’offerta complessiva delle prestazioni messe a disposizione dei soggetti privati utilizzando al meglio le potenzialità delle strutture pubbliche al fine di garantire il loro massimo rendimento a fronte degli ingenti investimenti effettuati in termini finanziari organizzativi (Cass. n. 27608 del 2019; poi anche Cass. n. 13884 del 2020; Cass. n. 31364 del 2024).
5.2. Con l’ulteriore chiarimento per cui, stante il carattere recessivo degli atti concordati convenzionali, solo il mancato superamento del tetto di spesa dà il diritto alla struttura sanitaria accreditata di ottenere la remunerazione delle prestazioni erogate; ciò costituisce un elemento costitutivo della pretesa creditoria, con la conseguenza che quando le prestazioni erogate dalle strutture sanitarie provvisoriamente accreditate superino i tetti di spesa non vi è alcun obbligo dell’Asl di acquistare e pagare le prestazioni suddette (Cass., n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
Pertanto, in caso di superamento del tetto di spesa la remunerazione risulta inesigibile, dovendosi giudicare corretta la condotta della Asl, stante la ricorrenza di un obbligo ex lege avente carattere prevalente rispetto agli accordi negoziali, risolvendosi tale obbligo in un factum principis non imputabile, cui la Asl e la regione non avreb-
bero potuto sottrarsi (Cass. n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
5.3. Del resto, alla struttura accreditata viene data la possibilità di rifiutare la prestazione, essendovi un obbligo solo per il servizio sanitario nazionale di erogare le prestazioni sanitarie all’utenza. Al contrario, la struttura privata accreditata non ha obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti oltre il tetto di spesa (Cons. Stato, sez. III, 7/1/2014, n. 2; Cons. Stato, sez. V, 30/4/2003, n. 2253; entrambe richiamate in motivazione nella sentenza di questa Corte n. 27608 del 2019; anche Cass. n. 31364 del 2024).
Deve dunque ribadirsi il principio per cui, in tema di pretese creditorie della struttura sanitaria provvisoriamente accreditata per le prestazioni erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, il superamento della capacità operativa massima (C.O.M.) costituisce un fatto impeditivo della remunerazione delle prestazioni erogate dalla struttura privata, della cui prova è onerato il debitore. Il mancato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo, la cui prova deve essere posta a carico della struttura accreditata, ma rileva come fatto impeditivo il suo avvenuto superamento, con conseguente onere della prova a carico della parte debitrice (Cass., sez. 1, 2/03/2021, n. 5661; Cass., sez. 6-2, 16/4/2021, n. 10182, per cui grava sulla Asl la dimostrazione del fatto, non costitutivo del diritto dell’attore ma impeditivo dell’accoglimento della pretesa della struttura sanitaria accreditata, rappresentato dal superamento del tetto di spesa, nel qual caso non è possibile configurare alcun diritto della struttura accreditata ad ottenere il pagamento di prestazioni eseguite oltre tale limite; anche Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375; Cass., sez. 1, 27/9/2018, n. 23324; Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; Cass., 6/12/2024, n. 31364).
5.4. Nessun rilievo può essere conferito al principio di affidamento, perché quello della regressione tariffaria è un meccanismo convenzionalmente accettato dalle strutture sanitarie che operano nell’ambito del sistema sanitario nazionale, a prescindere dalle modalità esecutive del monitoraggio suscettibile di essere demandato ad eventuali tavoli tecnici (Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375; Cass. n. 31364 del 2024).
Si è anche precisato che la circostanza che la delibera con cui si accerta il superamento del tetto di spesa sia comunicata o meno «non possiede alcuna incidenza sul profilo del pagamento della prestazione, proprio perché l’elemento impeditivo della remunerazione è integrato dal semplice fatto del superamento dei livelli di spesa» (Cass. n. 4375 del 2023; Cass. n. 31364 del 2024).
Si è anche osservato che vale il principio per cui l’esercizio del potere di fissare la regressione tariffaria, al fine di osservare i limiti di spesa, non è subordinato o condizionato all’esecuzione del monitoraggio delle prestazioni erogate, né al ritardo o imprecisione nell’adempimento all’obbligo di eseguire i controlli per il tramite dei tavoli tecnici perché essi sono organi di fonte contrattuale a cui partecipano pure i rappresentanti aziendali e delle associazioni di categoria più rappresentative (Cons. Stato., n. 207 del 2016; richiamata da Cass. n. 4375 del 2023; Cass n. 31364 del 2024).
Non rileva, dunque, la tardività del monitoraggio né quella relativa all’attività imputabile al Tavolo Tecnico.
6. A queste considerazioni deve aggiungersi che fisiologicamente l’individuazione dei tetti di spesa giunge successivamente all’esercizio in corso ed anche dopo la stipulazione del contratto costituendo una sorta di rischio di impresa per le società.
Di qui, dunque, la precisazione per cui i tetti di spesa possono giungere anche successivamente rispetto alla stipulazione del contratto.
Infatti, si è osservato che «la retroattività dell’atto di determinazione della spesa non vale ad impedire agli interessati di disporre di un qualunque punto di riferimento regolatore per lo svolgimento della loro attività», in quanto è evidente che «in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo – fino a quando non risulti adottato un provvedimento – all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso» (Cons. Stato, Ad. Plen., 12 aprile 2012, n. 3; successivamente Cons. Stato, sez. 3, 23 ottobre 2020, n. 6437).
La prassi sopra menzionata attiene alla verifica dell’eventuale affidamento incolpevole delle strutture sanitarie, che hanno già stipulato il contratto, con riferimento a successive delibere che modifichino, in corso d’opera, i tetti di spesa.
In tal senso, infatti, la Corte costituzionale, con sentenza n. 203 del 2016, si è pronunciata su plurime questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.
Tale disposizione infatti recitava così «a tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012, ai sensi dell’art. 8quinquies del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica si applica una riduzione dell’importo e dei corrispon-
denti volumi d’acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua ».
Come si vede, si fa riferimento a «singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012», quindi a contratti scritti già stipulati («vigenti»).
In questo contesto, la Corte costituzionale – pur precisando che la nuova norma incideva sì sui contratti già stipulati, ma con decorrenza dalla sua entrata in vigore, e quindi rispetto alle prestazioni non ancora eseguite dai soggetti accreditati – osserva che «la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio ha carattere fisiologico», con la conseguenza che «l’operatore prudente e accorto non può non sapere di essere esposto a correttivi dei contenuti economici del contratto imposti in corso d’anno» (richiama Cons. Stato, Ad. Plen., 12/ 4/2012, n. 3 e n. 4; Cons. Stato, Ad. Plen., 2/5/2006, n. 8).
Il motivo di impugnazione si incentra proprio sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 3 del 2012, ove precisa l’Adunanza Plenaria che, nell’individuazione del tetto di spesa relativo all’anno precedente, deve tenersi conto «della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso».
Ed infatti, nel caso di specie le delibere n. 19 e 32 del commissario ad acta , di individuazione del tetto di spesa per l’anno 2008, pari ad euro 365.160,00, sono state annullate con sentenza del Tar dell’Aquila n. 82 del 2010, passata in giudicato.
Per tale ragione, la Corte d’appello ha individuato il tetto di spesa in quello dell’anno precedente, quindi nella somma di euro 388.758,51.
Tuttavia, per la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel non tenere conto della riduzione della spesa sanitaria «effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso».
La ricorrente, però, non indica in alcun modo quale sia l’ammontare della riduzione che dovrebbe essere arrecata al tetto di spesa per l’anno 2007, con riferimento alle norme finanziarie dell’anno 2008.
Anche in memoria la Asl ammette che «è pur vero che la Legge Finanziaria del 2007 non individui espressamente l’entità della suesposta ».
Anche la dottrina, che si è occupata in modo specifico della materia, ha evidenziato che le diminuzioni imposte al tetto dell’anno precedente, ove retroattive, devono essere limitate, salvo congrua istruttoria e adeguata motivazione all’esito di una valutazione comparativa, nei limiti imposti dei tagli stabiliti dalle disposizioni finanziarie conoscibili dalle strutture private all’inizio e nel corso dell’anno.
Una volta, quindi, che si attribuisce efficacia retroattiva all’individuazione dei tetti di spesa, anche con riferimento a prestazioni già rese, tuttavia la società accreditata deve poter conoscere i tagli stabiliti dalle disposizioni finanziarie emesse all’inizio dell’anno o in corso d’anno.
Nella specie, però, nel motivo di ricorso non si indicano quali fossero le disposizioni finanziarie adottate all’inizio dell’anno 2008 o nel corso dello stesso anno.
Si è anche sottolineato in dottrina che, più in generale, la fissazione di tetti retroattivi impone l’osservanza di un percorso istruttorio ispirato al principio della partecipazione, all’interno del quale si inseriscono anche le norme finanziarie adottate ad inizio anno.
Solo in tal modo viene soddisfatta l’esigenza degli operatori di programmare la loro attività, ancor prima dell’approvazione dell’atto
definitivo del tetto di spesa, sulla base di tutti gli elementi conoscibili già nella fase iniziale dell’esercizio di riferimento.
Del resto, i tetti di spesa possono anche essere individuati a distanza di tempo dal momento in cui le prestazioni sanitarie vengono rese dalle società accreditate.
Il recente indirizzo giurisprudenziale amministrativo è nel senso che è legittimo un controllo (con rideterminazione del fatturato ammesso a remunerazione) effettuato anche in tempi non strettamente prossimi all’anno oggetto della disposta regressione, purché possa considerarsi esercitato in tempi ragionevoli (Cons. Stato, sez. VI, 4/ 6/2024, n. 5010; Cons. Stato, sez. III, 22/1/2016, n. 207; Cons. Stato, 16/1/2013, n. 248).
Il secondo motivo è inammissibile.
Infatti, la Corte territoriale ha esaminato la questione in ordine al computo o meno, per l’individuazione del tetto di spesa massimo annuale, dei ticket pagati dai pazienti alle società private, sicché la censura di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. è fuori centro.
Il terzo motivo non è fondato.
11.1. Per la ricorrente, infatti, la Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che l’individuazione dei tetti di spesa debba essere computata al netto dei ticket pagati dai soggetti privati fruitori del servizio sanitario accreditato.
Il Giudice d’appello si sarebbe limitato ad osservare che l’individuazione del tetto di spesa, per gli anni precedenti al 2008, è stata sempre determinata al netto dei ticket sanitari, mentre le delibere amministrative successive, e segnatamente quelle adottate dal commissario ad acta n. 19 e n. 32 del 2009, compresa la nota commissariale n. 1653 del 22/7/2009, che hanno previsto individuazione del tetto di spesa al lordo dei ticket sanitari, erano state annullate dalla sentenza del Tar dell’Aquila n. 82 del 2010.
In realtà, la ricorrente chiede che non venga riconosciuto alla società privata accreditata l’intero importo delle somme richieste pari ad euro 44.212,58 nei confronti dell’ASL Pescara ed a 23.921,54 nei confronti dell’Asl di Chieti, in quanto dovrebbe decurtarsi la somma di euro 36.962,25, relativa ai ticket che la Asl avrebbe ricevuto ove avesse effettuato in proprio il servizio.
Il limite dell’arricchimento di cui all’art. 2041 c.c., dunque, dovrebbe comportare che all’equivalente dell’ammontare delle prestazioni sanitarie erogate nell’anno 2008 dalla società RAGIONE_SOCIALE dovrebbe decurtarsi il costo che la Asl di Pescara avrebbe sostenuto ove avesse erogato essa stessa le prestazioni sanitarie.
11.2. Tuttavia, tale ragionamento non è condivisibile.
Una volta accertato, infatti, che le prestazioni rese dalla società RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2008 sono al di sotto del tetto di spesa, devono essere corrisposte tutte le somme relative alle prestazioni effettivamente erogate, senza decurtazione dei ticket pagati dai privati.
11.3. Il tetto di spesa non può essere raggiunto tenendo conto anche dei ticket sanitari erogati dai privati in favore della società accreditata.
Il tetto di spesa deve essere computato al netto dei ticket sanitari, che riguardano la compartecipazione del privato alla spesa pubblica.
Tant’è vero che la società accreditata, una volta percepiti i ticket sanitari, chiede all’Asl il rimborso esclusivamente dei costi sostenuti, senza considerare i ticket sanitari già incassati.
11.4. Del resto, come chiarito dalla società, ove si computassero, ai fini dell’individuazione del limite massimo del tetto di spesa, anche i ticket sanitari pagati dai privati in favore delle strutture accreditate, si abbasserebbe il tetto di spesa.
È sufficiente osservare che l’art. 2041 c.c. può trovare applicazione nell’ambito delle prestazioni sanitarie rese dalle strutture private accreditate, esclusivamente ove, in assenza di contratto, restino al di sotto del limite di spesa, che rappresenta un provvedimento autoritativo di carattere discrezionale che non può in alcun modo essere eluso, stanti le insuperabili esigenze di carattere finanziario dello Stato e delle regioni (Cass., 25/11/2021, n. 36654; Cass., sez. 1, 22/2/2024, n. 4757; Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; Cass., sez. 3, 24/9/2024, n. 25514).
Per le prestazioni rese oltre il tetto di spesa non può dunque configurarsi un arricchimento per l’Amministrazione sanitaria che, proprio nel fissare tale detto, ha inteso rilevare e sottolineare, già in via preventiva, che le prestazioni erogate al di fuori di esso vanno oltre i livelli essenziali di assistenza come dalla medesima individuati e che è in grado di sostenere (Cass., n. 36654 del 2021).
14. Ove, dunque, ai sensi dell’art. 2041 c.c., la Asl debba provvedere al ristoro delle spese sostenute dalle strutture private accreditate, attraverso il pagamento di un indennizzo correlativo alla diminuzione patrimoniale, sia pure nei limiti dell’arricchimento, non v’è dubbio che le prestazioni rese dalle società private debbano essere riconosciute integralmente, al netto dei ticket sanitari pagati dagli utenti del servizio.
Del resto, le società accreditate provvedono al sostenimento dei costi dei servizi in misura preponderante, mentre il pagamento dei ticket da parte dei privati copre il residuo; le società, però, chiedono allo Stato solo il rimborso di quanto effettivamente speso (il costo pari alla tariffa), senza computare il pagamento dei ticket ottenuto da parte dei privati, che non è un esborso aggiuntivo rispetto al costo di erogazione della prestazione.
14.1. Se, dunque, il tetto annuale di spesa viene suddiviso in relazione alle spese unitarie sostenute, in relazione al prezzo di tariffa, le strutture private possono erogare un numero inferiore di prestazioni (tetto di spesa al lordo dei ticket ).
Questa è la tesi fatta propria dall’ASL.
14.2. Se, invece, il tetto annuale di spesa viene suddiviso in relazione alle spese unitarie sostenute, ma con decurtazione dell’importo dei singoli ticket erogati dai privati, il costo unitario della prestazione resta immutato, anche se una parte di esso viene coperta dal pagamento dei ticket (tetto di spesa al netto dei ticket ).
L’importo dei ticket , infatti, viene rimborsato alle società accreditate direttamente dai pazienti e non può, dunque, concorrere al raggiungimento del tetto di spesa annuale determinato dalle Regioni.
Tale importo non è rimborsato dalle ASL.
Questa è la tesi fatta propria dalla società.
15. Ciò significa che muovendo dall’ipotesi del calcolo del tetto di spesa «al netto dei ticket » – fatta propria dalle società private – e quindi detraendoli, ai fini dell’individuazione del tetto di spesa, potranno essere effettuate prestazioni in numero maggiore.
È sufficiente porre attenzione ad un tetto annuale di euro 100.000,00, a fronte di un costo unitario di prestazioni di euro 10,00, con un prezzo di tariffa pari ad euro 10,00 per il versamento di un ticket da parte dei privati dell’importo di euro 2,00.
In tal caso, le strutture private potranno erogare legittimamente un numero di prestazioni pari a 12.500 (euro 100.000,00 : euro 8 = 12.500 prestazioni).
Per raggiungere il tetto di spesa annuale di euro 100.000,00, dunque, la società accreditata può effettuare numero 12.500 prestazioni. Di conseguenza, sottraendo all’indennizzo da ingiustificato arricchimento una somma pari all’importo dei ticket che i pazienti ver-
sano alle strutture private, si riduce l’ammontare del tetto di spesa delle stesse strutture.
Ed infatti, il ticket pagato dai privati sarebbe in questo caso di euro 25.000 (euro 2 X 12.500 prestazioni), per la somma di euro 25.000,00, dovrebbe essere detratta dall’importo di euro 100.000,00, ottenendosi il valore di euro 75.000,00, che, dunque, è parte integrante dell’indennizzo ex art. 2041.
Muovendo, invece, dall’ipotesi del calcolo del tetto di spesa «al lordo dei ticket » – fatta propria dalla ASL – e quindi conteggiandoli ai fini dell’individuazione del tetto di spesa, potranno essere effettuate prestazioni in numero inferiore.
È sufficiente porre attenzione ad un tetto annuale di euro 100.000,00, a fronte di un costo unitario di prestazioni di euro 10,00, con un prezzo di tariffa pari ad euro 10,00 per il versamento di un ticket da parte dei privati dell’importo di euro 2,00.
In tal caso, le strutture private potranno erogare legittimamente un numero di prestazioni inferiore.
In questo caso le prestazioni sarebbero solo 10.000 (euro 100.000 : euro 10 = 10.000 prestazioni).
Inoltre, deve tenersi conto della circostanza che l’importo dei ticket pagati dei privati deve essere versato al soggetto che in concreto ha erogato la prestazione.
Infatti, la Asl ha diritto a percepire i ticket pagati dai privati solo nell’ipotesi in cui abbia materialmente erogato essa le prestazioni.
La Asl non può vantare tale diritto quando, come nella specie, le prestazioni siano state rese dalle società private accreditate.
Se, dunque, le prestazioni sono state erogate dalla Asl, e quindi il costo delle prestazioni è stato sostenuto dalla Asl, l’importo del ticket deve essere versato all’Asl; al contrario, se le prestazioni sono state erogate dalle strutture private, e quindi se il costo delle pre-
stazioni erogate è stato sostenuto dalle strutture private, l’importo del ticket deve essere versato proprio a tali strutture.
L’indennizzo da ingiustificato arricchimento deve allora essere calcolato esclusivamente sulla quota di rimborso dei costi dovuta dalle Asl.
Tale quota viene ovviamente scomputata dell’importo dei ticket pagati dei privati.
Di recente, si è osservato che in tema di prestazioni sanitarie in regime di convenzionamento, ai fini del tetto massimo rimborsabile alla struttura, in difetto di espressa previsione in tal senso nella convenzione, non può calcolarsi anche la somma a carico del privato, poiché tale computo è contrario alla ” ratio ” del limite massimo, che è quella di porre un tetto alla spesa pubblica, ossia al rimborso a carico dell’ASL, a cui non concorre, pertanto, la somma a carico del privato (Cass., sez. 3, 18/5/2023, n. 13779).
Deve, quindi, essere enunciato il seguente principio di diritto: « In tema di ingiustificato arricchimento in materia di accreditamento sanitario, in assenza di contratto scritto stipulato con la pubblica amministrazione, l’arricchimento della Asl è determinato dal costo che la stessa avrebbe dovuto sostenere per procurarsi le medesime prestazioni, al netto dei ticket sanitari pagati dai pazienti ».
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in comples-
sivi euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-q uater , del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 luglio 2025